La poesia entra in un campo profughi palestinese

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giovedì 24 novembre 2016, 17:00
Dal Libano
La poesia entra in un campo profughi palestinese
Al Jafra cafè possono entrare uomini e donne di ogni nazionalità
di Sabrina Duarte
Libano - "I libanesi non arrivano mai fin qui. Non è un bel posto", il tassista entra nel campo palestinese di Bourj el
Barajneh, periferia sud di Beirut, e per l’ultima volta tenta di dissuaderci dal nostro obiettivo di raggiungere il Jafra Cafè.
"Qui ci sono solo palestinesi, non restate molto", dice ancora con aria preoccupata mentre scendiamo dalla macchina. Lo
ringraziamo e seguiamo le indicazioni di un uomo che, con la mano destra, nella sinistra ha un kalashnikov, ci fa segno di
continuare dritto e poi girare a destra: il bar è proprio lì. Il canto del muazzin accompagna la nostra breve camminata tra
macchine e motorini che percorrono la strada apparentemente senza una linea precisa. Le persone ci guardano con
insistenza e interesse: siamo volti nuovi. Arriviamo al Jafra cafè. Si trova al primo piano di un palazzo che ospita anche un
ufficio di Medici Senza Frontiere. Nella stanza in cui ci ritroviamo, i divani con i cuscini, i quadri colorati alle pareti e una frase
sulla pace e la speranza di Mahatma Gandhi rendono l’ambiente accogliente. "Questo posto è stato aperto circa un anno e
mezzo fa" racconta Jihad mentre ci prepara due caffè, "sì sì, io vivo all’interno del campo" continua, "e lavoro qui al Jafra per
pagarmi gli studi all’università". Jihad vuole fare il giornalista, ha uno sguardo dolce ed è cordiale, leghiamo subito con lui.
Intorno a noi altri ragazzi, seduti al bancone o ai tavolini, chiacchierano fra di loro. Alcuni si presentano: Ali è libanese,
mentre "Quel ragazzo seduto lì è siriano" ci dicono. Vogliono subito farci capire qual è l’aria che tira al Jafra. Ma a raccontare
come e perché è nato questo posto è Ashraf el Chouli, un giovane uomo palestinese che incontriamo in un locale di
Hamra, quartiere nel cuore di Beirut ovest. "Avevo un sogno: quello di riuscire ad aprire all’interno di un campo palestinese
un locale dove uomini e donne potessero incontrarsi. Un locale che fosse anche per i miei amici libanesi, per i siriani,
insomma per chiunque, e dimostrare al mondo che anche qui ci sono cose belle". Nell’aprile del 2015 Ashraf realizza il suo
sogno: apre il Jafra Cafè con i suoi soldi, senza l’aiuto di nessun partito o movimento politico. "L’ho fatto con l’obiettivo di
rompere gli stereotipi non solo da parte dei libanesi verso di noi, ma anche viceversa". Ci racconta che inizialmente alcuni
palestinesi si sono mostrati diffidenti verso il Jafra Cafè, pensando che Ashraf fosse legato a Fatah oppure ad Hamas, ovvero
ad una delle due principali fazioni palestinesi: "In molti purtroppo non credono nel lavoro di persone distaccate dai partiti o
dai movimenti politici, che fanno cose solo per amore dell’arte e della cultura". Ashraf, nato nel campo palestinese di
Rachidiyyeh, nel sud del Libano, è un musicista: la sera si esibisce con la sua band sui palchi in giro per Beirut, ed è proprio
una sua canzone a fare da sottofondo alla nostra chiacchierata. All’interno del Jafra cafè è riuscito a portare il suo spirito e il
suo cuore, e oggi il posto è diventato un punto di riferimento anche per molte organizzazioni non governative che gli
chiedono una mano per workshop ed eventi da realizzare all’interno del campo. Con il sostegno di altre organizzazioni è
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/la-poesia-entra-in-un-campo-profughi-palestinese/
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riuscito ad aprire un piccolo studio di registrazione: "Perché molti giovani palestinesi fanno rap" ci dice. Al Jafra c’è anche
una piccola biblioteca ed una sala dedicata ai concerti, ma è soprattutto l’unico bar all’interno del campo dove ragazzi e
ragazze possono stare insieme. Anche se alcuni palestinesi più conservatori guardano ancora con diffidenza quelle tre
stanze colorate, i suoi i libri, quel murales che vuole onorare il poeta Mahmud Darwish, o quell’altro dedicato allo scrittore
Ghassan Kanafani, per i giovani che vogliono rompere gli stereotipi, desiderosi di un cambiamento, il Jafra è il luogo della
rivalsa. Bourj el Barajneh, il campo dove sono nati e vivono, si estende per un chilometro circa ed è occupato da 44mila
persone. In questo piccolo lembo di terra sovraffollato e sormontato da un tetto fatto di cavi elettrici sospesi a causa dei
quali ogni anno muoiono circa una dozzina di persone, sono in molti a lasciarsi andare: "Anche se i ragazzi frequentano
l’università poi comunque non riescono a trovare lavoro" racconta Ashraf, e allora finiscono nel buco nero della droga,
che nel campo riescono a procurarsi a prezzi fin troppo accessibili. Ashraf e i ragazzi del Jafra collaborano anche con un
piccolo centro di disintossicazione all’interno di Bourj, chiamato Insan, che ad oggi ospita 12 tossicodipendenti provenienti
da diversi campi. Il Jafra è diventato quindi con il tempo un’idea che va oltre le tre stanze dove musicisti e poeti
si ritrovano la sera per attività culturali. "Locali simili stanno aprendo in altri campi palestinesi" dice Ashraf, lui stesso
vuole aprirne uno nel campo dove è nato, Rachidiyyeh anche se lì è possibile entrare solo con un permesso speciale
dell’esercito. Bourj el Barajneh invece, è uno dei pochi campi palestinesi ad essere aperto a tutti per questo Ashraf ha deciso
che il Jafra doveva nascere lì: "Volevo che tutti potessero raggiungerlo senza problemi" dice, ed è per questo che anche noi
siamo potuti entrare, prendere un caffè, chiacchierare con Jihad e gli altri ragazzi e ricevere l’invito a tornare per la serata
cinema o per ascoltare i versi di un poeta siriano.
di Sabrina Duarte
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