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Venerdì 9 Dicembre 2016
13
Che frequentano le università statunitensi anche senza possedere il permesso di soggiorno
Cosa farà Trump con gli studenti?
Costituiscono la struttura portante del futuro degli Usa
DI
ARIANNA FARINELLI *
«S
ono proprio come
il mio paese. Sono
giovane, tenace ed
affamato.» Questo è il famoso refrain di uno
dei brani più belli del musical
«Hamilton» che quest’anno ha
sbancato i botteghini di Broadway e vinto premi e riconoscimenti importanti, tra cui 11
Tony Awards, il Grammy come
miglior musical e il premio
Pulitzer per l’arte drammatica. Oltre ad essere la storia di
Alexander Hamilton, uno dei
padri fondatori degli Stati Uniti
e suo primo ministro del Tesoro,
il musical è anche la storia della
nascita della nazione americana dopo la guerra di indipendenza dalla Gran Bretagna.
Il messaggio dell’opera,
scritta da un rapper di origini
portoricane, è che la storia degli
Stati Uniti è anzitutto una storia di immigrazione. Hamilton
arrivò in America come immigrato da un’isola dei Caraibi.
Figlio illegittimo di uno scozzese e di una prostituta, rimase
presto orfano e visse in povertà.
Malgrado le avversità e grazie
alla tenacia e al grande talento,
Hamilton riuscì a vincere una
borsa di studio alla Columbia
University. Una volta giunto a
New York, l’orfano dei Caraibi
combattè gli inglesi a fianco di
George Washinton e contribuì a scrivere la costituzione
americana.
Di ragazzi come Hamilton
nella storia degli Stati Uniti
ce ne sono stati milioni. Ed è
soprattutto grazie a loro che
l’America è diventata la potenza politica ed economica che è
oggi. Ogni anno, nell’ università dove insegno, vedo arrivare
tanti giovani Hamilton. Vengono da paesi poveri. Spesso
da zone di guerra. Lavorano di
notte per pagarsi gli studi. Sono
più motivati rispetto agli altri.
Sono giovani, tenaci ed affamati di conoscenza. Sono l’America
migliore. Tra loro c’è Abinaya
che è arrivata dall’India a 16
anni e, dopo la laurea in Scienze
Politiche, ha vinto una borsa di
studio ad Harvard. Oppure c’è
Michael, che è arrivato dalla
Colombia come rifugiato politico perché perseguitato dalle
Farc e, dopo l’università, è entrato al Dipartimento di stato
americano. E poi c’è Aminha
che è venuta dal Pakistan per
curarsi e dopo aver vinto la
malattia e completato gli studi
è stata assunta da una importante banca di investimenti.
Una delle pochissime giovani
donne ad indossare il velo a
Wall Street.
Negli Stati Uniti sono
Donald Trump
moltissimi gli studenti universitari senza permesso di
soggiorno. Il Presidente Obama aveva firmato un ordine
esecutivo che permetteva a 700
mila di questi Dreamers (letteralmente sognatori) di rimanere negli Stati Uniti anche se
entrati nel paese illegalmente.
Questa direttiva però non è mai
stata approvata dal Congresso
americano e potrebbe essere
revocata dalla nuova amministrazione Trump che ha promesso il pugno di ferro contro
l’immigrazione clandestina (circa 11 milioni di illegali).
Le università americane,
soprattutto negli stati governati dai Democratici e nelle cosiddette «città santuario» dell’immigrazione, come New York,
Los Angeles, San Francisco e
Chicago, hanno promesso che
difenderanno gli studenti dalla
possibile deportazione. Secondo
queste università, gli studenti
senza documenti forniscono un
contributo fondamentale alla
società. «L’America ha bisogno
di talento e questi giovani sono
essenziali per il nostro futuro».
Così hanno scritto i presidi di
400 università americane subito dopo l’elezione di Trump.
Ovviamente queste parole stridono fortemente con
quanto accaduto qualche giorno fa nell’ università statale
dell’Ohio, dove un giovane studente di origini somale, beneficiario dello status di rifugiato,
ha attaccato e ferito una decina di suoi compagni in nome
dell’Isis. Un episodio che ha
fatto ripetere ancora una volta
a Trump, durante il suo «tour
della vittoria» in Ohio, che bloccherà l’immigrazione dai paesi
musulmani.
Negli ultimi anni, in tutto
il mondo occidentale si è assistito al ritorno del nazionalismo
e del nativismo contro l’idea di
una società multiculturale.
Malgrado ciò, la storia continua ad andare per la sua strada, che non è certo quella della
chiusura. Le nuove tecnologie
permettono a persone in diverse parti del pianeta di parlare
e di scambiarsi informazioni.
Studenti di paesi lontani seguono via webcam i corsi universitari qui a New York. I giovani
americani dialogano con i loro
coetanei in altri parti del mondo, mettono a confronto le loro
esperienze, discutono problemi
globali come i cambiamenti
climatici. Contrariamente alla
generazione dei loro genitori, i
giovani sono aperti alla globalizzazione culturale, politica ed
economica e credono che, specialmente quest’ultima, possa e
debba diventare più equa.
E diversamente dai loro
genitori, i giovani americani
hanno votato contro Trump,
così come i giovani inglesi votarono contro la Brexit. Oggi
negli Stati Uniti, i Millennials
(i nati dopo gli anni ’80) hanno
superato il numero dei Baby
Boomers (i nati tra il 1946 e il
1964). Contrariamente ai Baby
Boomers, per lo più bianchi, i
Millennials sono una generazione etnicamente molto eterogenea. Il 43% di loro non è di
etnia bianca. La percentuale
più alta di sempre. Sono anche
la generazione con il più alto
livello di istruzione. Abbiamo
bisogno di loro se vogliamo che
il mondo occidentale rimanga
giovane, tenace ed affamato.
