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PRIMO PIANO
Giovedì 10 Novembre 2016
Nell’enclave americana in Italia della Johns Hopkins, l’ateneo che laurea i politologi
Calma: Trump è come Reagan
«I grandi giornali non hanno capito il mutamento sociale»
DI
CARLO VALENTINI
H
anno tutti (o quasi) votato per Hillary. Perciò
musi lunghi alla Johns
Hopkins University,
ateneo americano di politologia
e diplomazia che ha un’unica
sede distaccata in Europa, a Bologna, dove gli studenti vengono a frequentare stage per una
full immersion nella politica
europea. Che ne pensa questo
drappello di americani che ha
votato per posta e si ritrova col
presidente che non volevano?
Il sunto corale è sintetizzato da
Brian Miller, di Chicago: «La
bandiera americana sarebbe
dovuta stare a mezz’asta in entrambi i casi». Secondo Miller:
«Sono stati i candidati più impopolari della storia degli Stati
Uniti. Donald Trump si può
paragonare a Ronald Reagan,
entrambi si sono presentati alternativi all’establishment politico, il primo ha sottolineato
in ogni occasione di essere un
business man mentre il secondo
si vantava di essere stato un
attore di successo. Cosa succederà adesso? Da presidente di
un Paese di 350 milioni di persone, Trump dovrà darsi una
regolata».
Qui si studiano i trend
politici. E non si nasconde
l’imbarazzo per il clamoroso
flop delle analisi degli esperti.
C’è chi paragona i politologi agli
economisti sbeffeggiati perché
non capirono l’arrivo dell’ultima crisi economica. Tanto che
in mano a qualcuno spunta
l’analisi, a suo tempo snobbata,
dell’eccentrico regista impegnato nel sociale, Michael Moore
(tra i suoi film: Fahrenheit 9/11,
Palma d’oro a Cannes). Connie
Higgins, di Baltimora (Maryland), mi mostra il blog di Moore che due mesi fa elencava le
ragioni per cui «Donald Trump
– scriveva- sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti». «Moore- dice Higgins- ha centrato
tutti i cinque punti che lo avevano portato alla previsione che
nessuno negli Stati Uniti aveva
raccolto: 1. Quello che è successo
nel Regno Unito con la Brexit
succederà anche qui in quanto
questa America è come il centro dell’Inghilterra: al verde,
depresso, in difficoltà; 2. Tanti
americani hanno sopportato per
otto anni un uomo nero che diceva cosa fare, non hanno voluto
che nei prossimi otto anni fosse
una donna a farla da padrone;
3. Il 70% degli americani ritiene che Hillary sia disonesta e
inaffidabile; 4. Gli elettori di
Sanders non muovono un dito
a favore di Hillary; 5. Molti elettori votano Trump non perché
siano d’accordo con lui ma solo
per vedere cosa potrebbe succedere, solo perché manderebbe
tutto all’aria e farebbe arrabbiare mamma e papà».
Così la prestigiosa università americana si ritrova
a studiare le profezie di Moore
anziché quelle, poniamo, di Jo- giornali appoggiavano la candi- non ha il talento di una politiseph Nye, il politologo di suc- data democratica, ma non sono ca nata. Basta osservare cosa
cesso che ha scritto il pamphlet la prima fonte di informazione è successo quando anche suo
«Is the American Century over?» del cittadino medio, che invece marito Bill ha partecipa agli
(«E’ finito il secolo americano?»), guarda la televisione o legge la eventi elettorali: il carisma di
rispondendo che almeno fino al gazzetta locale. E soprattutto lui l’ha sopravanzata di netto.
