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PRIMO PIANO
Giovedì 10 Novembre 2016
Per mesi i commentatori (specie tv, ma non solo) hanno descritto Trump come lo sconfitto
È la Waterloo del giornalismo
Al vertice della disinformazione Giovanna Botteri, Rai
DI
L
CESARE MAFFI
ungo, lunghissimo è
l’elenco di coloro che
si mangiano le mani.
La vittoria di Donald
Trump lascia uno strascico
di lacrimosi, di delusi, di
frustrati, perfino d’increduli
(fino alla certezza matematica della sconfitta di Hillary Clinton) che Belzebù
potesse prevalere.
Bisognerebbe aprire
la lista con i commentatori, titolati o improvvisati,
di casa nostra, i quali per
mesi hanno dipinto Trump
come la quintessenza del
male, dell’imbecillità, della
sprovvedutezza, garantendo che avrebbe trionfato la
dolce, brava, esperta futura prima presidente donna
degli Stati Uniti. Possiamo
additare, come modello di
questa enorme disinformazione partigiana e prevenuta, la corrispondente della
Rai Giovanna Botteri. Ha
in continuazione ritratto
come uomo della vergogna
il «miliardario», il «magnate», sfrontato e offensivo,
cupo e torvo di fronte alla
trionfante Hillary, per la
quale sprecava encomi, con
toni assurdamente enfatici
esaltandola come nume tutelare di tutte le minoranze oppresse dai cattivi alla
Trump. La sua propaganda,
condotta a spese di chi paga
il canone, le avrà prodotto
SCOVATI NELLA RETE
un mal di fegato, come del
resto a tutti gli analisti, i
corrispondenti, gli esperti,
gli americanisti, compatti
nell’auspicare e nel prevedere (difficile distinguere i
pronostici dagli auspici) il
trionfo della Clinton.
Sovente tali annunci
evitavano di approfondire
l’analisi stato per stato,
pur essendo i risultati determinati esclusivamente
dal conto dei delegati. Il
ruolo dei grandi elettori è
stato finalmente esaminato
soltanto negli ultimi giorni,
anzi, da alcuni sprovveduti nelle ultime ore. In ogni
modo, Trump ha vinto anche
per i voti popolari. Ovviamente fra i vinti figurano i
sondaggisti, che hanno fornito sia dati con alternanze
impossibili, sia travolgenti
vittorie della Clinton, tanto complessive quanto in un
sovrabbondante numero di
stati.
Hanno così trionfato
i silenti, quelli che ai sondaggi non rispondono ma
poi votano: la vecchia maggioranza silenziosa. Se ne
dolgono, adesso, i difensori
di quelle tante minoranze
che da noi ritengono debbano sempre essere tutelate a prescindere. Piangono
perché si è affermata una
minoranza che loro detestano: i bianchi incazzati
(e poveri, va aggiunto). Infatti le lacrime più amare
le versano i radical chic, i
progressisti ricchi, sdegnati
perché quelli che un tempo
erano definiti proletari non
LA LETTERA
Dear President Trump,
Very compliments for the Election.
We italians are the unic nation in the world in grad of
capir what will happen in America in the next 20 years,
because we have già avut a president with strange hairs, a lot of sons, many money to spend, a spropositate
passion for the woman’s fregn, Putin’s friendness.
For this motive, remember us when you will attack
the Europe because we ospit arabian people, and please don’t bombard Italy, that we have già abbastanz
problems between terremot, Big Brother Vip, Modà,
maltemp and allenator of Inter.
Kisses.
votano democratico né negli
Stati Uniti né in Italia. L’alta fi nanza ha votato per la
Clinton e adesso si lamenta,
come si vede dalle borse. Gli
operai, invece, hanno votato
per Trump: coloro che restano a bocca aperta di fronte a
tale fenomeno sono gli stessi che non hanno mai capito
come nell’Italia settentrionale il partito di maggioranza nelle fabbriche sia la
Lega.
Ovviamente i quattro
quinti della classe politica
nostrana sono in lutto, partendo da Matteo Renzi, il
quale più volte si è speso in
ammirazioni per la Clinton,
non si sa quanto produttivamente per il nostro Paese: se
Trump avesse notato l’appoggio renziano, potrebbe
perfino esserselo legato al
dito. Piangono, come quelle
signore che, intervistate da
una Rai clintoniana di ferro, spiegavano che avrebbero
votato per la Clinton «per-
ché è donna». Con loro piange papa Bergoglio, il quale,
nelle conferenze stampa aeree tenute a braccio (rivelando sovente i peggiori aspetti
del proprio pensiero), aveva
stroncato Trump, così come
aveva umiliato Ignazio Marino e condannato in anticipo monsignor Nunzio Scarano. Il voto americano ha
dimostrato che l’influenza
del papa può (forse) essere di
qualche peso fra i cattolici,
ma certo non richiama simpatie altrove: in ogni modo
un pontefi ce argentino, un
gringo ostile agli yankees,
un peronista nemico dichiarato del capitalismo, non può
trovare ascolto nell’America
profonda. Questa America
ha confermato di non essere socialista, di non volere
la politica sociale propagandata da Obama, di non
apprezzare il buonismo così
in voga presso i democratici
americani (e italiani).
