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Mauritania: il movimento islamico che vuole abolire la schiavitù | 1
giovedì 24 novembre 2016, 18:00
Diritti Umani
Mauritania: il movimento islamico che vuole abolire la
schiavitù
A maggio la polizia mauritana ha arrestato il leader del IRA-Mauritanie
di Fulvio Beltrami
Kampala - La schiavitù in Mauritania è una terribile realtà da oltre 600 anni. Fu ufficialmente abolita per tre volte:
nel 1905 dalle autorità coloniali francesi. Nel 1961 dalla Costituzione. Nel 1980 dal Comitato Militare di Salute Nazionale
guidato dal Generale Mohamed Khouna Ould Haidalla che, applicando la Sharia, abolì la schiavitù conformemente ai testi
sacri del Corano e agli insegnamenti del Profeta. Nonostante questi importati atti legislativi la schiavitù continua ad esistere
in Mauritania. Il 4% della popolazione nasce in stato di schiavitù mentre il 6% diventa schiavo per mancato
pagamento dei debiti. Le stime delle Nazioni Unite parlano di percentuali maggiori. Su una popolazione di 3,4
milioni di abitanti, il 20% vivrebbe in stato di schiavitù. Vale a dire circa 680mila persone, come ci ricorda Antonella
Sinolpi nel suo articolo 'Mauritania, schiavi nel XXI secolo' del 26 aprile 2012. Le principali vittime della schiavitù in
Mauritania sono le minoranze etniche e le popolazioni negroidi: Haratines, Peuls, Soninkés , Wolofs. La schiavitù è
praticata dai Mori Bianchi (Bidhans) che detengono dall’indipendenza il controllo assoluto su governo, esercito, polizia,
apparato giudiziario e sistema economico. Al fenomeno di schiavitù sono legati crimini internazionali quali traffico
di prostituzione verso i Paesi Arabi e traffico internazionale di organi umani. “Ufficialmente ogni governo Moro
della Mauritania ha sempre negato l’esistenza della schiavitù. Essa è un antico sistema di dominio che è stato per secoli il
principale motore produttivo del Paese come fu per l’Impero Romano. Nei tempi moderni la schiavitù ha preso connotati
razziali legati al sistema delle caste in totale contraddizione al Islam, religione praticata in assoluto in Mauritania” spiega il
sociologo mauritano Amel Daddah. Nell’agosto del 2005 il Generale Mohamed Ould Abdel Aziz appartenente al clan
Moro dei Ouled Bou Sbaa organizza un colpo di stato contro il presidente Maaouiya Ould Sid'Ahmed Taya, costringendolo a
fuggire dal Paese. L’Emiro del Qatar Hamad ben Khalifa Al Thani concederà a Taya l’asilo politico. Il posto di Presidente sarà
affidato a Sidi Ould Cheikh Abdallahi, anch’esso vittima di un colpo di stato nel 2008 sempre organizzato dal Generale Abdel
Aziz che assume i poteri assoluti il 05 agosto 2009. Responsabile di una atroce e disumana dittatura e al centro di un
network mafioso che gestisce il traffico di droga tra la Colombia, Messico, Africa Occidentale ed Europa, il Generale Abdel
Aziz il 13 agosto 2015 impone al Parlamento una nuova legge contro la schiavitù che viene equiparata come crimine contro
l’umanità con severe pene di reclusioni dai 10 ai 20 anni. La propaganda del Dittatore Abdel Aziz sui progressi ottenuti nella
lotta contro la schiavitù è stata clamorosamente smentita dall’ondata di repressione iniziata nel maggio 2016 che ha
praticamente annientato il movimento
per l’abolizione
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Mouvement Abolitionniste en Mauritanie (IRA – Mauritanie). Il 07 maggio 2016 la polizia mauritana arresta il leader del
IRA-Mauritanie: Biram Ould Dah Ould Abeid imprigionandolo nella prigione di Zouerate. L’accusa è di atti sovversivi
contro lo Stato e tentativo di ribellione. Il reale motivo era di impedire a Biram Ould di attirare l’attenzione internazionale
sulla continuità delle pratiche di schiavitù in atto nel Paese e tollerate se non promosse dal governo. Tra il giugno e il luglio
2016 la polizia segreta (addestrata in Francia) procede ad una seconda ondata di arresti con l’obiettivo di decapitare la
direzione del IRA-Mauritanie. Amadou Tidjani Diop, Hamday Lehbouss, Balla Traorè, Ahmed Hamer Fall, Ousman
