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giovedì 10 novembre 2016, 17:30
Esclusiva
AAA cercasi casa, i siriani in affitto
Privi dello status di rifugiati, i siriani in Libano si accampano dove possono
di Davide Lemmi
Vengono giù dalle montagne. Sono tanti piccoli fantasmi. Le mani entrano nei finestrini delle auto in fila ai semafori. Giovani
e giovanissimi, effetto collaterale di una guerra che dura da 5 anni. Ufficialmente non hanno un nome, non hanno
un’identità, non hanno una famiglia e nemmeno una casa. La Siria è vicina, le montagne alla nostra destra segnano il
confine. Il pulmino che ci trasporta all’interno della valle della Bekka incede a singhiozzo verso Beirut. Un momento, uno
sguardo, una fotografia, i campi appaiono al di là del lurido vetro della vettura. Solo un secondo, prima che l’autista decida
di riprendere il viaggio. I fantasmi sono i bambini siriani, i campi sono la stritolante realtà burocratica e
legislativa in cui i profughi, scappati da una guerra, ne stanno combattendo un’altra, quella per il
riconoscimento. Il Libano ha una popolazione di poco più di 4 milioni di persone con un farraginoso sistema di ripartizione
politica tra le diverse confessioni presenti sul suo territorio. Ad ogni religione una carica dello stato, ad ogni votazione un
sistema di accordi trasversali che prescindono dalle due coalizioni presenti nell’assemblea Nazionale. Stando ai dati ufficiosi
- le stime non sono state reperite tramite un censimento - i profughi siriani in Libano sono oltre 1 milione e 200 mila.
Se a questa enorme mole di disperati ci aggiungiamo anche i profughi palestinesi, sudanesi, iracheni ed eritrei, si raggiunge
un terzo della popolazione totale del Libano. «Il Libano sta adottando una politica che soffoca i rifugiati», a parlare è George
Ghali, monitorng & advocacy program di Alef, act for human rights, associazione attiva sul tema dei profughi siriani,«non gli
è consentito il lavoro, non hanno possibilità di spostarsi liberamente e hanno problemi di accesso all’educazione e alla
sanità». La politica di gestione della questione rifugiati da parte delle autorità libanesi ha avuto una svolta
nell’ottobre del 2014. L’Assemblea Nazionale ha infatti deliberato un pacchetto di leggi atte a contenere il problema.
«Fino al 2011, scoppio della guerra civile, i siriani potevano tranquillamente recarsi in Libano», continua George Ghali,«dopo
un momento di sostanziale disorientamento, nel 2014 il Governo ha deciso di introdurre una serie di leggi dedite a
scoraggiare eventuali nuovi ingressi, mantenere la sicurezza interna e invogliare i siriani a ritornare a casa». In particolare la
“October Policy” ha limitato fortemente gli ingressi, riducendoli ai soli casi di pericolo, ed ha impedito nuove registrazioni da
parte dell’UNHCR dei rifugiati. «Uno dei punti fondamentali su cui il Governo voleva impattare, tramite questa serie di leggi,
era quella di incoraggiare il lavoro dei cittadini libanesi», ancora il rappresentante di Alef. Effetti e conseguenze di politiche
contraddittorie, bloccando le registrazioni e dichiarando sostanzialmente illegali i profughi, l’esecutivo libanese ha
aumentato esponenzialmente il classico circolo vizioso del lavoro in nero. I siriani hanno bisogno di soldi, accettano lavori
senza alcune coperture di sicurezza, costano meno dei libanesi e sono disponibili in gran quantità. «La politica del Governo
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/aaa-cercasi-casa-i-siriani-in-affitto/
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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attuata fino ad ora è incongruente», afferma George Ghali, «da una parte vuole incoraggiare il lavoro, ma dall’altra,
mettendo sostanzialmente fuori legge i rifugiati, esorta al lavoro nero». Ed è in questa forbice oscura tra legalità e illegalità
che l’umanità si scontra con il paradosso dell’affitto. Senza lo status di rifugiati, i siriani si accampano dove possono,
affittando i terreni e pagando ai proprietari una mensilità. Scappati da una guerra fratricida che ha provocato, ad ora,
quasi 300mila morti, i profughi vivono in tendopoli e catapecchie di lamiera circondati da immondizia e
pagando l’affitto. L’83% di siriani è riuscito a trovare sistemazione in appartamenti o case comuni, il restante, la maggior
parte presente nella valle della Bekka, “sosta” in alloggi di fortuna ricavati con tende, inadatte a sopportare il freddo rigido
dell’inverno. Questione di circoli viziosi: quando il siriano non può permettersi cibo, acqua e affitto, matura debiti. Debiti che
ricadono sulla stessa economia libanese, trasformandosi presto in accezioni sociali. La prostituzione, l’accattonaggio e
la tratta degli esseri umani, sono realtà ormai radicate in questo marasma umano chiamato Libano. Estremi che
toccano apici drammatici, in aumento anche la prostituzione minorile, maschile e femminile. «I problemi tendono ad
aumentare se letti in chiave futura», continua George Ghali, «attualmente sono 80mila i bambini senza alcun documento
ufficiale che dimostri la loro provenienza, una massa destinata presto ad aumentare». I figli dei rifugiati, nati in Libano, non
hanno alcuna documentazione e sono alla mercé del caso. Cinque anni di guerra civile hanno creato una mole immensa di
apolidi. Il rappresentante di Alef è sicuro, «anche dopo la conclusione del conflitto, come faranno a tornare in Siria in
mancanza di una prova della loro provenienza?». È facile immaginare come la polizia di frontiera si comporterà all’arrivo di
questa massa di “senza Stato”. Questioni aperte che, in mancanza di un’adeguata politica, rischiano di esplodere. Dalle
ombre di una politica distratta si levano i cori di molte associazioni libanesi. Sempre più attive nella protezione dell’infanzia e
nella lotta alla violenza sulle donne, le Ong cercano di fotografare un contesto al limite della conflittualità. E mentre il
cittadino medio continua a tollerare la situazione, il populismo cavalca. Lo Stato risponde con una morbida
repressione, in bilico tra i venti di pressione, non riuscendo a garantire una soluzione né di breve né di lungo termine. «Le
possibili risposte a questi fenomeni sono due», ancora George Ghali, «nel breve periodo ci vorrebbe una gestione più
efficiente dei rifugiati, nel lungo la ridistribuzione dei profughi potrebbe essere la soluzione, a meno che il conflitto non
finisca e i siriani non tornino nel loro paese d’origine». Domande e risposte di una crisi che, ad ora, appare cronica.
di Davide Lemmi
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