Assimilable nitrogen (mg/l)

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SABLAYROLLES,
COME EVITARE GLI ARRESTI DI FERMENTAZIONE ?, PAG.
1
COME EVITARE GLI ARRESTI DI FERMENTAZIONE ?
JM. SABLAYROLLES
UMR “Sciences pour l’oenologie”. INRA, 2, place Viala 34070. Montpellier cedex 1. France
Sono molti i meccanismi che possono dare problemi di fermentazione in condizioni enologiche.
Molti sono stati chiariti [1, 2] ma la questione essenziale per gli enologi è la frequenza con cui si
verificano nella pratica e conseguentemente essere a conoscenza del modo migliore per
prevenire eventuali problemi durante la vinificazione.
1,50
dCO 2/dt (g.l -1.h-1)
1,25
(2)
1,00
0,75
(1)
0,50
0,25
0,00
0
50 100 150 200 250 300
T (h)
Figura 1. Variazioni nella produzione
della CO2 durante la fermentazione.
Tipo 1: ‘fermentazione lenta’
Tipo 2: fermentazione stentata [3]
(dCO2/dt)max (g/l.h)
CHE COSA SONO I MOSTI ‘POCO FERMENTESCIBILI’?
Quando si misurano precisamente le cinetiche di fermentazione (monitorando la produzione di
CO2 , per esempio) si possono distinguere due tipi di curve (figura 1): (i) le fermentazioni con un
basso tasso di produzione di CO2 vengono chiamate “lente” e sono caratterizzate dal basso
valore della produzione massima di CO2 ((dCO2/dt) max). (ii) le fermentazioni con una netta
diminuzione della velocità alla fine vengono chiamate fermentazioni stentate (o interrotte, quando
lo zucchero residuo è superiore a 2g/l). Le fermentazioni stentate possono essere individuate dal
basso valore della pendenza della curva della (dCO2/dt) max alla fine della fermentazione.
3
3
2
2
1
0
0
100
200
300
400
500
Assimilable nitrogen (mg/l)
Figura 2: Relazione tra la produzione massima di
CO2 e la concentrazione di azoto assimilabile [4]
Questa distinzione è fatta raramente nella pratica e i due tipi di fermentazione possono avere la
stessa durata di fermentazione. Ciò nonostante, la differenza è fondamentale, sia perché (a)
corrispondono a diversi meccanismi microbiologici e (b) perché le fermentazioni stentate sono
molto più problematiche, dal momento che possono comportare arresti di fermentazione.
E’ POSSIBILE INDIVIDUARE I MOSTI ‘POCO FERMENTESCIBILI’?
Le fermentazioni lente sono causate da carenze di azoto, che limitano la produzione di CO2
(figura 2). Possono essere previste stimando la concentrazione di azoto assimilabile nel mosto.
Uno studio statistico condotto con 178 campioni di mosto [3] indica che l’anno e la regione di
origine influenzano in modo significativo il rischio di fermentazioni lente. Al contrario, non è stato
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trovata nessuna influenza significativa della varietà, che dimostra l’eterogeneità del contenuto di
azoto nell’ambito della stessa varietà, in quanto dipendente dalla regione, anno, ecc.
Le fermentazioni stentate sono caratterizzate da una scarsa vitalità finale dei lieviti, dovuta
principalmente alle alte concentrazioni di etanolo e a carenze di ossigeno. Contrariamente alle
fermentazioni lente, gli studi statistici indicano che, per quanto riguarda le fermentazioni stentate,
non c’è una correlazione significativa con la concentrazione di azoto del mosto. Più in generale, e
con l’eccezione della concentrazione iniziale di zuccheri, il rischio di fermentazioni stentate
sembra non essere correlato con i valori del mosto o del mosto-vino nella prima metà della
fermentazione, inclusa la vitalità a metà fermentazione.
PERCHÉ SI AGGIUNGONO OSSIGENO O AZOTO?
