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XV Congresso
Roma, 29 ottobre-1 novembre 2016
Federalismo e
sovranità dei cittadini
di Valerio Federico e Zeno Gobetti
hanno collaborato Demetrio Bacaro e Alessandro Massari
(1aVersione)
Federalismo e sovranità del cittadino
Introduzione
Il termine “federalismo” presenta almeno due significati differenti. In un primo senso
esso può essere considerato come la teoria dello Stato federale, ovvero come la
semplice descrizione dell’assetto istituzionale dei poteri di una particolare forma di
Stato. Un’altro significato, invece, evidenzia più una concezione generale della società.
Il primo termine si presta ad essere più definito e quindi più semplice da utilizzare.
Tuttavia, appare riduttivo comprimere il federalismo al solo aspetto istituzionale
poiché si deve riconoscere che tale dottrina ha prodotto un pensiero politico che
investe la società nel suo complesso.
Vi sono almeno tre elementi del pensiero federalista che è necessario evidenziare
per chiarire il contenuto di questo lavoro.
In primo luogo, il federalismo in tutte le sue forme si oppone al principio della
sovranità nazionale1. L’idea che i popoli si siano organizzati in Stati nazionali
sovrani che dividono e delimitano lo spazio fisico in organizzazioni politiche tra loro
completamente separate sul piano giuridico, politico e sociale, rappresenta il punto
centrale di contestazione del pensiero federalista. La storia degli ultimi secoli ha
mostrato come tale concezione abbia realmente prodotto condizioni sul piano delle
relazioni internazionali che hanno favorito la soluzione violenta dei conflitti attraverso
la guerra. Il massacro delle due guerre mondiali ha mostrato il volto più violento di
tale concezione politica al punto che emersero nuove istanze federaliste2 per porre
rimedio al disastro che si era prodotto. Tuttavia, la forma politica dello Stato-nazione,
così diffusa e così radicata nella cultura politica globale, non poteva essere archiviata
così semplicemente. La resistenza dello Stato nazionale a tale processo di
cambiamento ha prodotto lo svuotamento delle più sincere spinte federaliste europee
degli anni ’50 del secolo scorso, trasformando un progetto federalista in una unione
intergovernativa. E’ necessario notare come sia stata proprio la forma politica dello
stato-nazione ad aver prodotto quelle frontiere, quel confine che oggi si vuole
militarizzare per respingere masse disperate di migranti. Una delle maggiori fonti di
tensione politica che agita l’occidente oggi riguarda la tensione tra le politiche
dell’”apertura” e quelle della “chiusura” del confine sia per le persone sia per le
merci. In questa tensione apertura-chiusura si giocano le sorti del futuro politico
dell’Europa e forse anche la stabilità globale. In questo senso il federalismo
rappresenta oggi un pensiero politico che allenta la rigidità del confine verso una
concezione più aperta ed inclusiva.
1
2
La sovranità moderna è caratterizzata dal fatto di essere considerata assoluta, indivisibile e inalienabile.
Si pensi alle istanze sorte a Ventotene per gli Stati uniti d’Europa
2
In secondo luogo, il federalismo si oppone alla concentrazione del potere politico,
poiché ciò rappresenta il maggior pericolo per la libertà dei cittadini favorendo
degenerazioni autoritarie del sistema politico. Il potere federale è un potere diffuso
nello spazio, fisico e politico. Ciò garantisce l’equilibrio necessario alla tutela dei diritti
e del Diritto. In tale senso il pensiero federalista si associa alla tradizione del pensiero
liberale che vede nella separazione ed equilibrio dei poteri3 il nucleo fondante di
uno Stato liberale.
Infine, il federalismo si pone come questione strettamente legata alla democrazia.
La diffusione del potere politico non deve solo riguardare il territorio e le istituzioni
locali, ma anche il cittadino. Assicurare la sovranità al cittadino in ambito locale e
globale deve essere l’obiettivo di fondo dell’azione radicale.
“Il cittadino come centro di libertà e di diritti, un centro intorno al quale, e in funzione
del quale, deve organizzarsi il potere pubblico in tutte le sue articolazioni”.Si tratta di
“restituire a ciascuno le chiavi del proprio destino attraverso un recupero del diritto di
4
governare sé stessi ”
5
I cittadini esercitano la sovranità, che dovrebbe “appartenere” loro, nelle forme e
nei limiti delle leggi che formano il Diritto. Le leggi, le regole, in Italia, in molti casi
non producono Diritto, sono ineffettive, ovvero non producono gli effetti per le quali
sono nate. Senza effettività della legge, e più in generale della regola, a tutti i livelli
6
istituzionali, la democrazia rappresentativa risulta essere un mandato vuoto .
A questo si aggiunge la sottrazione da settant’anni della “seconda scheda”, della
possibilità per i cittadini di ricorrere all’istituto referendario, così come agli strumenti
di iniziativa popolare, strumenti che dovrebbero integrare la democrazia
rappresentativa. E infine la violazione del diritto alla conoscenza, un diritto non
3
Il concetto di separazione ed equilibrio dei poteri non deve essere ristretto all’ambito giuridico-istituzionale che
riguardi solo i poteri politici sanciti in un testo costituzionale. Si deve intendere in maniera più generale alle forme di
potere che si strutturano nella vita di una società.
4
“Accendere di democrazia la politica: dal cittadino-plebe al cittadino democratico” di Mario Patrono –
RADICALI ITALIANI Verso un “nuovo possibile”. Progetto per una riforma “radicale” delle istituzioni europee,
statali e dell’ordinamento regionale.
5
Alla base, e sullo sfondo, uno degli enunciati di cui si compone il primo articolo della Costituzione: <La sovranità
appartiene al popolo>. Il verbo <appartiene> è decisivo. Indica disponibilità e indica un carattere di continuità: anche
nelle forme della democrazia “rappresentativa”, la quale pertanto non si esaurisce nel diritto, da parte dei governati, di
scegliere i governanti attraverso il voto alle elezioni. Il contenuto della democrazia, si è detto bene, <non è che il
popolo costituisca la fonte storica o ideale del potere, ma che abbia il potere>; non che <abbia la nuda sovranità (che
praticamente non è niente) ma l’esercizio della sovranità (che praticamente è tutto)>. (“Accendere di democrazia
la politica: dal cittadino-plebe al cittadino democratico” di Mario Patrono – RADICALI ITALIANI Verso un
“nuovo possibile”. Progetto per una riforma “radicale” delle istituzioni europee, statali e dell’ordinamento
regionale).