2050 la leadership Usa è assicu- non sono lo specchio del pen- Quanto a Trump, ha capito lo
rata e quindi la percezione del siero di massa».
stato d’animo degli scontenti
declino è sbagliata. Ma è proErik Jones è il direttore e ha detto loro quello che essi
prio questa percezione, per lui del dipartimento Studi euro- volevano sentirsi dire, alla fine
sbagliata, che ha avuto un’in- pei ed euroasiatici della Johns lo hanno votato. Inoltre è riuscifluenza determinante nel voto a Hopkins. Ha partecipato anche to a costruirsi un personaggio
favore di Trump.
in grado di occuTra i professori
pare la scena, la
Tra i professori di punta della Johns
di punta (docente
sua imprevedibidi politica estera stalità ha costretto i
Hopkins di Bologna c’è Davide Unger
tunitense) della Johns
media a seguirlo
(docente di politica estera statuniHopkins di Bologna è
di continuo, lui
tense), che dice: «Il momento storico
Davide Unger, che
alzava gli indici
è andato a favore di Trump, il suo
dice: «Il momento stod’ascolto e tra l’almessaggio di fondo è stato quello di
rico è andato a favore
tro faceva guadaun’America in grande crisi, mentre l’ex
di Trump, il suo mesgnare le tv perché
consentiva di ausaggio di fondo è stato
segretario di Stato diceva che le cose
mentare la raccolquello di un’America
stanno andando alla grande. La gente
ta pubblicitaria in
in grande crisi, menha
creduto
a
lui.
La
paura
di
solito
quanto la gente si
tre l’ex segretario di
è
un’arma
potente.
Questo
è
particosintonizzava sui
Stato diceva che le
larmente
vero
da
noi,
dove
le
persone
canali dove lui
cose stanno andando
tendono a credere (anche se non è
compariva. Tutti
alla grande. La gente
lo vedevano, tutti
ha creduto a lui. La
vero) che, se il presidente fa bene il suo
lo ascoltavano e
paura di solito è un’arlavoro, loro saranno al sicuro»
alla fine gli hanno
ma potente. Questo è
dato il consenso».
particolarmente vero
Di casa alla Johns Hopkins
da noi, dove le persone tendono lui alla lunga notte elettorale.
a credere (anche se non è vero) Nell’aula magna dell’universi- è l’economista Andrea Goldche, se il presidente fa bene il tà c’è stato un gran viavai di stein, direttore scientifico della
suo lavoro, loro saranno al si- studenti, professori e invitati. società di ricerche economiche
Sui teleschermi, via satellite, i Nomisma, il quale prova a incuro «.
Trump ha vinto nonostan- programmi in diretta dei prin- dividuare le ripercussioni che la
te i grandi giornali americani cipali network statunitensi. «La vittoria di Trump avrà sull’eco(ma anche italiani) parteggias- Clinton- dice- non è riuscita a nomia italiana: «Tre elementi
sero per Hillary. Quindi la loro scaldare i cuori. È un’ottima della Trumpnomics, sono partiinfluenza sull’opinione pubblica manager e le sue competenze, colarmente critici. Il primo: con
si è rivelata piuttosto debole. «Sì sia a livello di polita estera che i suoi tagli (regressivi) nelle aliè vero- risponde Unger- i grandi interna, sono indiscutibili, ma quote e aumento delle spese, si
allargherebbe di molto il deficit
fiscale e il debito pubblico passerebbe dal 77 % al 105 % del
prodotto interno lordo. Trump
sostiene che le sue ricette favorirebbero l’attività economica,
ma si stima che la semplice
stabilizzazione del debito al livello attuale richieda dieci anni
di crescita al 3,5%, cosa che nessuno considera possibile.
Il secondo riguarda l’indipendenza della Federal Reserve, bastione della bassa inflazione. Trump l’ha criticata e ora ha
la possibilità di nominare suoi
alleati nel board. Terzo punto:
Trump ha un’agenda che preoccupa a livello di politica economica internazionale. Ha minacciato di ripudiare il North
America Free Trade Agreement
(Nafta) e di imporre dazi del
45% sull’import dalla Cina. Ci
perderebbero in primis gli americani più poveri che finirebbero
per pagare di più per i prodotti
made in China che rappresentano una parte importante del
loro carrello della spesa. Ma ci
sarebbero effetti anche sulla nostra economia: con meno soldi
disponibili i cinesi spenderebbero meno e lo stesso farebbero gli
americani».