Le carenze di ossigeno e di azoto sono le più rilevanti. L’ossigeno è richiesto dai lieviti per la
sintesi dei composti cellulari, soprattutto degli steroli e degli acidi grassi insaturi, necessari per
mantenere l’integrità della membrana citoplasmatica (specialmente a concentrazioni elevate di
etanolo). La sua aggiunta determina una diminuzione della sintesi di acidi grassi a catena media
(coinvolti nel metabolismo dei lipidi) che sono conosciuti come inibitori dei lieviti [5]. Il fabbisogno
di ossigeno è differente a seconda della composizione del mosto, specialmente della torbidità.
L’azoto assimilabile, che solitamente include l’azoto ammoniacale e gli α-amminoacidi, è
necessario per la sintesi delle proteine e per la crescita dei lieviti. La quantità media di ossigeno
richiesta è compresa tra 5 e 10 mg/l [6], mentre secondo le norme Europee la quantità massima
di azoto che si può aggiungere è di 300 mg/l di fosfato o solfato di ammonio.
E’ IMPORTANTE IL MOMENTO IN CUI SI AGGIUNGONO L’OSSIGENO E L’AZOTO
AMMONIACALE?
L’aggiunta combinata di ossigeno e di azoto ammoniacale può essere efficace, ma solo quando
viene effettuata nel momento giusto per esempio a metà fermentazione (figura 3). Infatti, quando
l’azoto viene aggiunto all’inizio della fermentazione, ha un forte impatto sulla popolazione dei
lieviti e quindi sulla produzione massima di CO2 ma lo stesso tasso di produzione di CO2
diminuisce bruscamente e la fermentazione non risulta più corta ; l’aggiunta a metà
fermentazione, invece, porta a una fermentazione più efficiente anche alla fine. Allo stesso modo,
l’aggiunta di ossigeno risulta avere un impatto maggiore sulla cinetica di fine fermentazione,
quando viene effettuata a metà fermentazione (aumentando la vitalità finale dei lieviti).
40
13
30
12
20
10
N3
11
N3
N2
0
O1
O2
O3
N1
Figure 3a
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N2
10
N1
O1
O2
O3
Figure 3b
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1.5
3
1.5
dCO2/dt (g/l.h)
dCO2/dt (g/l.h)
O3N1
1.0
0.5
0.0
O3N3
1.0
0.5
0.0
0
100
200
300
400
t (h)
0
100
200
300
400
t (h)
Figure 3c
Figure 3b
Figura 3: Effetto del momento dell’aggiunta di 300mg/l di (NH4)2HPO4 e di 5mg/l di ossigeno sulla
concentrazione di zuccheri residui (figura 3a), sulla durata di fermentazione (figura 3b) e sulla cinetica di
fermentazione (figure 3c e 3d). 1: inizio di fermentazione, 2: fine della fase di crescita, 3: metà fermentazione
[7].
L’AGGIUNTA DI OSSIGENO E DI AZOTO AMMONIACALE RISULTA ESSERE SEMPRE
EFFICACE?
72 mosti che portavano a fermentazioni stentate o interrotte, vennero fermentati con l’aggiunta
combinata di ossigeno e di fosfato diammonico a metà fermentazione. In tutti i casi, l’aggiunta
combinata portò a (i) una netta diminuzione della durata della fermentazione (nel caso delle
fermentazioni stentate): la durata della fermentazione diminuì in media di circa il 44% (figura 4), o
(ii) a all’esaurimento degli zuccheri (nel caso delle fermentazioni interrotte): 13 fermentazioni con
una concentrazione di zuccheri residui compresa tra 6g/l a 38g/l. L’effetto non dipendeva dalla
varietà ,dall’origine del mosto e dal ceppo di lievito. Queste aggiunte vennero fatte anche in 9
mosti ‘senza rischi’ e la durata diminuì di circa il 35% in media, dimostrando che l’aggiunta di
ossigeno e di azoto ammoniacale era comunque efficace anche quando non è indispensabile.