6
Va aggiunto che solo il 20% delle leggi approvate viene da iniziativa parlamentare, l’80% da iniziativa governativa
(http://blog.openpolis.it/governo-renzi-linfografica-sui-2-anni-di-attivita ). La centralità del potere esecutivo nella
produzione legislativa del nostro paese è evidente. Circa il 30% delle proposte di legge governative completa l’iter,
contro neanche l’1% di quelle parlamentari. Il governo Renzi in questo conferma un trend consolidato. Il forte
squilibrio nella percentuale di successo di fatto ribalta quella che è costituzionalmente la ripartizione dei ruoli fra potere
esecutivo e potere legislativo (http://minidossier.openpolis.it/2016/02/Fidati_Di_Me ). Dal 2008 a oggi sono state
depositate 75.538 interrogazioni, il 64,41% non ha mai ricevuto una risposta dai membri del governo
(http://blog.openpolis.it/2016/02/26/ministro-non-risponde-le-interrogazioni-parlamentari-nel-governo-renzi/6129 )
3
codificato ma essenziale in una democrazia a tutti i livelli istituzionali. La violazione di
tale diritto si manifesta in Italia sia per la natura e la proprietà dei mezzi di
informazione, in mano ai Partiti o a pochi grandi gruppi industriali, sia per l’assenza di
un sufficiente livello di accountability – di capacità delle istituzioni di rendere conto
sulle politiche pubbliche e la conseguente capacità di governo e controllo del cittadino.
Controllo che il cittadino non ha, né direttamente né tramite i suoi rappresentati,
rispetto all’enorme area di produzione ed erogazione dei servizi locali. Il controllo
effettivo degli organismi partecipati, che forniscono i servizi, è in mano di fatto a
partiti, clientele e reti di potere e manca una misurazione scientifico-comparativa
attraverso indici di qualità dei servizi.
L’ineffettività del diritto, la crisi del mandato rappresentativo, l’inefficacia degli
strumenti di democrazia diretta, la mancanza di trasparenza e l’incontrollabilità dei
servizi pubblici sono le componenti fondamentali della crisi della sovranità del cittadino
in Italia.
I tre elementi del pensiero federalista che abbiamo presentato (l’opposizione al
principio della sovranità nazionale, il contrasto alla concentrazione del potere politico e
la promozione della sovranità del cittadino) tracciano un percorso politico per il futuro
dell’Italia e dell’Europa che merita di essere tradotto in progetti politici ambiziosi.
Questa impostazione del federalismo tende a superare la rigidità di una spazio politico
chiuso. In questo senso si propone una concezione del federalismo che rifiuta l’idea di
un federalismo interno ed uno esterno alle realtà statuali. Questa logica tende ad
ascrivere il federalismo dentro una concezione classica dello Stato. Questo errore di
fondo ha portato ad una interpretazione scorretta e forviante del pensiero federalista
su cui alcuni movimenti politici, come la Lega nord, hanno giocato le sorti del loro
successo politico-elettorale. Il regionalismo prodotto negli ultimi decenni e il
secessionismo non sono in nessun modo legati alla storia del pensiero federalista. Al
contrario essi rappresentano semplicemente forme più elaborate di un centralismo
statuale che non cede potere.
Si è a lungo pensato che il processo di formazione di uno Stato federale potesse
avvenire “dall’alto” attraverso il decentramento o, per usare un termine diffuso,
attraverso la devolution. Tali processi non hanno dato gli esiti sperati. Non poteva
essere altrimenti visto che difficilmente una organizzazione politica cede
spontaneamente potere ad altre più piccole. Il federalismo non può che partire dal
“basso” attraverso una distribuzione omogenea ed equilibrata del potere politico nei
diversi livelli istituzionali secondo il principio della sussidiarietà verticale.
Le forme di autonomia che proponiamo per i Comuni, connaturate ad un assetto
federale, partono anche dalla convinzione che il cittadino accresca la sua sovranità e
quindi la sua stessa libertà.
In questo senso il tema del federalismo europeo e quello municipale, non
possono essere considerati separatamente. Essi rappresentano elementi dello
stesso progetto politico. Sul legame tra autonomia, responsabilità e libertà e sulla
utilità di ampie autonomie locali nel quadro di un sistema federale europeo si espresse
, ad esempio, Luigi Sturzo che nel 1951 disse che “sarebbe inconcepibile un’Europa
4
democratica e federata, se non vi fosse l’articolazione di una vita municipale
autonoma, tanto più sinceramente federale quanto più intimamente autonoma.
L’autonomia che si rivendica deriva dal senso di libertà che è coscienza dei propri
diritti e dei propri doveri, che è autolimitazione disciplinata e senso di responsabilità”.
Proponiamo dunque strumenti di politica pubblica capaci di aprire il governo locale,
strumenti che accrescano la capacità di contare dei cittadini, anche fuori dai
partiti e dai passaggi elettorali.
Le liberalizzazioni e l’apertura alla concorrenza dei servizi locali, restituirebbero alle
famiglie e agli individui la scelta dell’impresa alla quale affidarsi e garantirebbero
maggiore qualità. Lo stesso criterio di apertura al cittadino dovrebbe essere applicato
ai servizi sociali alla persona spostando la scelta dall’amministrazione – che oggi
seleziona organizzazioni private, cooperative etc. – direttamente al cittadino.
Infine vanno promosse quelle forme innovative di produzione di servizi locali
riconducibili alla cosiddetta sharing economy, che avrebbero, se ben accompagnate
dalle istituzioni anche attraverso strumenti tecnologici, l’esito di sottrarre
all’intermediazione di interessi politici un’area di servizi che verrebbe sostanzialmente
lasciata a meccanismi di collaborazione spontanea.
Proponiamo dunque un modello alternativo a quelli che si sono susseguiti in Italia,
modelli, in forma diversa, centralizzati e in mano a partiti o ad oligarchie “private”. Un
modello alternativo sia alla gestione pubblica tradizionale – quella delle partecipazioni
statali e delle municipalizzate, quelle della proprietà formalmente pubblica - che a un
sistema, in piedi da venticinque anni, di esternalizzazione di servizi ad imprese o
organizzazioni collaterali agli interessi di potere, tutto basato sull’affidamento diretto,
sulla discrezionalità politica. Un modello federale che si fondi su conoscenza,
concorrenza e Diritto. Un modello concorrenziale sui servizi pubblici fondato su
liberalizzazioni, strumenti di misurazione scientifico-comparativi della qualità, forme
innovative di libera produzione e fruizione di servizi condivisi tra cittadini. Un modello
con forte autonomia tributaria per comuni e città dove i cittadini possano esprimersi
sulle scelte tributarie anche con referendum vincolanti.