* City University
of New York
SE I JET DI OBAMA NON FOSSERO STATI BLOCCATI DALLA RUSSIA, IN SIRIA CI SAREBBE IL CALIFFATO
Grazie a Putin (e anche a Trump) i terroristi dell’Isis stanno
per essere sconfitti ad Aleppo dopo cinque anni di connivenze
DI
«P
PAOLO VITES
er anni nessuno ha detto
niente dei massacri di civili operati dagli jihadisti
che avanzavano in Siria,
per anni Aleppo Ovest è stata bombardata anche con le bombe al gas ma nessuno protestava perché gli Stati Uniti
ci facevano credere che erano ribelli
democratici che combattevano il regime di un dittatore, Assad»: per Gian
Micalessin, uno che fra i combattenti
c’è stato e a lungo, la svolta nella battaglia di Aleppo mette in luce la miopia
che ha guidato tutto l’establishment
politico e militare durante l’amministrazione Obama. A passi sempre più
decisi infatti le forze russo-siriane sono
penetrate anche ad Aleppo Est e preso
il controllo della città vecchia: «Tutto
questo è possibile solo grazie a Trump
e Putin» dice Micalessin, il reporter
«che in pochi mesi hanno fatto quello
che l’Occidente non ha saputo o voluto
fare in cinque anni». Ma la vera svolta,
dice ancora, è stato «il mancato bombardamento della Siria da parte degli
americani nel 2013, fermato dai russi.
È stato allora che gli americani hanno
perso la guerra».
Domanda. Si parla di una liberazione imminente di Aleppo est,
sono notizie veritiere?
Risposta. Siamo sicuramente davanti a una svolta della guerra, svolta
dettata da due elementi.
D. Quali?
R. Da una parte l’ascesa di Trump,
dall’altra la possibilità per Putin di
spingere sull’acceleratore dell’offensiva. Trump e Putin insieme stanno
cambiando questa guerra dopo cinque
anni di spargimenti di sangue.
D. Ma Trump ancora non ha preso il potere effettivo, siamo ancora in un momento di transizione,
cosa intende?
R. C’è già un effetto diretto che è
oggettivo, e cioè che i ribelli sanno che
l’America non li sostiene più e non darà
loro più armi. Già adesso c’è voce di una
possibilità di resa di Aleppo e si parla
di un negoziato avviato in Turchia con
esponenti dei ribelli che stanno dialogando direttamente con la Russia attraverso Erdogan.
D. Come si può definire quanto
ha fatto l’amministrazione Obama in Siria? Miopia degna di un
bambino o disegno strategico preciso?
R. Si è trattato di un disegno ben
preciso dettato da una visione miope.
Dai think tank di Washington fino
all’establishment politico e militare
della Casa Bianca, hanno tutti sostenuto con decisione l’idea di far fuori il
regime di Assad e di sostituirlo con un
altro tipo di regime. È stata una scelta
precisa presa con la Turchia, il Qatar e
l’Arabia Saudita e avvallata da Inghil-
terra e Francia. Non dimentichiamoci
che il segretario di Stato americano
continua a ripetere che il più grande
errore dell’amministrazione Obama è
stato quello di non aver voluto portare
a termine il bombardamento sulla Siria nel 2013.
D. Cosa sarebbe successo se quel
bombardamento fosse stato fatto e
perché non avvenne?
R. È stato allora che gli Usa e i loro
amici ribelli hanno perso la guerra. Se
gli americani avessero bombardato, il
regime di Assad sarebbe caduto. Ma
quel bombardamento non c’è stato per
due motivi.
D. Quali?
R. L’intervento del papa ma soprattutto l’entrata in gioco di Putin che ha
capito che stava per essere spazzato via
dal Medio Oriente. Con la vittoria americana avrebbero perso l’ultima base
navale navale russa nel Mediterraneo,
in Siria, e da quel momento è cominciata la svolta.
D. Proprio ieri 3mila ribelli che
combattevano nella zona di Damasco hanno lasciato le armi ed è
stato consentito loro di trasferirsi
nella provincia di Idlib. Come mai
consentono loro di fuggire?
R. È una delle soluzioni negoziate di
pace separata che il regime ha lanciato
da anni, non è una novità. I ribelli accettano di abbandonare le postazioni,
si evitano spargimenti di sangue e fini-
scono i combattimenti di ogni tipo.
D. Ma perché permetter e loro di
trasferirsi altrove? Cosa significa
la provincia di Idlib, un’enclave
dove i ribelli potranno vivere in
pace? Non è una soluzione pericolosa per il futuro?
R. In questa provincia c’è l’ultimo territorio ancora in mano ai ribelli. Attraverso futuri negoziati si deciderà cosa
fare, ma, per adesso, non è pensabile
un’offensiva militare in una provincia
che è sempre stata a maggioranza dei
Fratelli musulmani di ispirazione jihadista. È più importante concentrare gli
sforzi militari su Aleppo e le periferie
di Damasco. Va detto poi che quelli che
invece si arrendono vengono integrati
nelle milizie del governo, c’è una vera
e propria operazione di reintegrazione
dei ribelli.
D. Si dice che i russi stiano vincendo la guerra con un’offensiva
sanguinaria che non risparmia
ospedali e civili. Cosa può dire in
proposito?
R. Rispondo che per anni non abbiamo mai denunciato quello che hanno
fatto i ribelli nella loro avanzata: stragi
di civili, decapitazioni, uso di armi improprie. Per anni su Aleppo Ovest sono
cadute bombe al gas mentre il quartiere armeno è stato messo a ferro e fuoco
dai ribelli e nessuno ha speso una parola perché erano «i ribelli moderati».
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