Duration (combined addition) (h)
250
200
150
100
50
0
0
50
100
150
200
250
300
350
400
Duration (control) (h)
Figura 4a
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Figura 4b
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4
Figura 4: Effetto dell’aggiunta di 300mg/l di (NH4)2HPO4 e di 5mg/l di ossigeno sulla durata della
fermentazione (fermentazioni stentate: figura 4a) e sulla concentrazione di zuccheri residui (fermentazioni
interrotte: figura 4b) [3]
Anche se riguardano solo le fermentazioni di vini bianchi e rosati, questi risultati indicano che
l’aggiunta di ossigeno e di azoto ammoniacale è il trattamento più efficace nel prevenire le
fermentazioni stentate o interrotte. Benché l’impatto potenziale di questi due nutrienti sulla
fermentazione sia sempre stato conosciuto, non è stata data abbastanza attenzione
all’importanza del giusto momento in cui effettuare tali aggiunte.
Sicuramente nella vinificazione in rosso i principali meccanismi sono gli stessi, anche se la
presenza di particelle solide può provocare fenomeni specifici. Sfortunatamente non ci sono a
disposizione dati statistici su questo specifico argomento.
QUALI SONO LE CONSEGUENZE SULLA QUALITÀ DEL VINO?
Le aggiunte di azoto ammoniacale sono normalmente considerate ininfluenti o positive per
l’aroma del vino. Al contrario molti enologi temono l’aggiunta di ossigeno, specialmente
vinificando vini bianchi. Tre mosti differenti vennero studiati. La composizione finale dei vini non
veniva significativamente influenzata dall’aggiunta di 5mg/l di ossigeno. Da notare che l’acidità
volatile non aumentava in modo significativo e il colore non era influenzato, come risulta dalle
misure di densità ottica (420, 520 e 620nm). I vini vennero anche degustati e non furono trovate
differenze significative.
L’effetto di aggiunte eccessive di ossigeno venne provato aggiungendo 50mg/l invece di 5mg/l.
Nel caso del Sauvignon, l’aggiunta di dosi eccessive di ossigeno ne modificava anche il colore
(Tabella 1). Anche le proprietà organolettiche vennero modificate: con assaggio in bicchieri neri le
differenze tra tesi trattata con 50 mg/l di ossigeno e controllo sono risultate significative all’1% e
al 5% [3].
Tabella 1. Effetto delle aggiunte di ossigeno sul colore del vino. Paragone tra l’aggiunta di 5 e di 50mg/l. La
fermentazione del mosto di Sauvignon senza aggiunta di ossigeno è il testimone.
DO420
DO520
DO620
Testimone
0.108
0.037
0.010
Aggiunta di 5mg/l
0.103
0.042
0.010
Aggiunta di 50mg/l
0.135
0.103
0.027
COME CONTROLLARE L’AGGIUNTA DI OSSIGENO?
I fabbisogni di ossigeno dei lieviti sono abbastanza conosciuti ma il controllo dell’ossigenazione
risulta molto impreciso.
Alcune considerazioni generali sul controllo dell’ossigeno.
- Non è necessario misurare in modo accurato la quantità di ossigeno immessa nel mosto in
fermentazione, ma è invece interessante fare una stima approssimativa in modo da evitare (i)
aggiunte insufficienti e di conseguenza non efficaci e al contrario (ii) aggiunte eccessive che
influiscono negativamente sulla qualità del vino.
- Il livello di saturazione dell’ossigeno dissolto nei mosti è pari a circa 7mg/l. Questa
concentrazione è vicina alla quantità di ossigeno richiesta dai lieviti ma, come già detto, l’aggiunta
di ossigeno è più efficace quando effettuata durante la fermentazione. Misurare la quantità di
ossigeno disponibile per i lieviti è difficile perché l’ossigeno viene consumato non appena viene
aggiunto. In molti casi, la velocità di utilizzo dell’ossigeno è più elevata della velocità di
trasferimento dell’ossigeno; quindi la concentrazione di ossigeno dissolto nel mosto in
fermentazione è vicina a zero.