L’assetto istituzionale più adeguato a restituire sovranità al cittadino è il Federalismo.
Federalismo che nella sua forma europea si riassume negli “Stati Uniti d’Europa”,
unico livello istituzionale in grado di giocare una partita di democrazia, diritti, libertà e
competitività sullo scenario globale. Nessun Paese da solo è in grado di fronteggiare
sfide come le migrazioni, le grandi crisi finanziarie, il mutamento climatico o il
terrorismo internazionale. Oggi sono gli Stati nazionali a fallire, così come un’ idea
d’Europa: quella delle patrie e dei trattati, quella intergovernativa, quella delle
reazioni nazionali che non sono altro che illusioni nazionali. Un'Europa federale
accrescerebbe la sovranità dei cittadini sulle politiche pubbliche europee e quindi sulle
dinamiche transnazionali.
Il federalismo nella sua forma locale, comunale, cittadina, garantisce invece
all’individuo la possibilità di affermare la sua sovranità al livello istituzionale a lui
5
più vicino e di avere, di conseguenza, un maggiore controllo della qualità dell’azione
amministrativa sperimentandone direttamente gli effetti, a partire dai servizi pubblici.
In Italia vi è una sproporzione tra i poteri, ancora ridotti, dell’istituzione locale, dei
Comuni, delle città e il peso sociale, economico ed ecologico di queste realtà urbane
sulla qualità della vita della popolazione.
Chiediamo che i Comuni dispongano della leva tributaria autonoma, con una piena
capacità impositiva sulla prima casa e sui servizi senza dipendere quasi
completamente dai trasferimenti statali come avviene ora e senza un aumento
complessivo della fiscalità, per responsabilizzare l’amministrazione nei confronti dei
cittadini che potranno così verificare l’utilizzo del proprio denaro. “Alcuni beni e servizi
si traducono in benefici localmente circoscritti: in questi casi un’offerta decentrata
permette ai poteri locali di fornirli in quantità che corrispondono a costi e preferenze
7
specifici” . Una forma di sovranità popolare, di potestà effettiva di governo del
cittadino è certamente quella di pagare le tasse potendone verificare e sperimentare
direttamente l’utilizzo. L’operazione del Governo Renzi di azzerare le imposte sulla
prima casa, anziché ridurre quelle sul lavoro (imprese e lavoratori), come da noi
proposto, va nella direzione opposta rispetto a forme di federalismo municipale fiscale,
8
proprio nella fase di definizione del livello istituzionale ‘Città Metropolitana’ .
In questo lavoro ci proponiamo di approfondire alcuni aspetti che riteniamo centrali di
questo modello alternativo autenticamente ispirato alla tradizione del pensiero
federalista.
In particolare, nella prima parte del lavoro sarà presentata una breve descrizione
dell’ordinamento degli enti locali in Italia evidenziando le criticità e proponendo
soluzioni che consentano di far emergere un reale autonomia, in particolar modo in
materia fiscale e tributaria, di tali enti alla luce del rapporto con lo Stato e soprattutto
con l’unione europea.
7
Il federalismo fiscale e l’Unione Europea di Marco De Andreis (2010) - Qual è la distribuzione ottimale delle funzioni
di governo tra i diversi livelli, quello centrale europeo, quello nazionale e quello regionale/locale? La teoria del
federalismo fiscale può aiutarci a trovare le risposte giuste. Elaborata da Richard Musgrave nel 1959 e in seguito da
Wallace E. Oates , essa si basa sulle tre principali funzioni economiche di governo: stabilizzazione, distribuzione e
allocazione. Secondo questa teoria, le prime due funzioni vanno svolte dal governo centrale, mentre l’allocazione può
essere ripartita tra i diversi livelli, seguendo un criterio di coincidenza fra beneficiari e contribuenti.
Quello che conta è l’incidenza spaziale dei benefici: coloro che usufruiscono della fornitura di beni a un dato livello di
governo dovrebbero essere gli stessi che provvedono al relativo finanziamento. (..) La divisione del lavoro fra i diversi
livelli del governo per quanto riguarda l’offerta di beni pubblici è giustificata dalle diverse preferenze territoriali
esistenti nell’ambito di un’ampia giurisdizione qual è ad esempio una federazione. Alcuni beni e servizi si traducono in
benefici localmente circoscritti: in questi casi, un’offerta decentrata permette ai poteri locali di fornirli in quantità che
corrispondono a costi e preferenze specifici. Ne consegue che la tassazione di fattori altamente mobili - come i redditi
da capitale e in minor misura i profitti - dovrebbe essere attribuita principalmente al governo centrale. Il lavoro è
anch’esso mobile, sebbene in misura più limitata, e la sua tassazione è legata alla previdenza sociale, una funzione di
governo affidata al livello federale negli Stati Uniti e a quello degli Stati membri nell’Unione Europea. Al contrario, le
imposte sui consumi, come pure quelle sui beni immobili, andrebbero affidate ai governi locali.
8
La capacità finanziaria dei sindaci dipenderà ancor di più da trasferimenti statali e regionali – finanza derivata. Si è
eliminata una delle poche imposte che non si possono evadere e che esistono in tutti i Paesi, con aliquote ben più
elevate di quelle ora abolite in Italia. Ci troviamo oggi in una situazione anomala in Europa e, più in generale, nel
mondo Occidentale. Tra i Paesi UE, solo a Malta non si paga un’imposta sulla prima casa, mentre l’Italia resta ai primi
posti in Europa per la tassazione sul lavoro.
6
Nella seconda parte si evidenzierà come il sistema delle partecipate pubbliche
rappresenti una nuova forma di “partitocrazia” realizzata attraverso la privatizzazione
“fredda” ( ovvero della mera forma giuridica) di servizi pubblici. Saranno proposte
alcune soluzioni per effettuare un reale processo di liberalizzazione di tali servizi al
fine di aumentarne l’efficienza e rendere alle istituzioni pubbliche un effettivo ruolo di
controllo.
La terza parte del lavoro è dedicata agli strumenti di democrazia diretta in Italia sia
sul piano nazionale che locale, evidenziando come vi sia sempre stata la tendenza a
limitarne l’efficacia.
Riferimenti storici del pensiero federalista in Italia
La storia del federalismo in Italia è incredibilmente feconda nonostante le vicende
storico politiche del Paese siano, purtroppo, andate in altra direzione.
