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Dietro Trump, c’è Wolverine degli X Men
Il titolo può sembrare una battuta, ma non lo è affatto. E’ solo una maniera colorata
di segnalare il legame fra il nuovo presidente USA e Steven Mnuchin.
Domanda scontata: chi è Steven Mnuchin? Steven Mnuchin è il capo della raccolta
fondi di Trump,e probabilmente sarà il suo prossimo segretario del Tesoro.
Classe 1962 o 1963, (incredibile ma vero, Wikipedia non sa esattamente la data di
nascita, manco fosse venuto al mondo in una savana africana), volto da secchione
con un ghigno da iena, divorziato, padre di tre figli, Steven Mnuchin è un affermato
produttore cinematografico, avendo fondato la “Rat-Pac Dune Entertainment”, che
ha realizzato una lunga serie di film di successo, da “American Sniper” ad “Avatar”,
da “Suicide Squad” a tutta la serie degli “X Men”: spiegato l’arcano del titolo.
Ma, più interessante del lato cinematografico (che aiuta a spiegare comunque la
perfetta strategia comunicativa di Trump), è il fatto che Mnuchin ha lavorato per 17
anni alla Goldman Sachs (cuccù), oltre che per George Soros (bingo), ed è figlio di un
banchiere già partner della stessa Goldman Sachs: buon sangue non mente.
Ovviamente laureato a Yale, come Hillary Clinton, di cui è stato fra l’altro un
finanziatore, un “donor” come si dice negli States. E qui casca l’asino, ma non nel
senso del simbolo del Partito Democratico (o se volete anche in quel senso).
“Follow the money”, recita una celebre massima del pragmatico pensiero
anglosassone. Noi siamo più passionali, emotivi, ideologici (e va bene così). Ma
proviamo a vedere l’elezione di “The Donald”, che tanta sorpresa o shock o maligna
soddisfazione ha causato e causerà ancora (non per molto), in termini pratici.
C’è una continuità spaventosa fra le amministrazioni repubblicane e democratiche
dell’ultimo mezzo secolo, almeno per quanto riguarda il vile danaro. Più che di
economia reale, parliamo di finanza. E qui il peggio, negli anni recenti, è tutto a
targa democratica, senza alcun dubbio.
Parliamo proprio della presidenza Clinton, esattamente negli anni del cosiddetto
“Sexgate”, ossia le fellatio di Monica Lewinsky, allora poco più che ventenne, al
mitico Bill. A Hillary, la moglie tradita, difficilmente sarà sfuggita, tradimenti del “vile
maschio” a parte, la mossa del segretario al Tesoro Robert Rubin, che veniva da 26
anni di brillante carriera nel consiglio di amministrazione di (indovinate un po’)
Goldman Sachs.: l’abolizione dello Steagall Glass Act, cioè la legge voluta da
Roosevelt nel 1933, dopo l’epico fallimento di Wall Street del ’29. La legge separava
opportunamente e rigorosamente le banche di investimento (cioè quelle che
gestiscono il risparmio e prestano soldi alle aziende) dalle banche commerciali
(quelle dedite alle attività finanziarie pure, cioè alla speculazione). La morale era
semplicissima: mai più le manovre folli degli speculatori finanziari, veri giocatori
d’azzardo, dovranno avere ricadute sull’economia reale: l’economia americana ebbe
bisogno di un decennio ( e qualcuno aggiunge di una guerra) per uscire dalla Grande
Depressione.
A quanto pare, la gloriosa legge che anticipò le politiche keynesiane di Roosevelt, nel
corso del tempo era stata corretta, aggirata, indebolita. Ma il colpo di grazia lo dette
il governo Clinton, nel 1999.
Ora non c’erano più freni alla finanziarizzazione dell’economia, resa ancora più
spettacolare dal boom delle nuove tecnologie e dei titoli telematici, e
dall’entusiasmante processo di globalizzazione, con nuovi mercati e nuovi massicci
investitori (cinesi, russi, brasiliani, indiani, sudafricani, solo per citare i paesi
emergenti).
Siamo entrati nel Terzo Millennio con il turbocapitalismo. Talmente “turbo” che ci
ha messo meno di un decennio per fare scoppiare la nuova bolla : nel frattempo,
Bush figlio era subentrato a Clinton, e il nuovo segretario al Tesoro era Henry
Paulson, che veniva da una lunga carriera e dal vertice assoluto, ebbene sì, della
Goldman Sachs. Tanto per (non) cambiare. Fu Paulson a gestire i primi mesi della
crisi, decretando il fallimento di Lehman Brothers e favorendo altri gruppi,
ovviamente la Goldman Sachs (il primo amore non si scorda mai) , JP Morgan, Bank
of America.
Con Obama la musica cambia di poco. Almeno il nuovo segretario del Tesoro,
Geithner non veniva dalla Goldman Sachs, ma dalla Federal Reserve, con passaggio
al FMI: un profilo più istituzionale e governativo. Ma era anche stato sottosegretario
dell’audace Rubin, con il governo Clinton. La visione era sempre quella, giusto più
moderata: nel 2010 Obama riesce a far passare la legge Dodd-Frank che mette
alcuni paletti alla finanza (neanche troppi, dicono gli specialisti). Ai repubblicani la
legge, seppur debole, non è mai piaciuta.
In campagna elettorale, Sanders aveva ottenuto una promessa da Hillary:
ripristinare il Glass-Steagall Act (forse lei non lo avrebbe mai fatto, avrebbe dovuto
rinnegare se stessa).
Ma Trump vuole addirittura abrogare la modesta legge Dodd-Frank: tana libera tutti.
Questo sarebbe il fiero avversario di Wall Street: un miliardario spregiudicato, un
furbo evasore fiscale, uno che vuole abrogare anche la timida riforma sanitaria di
Obama.
I famosi “mercati” infatti, a parte la fisiologica turbolenza, hanno già brillantemente
metabolizzato l’avvenimento rivoluzionario, l’elezione del “campione antiestablishment” (viene da ridere, ma ci sarà da piangere) .
Trump dovrebbe incarnare la rabbia popolare, lui che i poveri li ha visti nei film (e in
campagna elettorale), che era già miliardario di famiglia, con scuole di lusso e jet
privato. Niente da dire: un degno rappresentante della “working class”.
C’è tutta una corrente di pensiero (speriamo non diventi maggioritaria) che
confonde la volgarità con l’essere popolare, cioè al livello del popolo. Si vede che
non hanno mai letto Brecht (“Il cerchio di gesso nel Caucaso”: i veri maleducati sono
i ricchi). Che se poi uno povero dice sciocchezze razziste, o misogine, o reazionarie, è
solo uno stronzo povero, o un povero stronzo (dedicato a tutti quelli che odiano il
“politicamente corretto”, e si sentono “popolari” se esprimono concetti da maschi
ubriachi al bar: chi aveva veramente a cuore il popolo, da Alberto Manzi a don
Milani, si rivolta nella tomba). Quanto appena detto, forzando parecchio, è anche un
concetto evangelico.
In ogni caso, “don’t panic”: l’America ha scelto la strada forse più efficace per
dimostrare, urbi et orbi, il fallimento completo, soprattutto dal punto di vista etico,
della società più capitalista del mondo.
Cesare Sangalli