- L’ossigeno può essere addizionato con le tecniche tradizionali, ma queste tecniche, quali il
rimontaggio all’aria, sono generalmente mal controllate e non ripetibili. Sarebbe auspicabile che
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l’aggiunta di ossigeno fosse (i) calibrata (utilizzando una vasca riempita con mosto de-aerato) e
(ii) fosse ripetibile. La quantità di ossigeno trasferito con il rimontaggio dipende da molti parametri
(grandezza della vasca, la velocità di flusso della pompa....) e non sono disponibili dati di valore
generale. Comunque , esperimenti fatti sia su scala industriale che in laboratorio indicano che, in
media, la quantità di ossigeno necessario viene immesso facendo un rimontaggio con un volume
di mosto pari da una a due volte il volume della vasca.
- E’ possibile ossigenare un mosto facendo gorgogliare o aria o ossigeno puro, ma in entrambi i
casi occorre ricordare che i lieviti possono assimilare solo l’ossigeno dissolto. La dissoluzione
dell’ossigeno è massima quando le bolle d’aria sono molto piccole e rimangono per un tempo
sufficiente nel mosto in fermentazione. La resa di ossigeno trasferito varia tra il 30% e il 100% e
dipende dalle caratteristiche della candela porosa, dalla velocità di flusso del gas, dalla
grandezza della vasca....(vedi l’esempio seguente).
Un esempio di misurazione del trasferimento di ossigeno [8]
Questa prova venne fatta utilizzando una vasca do 500 l connessa con una candela porosa
montata nel circuito di rimontaggio (figura 5). Il trasferimento di ossigeno venne misurato
utilizzando due metodi:
Ln (C*-C)
- Medodo 1: calcolo del coefficiente di trasferimento dell’ossigeno (K la) (figura 6)
la velocità di trasferimento dell’ossigeno è calcolato utilizzando la formula : ro2 = Kla (C* -C), dove
C = concentrazione di ossigeno dissolto (quando C = 0, ro2 = ro2 max ), C* = concentrazione di
saturazione dell’ossigeno dissolto.
Condizioni del test: temperatura 20° C, C* =34 mg/l, velocità di flusso dell’ossigeno = 22.5l/h,
-1
volume del mosto = 425 l ➨ Kla = 2.2 h ➨ ro2 max = 74.8 mg/l h.
Osservazione: prima di usare questo metodo, è necessario verificare che non ci sia consumo di
ossigeno da parte del mosto.
- kLa
Temps
Time
Figura 5. Vasca da 500l. 1: 4: sonde dell’ossigeno
(nella vasca e nel circuito di rimontaggio), 5: iniettore
con candela porosa, 6: pompa, 7: sonda per la
temperatura [8]
Figura 6. Calcolo del coefficiente di
trasferimento dell’ossigeno (Kla) nel
mosto, prima dell’inoculo (metodo 1).
- Metodo 2: rO2 = (C2 -C1) * Q/V, dove C1 = concentrazione dell’ossigeno disciolto nella vasca, C2 =
concentrazione dell’ossigeno disciolto nel circuito di rimontaggio (dopo la valvola), Q: velocità del
flusso della pompa di circolazione, V: volume del mosto.
Questo metodo è più difficile da usare, ma può essere utilizzato durante la fermentazione,
quando l’ossigeno è consumato dai lieviti.
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Aggiungendo ossigeno molte volte durante la fermentazione, abbiamo dimostrato che i valori di
rO2 sono (i) costanti in qualsiasi momento della fermentazione e (ii) simili a quelli ottenuti usando
il metodo 1.