Lo, Mohammed Jar Allah, Mohamed Dati, Khatry Errahel, Ousman Anne, Moussa Biram, Abdallahi Salek Matala,
Abdellahi Abou Diop e Jeal Samba B’Leil, vengono accusati di aver partecipato ad una manifestazione non autorizzata
contro il governo. In realtà i 13 dirigenti della IRA-Mauritanie si erano riuniti in una casa privata per discutere le azioni di
sensibilizzazione più idonee per liberare il famoso leader abolizionista. All’accusa di manifestazione non autorizzata vengono
aggiunti altri reati imputati ai militanti dei diritti umani: ribellione, promozione della violenza, attacco contro le istituzioni
pubbliche, detenzione di armi da fuoco e appartenenza a una organizzazione non riconosciuta dallo Stato. Il governo
presenta i dirigenti della IRA-Mauritanie come una banda di pericolosi terroristi salafisti. Biram Ould e i suoi
compagni vengono processati per direttissima in agosto e condannati dal tribunale di Nouakchott (capitale della Mauritania)
a severe pene di detenzione: dai tre ai quindici anni di carcere. In ottobre l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle
Nazioni Unite (HCDH) ha stimato che la procedura giudiziaria aperta dal governo contro questi presunti terroristi ha il solo
obiettivo di annientare ogni resistenza e movimento contrario alla pratica della schiavitù nel Paese ricordando che
l’attivismo anti schiavitù non può essere considerato un crimine. Lo scorso 19 ottobre due esperti del UNHCHR hanno
denunciato il grave deterioramento dei diritti umani in Mauritania e il processo pieno di vizi di forma e false accuse non
supportate da prove concrete «Il governo mauritano è ostile a tutti i gruppi della Società Civile che criticano le politiche dello
Stato. È particolarmente ostile alla associazione IRA-Mauritanie formata prevalentemente da membri appartenenti al gruppo
etnico minoritario Haratine, che combattono da anni per l’abolizione in toto della schiavitù. Le condanne inflitte a questi
militanti dei diritti umani sono lineari con il modello repressivo contro ogni dissidente al partito al potere. Le rivendicazioni di
giustizia sociale promosse dalle minoranze etniche del Paese non sono tollerate dal regime. Siamo sinceramente preoccupati
per le sorti dei dirigenti del IRA-Mauritanie e per la repressione in generale delle minoranze etniche. Possediamo
informazioni verificate che rivelano un pregiudizio dei giudici e della giuria all’inizio del processo che ha impedito di
assicurare una vera difesa degli imputati e un trattamento giusto e indipendente». Questo è quanto afferma Philip Alston
Inviato Speciale dell’ONU che ha visitato la Mauritania lo scorso maggio intrattenendosi con i leader del IRA-Mauritanie
all’epoca ancora liberi. L’impressione è che la condanna ai militanti dei diritti umani fosse stata già decisa prima
del corso giudiziario sulla base di accuse inventate da un governo che sta lentamente trasformando la Mauritania un un
NarcoPaese. Per impedire che i 14 dirigenti dell’associazione anti schiavitù potessero essere facilmente visitati dagli esperti
ONU e da inviati di associazioni internazionali per i diritti umani, il governo il 22 ottobre scorso ha ordinato il loro
trasferimento presso la prigione di Zouerate situata a 700 km dalla capitale Nouakchott. La prigione è tristemente nota
per essere una terribile ma efficace immensa camera di tortura dove i prigionieri subiscono violenze fisiche, psicologiche,
sessuali e trattamenti umilianti, degradanti. Tra la popolazione si mormora che difficilmente un detenuto esce vivo dalla
prigione di Zouerate. Nonostante le misure repressive cautelative il governo mauritano è stato costretto, sotto pressione
ONU, a concedere ai detenuti il diritto al processo di appello che è iniziato presso il tribunale di Zouerate lunedì 14
novembre. La dura repressione della libertà di espressione che il movimento IRA-Mauritanie ha subito da un governo che nel
2016 continua a difendere a spada tratta disumane pratiche di schiavitù contro le popolazioni negroidi e minoranze etniche