Nei primi anni dell’unificazione è stata attuata una annessione violenta delle realtà
politiche autonome preesistenti. L’introduzione del sistema prefettizio, della
macchina burocratica pubblica sotto il rigido controllo ministeriale e le leggi comunali
che hanno compresso le autonomie territoriali, hanno distrutto ogni possibilità di
concretizzare un progetto federalista.
Nonostante la violenza del fascismo e la propaganda patriottica del ventennio, sono
sopravvissuti pensatori che hanno recuperato elementi del pensiero di Carlo Cattaneo
e lo hanno elaborato consentendo lo sviluppo e la crescita del pensiero federalista in
Italia. Gaetano Salvemini, Piero Gobetti e Carlo Rosselli rappresentano solo alcuni
pensatori antifascisti che svilupparono il pensiero federalista sotto la pressione del
regime. A Salvemini si devono gli studi sul fallimento e sul malaffare che il
sistema centrale aveva prodotto nel mezzogiorno italiano tradendo aspettative e
alimentando la corruzione politica di quelle realtà. L’opposizione che Salvemini mostra
anche alla fine della guerra contro l’istituzione delle Regioni, mostra chiaramente la
coerenza di un pensiero federalista solido. La comprensione di uno storico che capisce
prima di altri che il regionalismo, come poi è tristemente avvenuto, avrebbe
umiliato e ingannato i progetti autenticamente federalisti. A Gobetti si deve la
critica storica al Risorgimento, alle sue prospettive e al suo esito, e una intransigente
opposizione liberale alla retorica della patria che il fascismo stava producendo.
La forza del pensiero federalista in Italia è talmente evidente che quando le
contingenze storiche
hanno messo in crisi il sistema centrale sono emerse
inaspettatamente istanze federaliste. Si pensi al secondo dopoguerra e alla formazione
del CLNAI (Comitato di liberazione nazionale alta Italia) e le istanze del Partito
D’azione per un riassetto della costituzione in senso federale. Oppure, in tono minore
ovviamente, si pensi alla crisi dei partiti (quindi del sistema politico centrale) degli
anni '90 che produsse una repentina riemersione di istanze autonomiste purtroppo
confluite nel fallimentare progetto della Lega Nord.
7
L’importanza del pensiero federalista è data anche dalla sua capacità di evolvere e di
cogliere, anche contro le evidenze del momento storico, i possibili sviluppi politici
futuri. In Italia per opera di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi si compie il passo che
porta alla teorizzazione di un federalismo europeo nel momento del massacro degli
Stati. Dalle ceneri dell’Europa sorgerà il progetto dell’unione che avrà uno sviluppo
contorto, difficile e precario, sempre dominato dagli Stati nazionali che, pur
riconoscendone la necessità, ne hanno costantemente ostacolato la formazione.
Il sistema dei partiti, che ha prodotto la costituzione repubblicana, ha compresso le
autonomie mantenendo un assetto rigidamente centralizzato e perpetuando quel
sistema di corruzione, già denunciato da Salvemini, che il fascismo era stato capace di
strutturare. Gli attacchi di Maranini e dello stesso Calamandrei contro il ruolo dei
partiti nel nuovo assetto istituzionale non potevano essere accolti da un’opinione
pubblica che vedeva in questi i “liberatori della Patria”. La partitocrazia non poteva
evidentemente convivere con un sistema federale che avrebbe favorito
l’emersione di personalità politiche più legate al territorio che al partito.
Il federalismo, fin dalle sue origini, ha sempre manifestato una grande attenzione per
tutto ciò che riguarda il problema dell’autonomia fiscale. Intere pagine degli scritti di
Cattaneo sono dedicate al problema di come garantire l’autonomia nella gestione del
denaro pubblico dei Comuni e di come mettere in atto i necessari controlli.
Autonomia vuol dire libertà nelle decisioni e responsabilità. Su questi due
principi bisogna lavorare per garantire da un lato maggiore capacità decisionale dei
Comuni sui loro bilanci e dall’altro più stretti controlli.
Uno dei principi fondamentali del federalismo è quello di sussidiarietà, ovvero il
principio per il quale le istituzioni superiori devono occuparsi solo di ciò che non è
possibile gestire ad un livello territoriale più piccolo. Un principio tanto citato quanto
ignorato.
La Regione in Italia, fatte alcune eccezioni, non ha mai costituito la dimensione
politico-istituzionale più conforme al governo del territorio. La struttura politica,
economica e sociale del Paese si è sviluppata da secoli come una rete di città
organizzate in Comuni e circondate da una Provincia direttamente controllata dalla
città. Le Regioni sono nate come strutture amministrative che il governo
centrale aveva pensato, non come strumento di autonomia, ma di controllo
amministrativo dei Comuni e delle Province. L’esigenza fondamentale del
progetto unitario era proprio quella di evitare il frazionamento territoriale mantenendo
un controllo accentrato attraverso il sistema prefettizio e riducendo le funzioni delle
istituzioni locali.
Tale tentativo non era certo sfuggito all’attenzione di chi, come Carlo Cattaneo,
aveva proposto una valorizzazione delle autonomie locali Comunali e Provinciali come
strumento di una unificazione federale dell’Italia. Le regioni, in tale sistema,
svolgevano una funzione di livello amministrativo di diretta emanazione di poteri
residuali rispetto ai Comuni e alle Province (anch’esse considerate libera associazione
di Comuni).
8
La stessa analisi emerge anche negli scritti di Piero Gobetti, profetici in merito ai
rischi di un ordinamento centrato sul livello regionale.
“La base per il decentramento non deve essere la regione, poiché, indipendentemente
dal pericolo del regionalismo antiunitario, è evidente che la regione non rappresenta
da noi una differenziazione chiara e sicura. Come si può distinguere il Piemonte dalla
Lombardia? Novara è Piemonte o Lombardia? […] Se non si pensa a questa difficoltà si
corre il pericolo di creare un decentramento che conserva gli svantaggi e gli ingombri
dell’accentramento. Si parta dunque dalle unità politiche più piccole, la provincia e il
9
comune […]. “
Per chiudere questi riferimenti sembra doveroso citare l’analisi di Gaetano Salvemini
sull’ordinamento delle istituzioni territoriali prodotto dalla Costituzione del 1948 “… il
termine regionalismo è assai pericoloso, se intende il concetto che le regioni
debbano essere costituite per legge dai signori che stanno seduti a Roma,
siano essi un dittatore o alcune centinaia di parlamentari.” Le Regioni “ se
debbono nascere, debbono nascere non perché una maggioranza nell’Assemblea
costituente della Repubblica di là da venire deciderà che debbano nascere.