© Riproduzione riservata
IL SOTTOSOPRA DI FILIPPO MERLI
Trump, lo sconfitto, ha vinto. Botteri non riesce a capire perché
gli americani non le abbiano dato retta. E li redarguisce in diretta
DI
G
FILIPPO MERLI
iovanna Botteri guarda
la tazza di Hillary Clinton. È uno dei tanti gadget che, se hai la fortuna di
essere la corrispondente e responsabile dell’ufficio Rai di New York,
ricevi in omaggio dai vari staff elettorali. Il caffè è quasi finito. È stata
una lunga notte. Il risultato, ormai,
è ufficiale: Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti.
Botteri interrompe per un attimo la diretta e convoca d’urgenza
la riunione di redazione. I giornalisti, con lo sguardo inchiodato sui
dati più recenti, lasciano le loro scrivanie e si precipitano nell’ufficio del
capo. Hanno il nodo della cravatta
allentato, le maniche della camicia
rimboccate e lo sguardo stravolto.
Per un giornalista non esiste cosa
peggiore di prendere un buco, cioè
lisciare una notizia che viene data
in esclusiva da altri.
Alla Rai, come nella maggior
parte delle testate italiane ed estere, comprese quelle americane, sono
andati oltre: tra sondaggi, massimi
sistemi e noiosi panegirici politicamente corretti, hanno puntato sul
candidato sbagliato e hanno fallito le previsioni, dando Trump per
spacciato. Invece d’interpretare il
pensiero degli elettori, si sono concentrati sulla linea che si sono autoimposti: «Un cazzone come Trump
non potrai mai diventare presidente
degli Stati Uniti. Quindi vincerà la
Clinton».
Botteri si guarda allo specchio.
Nonostante le fatiche della diretta, il rimmel è ancora a posto. Una
giornalista televisiva dev’essere
sempre in ordine. Anche quando
racconta una tragedia disumana
come l’elezione di Trump. Quando
entra in ufficio, i giornalisti sono
in silenzio. Dall’alto della sua esperienza, Botteri sa che cosa pensano:
«E adesso?».
Ci sono due possibilità: fare finta di niente e sorvolare sul fatto di
aver puntato sul candidato sbagliato e di aver snobbato e sottovalutato sino all’ultimo quello scelto dagli
elettori, oppure continuare sulla
linea intrapresa durante la campagna elettorale e buttarla sulla fine
del mondo. Non è difficile: esito sorprendente, un filo di grillismo nostrano, qualche menata sulla democrazia, una buona dose di razzismo,
un paio d’episodi di sessismo. No,
non è difficile. Superficiale, ma non
difficile. Certo, gli americani hanno dimostrato di vedere in Trump
qualcosa di diverso, qualcosa che né
la Rai, né molti altri, hanno saputo
carpire.
Botteri guarda di nuovo la tazza
di Hillary Clinton. «Dove abbiamo
sbagliato?». Ora deve prendere una
decisione. S’appresta a tornare in
diretta e, come sempre, deve metterci la faccia. La sua. Quella che
ha sempre parlato di Trump come di
una calamità politica e sociale.
Tra poco si va in onda. Gli schermi dell’ufficio mostrano quella testa spettinata, di un biondo arrogante, sfacciato, irriverente. Non si
può tornare indietro. Clinton era e
Clinton rimane. Botteri ha deciso.
I tecnici la chiamano. Lei torna davanti allo specchio. Il trucco è ancora a posto. Tre, due, uno. «Nella
New York democratica non doveva
succedere».
Poteva fare meglio. Lo sa. In
fondo, Trump, il sicuro sconfitto, ha
vinto democraticamente. Dettagli,
ormai. Botteri ha scelto di proseguire sulla strada dello psicodramma
americano e mondiale. In cuor suo,
però, sa che la Rai, sulle presidenziali, ha sbagliato tutto. Quando
finisce il collegamento, Botteri si
chiude nella sua stanza. Poco dopo,
qualcuno sente un rumore forte,
violento. Come quello di una tazza
che si rompe.
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