Raffella Cardaropoli suona Dvoràk 18/11/2016

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Transcript Raffella Cardaropoli suona Dvoràk 18/11/2016

18/11/2016
Raffella Cardaropoli suona Dvoràk
Questa sera alle ore 21, i riflettori del teatro delle Arti di Salerno si accenderanno sulla giovanissima violoncellista,
premio Abbado 2016
Di OLGA CHIEFFI
Sarà l’allieva di Liberato Santarpino, la violoncellista Raffaella Caradaropoli a chiudere la stagione della neonata
Orchestra Sinfonica di Salerno “Claudio Abbado”. Uno dei talenti più luminosi del Conservatorio di Musica
“G.Martucci”, si cimenterà con il concerto per violoncello e orchestra n°2 in Si Minore op.104 in Si Minore di Antonin
Dvoràk, una delle opere più intense del genio slavo. Si resta colpiti, oltre che dalla sapiente scrittura e dalla qualita?
melodica del brano, anche dal consapevole dialogo che Dvor?a?k instaura con la tradizione del genere, recuperando
perfino nel primo movimento il ritornello orchestrale tipico del concerto classico: l’orchestra presenta i temi principali e
solo in un secondo momento il solista si incarica di riprenderli ed elaborarli. Dvor?a?k rinuncia quindi a una delle
principali caratteristiche del concerto ottocentesco, il dialogo tra solista e orchestra che si avvia, con un effetto di
grande drammaticita?, fin dalle battute iniziali, Il brano e? diviso nei tradizionali tre movimenti, il primo ampio e
drammatico, il lirico Adagio centrale e il terzo piu? ‘leggero’ e ritmico (fin dalla graduale presentazione del tema
principale), una sorta di fusione tra il rondo? e la prediletta danza slava. Boemia terra forte, culla della cultura slava, le
cui fiabe raccontano di una morale semplice e legata alla natura, terra la cui consapevolezza artistica è sempre
scaturita da una pragmatica vitalit ed ecco che a completare il programma monografico ci sarà la amatissima sinfonia
dal Nuovo Mondo. La storia della partitura è naturalmente una storia americana, e parte da una donna. Non una
donna qualsiasi, ma una signora di gran carattere, poco abituata a sentirsi dire di no. Fu lei, Jeanette Thurber, che nel
giugno 1891 invitò Dvo?ák a New York per dirigere il National Conservatory of Music, una struttura a cui stava
lavorando da alcuni anni. E il compositore accettò. Di forma sostanzialmente ottocentesca per stile e struttura, essa
impiega sia elementi folclorici cechi sia formule ritmiche e melodiche derivate dalla tradizione americana. Infatti nel
primo movimento riecheggia il celebre spiritual “Swing low, sweet chariot”, mentre il secondo, con lo struggente tema
del corno inglese, e il terzo sono ispirati a un poema epico dei Pellirosse. In realtà di mondi ne intreccia almeno tre:
quello scoperto con l'America, quello della Mitteleuropa e quello dell'antico Oriente. Il risultato è di grande “felicità”
musicale, ben nota anche al grande pubblico. I giovani musicisti, guidati da Ivan Antonio, si cimenteranno con il flusso
narrativo del racconto sinfonico, adattandosi alle sue esigenze con tutte le possibilità a loro disposizione. Il movimento
più celebre della Sinfonia è il Largo, che si apre con un corale modulante degli ottoni seguito da una nostalgica
melodia del corno inglese (divenuta molto popolare negli Stati Uniti); melodia ripresa alla fine del movimento, dopo un
episodio dal carattere pastorale, introdotto da un disegno staccato dell'oboe, caratterizzato da un'amplificazione del
tessuto orchestrale, nella quale si innesta ancora il tema ciclico. Questo movimento e il successivo Scherzo sono
entrambi ispirati a un poemetto di Henry Longfellow, intitolato Song of Hiawatha, che Jeannette Thurber aveva donato
al compositore: il Largo evoca i funerali della sposa dell'eroe; lo Scherzo richiama una danza di pellirosse
nella foresta, che si trasforma in una musica piena di vitalità, costruita con una parte principale divisa in due episodi
distinti, un doppio Trio, e una coda che ripresenta più volte il tema ciclico. La Sinfonia si conclude con il trascinante
finale, Allegro con fuoco, che ricapitola, come già detto, i temi della Sinfonia, riproponendo il tema principale con la
forza di una apoteosi, e che appare, nel suo sviluppo multiforme e nella duttilissima orchestrazione, come una perfetta
sintesi delle componenti boeme, mitteleuropee e americane del linguaggio sinfonico di Dvorak.