L’Assemblea costituente abolisca i poteri dei prefetti in questo e in molti altri
campi, autorizzi le frazioni a costituirsi in comuni autonomi, autorizzi i Comuni
10
e le Province ad associarsi o dividersi secondo quanto credono opportuno.”
L’ordinamento prodotto dalla Costituzione si è ispirato a principi anti-federalisti ed è
proprio per questo motivo che Salvemini espresse tutta la sua critica al regime politico
prodotto.
“Il presente regime politico italiano può essere definito come fascismo meno
Mussolini più le Regioni”.
11
Il regionalismo italiano è molto lontano dalla tradizione del pensiero federalista, anzi
ne è diventato il maggiore ostacolo.
Il regionalismo prodotto dalla riforma del Titolo V del 2001, ha solo saziato la
fame del nuovo attore che voleva la sua parte e garantito che un serio ragionamento
sulle autonomie non sarebbe più stato avanzato. La riforma “Renziana” del titolo V
mette fine a qualsiasi discussione sulle autonomie e sul federalismo. Il ritorno alla
centralizzazione dopo il disastroso regionalismo, rimette gli enti locali al “servizio”
del centro.
9
Si veda Piero Gobetti in Rivoluzione Liberale
Si veda G. Salvemini, Federalismo, autonomismo e regionalismo, in “Critica politica” Fasc. 10, 1945 pg 357-365.
11
Si veda G. Salvemini, Federalismo e regionalismo, in “ Il Ponte” n. V, 1949, pg. 830-842
10
9
Federalismo: istituzioni locali e fisco
Introduzione
Il ruolo degli enti locali nell’ordinamento italiano soffre di una eredità storica
direttamente legata alle vicende del risorgimento. Infatti, già nella sua prima
conformazione istituzionale, il Regno d’Italia aveva già compresso, se non del tutto
eliminato, le antiche funzioni degli organi territoriali ereditati da secoli di storia
comunale12. Il processo di unificazione ha agito, anche violentemente, per
destrutturare le istituzioni locali fino a renderle semplici strumenti del potere centrale
secondo lo stile prefettizio di tipo francese a cui si ispirava il Regno Sabaudo.
Nonostante la pressione della retorica della “Unità della patria” che ha caratterizzato la
storia unitaria italiana per molto tempo, non è mai stato possibile eliminare
completamente l’emersione di istanze federaliste che riproponessero un riassetto
istituzionale decentrato.
In ogni momento di crisi istituzionale, come il crollo del fascismo o la dissoluzione dei
partiti del post-guerra fredda nei primi anni ’90, sono riemerse proposte di assetto
federale del Paese. Ciò non rappresenta una casualità storica, ma una tendenza
permanente nella storia politica e culturale del nostro Paese ripetutamente repressa
dal potere centrale. La tensione centro-periferia si manifesta in Italia, vista la sua
storia pre-unitaria, con particolare vigore.
La ragione che ha determinato tale compressione da parte dello Stato post-unitario,
del regime fascista e poi del sistema partitocratico, risiede nel fatto che federalismo
e democrazia sono due sistemi che si sostengono reciprocamente. Per questo motivo
quando si discute di autonomia degli enti locali si tratta in realtà di rafforzare o
indebolire il funzionamento democratico del Paese.
I Comuni, le Province e le Città Metropolitane
L’attuale conformazione del sistema dei Comuni nell’ordinamento italiano ha visto
negli ultimi decenni un parziale rafforzamento delle proprie funzioni e dei poteri. Si
pensi all’elezione diretta dei sindaci13 che ne ha decisamente rafforzato il ruolo
come attori politici locali e, in alcuni casi, anche sul piano nazionale14. Anche nelle
funzioni di autonomia statutaria, regolamentare ed amministrativa nel corso degli
12
Si pensi alla L. 2248 del 20 marzo 1865, detta legge Lanza, che aveva semplicemente esteso al Regno d’Italia la
prassi del Regno sabaudo. Tale legge stabiliva le materie che i Comuni e le Province svolgevano per delega da parte
dello Stato centrale
13
Introdotta dalla L. 81/1993 poi modificata dalla L. 120/1999
14
Si veda come molte personalità politiche di rilievo nazionale debbano parte del loro successo al prestigio ottenuto sul
piano comunale, dallo stesso Presidente del consiglio Matteo Renzi, al Ministro Graziano Del Rio ed altri.
10
ultimi decenni si è visto un sensibile rafforzamento delle realtà comunali.15 Tale
rafforzamento, dovuto alla condizione di crisi che negli anni ’90 attraversava il sistema
dei partiti, non ha comunque mai portato ad una reale condizione di autonomia ne
ad una revisione in senso federale del sistema istituzionale. Il federalismo negli
anni è stato deliberatamente confuso col progetto leghista, più vicino al regionalismo
che al federalismo municipale.
Nell’attuale assetto i Comuni svolgono funzioni che riguardano principalmente i
servizi alla persona, l’uso del territorio e lo sviluppo economico. I Comuni
hanno autonomia statutaria nel quadro dei principi Costituzionali e della legge
statale in materia di organizzazione pubblica. Nelle loro funzioni i Comuni hanno
autonomia amministrativa e regolamentare. A tali forme di autonomia si è
aggiunta poi quella finanziaria. Negli ultimi anni sono state incentivate varie forme
associative di Comuni al fine di offrire una gestione amministrativa più efficiente. In
particolare i Comuni possono istituire accordi di programma, convenzioni e consorzi
con altri Comuni oppure dare vita a comunità (montane o isolane) e unioni. Oltre a
queste forme di cooperazione tra Comuni, sono state istituite numerose forme di
livelli sub-comunali con funzioni delegate dal Comune. In particolare si possono
segnalare i municipi e le circoscrizioni.
Il sistema dei controlli sugli atti dei Comuni possono essere di tre tipi: preventivi,
successivi e sostitutivi. Nei fatti i controlli preventivi sono stati aboliti con la Legge
costituzionale 3/2001. Sono ancora vigenti forme di controllo successivo e sono stati
ampliati e costituzionalizzati poteri di controllo sostitutivo da parte di organi
gerarchicamente superiori (Regione e Stato). In particolare, se un Comune risulta
inadempiente rispetto ad obblighi di legge, può essere nominato un commissario ad
acta il quale adempie alle funzioni sostituendosi agli organi comunali. L’art. 120 della
Costituzione prevede anche il potere di sostituzione da parte del Governo di qualsiasi
organo di un ente locale per ragioni di sicurezza o per mancato rispetto di obblighi
internazionali. Si deve evidenziare che a seguito del superamento dei controlli
preventivi si sono rafforzati i controlli esterni sulla gestione dei Comuni affidati alla
Corte dei Conti.
