Martin Schulz: `Addio Strasburgo bella`

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giovedì 24 novembre 2016, 18:45
Esteri: il Punto
Martin Schulz: ‘Addio Strasburgo bella’
Il Presidente lascia il Parlamento europeo per il Bundestag, pronto a sfidare Merkel alla Cancelleria
di Redazione
Giornata all’insegna dell’Europa. Gli Stati Uniti, impegnati a mangiare tacchino nel giorno del Ringraziamento, riposano o
quasi. I riflettori si sono accesi sull'Unione Europea di buon mattino, quando il Presidente del Parlamento europeo, Martin
Schulz, ha annunciato che non si presenterà per un terzo mandato e che l'anno prossimo si presenterà candidato
alle elezioni in Germania per il rinnovo del Bundestag, nelle file del partito socialdemocratico. Schulz, in carica da due
mandati, ha fatto il suo annuncio in una breve comunicazione alla stampa. «Non è stata una decisione facile», ha detto
Schulz, sottolineando che nel corso della sua permanenza al Parlamento europeo, sia come deputato che come Presidente,
«ho cercato di rafforzare la credibilità e la visibilità della politica europea». La Germania, ha aggiunto, in quanto più grande
stato membro della Ue, ha una «responsabilità speciale» nei confronti dell'Europa. Secondo alcune indiscrezioni, potrebbe
essere lui il candidato della Spd alla Cancelleria. La corsa per la successione è aperta. L'accordo stretto tra
Socialisti e Popolari prevedeva la nomina di un popolare, ma i Socialisti ora si oppongono, poiché, osservano, se un popolare
fosse nominato alla guida dell'Europarlamento, i vertici delle tre principali istituzioni dell'Ue sarebbero appannaggio del Ppe:
sia Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione, che Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo,
appartengono a quella famiglia politica. Diventa Presidente il candidato che abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti
espressi, a scrutinio segreto. Se, dopo tre scrutini, nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta, possono essere
candidati al quarto scrutinio solo i due deputati che, al terzo scrutinio, abbiano ottenuto il maggior numero di voti. Se
dovessero andare in scena veti contrapposti tra Popolari e Socialisti, tra i due litiganti potrebbe godere un terzo, come per
esempio il Presidente del gruppo Alde Guy Verhofstadt, che sulla carta assicurerebbe un profilo alto all'Aula (è stato a
lungo Premier del Belgio ed è un europeista convinto) in un periodo in cui le istituzioni Ue sono in difficoltà, sotto i colpi dei
partiti populisti all'interno e con le incognite della Brexit e della presidenza Trump all'orizzonte. Al momento ci sono già due
candidati ufficiali del Ppe: l'irlandese Mairead Mc Guinness, vicepresidente del Parlamento Europeo; il francese Alain
Lamassoure, presidente della delegazione transalpina nel Ppe. E' dato in corsa anche lo sloveno Lojze Peterle, che è
stato il primo Premier della Slovenia, dal 1990 al 1992, dopo la secessione dalla Jugoslavia. E' attesa anche la candidatura di
Antonio Tajani, vicepresidente del Parlamento Europeo, che però non ha ancora fatto annunci in merito. La nomina del
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prossimo Presidente dell'Aula di Strasburgo verrà decisa fuori, a livello di capi di Stato e di Governo dell'Ue. E
ancora Unione Europea e ancora l’Europarlamento, che ieri si era già guadagnato la ribalta con la risoluzione contro la
'propaganda' anti-europea russa. Ancora una risoluzione, ancora una quasi dichiarazione di guerra. Il Parlamento europeo,
infatti, ha chiesto oggi con una risoluzione la sospensione dei negoziati di adesione con la Turchia, una
decisione che Ankara considera nulla e che vede su posizioni avverse anche la maggior parte degli Stati
membri. La risoluzione, sostenuta dai quattro principali gruppi dell'Europarlamento - conservatori, socialisti, liberali e Verdi è stata approvata con 479 voti a favore, 37 contrari e 107 astensioni. Il testo «chiede alla Commissione e agli Stati
membri di avviare un temporaneo congelamento dei negoziati in corso con la Turchia» per l'adesione all'Ue, alla luce delle
purghe e delle diffuse violazioni delle libertà fondamentali scattate con il fallito golpe del 15 luglio. Le misure
repressive adottate dal Governo turco nell'ambito dello stato di emergenza sono considerate «sproporzionate» dal
Parlamento europeo e - si legge nel testo - «attentano ai diritti e alle libertà fondamentali riconosciuti dalla Costituzione
turca», violando i «valori democratici fondamentali dell'Unione europea». Gli eurodeputati hanno anche lanciato un
monito sul fatto che un eventuale «ripristino della pena capitale da parte del Governo turco dovrebbe portare a una
sospensione ufficiale del processo di adesione». La richiesta del Parlamento europeo è chiaramente una decisione di alto
ma solo valore simbolico e diplomatico, di fatto, solo i governi Ue possono sospendere i colloqui con la Turchia.
