Chissà quando mai ci sarà la Bbc italiana Il fronte del No si è

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I COMMENTI
Giovedì 10 Novembre 2016
L’ANALISI
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Chissà quando mai
ci sarà la Bbc italiana
Who knows when there
will be an Italian Bbc
U
tone, presidentena domanda urge da DI DOMENICO CACOPARDO capo dell’anticorruzione) degli appalti
qualche
mese: perché la Rai di pubblici e, per esempio, a mettere
Campo Dall’Orto non schiera uno in gara l’aggiudicazione di una tradei suoi strapagati pesi massimi in smissione tipo «Che tempo che fa»,
prime time al fine di esercitare una o discutere i contratti a conduttori e
sana concorrenza con l’incontrastata giornalisti sulla base dei criteri che
dominatrice dell’orario, Lilli Gru- impongono limiti di spesa e seleziober di La7? La domanda è intrigan- ni specifiche, fondate sul curriculum
te, perché sottintende un «pactum e su criteri oggettivi.
Non si tratterebbe affatto di
sceleris», così scellerato da accettare
senza battere ciglio che la medesima, un disastro: sarebbe il CambiaLa7, schieri uno stagionato (e, affet- mento. Ci eravamo attesi una rivotuosamente, un po’ bolso) Giovanni luzione copernicana in Rai con un
Minoli contro un Fabio Fazio e la profondo rinnovamento, analogo
sua trasmissione (forse nemmeno a quello a suo tempo compiuto da
Ettore Bernabei
prodotta dalla Rai,
(padre del professor
ma acquistata a caro
Roberto, ospite fisprezzo) un «trash»,
Hanno cambiato
so del cognato Giovenduto col marchio
tutto per non
vanni Minoli: una
«radical chic» di una
cambiare niente
sorta di «familismo
sinistra che ama sempromozionale» light)
pre di più le ostriche e
e Fabiano Fabiani. Ci ritroviamo
disprezza le bruschette.
In questa respirazione bocca tutto come prima e peggio di pria bocca che Campo Dall’Orto fa a ma, compresi gli sproloqui populisti
Urbano Cairo, cosa c’è di non det- della domenica pomeriggio, a opeto e che riguarda il presidente del ra di tal Giletti, per cause non apconsiglio Matteo Renzi, sponsor profondite né giustificate da validi
dell’amministratore delegato della presupposti legali e discusse in finti
Rai e della riforma che gli ha dato processi alla fine dei quali la vittima
pieni poteri? Per converso, qualcu- sacrificale viene condannata senza
no in via Mazzini sta studiando gli condizionali.
Sino a quando? Quando avreeffetti dell’equiparazione del colosso
teleradiofonico a un ente pubblico, mo la promessa informazione stile
costretto a seguire le regole (tutelate Bbc?
www.cacopardo.it
dal grande fratello Raffaele Can-
DI
I
A
question has been press- President of the Anti-corruption
ing for several months: national authority) and, for exwhy doesn’t C a m p o ample, to contract a program
Dall’Orto’s Rai deploy like “Che tempo che fa” out, or
one of its overpaid heavyweight discuss contracts to anchors
in prime time to have a healthy and journalists based on critecompetition with the undisputed ria that impose spending limits
ruler of the viewing time, namely and specific selections, grounded
La7’s Lilli Gruber? The ques- on professional experience and
tion is intriguing as it implies a objective criteria.
It wouldn’t be a disaster at
«pactum sceleris» so wicked as to
accept without batting an eyelid all: it would be a Change. We
that the very same La7 deploys a expected a Copernican revoluseasoned (and no offence meant, tion in Rai with a deep renewal,
a bit feeble) Giovanni Minoli similar to that made by Ettore
against Fabio Fazio and his pro- Bernabei at the time (father
gram (perhaps not even produced of Professor Roberto, a regular
guest of the brothby Rai, but bought
er-in-law Giovanat a high price), a
They changed
ni Minoli: a kind
trash sold under a
of light « promo«radical chic» brand
everything not to
tional familism»)
name of a left wing
change anything
and Fabiano Fathat loves more and
biani. Everything
more oysters and
is still the same or worse than
despises bruschetta.
What was concealed in this before, including Sunday aftermouth-to-mouth breathing that noon’s populist ramblings by a
Campo Dall’Orto is performing certain Giletti, for reasons not
on Urbano Cairo, that concerns detailed nor justified by valid
prime minister Matteo Renzi, legal ground and discussed in
supporter of Rai’s Ceo and of the mock trials ending with the conreform that gave him full pow- demnation of the sacrificial vicers? Conversely, someone in via tim without probation.