Infine, il giurista Justin
Frosini, docente alla Bocconi oltre che alla Hopkins, che
conclude con una ventata di
ottimismo: «Trump si dimenticherà dei discorsi barricadieri.
Nelle democrazie ci sono pesi e
contrappesi».
Twitter: @cavalent
© Riproduzione riservata
E LA SERA DEL VOTO DAVANO PER CERTO CHE HILLARY POTESSE VINCERE COL 71%
Alla Johns Hopkins University di Bologna
nessun studente Usa ha votato per Trump
DI
D
ALESSANDRA NUCCI
ella valanga di nuovi scenari
che si aprono nel mondo con la
clamorosa vittoria di Donald
Trump, uno riguarda il mondo
delle università, il mondo accademico,
che negli Stati Uniti è massicciamente schierato con i Democrats. Martedì
sera, alla conferenza organizzata dagli
studenti americani per seguire le elezioni, presso la storica sede bolognese della
Johns Hopkins University, ho cercato
ma non ho trovato un solo elettore di
Donald Trump. Anzi, due ne ho trovati,
ma erano degli americani dell’Indiana
in visita «La gente è stufa della corruzione dell’attuale governo,» hanno tenuto a spiegare. Ma fra gli studenti non
si è palesato nessuno, e quelli con cui
ho parlato hanno detto che si sarebbero sorpresi se ne avessi scovato uno, «ci
faccia sapere se ci riesce». Ho trovato
quattro astenuti, più uno che non era
riuscito a votare perché non avevo ricevuto l’absentee ballot.
La convinzione generale era rinforzata dalle previsioni proiettate in sala
da un professore: la vittoria di Hillary in quelle ore risultava certa per un
sonante 71,4%, mentre all’ipotesi che
potesse vincere the Donald era attribuito appena il 28,6% di probabilità. Ho
chiesto a uno: se avessi votato Trump lo
ammetteresti? «Certo - perché ne sarei
fiero e sarei zelante.» Hmmm….
Anni fa, alla vigilia delle elezioni
vinte da George W. Bush nel 2004 contro John Kerry, alla stessa università
trovai solo due studenti disponibili ad
ammettere di aver votato Bush e solo
con garanzia di anonimato. Sembra
azzeccata l’analisi di Julian Assange,
che afferma che «c’è una paura sociale
di essere minimamente associati con
Trump che abbassa lo status sociale di
chiunque possa in qualche modo essere
accusato di assisterlo.»
Del resto è solo un clima di questo
genere che può spiegare le incredibili
offese di Hillary Clinton non a Trump
ma ai suoi elettori, da lei definiti «deplorevoli» e addirittura «irredimibili»
(ma «per fortuna, non sono l’America»).
Anche per quest,o l’attenzione degli
studenti della Scuola bolognese della
Hopkins, specializzata in Studi internazionali, martedì sera era già oltre:
a spiegare il perché l’America si fosse
ritrovata in questa situazione e quale
potesse essere il futuro del Partito repubblicano dopo la radiosa e scontata
presidenza Hillary.
«Donald Trump è colpa nostra»,
ha insistito Chris, della Florida, «Noi
repubblicani non abbiamo curato gli interessi della gente in maniera sufficientemente visibile. Speriamo di ritornare
a essere il partito che siamo stati in passato.» «Bisognerà aiutare chi perderà
il lavoro per colpa delle nuove politiche
energetiche a trovare un altro posto,»
ha osservato Abigail. «Trump ha emarginato troppe categorie di persone», ha
detto Mike, della Virginia.
«Trump ha trovato solo due giornali disposti ad appoggiarlo – ha detto
uno studente austriaco – e sono The Observer, che è di proprietà di suo genero, e
il National Enquirer, che è una testata
gossippara, e poi un foglio locale di Santa Barbara». Un’osservazione che, alla
luce dello straordinario successo ottenuto da Trump, sottolinea non la sua
debolezza ma la débacle dei media, che
in questa elezione di portata mondiale
si sono rivelati totalmente ininfluenti,
rivelando la disaffezione della gente,
che di loro non si fida più.
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