Questi risultati indicano che, nella pratica, è possibile effettuare una stima accurata dell’ossigeno
immesso durante la fermentazione, misurando il coefficiente di trasferimento dell’ossigeno nel
mosto prima dell’inoculo (metodo 1).
E’ IMPORTANTE LA SCELTA DEL CEPPO DI LIEVITO?
Il test su 72 mosti con difficoltà di fermentazione ha evidenziato lievi differenze tra i ceppi (tutti
erano ‘buoni fermentatori’). Al contrario, prendendo lo stesso mosto difficile da fermentare e
utilizzando ceppi commerciali scelti a caso, senza, cioè, prendere in considerazione il loro potere
fermentativo, vennero osservate forti differenze [9]: si osservarono fermentazioni interrotte con
10-56 g/l di zuccheri residui nel caso di 3 ceppi, mentre tutti gli altri ceppi consumavano tutti gli
zuccheri, ma con durate di fermentazione variabili tra 119 e 170 ore. Questi risultati dimostrano
che la scelta del ceppo di lievito è importante per prevenire i rischi di fermentazioni stentate o
interrotte.
Figura 7: effetto del ceppo di lievito sulla durata di fermentazione e sulla concentrazione di zuccheri residui.
D u r a tio n
8
R e sid u a l S
60
7
50
6
40
5
4
30
3
20
2
10
1
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10 11 12 13
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13
Mosto di Chardonnay [9].
Fabbisogno di azoto
Per poter paragonare il fabbisogno di azoto tra i diversi ceppi di lieviti, ci siamo concentrati sul
consumo di azoto durante la fase stazionaria (i) perché questa fase ha un impatto tecnologico
importante - in enologia, la maggior parte dello zucchero viene metabolizzato dopo che la crescita
si è fermata e (ii) perché l’aggiunta di sali di ammonio in questa fase ha almeno la stessa
efficacia di quanta ne avrebbe se venisse effettuata nel mosto [4]. Per quantificare l’efficacia
dell’apporto di azoto durante quella fase, abbiamo condotto fermentazioni a velocità costante.
Infatti, come già descritto da Manginot et al. [10], la velocità di fermentazione può essere regolata
nel corso di quasi tutto lo svolgimento della fermentazione, cioè dal momento in cui la velocità si
impenna all’inizio della fermentazione fino al momento in cui la concentrazione degli zuccheri
residui diventa limitante, con l’aggiunta di azoto. Il numero di cellule, così come la velocità
specifica di fermentazione rimangono costanti durante la fase di regolazione. La quantità di azoto
somministrato è quindi un buon criterio per quantificare l’efficacia del tipo di azoto da
somministrare durante la fase stazionaria. La curva di azoto apportato era sempre dritta tra 20 e
70 g/l CO2 (P20-70), ma l’inclinazione era diversa a seconda del ceppo di lievito. Come illustrato in
figura 8, le inclinazioni variano tra 0.96 e 2.2 mg di azoto/ g CO2 emessa. Questo risultato indica
che i lieviti enologici hanno un diverso fabbisogno di azoto, soprattutto durante la fase
stazionaria.
Per valutare l’interesse tecnologico nel misurare P 20-70, abbiamo fatto fermentare un mezzo
sintetico e numerosi mosti naturali senza aggiungere azoto; quindi abbiamo paragonato la durata
delle fermentazioni con i valori di P20-70. Le fermentazioni con durate più elevate corrispondevano
ai valori più alti di P20-70 e venne trovata una buona correlazione tra questi due parametri.
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La valutazione del fabbisogno di azoto è di particolare interesse nel caso di mosti poveri di azoto,
perché la durata della fermentazione, in tali condizioni, è correlata alla capacità del lievito di
assimilare l’azoto in modo efficiente.