Da quanto descritto, emerge chiaramente come le realtà comunali possano essere
valorizzate molto di più di quanto fino ad ora è stato fatto. In particolare, va messo in
discussione il principio della gerarchia delle istituzioni secondo il quale l’ente
superiore controlla e autorizza quello inferiore. In questo senso è necessario passare
ad una concezione federale basata sul principio sussidiarietà secondo il quale la delega
delle funzioni deve necessariamente partire dal “basso”. L’ istituzione politica che
rappresenta la comunità politica più piccola è senza dubbio il comune. Da queste
istituzioni territoriali si deve partire per un processo di composizione delle istituzioni
della Repubblica.
15
Si pensi alla L 265/1999 , detta legge Napolitano-Vigneri, fino ad arrivare al D.Lgs 267/2000 che istituisce il Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL)
11
Dalle Province alle Città metropolitane
Le Province sono state concepite fin dalla loro prima configurazione nel secondo
dopoguerra come enti locali di raccordo tra i Comuni e le Regioni, con scarse funzioni
politiche e amministrative. Lo svuotamento di funzioni che tale ente ha subito, ha
portato le Province a diventare l’emblema stesso di quel gigantismo dei costi della
politica che negli ultimi anni ha suscitato numerose polemiche. L’abolizione delle
province è diventato il primo obiettivo di questa campagna che oggi si sta per
coronare con la definitiva scomparsa dalla Costituzione come prevede la riforma
“Boschi”.
Nell’ordinamento precedente alla Legge “Del Rio”, le Province svolgevano per lo più
funzioni di carattere amministrativo relative principalmente alla difesa del suolo, alla
tutela delle risorse idriche ed energetiche, ai trasporti e viabilità, alla caccia e alla
pesca e all’istruzione di secondo grado. A queste funzioni si devono aggiungere
compiti di programmazione ambientale, di sviluppo economico e di pianificazione
territoriale svolti in coordinamento con gli altri enti locali e sulla base di disposizioni di
leggi regionali.16 Le Province erano enti locali con autonomia statutaria,
amministrativa e finanziaria negli stessi termini dei Comuni.
La riforma Del Rio ha avviato un processo di ristrutturazione degli organi politici. In
particolare, con l’eccezione delle Province autonome di Trento e Bolzano, tutte le
Province non sono più enti autonomi ma diventano associazioni di Comuni. Il
presidente provinciale è eletto tra i sindaci del territorio provinciale da tutti i
consiglieri comunali e sindaci. Resta in carica per quattro anni. La giunta è abolita e
sostituita con assemblee di sindaci che si riuniscono per esercitare funzioni di
controllo, consultive e propositive. Il consiglio provinciale non è più eletto
direttamente ma è costituito da un numero, stabilito in base alla popolazione della
Provincia, di sindaci e di consiglieri comunali. Le Province svolgono funzioni di
programmazione e di assistenza tecnica e amministrativa ai Comuni in materia
ambientale, dei trasporti pubblici, dell’edilizia scolastica e delle pari opportunità.
La stessa riforma ha dato concreta attuazione alle Città metropolitane che erano già
state riconosciute come istituzioni di rango costituzionale ma che non avevano mai
visto una reale attuazione. Oltre a Roma capitale, che ha un ordinamento proprio,
sono state istituite nove Città metropolitane; Torino, Milano, Venezia, Genova,
Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria alle quali si sono aggiunte altre
quattro città nelle Regioni a Statuto speciale che sono Cagliari, Palermo, Catania e
Messina. Questi nuovi enti ricalcano lo stesso territorio delle vecchie Province. Gli
organi interni sono:
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Il sindaco metropolitano che è di diritto il sindaco del Comune capoluogo
Il consiglio metropolitano composto dal sindaco e da un numero variabile di
consiglieri, in base alla popolazione, eletti da tutti i sindaci e consiglieri
comunali tra loro. Esso è l’organo di controllo politico-amministrativo.
16
Si veda gli artt. 19 e 20 del D.Lgs 267/2000
12
•
La conferenza metropolitana che riunisce tutti i sindaci del territorio con
funzioni propositive e consultive sul bilancio e lo statuto dell’ente. Può ricevere
altre funzioni propositive e consultive se lo statuto lo prevede.
Si deve evidenziare che lo Statuto della Città metropolitana può prevedere l’elezione
diretta del Sindaco e del Consiglio metropolitano sulla base di criteri fissati da
una legge nazionale. Le funzioni delle Città metropolitane sono simili a quelle delle
vecchie Provincie con alcune novità. Gli elementi di novità risiedono nella adozione del
piano strategico triennale del territorio che consente di esercitare funzioni
delegate dalla Regione e di fissare obiettivi strategici sulle materie di sua competenza
ai Comuni e alle Unioni di Comuni del territorio. In oltre, in accordo con i Comuni, la
città metropolitana può coordinare la gestione dei servizi pubblici sul territorio
svolgendo le funzioni di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio,
di predisposizione di gare, di procedure selettive e di concorsi pubblici anche nelle
funzioni spettanti ai Comuni. A ciò si deve aggiungere una interessante novità che
autorizza le città metropolitane ad avere relazioni istituzionali sia al proprio livello
territoriale sia con altre città metropolitane a livello europeo.
Il fallimento del regionalismo e il nuovo centralismo
La storia delle Regioni nell’ordinamento italiano è, rispetto a quella dei Comuni, molto
più recente. Con la fine del fascismo e della seconda guerra mondiale, l’assemblea
costituente, che produsse la costituzione repubblicana, inserì le Regioni nel quadro
delle “Autonomie locali” a fianco delle Province e dei Comuni. La loro tardiva
attuazione e i loro limitati poteri non ne hanno mai fatto organismi istituzionali
rilevanti sul piano politico fino almeno alla riforma del Titolo V della Costituzione del
2001 che sancisce l’emersione delle Regioni sulla scena politica. Tale riforma infatti
rafforzava sotto molti punti vista i poteri regionali. In particolare fu stabilito:
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Estensione delle competenze esclusive delle Regioni,
Introduzione delle competenze concorrenti
Potestà legislativa delle Regioni: Fu stabilito che le Regioni potessero nelle
loro competenze adottare atti sotto forma di legge ( quindi gerarchicamente
pari alla legge nazionale)
Introduzione della “clausola residua”: tutte le materie non espressamente
citate in Costituzione come competenza esclusiva e concorrente restano di
competenza delle Regioni.