Mazzini is studying the effects of
How long will it last? When
equating the TV and radio giant are we going to have the promwith a public body, forced to abide ised BBC-style information?
by tender rules (protected by the
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Big brother Raffaele Cantone,
Traduzione di Silvia De Prisco
IL PUNTO
LA NOTA POLITICA
Il fronte del No si è convertito
al successo di Donald Trump
Gli Usa non influiscono
sull’esito del referendum
GOFFREDO PISTELLI
trumpisti italiani (che
fino a ieri erano rimasti
coperti) esultano: da Renato Brunetta a Beppe
Grillo. Il fronte del No considera gli squilli di tromba
americani come il segnale
dell’assalto al Palazzo d’Inverno-Chigi, con contestuale
messaggio al suo inquilino,
Matteo Renzi: si arrenda,
ché è circondato. Gli elettori
incerti ma certamente non innamorati di questo governo,
dubbiosi nel votare No solo
per la crisi politica che si aprirebbe, riceverebbero un ristoro
psicologico dall’America. Se là,
in milioni, non hanno temuto
di affidarsi a un Trump, allora
neppure spodestare Renzi potrebbe essere un salto nel vuoto, come molti assicurano.
Ragionamento forse più
semplicistico che semplice.
Quanti affollano il carro di
Tespi dell’antirenzismo dovrebbero però ragionare su
alcuni elementi che depongono ancora sulla difficoltà della
loro impresa. Innanzitutto, il
loro ottimismo poggia su una
maggioranza di consensi che
è tutta di natura demoscopica: il No è sempre stato dato
avanti dai sondaggisti. E i
sondaggi, come ha dimostrato Brexit ma, ancor di più la
notte americana, sono sempre
meno affidabili, non perché
siano mal fatti o mal concepiti,
Esprime le sue
opinioni solo
a bocce ferme
ma perché risentono del condizionamento inverso di media
e socialmedia: più c’è dissenso
o addirittura sdegno su una
candidatura o un partito, più
gli intervistati celano il consenso eventuale agli stessi.
Luigi Curini, politologo
della Statale di Milano, che
da queste colonne aveva preconizzato la vittoria di Trump
il 3 settembre, l’aveva spiegato chiaramente. E in Italia,
l’aggressività, i toni indignati,
le accuse di fascismo, specialmente sui socialmedia, stanno
prevalentemente per il No. I
trumpisti-referendari poi sottovalutano il rimbalzo, inevi-
tabile, che ci sarà, da noi, in
una precisa area degli incerti:
quelli posizionati a sinistra. A
vedere Matteo Salvini, Grillo e Brunetta che ballano la
tarantella per il nuovo presidente Usa, si faranno passare
l’antipatia per Renzi.
In ultimo ma non per
ultimo, la sottovalutazione
del fatto che l’affermazione
del premier, prima nel Pd
e poi nel paese, almeno nel
2014, fosse dovuta a quel
tratto di «antipolitica controllata», che lo ha sempre
caratterizzato: anche Renzi,
cioè, è stato (un po’) antiestablishment. Di lui, in una
certa sinistra stanca del benecomunismo e in un centro,
ma addirittura in una destra,
delusi dal berlusconismo, è
sempre piaciuta la cesura
col passato, la rottura, anche
brutale, coi sacri miti e con
le parole d’ordine (Le catene
della sinistra, li aveva chiamati Claudio Cerasa).
Un tratto forse attenuato da due anni e mezzo di governo, ma che Renzi potrebbe
rispolverare proprio in questi
ultimi decisivi giorni.
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DI
MARCO BERTONCINI
Si mette male per il referendum renziano. Così sembrano pensarla molti, tra gli
avversari del presidente del
Consiglio (o del segretario
del partito, perché diversi
sono i campi in cui militano gli anti renziani). Pure
dalle parti di palazzo Chigi
si avvertono scoramenti: la
sconfitta di Hillary Clinton
viene letta come foriera di
cattivo vento per il voto referendario.
L’immediatezza dell’evento americano e soprattutto il
suo insospettato esito, condizionano questo giudizio.
Non è fuori luogo ricordare
che non si ha notizia di influenze concrete della politica estera sui voti nazionali:
anche le elezioni europee
sono sempre state interpretate, dagli elettori italiani,
come espressione di politica
interna (solo l’ultima volta
è stato centrale l’antieuropeismo). Negli Stati Uniti
gli unici ad avere contezza
dell’esistenza di un referendum costituzionale in Italia
erano alcuni collaboratori
di Barack Obama, che
insegnarono al presidente
le frasi di circostanza da
pronunciare per recare un
favore a Renzi.
Semmai, in casa renziana dovrebbero preoccuparsi per aver puntato con
eccessivo entusiasmo sul
cavallo perdente; ma questo
riguarda il futuro dei rapporti fra Italia e Stati Uniti
dopo il 20 gennaio, quando
Donald Trump s’insedierà,
non il voto del 4 dicembre.
Va al riguardo precisato
che difficilmente la politica estera di un presidente
americano nei confronti di
un paese è determinata da
atteggiamenti tenuti nella
campagna elettorale.
Anche talune uscite a
favore del sì, espresse da
partiti e politici fuori d’Italia,
paiono non influire granché
sul voto. Al più, sono sfruttati nella campagna elettorale
pro Renzi per costruire l’impressione di un nostro crollo
d’immagine nel continente,
se vincesse il no.
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