La risoluzione non è vincolante, e la maggior parte degli Stati membri ha già espresso la propria contrarietà a un
congelamento del negoziato con Ankara, nonostante i crescenti motivi di attrito con il Paese, resta il fatto politico e
diplomatico. Sarà l’ennesima occasione per lo scontro tra Occidente e l’area Est del continente, non ultimo in
considerazione della ritrovata quasi perfetta armonia tra Turchia e Russia. Oggi era giunto a Strasburgo il nervosismo di
Mosca per la risoluzione di ieri, ora arriverà quella di Erdogan, meno fredda e contenuta, c’è da credere, di quella del
Cremlino. «La Russia non è un nemico dell'Europa e non vuole il suo male», ha detto la portavoce del Ministero degli
esteri russo Maria Zakharova a commento del voto dell'Europarlamento di ieri. E però la portavoce ha paventato
«misure a specchio» in risposta di una eventuale messa in pratica europea della risoluzione dell'Europarlamento di ieri,
sulla propaganda e i media russi. «L'Occidente ci ha insegnato a giocare a un gioco secondo le sue regole, e ora che
giochiamo così non va bene», E intanto, tornano alla ribalta le ‘Exit’, una si profila all’orizzonte, l’altra sembrerebbe
volerci ripensare. Se il popolo britannico decidesse che i costi per lasciare l'Unone Europea superano notevolmente tutti i
benefici, la Brexit potrebbe essere bloccata. Lo ha dichiarato Tony Blair in un'intervista al 'New Statesman', spiegando
che il verdetto del referendum della scorsa estate potrebbe ancora essere rovesciato. Secondo l'ex Premier
britannico, tale inversione di tendenza potrebbe avvenire in due modi, entrambi incentrati sulle trattative per l'accesso al
mercato unico dell'Ue portate avanti dal Governo di Theresa May. Gli elettori hanno il diritto di decidere se vogliono
rimanere in Europa dopo «aver esaminato» l'accordo finale di Theresa May con i leader europei. Un referendum
sull'uscita dall'Unione Europea potrebbe tenersi anche in Austria: lo ha detto Norbert Hofer, candidato nazionalista
al ballottaggio delle elezioni presidenziali in programma nel Paese il 4 dicembre. Hofer ha sostenuto di volere
«un'Unione Europea migliore» e ribadito una posizione di chiusura rispetto all'accoglienza di migranti e
rifugiati. «L'islam non è parte dei nostri valori». Due circostanze potrebbero fargli cambiare idea: l'ingresso della
Turchia nell'Unione ed il modo in cui Bruxelles risponderà alla Brexit. «Se la risposta sarà quella di rendere l'Ue più
centralizzata, con i parlamenti nazionali privati sempre più dei loro poteri e con l'Unione governata come uno Stato, dovremo
convocare un referendum in Austria, perché questo porterebbe ad una modifica della Costituzione». Giorno di Thanksgiving
per gli americani, ma «Sto lavorando duro, anche per la Festa del ringraziamento», ha fatto sapere attraverso Twitter
il Presidente eletto Usa, Donald Trump. Intanto si apprende che in Siria «all'interno dell'opposizione, in particolare
della Coalizione delle forze della rivoluzione e dell'opposizione siriana, dell'Alto comitato per i negoziati e del Comitato di
coordinamento, si sta discutendo seriamente di agire da subito per prendere contatti attraverso canali europei e