Maggiore autonomia nell’organizzazione istituzionale interna alle Regioni:
fissati
principi
generali,
le
Regioni
hanno
un
margine
maggiore
nell’organizzazione dei propri statuti.
La revisione degli Statuti regionali seguita a tale riforma, ha portato tutte le Regioni a
statuto ordinario all’elezione diretta del Presidente della giunta con poteri decisamente
13
maggiori rispetto a prima. Ciò, come per i sindaci, ha determinato un sensibile
rafforzamento politico dei “Governatori” regionali sul piano nazionale e locale.
Tuttavia, tale riforma ha prodotto un regionalismo che nulla a che vedere col
federalismo. Al contrario, la Regione ha semplicemente svolto il ruolo di “sorvegliante”
delle altre istituzioni locali, riproducendo sul territorio le dannose dinamiche corruttive
prima di esclusiva del centro. L’aumento dei ricorsi per conflitti di attribuzione tra
Stato e Regioni presso la Corte costituzionale, mostra come la riforma non sia stata in
grado di equilibrare in maniera chiara e armonica la distribuzione dei poteri e delle
competenze. La potestà legislativa attribuita alle Regioni, ha generato uno squilibrio
sensibile tra la Regione e gli enti locali.
Tale fallimento è ancora più evidente se si osserva il tema della spesa pubblica. Si era
sostenuto che le Regioni potessero svolgere un ruolo fondamentale nel controllo della
spesa pubblica. Purtroppo si è verificato esattamente il contrario. Le Regioni hanno
espanso la spesa pubblica producendo un sensibile incremento del costo della
politica locale e degli apparati amministrativi. Nelle loro competenze, in particolare in
quella sanitaria, non sono stati in grado di frenare l’incremento della spesa
producendo condizioni di indebitamento regionale che è andato a peggiorare la
condizione debitoria complessiva del Paese. A questo si deve aggiungere l’incapacità
delle Regioni di spendere i fondi strutturali europei dovuta alla grave carenza di
controlli che in molti casi hanno permesso la diffusione di corruzione e di infiltrazione
di interessi mafiosi su tali fondi.
La riforma “Boschi”, che è intervenuta anche sul titolo V della Costituzione, ha cercato
di risolvere le criticità che negli anni sono emerse dalla precedente riforma. In
particolare, tale modifiche riguardano:
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Eliminazione delle competenze concorrenti: le competenze concorrenti
hanno generato negli anni numerosi contenziosi tra lo Stato e le Regioni
Introduzione della clausola di supremazia: Lo Stato ha la possibilità, su
proposta del Governo, di intervenire anche in materie di sua competenza
esclusiva “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della
Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale” 17
Ampliamento della competenza esclusiva dello Stato: numerose sono le
competenze che lo Stato acquisisce in via esclusiva in particolare sulle politiche
legate all’energia, ai trasporti di interesse nazionale e internazionale, politiche
del lavoro (previdenza sociale, sicurezza sul lavoro, formazione professionale,
ecc…)
Ampliamento delle competenze differenziate: Lo Stato può con legge
attribuire maggiori funzioni alle Regioni in equilibrio di bilancio su alcune
materie.
Soppressione delle Provincie: Le Province sono abolite come ente
costituzionale.
17
Si veda Art. 117 del testo riformato dalla L .costituzionale 88/2016.
14
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Indicatori di costo e di fabbisogno: Lo Stato centrale stabilisce con legge gli
indicatori di costo e di fabbisogno per i servizi erogati dalle Regioni.
Riserva di legge sul coordinamento della finanza pubblica: La precedente
formulazione del secondo comma dell’art. 119 stabiliva che l’autonomia fiscale e
tributaria fosse armonizzata alla “… Costituzione e secondo i principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.” La riforma
introduce invece una riserva di legge dello Stato sostituendo al termine
“principi” la frase “secondo quando disposto dalla Legge dello Stato…”
Tale riforma ha offerto alcune risposte a criticità emerse negli anni, in particolare in
merito al superamento delle competenze concorrenti, che hanno avuto il solo merito di
aumentare il numero dei ricorsi per conflitti di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni. A
ciò si deve aggiungere la riforma del Senato che dovrebbe diventare una Camera delle
autonomie con la presenza diretta di esponenti delle Regioni e degli enti locali.
Tuttavia, vi sono alcuni aspetti che mostrano come il disegno generale della riforma
non abbia affatto uno spirito federalista ne tantomeno autonomista. L’ampliamento
delle competenze esclusive dello Stato, l’introduzione della clausola di supremazia
riferita ad una vago concetto di “ tutela dell’interesse nazionale”, la riserva di legge sul
coordinamento della finanza pubblica come limite all’autonomia tributaria delle Regioni
e degli enti locali, mostra come il piano della riforma abbia uno spirito centralista.
Lo stesso criterio del “federalismo differenziato” potrà solo produrre una reale
frammentazione delle competenze sul territorio in maniera disomogenea e non
armonica. Ciò contrasta palesemente con il pensiero federalista che tende a creare un
sistema omogeneo ed armonico di diffusione delle funzioni. In oltre si conferma, in
queste misure, l’idea del “federalismo dall’alto” ovvero che le competenze possono
essere demandate dal livello superiore a quello inferiore. Anche questo criterio
contrasta sia con il principio di sussidiarietà verticale, sia con l’idea stessa del
federalismo che nasce storicamente per unire realtà separate che demandano poteri
“dal basso” verso “l’alto”.
Dagli enti locali all’Unione
Merita una particolare attenzione il tema delle relazioni istituzionali che le Regioni
gli enti locali possono avere tra loro, con lo Stato e con l’Unione europea. Tale
argomento riveste una importanza notevole vista la premessa posta nell’introduzione
del presente lavoro. Il federalismo non può essere considerato “spezzato” tra un
piano interno ed uno esterno alla realtà statuale. Al contrario lo si deve considerare
come un sistema omogeneo ed armonico di diffusione di competenze e poteri tra i vari
livelli istituzionali anche oltre lo Stato nazionale.