0,8
0,7
0,6
0,5
V max (g/l.h)
2
1,5
0,4
0,3
1
0,2
0,5
0,1
0
Figura 8: Differenze del fabbisogno di azoto dei
diversi ceppi di lievito [11]
S1
8
S5
S2
S3
1
S2
9
S3
0
S1
5
S4
S1
S2
4
S1
7
S1
4
S2
3
S1
6
S1
5
S6
S9
S7
S4
S1
3
S2
6
S2
5
0
S2
7
S2
0
S1
0
S1
1
S2
5
S2
6
S1
3
S3
P20-70 (mg N/ g CO2)
2,5
Figura 9: Differenze del fabbisogno di ossigeno
dei diversi ceppi di lievito [11]
Fabbisogno di ossigeno
Per paragonare il fabbisogno di ossigeno di diversi ceppi di lieviti, sono state condotte
fermentazioni in mosti de-aerati e senza fattori di crescita anaerobica. In queste condizioni, i lieviti
erano fortemente limitati dall’assenza di ossigeno. La crescita era limitata dalla carenza di
ossigeno invece che dall’azoto. Di conseguenza, qualsiasi fosse il ceppo di lievito usato, la
popolazione cellulare risultava sempre molto poco numerosa. Il valore della velocità massima di
produzione di CO2 ((dCO2/dt)max), correlata al massimo della popolazione cellulare, era basso, ma
era diverso a seconda del ceppo di lievito (figura 9) e compreso tra 0.38 e 0.78 g/l.h. Il potere
fermentativo in assenza di ossigeno sembrava essere lievito-dipendente, sicuramente collegato
all’attitudine delle cellule a utilizzare le riserve lipidiche durante la fase di crescita.
Per stimare l’interesse tecnologico di queste misurazioni, abbiamo fatto alcuni esperimenti
usando mosti naturali. Abbiamo scelto mosti che davano fermentazioni stentate e abbiamo
paragonato due ceppi, le cui cinetiche di fermentazione erano diverse in condizioni anaerobiche.
La fermentazione era più breve e la vitalità finale delle cellule era più elevata nel caso del ceppo
che aveva una minore (dCO2/dt) max e una popolazione minore. Questo conferma i risultati ottenuti
in un mezzo sintetico e indica che valori bassi di (dCO2/dt) max e popolazioni meno numerose
determinano una migliore vitalità delle cellule a fine fermentazione, facendo abbassare il rischio
di blocchi fermentativi o di fermentazioni stentate. Infatti, in queste condizioni, bassi valori di
(dCO2/dt)max sono preferibili, sicuramente perché corrispondono a una minore divisione cellulare e
quindi a una minore diluizione lipidica, che comporta una migliore vitalità a fine fermentazione.
Conclusioni
- Le carenze di ossigeno e di azoto non sono gli unici motivi che determinano fermentazioni
stentate o arresti fermentativi; sono comunque i principali.
- L’aggiunta di questi nutrienti viene effettuata da diverso tempo ma non sempre in modo
efficace, a causa soprattutto del momento sbagliato in cui viene fatta. Infatti, anche se non sono
difficili da effettuare, questi apporti richiedono un minimo di attenzione perché possano servire e
per evitare conseguenze negative. Più in generale, altre operazioni di base, quali la reidratazione
dei lieviti dovrebbero essere fatte scrupolosamente, ma sicuramente non è sempre così.
- Si può diminuire il rischio di fermentazioni stentate o interrotte aumentando la quantità di inoculo
o somministrando preparati commerciali che contengono non solo azoto ammoniacale ma anche
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altri nutrienti, come la tiamina, lieviti inattivati...Quando si usano questi prodotti, occorre fare
attenzione al momento in cui si aggiungono.
- La scelta del ceppo di lievito è importante. Nel caso di mosti difficili da fermentare, è preferibile
(i) usare ceppi con un buon potere fermentativo o (ii) fare molta attenzione a come si aggiunge
l’ossigeno e l’azoto.
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