Assemblea 28.10 Intervento dl Vescovo

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Ass. Dioc. Pentecoste 2017
Una Chiesa per l'ascolto, il servizio, la missione
Per preparare questo intervento, mi sono ispirato alla Gioia del Vangelo, e
precisamente al cap. IV: La dimensione sociale dell'evangelizzazione. Ne riporto
brevemente alcuni passaggi fondamentali.
Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del
Vangelo vi sono la vita comunitaria e l'impegno con gli altri (177). Com'è
pericolosa e dannosa l'assuefazione (a questo messaggio) che ci porta a perdere la
meraviglia, il fascino, l'entusiasmo di vivere il Vangelo della fraternità e della
giustizia! (179). Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all'ambito
privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio
desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla
pienezza della vita eterna, perché Egli ha creato tutte le cose "perché possiamo
goderne" (1Tm 6,17), perché tutti possano goderne (182). In ogni luogo e
circostanza i cristiani, incoraggiati dai loro Pastori, sono chiamati ad ascoltare il
grido dei poveri (191). Nel cuore di Dio c'è un posto preferenziale per i poveri, tanto
che Egli stesso "si fece povero" (2Cor 8,9) (197). Desidero una Chiesa povera e per i
poveri. Essi hanno molto da insegnarci. E' necessario che tutti ci lasciamo
evangelizzare dai poveri (198).
Il Papa passa poi a parlare di economia come "adeguata amministrazione
della casa comune", di politica come "una delle forme più preziose della carità",
dell'inclusione dei migranti, delle donne e dei bambini (no all'aborto!), di ecologia,
di pace sociale.
Così formulato, il tema di una Chiesa povera e per i poveri, non
rappresenta una 'distrazione' né rispetto al tema imprescindibile della missione
né rispetto a quello - altrettanto irrinunciabile - della sinodalità. Prima che
imperativo morale, la scelta dei poveri è un fatto teologico. Tale scelta attiene
all'ordine della rivelazione, e cioè a come Dio guarda e ama l'uomo. Non
appartiene soltanto alla risposta dell'uomo alla rivelazione di Dio, e cioè a come
l'uomo debba porsi davanti a lui. Se Gesù ha frequentato i peccatori e ha accolto
gli esclusi, è perché voleva rivelare il vero volto di Dio (un volto... capo-volto!). Se
non avesse fatto questa scelta, avrebbe rivelato un volto diverso di Dio, e noi ci
saremmo fatta un'idea deviata di lui. Pertanto la scelta dei poveri non è un
optional pastorale, ma una condizione ineludibile perché la Chiesa possa svolgere
il suo compito primario e inderogabile: quello di mostrare il volto vero di Gesù
Cristo, la Via per arrivare a conoscere Dio e a ri-conoscerne il vero volto: quello
del Padre-'Abbà, misericordioso e santo. Non basta perciò aiutare generosamente
i poveri. Occorre una conversione. Occorre cambiare mentalità. Occorre costruire
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relazioni nuove con i poveri. Il Papa parla non solo di evangelizzare i poveri, ma
prima ancora di lasciarsi evangelizzare da loro. E chiarisce lucidamente:
La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro
esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire
Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad
essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa
sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro (EG 198).
Su sollecitazione del Papa a Firenze - "Vi raccomando, in maniera speciale,
la capacità di dialogo e di incontro" - la Chiesa italiana ha deciso di "avviare un
processo sinodale per crescere nell'identità di Chiesa in uscita, capace di mettersi
in discernimento creativo, innovando con libertà dentro un orizzonte di
comunione". La sinodalità è una dimensione costitutiva della Chiesa. Certamente
non è sinodale una comunità ecclesiale (diocesi o parrocchia) in cui si verificano
due estremi: o l'estremo per cui uno vuole essere il tutto (centralismo estremo), o
l'estremo opposto, in cui ognuno vuole essere il tutto (individualismo estremo).
A questo punto dobbiamo avere l'umiltà e il coraggio di porci delle domande
ineludibili: quale immagine di Chiesa offrono le nostre comunità parrocchiali e la
nostra comunità diocesana a "quelli-di-fuori"? Siamo una Chiesa povera e per i
poveri? Vogliamo diventare una Chiesa in uscita, e "l'azione missionaria è il
paradigma di ogni nostra opera" (EG 15)? Siamo convinti che se non ci
educhiamo e non seguiamo un percorso di sinodalità, non possiamo operare "la
conversione missionaria della nostra pastorale ordinaria" (EG 19-39)? E
ricadiamo nella "semplice amministrazione", nel soporifero "si è sempre fatto
così", nella ostinazione (o costrizione!) di una pastorale sostanzialmente volta
all'interno e autoreferenziale. Domandiamoci ancora: di fronte alle nostre
comunità cristiane, cioè di fronte alle nostre preoccupazioni prioritarie, alle scelte
pastorali, alle proposte rivolte a tutti, al modo di rapportarci nel quartiere, al
modo di operare il discernimento e di prendere decisioni, alle stesse assemblee
liturgiche, da tutto questo che cosa può capire chi "sta fuori" e ci osserva?
Questa attenzione a quelli-di-fuori non è mirata a perseguire il miraggio del
successo mondano. Ma il protendersi verso il mondo è la sola strada per cambiare
finalmente il modello di pastorale. Tutti siamo d'accordo nel dire che una
situazione di cristianità non esiste più, ma poi ci si illude che la 'cura d'anime' sia
già missione, e così facendo si contribuisce a rafforzare il vecchio modello di
pastorale anziché rinnovarlo. Dobbiamo trovare il coraggio di non lasciarci
sommergere dall'affanno e dalla rincorsa delle varie emergenze, per quanto
impellenti. Ma questo sarà possibile se ci si convince che sarà proprio l'attenzione
a quelli-di-fuori che farà maturare e crescere quelli-di-dentro.
Venuta la sera, disse loro: "Passiamo all'altra riva". (...) Poi disse loro: "Perché
avete paura? Non avete ancora fede?" (Mc 4,35.40).
+ Francesco Lambiasi
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