arabi con lo staff del neoeletto presidente Usa Trump e la sua prossima amministrazione, piuttosto che boicottare
a priori il neoeletto Presidente», lo ha dichiarato ad ‘Aki-Adnkronos International’ Ahmad Asrawi, esponente dell'Alto
comitato per i negoziati, che rappresenta l'opposizione siriana ai colloqui di Ginevra. Alcune personalità dell'opposizione
siriana hanno incontrato Donald Trump jr, il figlio del neoeletto Presidente, durante la campagna elettorale, e lo stesso ha
fatto un altro oppositore molto vicino a Mosca, ossia il Presidente del partito della Volontà Popolare e rappresentante del
gruppo di Mosca dell'opposizione siriana, Qadri Jamil. Al lavoro, nel giorno del Ringraziamento, sembrano anche altre due
candidate presidenti. I sostenitori di Hillary Clinton nella corsa per la presidenza Usa chiedono un riconteggio dei voti in
Pennsylvania, Wisconsin e Michigan, a causa delle informative da parte di esperti della sicurezza che
suggeriscono che potrebbe esserci stata la manipolazione di dati informatici in diverse contee di questi Stati. Per
questo hanno lanciato una campagna sui social network intitolata 'AuditTheVote', cioè 'Controlla il voto'. Trump ha battuto
Clinton nelle elezioni presidenziali dello scorso 8 novembre con un piccolo scarto di voti in Pennsylvania e Wisconsin. Il
vantaggio in questi tre Stati è stato determinante per Trump per superare i 270 grandi elettori necessari a
ottenere la Casa Bianca. Nonostante il magnate newyorkese si sia imposto con il sistema dei grandi elettori, che decidono
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chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, Clinton ha superato il rivale per due milioni di voti complessivi. Lo
scrutinio, ancora in corso in alcuni Stati dove si stanno ancora conteggiando i voti a distanza o quelli depositati all'estero, dà
un vantaggio di oltre due milioni di schede per Clinton (con 64,22 milioni di voti), contro Trump (che si ferma a 62,21 milioni
di voti). Secondo il 'Cook Political Report', la democratica si attesta dunque al 48,1%, mentre il repubblicano al 46,6%.
Nonostante l'attivismo dei sostenitori di Clinton, il suo staff al momento non ha dato alcun segnale di stare
pensando a chiedere un riconteggio dei voti. Chi invece sta chiedendo a gran voce il riconteggio, almeno in
Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, è la candidata alla presidenza dei Verdi, Jill Stein. La campagna di Stein ha
assicurato mercoledì che era necessario raccogliere circa 2 milioni di dollari per pagare il riconteggio e, visto
che questa cifra è già stata raggiunta, ha fissato il nuovo obiettivo a 4,5 milioni di dollari. La Stein ha spiegato che
la sua iniziativa è dovuto a evidenti prove di anomalie nel voto e che l'analisi dei dati ha indicato «significative
discrepanze nei totali dei voti» diffusi dalle autorità statali. «Queste questioni devono essere indagate prima che le
elezioni presidenziali 2016 vengano certificate», ha affermato la candidata dei Verdi. La campagna prevede di raccogliere
tra i 6 e i 7 milioni di dollari per finanziare le richieste di riconteggio nei tre Stati.
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