che vivono nel Paese, ha attirato scarsa attenzione presso i media occidentali. Raro ma esemplare esempio di
giornalismo indipendente al servizio non di ideologie politiche ma della verità ci viene offerto sul sito di informazione
KonakryEspress curato da Abdoulaye Bah, un cittadino della Guinea Konakry, ex funzionario delle Nazioni Unite e
promotore della Associazione delle Vittime del Campo Boiro. Un campo di concentramento nella Guinea Konakry dove furono
trucidate 50.000 persone sotto il regime del dittatore Sèkou Tourè. Abdoulaye Bah su KonakryEspress dona la voce ai
militanti del C pubblicando il loro appello all’opinione pubblica mauritana e internazionale che l’Indro propone in versione
integrale tradotta dal francese. Per l’ennesima volta il popolo mauritano in generale e in particolare le minoranze etniche
H’ratin, Pulaar, Wolof e Sonikè vivono in una situazione estremamente complessa sia a livello dei diritti umani che a livello
politico, sociale ed economico. Il regime razzista e schiavista del dittatore Ould Abdel Aziz ha attaccato i difensori dei diritti
umani e gli abolizionisti della schiavitù. L’attacco è stato condotto con metodologie che rendono le autorità giudiziarie
complici del regime. La prova della mancanza di uno Stato di Diritto nel nostro Paese è la nostra presenza ingiustificata e
assurda nelle prigioni di Stato per aver espresso le nostre idee, i nostri principi e la ferma intenzione di difendere i cittadini
mauritani dalla schiavitù. Noi, prigionieri dell’Iniziativa della Rinascita del Movimento Abolizionista (IRA) teniamo a portare
alla conoscenza dell’opinione nazionale ed internazionale la nostra posizione rispetto al processo giudiziario indetto nei
nostri confronti. 1.
Nonostante le violenze inflitteci dal regime razzista e schiavista, noi affermiamo dal profondo delle
nostre buie e umide celle d’isolamento della prigione di Zouerate, che il nostro morale è intatto così come la nostra volontà
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di continuare nella lotta per l’abolizione della schiavitù anche all’interno di questa prigione. 2.
Informiamo gli aguzzini, le
guardie carcerarie, i loro Generali, i giudici e i loro Capi politici che non nutriamo alcuna fiducia nella loro giustizia e non ci
attendiamo niente di buono o giusto. Di conseguenza sfrutteremo l’aula del tribunale per lanciare un appello di denuncia
contro le false accuse rivolte per impedire l’abolizione della schiavitù. Una denuncia che non è rivolta alle orecchie del
regime ma all’opinione pubblica mauritana e internazionale. 3.
In risposta alla provocatoria domanda del dittatore “chi
sono gli H’ratin?” noi rispondiamo che gli H’aratin sono esseri umani e non schiavi! Nessun verdetto e punizione corporale ci
intimorisce e ci farà desistere dal difendere la dignità umana di tutto il nostro popolo. Un dovere che continueremo ad
esercitare qualunque sia la pena finale a noi inflitta: venti, venticinque anni di carcere, l’ergastolo o la pena capitale. 4.
A
tutti i Mauritani, minoranze etniche e militanti dei diritti umani noi diciamo: “GRAZIE”. Grazie per la lotta quotidianamente
condotta per la libertà e la dignità di ogni essere umano. Noi rimaniamo fedeli al nostro giuramento di giustizia e di lotta
contro la schiavitù indipendentemente dalla condanna finale che subiremo in questo Paese senza giustizia. Alle
organizzazioni della Società Civile e i partiti politici che ci sostengono vanno i nostri più calorosi e sinceri ringraziamenti.
Continuiamo tutti insieme uniti nella lotta contro la schiavitù e la dittatura ricordando che anche la più tenebrosa e buia
notte finisce sempre con un’alba radiosa. Se la vittoria della umanità dovrà passare attraverso il nostro sacrificio noi siamo
disposti ad accettare il nostro destino confidando nella protezione misericordiosa di Allah Agbar. Dio è Grande, Giusto e
Misericordioso!
di Fulvio Beltrami
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