Partendo dal “basso”, la recente strutturazione delle forme associative dei Comuni sta
avendo una larga diffusione. Senza dubbio la gestione coordinata di alcune funzioni
consentirà una maggiore efficienza e una riduzione dei costi. Tuttavia, l’elemento
interessante è che tali forme associative, che potrebbero essere ancora valorizzate e
potenziate, si basano su una volontà manifesta ed autonoma dei Comuni di
15
unirsi e coordinarsi insieme. Questo percorso è autenticamente federale, basato
sulla cessione volontaria e autonoma di funzioni verso un organo più vasto secondo i
criteri stabiliti da accordi. In questo caso le relazioni istituzionali e politiche
avvengono in un quadro più chiaro ed equilibrato.
Lo stesso argomento potrebbe valere per le città metropolitane ma la differenza
fondamentale risiede nel fatto che le funzioni attribuite alla città metropolitana non
nascono da un accordo tra Comuni ma sono fissate dalla legge nazionale. Tuttavia,
l’autonomia statutaria di tali enti potrebbe consentire una modulazione delle
competenze e dei rapporti con i Comuni più armonica ed equilibrata.
Al contrario il rapporto istituzionale tra gli enti locali con la Regione e lo Stato centrale
appare, invece, caratterizzato dalla tradizionale impostazione di supremazia. La
possibilità di delega di funzioni statali e regionali, il fatto che molte funzioni comunali
dipendano comunque da leggi di autorizzazione regionale o statale, i poteri sostitutivi
dello Stato e della Regione, l’inconsistenza dell’autonomia fiscale, il mantenimento del
sistema prefettizio, ecc… disegnano una relazione asimmetrica tra i Comuni,
Provincie e Città metropolitane da un lato e le Regioni e lo Stato dall’altro. Si devono
segnalare due organi istituiti per favorire le relazioni tra lo Stato le Regioni e gli enti
locali. Questi sono la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-città ed
autonomie locali, istituiti entrambi presso la presidenza del Consiglio dei Ministri con
funzioni di studio, informazione e controllo su tutte le questioni relative alle politiche
pubbliche che incidano su materie di competenza delle Regioni e degli altri enti. Tali
organi insieme formano la Conferenza unificata18 la quale è competente su tutte le
materie che coinvolgono funzioni di più enti. Essa può esprimere anche pareri sulla
legge di bilancio. Tuttavia, tali organi non incidono in maniera sostanziale sulle
relazioni istituzionali con lo Stato centrale.
Per quanto riguarda i rapporti tra le Regioni, gli enti locali e lo Stato merita una
particolare attenzione l’attuale riforma del Senato che dovrebbe diventare una
camera delle autonomie. Il Senato sarà composto da 74 membri eletti con sistema
proporzionale nei Consigli regionali, 21 sindaci (uno per regione) e 5 senatori di
nomina presidenziale con mandato di sette anni. Questa camera dovrà svolgere le
funzioni di raccordo tra le Regioni, gli enti locali e lo Stato centrale e, nel quadro del
superamento del bicameralismo paritario, manterrà le funzioni paritarie nelle leggi
costituzionali, elettorali degli enti locali, nel rapporti con le Regioni e Provincie
autonome e di verifica delle direttive europee.
Se tale riforma ha avuto il merito di aprire la strada alla partecipazione diretta di
esponenti delle Regioni e degli enti locali nel processo legislativo centrale, restano
alcuni dubbi sull’effettiva capacità di questo nuovo Senato delle autonomie di svolgere
concretamente le funzioni di raccordo con lo Stato centrale. In primo luogo, si deve
evidenziare che l’esercizio delle funzioni politiche a livello centrale sarà molto
complessa per i futuri senatori che dovranno dividersi con i loro compiti istituzionali
sul piano locale, in particolare per i Sindaci. Si deve rilevare che la stessa
18
Istituita dal D.Lgs 281/1997 in linea con la legge “Bassanini”.
16
incompetenza del Senato su tutte le materie relative al bilancio dello Stato, limita la
reale capacità di incisione degli enti locali su questioni fondamentali della finanza
pubblica. Resta da capire come si struttureranno i rapporti tra le due camere alla luce
del nuovo procedimento legislativo che rischia di spostare i conflitti di attribuzione dal
rapporto Stato/Regioni a quello Camera/Senato.
Per quanto riguarda le relazioni che le Regioni e gli enti locali possono instaurare con
l’Unione europea e con altri enti locali di paesi europei si possono segnalare alcune
aperture rispetto al passato. Senza dubbio non si può considerare tali relazioni come
vera e propria politica estera (riservata in via esclusiva allo Stato centrale) ma vi sono
interessanti aperture rispetto alle tradizionali politiche di gemellaggio tra Comuni
europei. In particolare si può segnalare che l’art. 6 della Legge 131/2003 che attua la
riforma del titolo V della L. costituzionale 3/2001, disciplina l’attività internazionale
delle Regioni. Si tenga presente che la Conferenza Stato-città ed autonomie locali
svolge una funzione rilevante per quanto riguarda la partecipazione degli enti locali
alla formazioni di atti normativi comunitari. Tale conferenza trasmette pareri
direttamente alla Presidenza del Consiglio proponendo anche modifiche che investano
competenze degli enti locali.
Tuttavia, tutte queste forme di relazione istituzionale si svolgono sempre sotto la
vigilanza dello Stato centrale e spesso si strutturano solo come mera attuazione delle
direttive. In sostanza tale relazione si struttura con un unico canale di
comunicazione “dall’alto verso il basso” mentre sarebbe utile potenziare gli
strumenti di comunicazione e di partecipazione degli enti locali nella formazione delle
direttive europee.
Smart Cities
Il termine “Smart” riferito alle città risale ai primi anni '90 ed indica un mutamento
concettuale che ha riguardato le città nell’era dell’interconnessione globale dove
i flussi da attrarre (finanziari, informativi o intermodali) hanno sostituito i luoghi
(politici, commerciali..), dove la dimensione è stata sostituita dall’integrazione
all’economia globale, da qui la Global City; una città competitiva perché
attrattiva per gli Investimenti Diretti Esteri (IDE).
Se sostenibilità ed autosufficienza energetica sono stati gli elementi centrali della
Smart City, a queste si è aggiunta con crescente centralità l’Information Technology,
in breve tuttavia a prevalere sono stati i così detti aspetti intangibili (capitale umano,
relazioni sociali, governance degli stakeholder) su quelli tangibili, quali ad esempio
investimenti materiali in determinate infrastrutture energetiche o digitali.
La Smart City è infatti un progetto in continua evoluzione e non un semplice
traguardo, è dunque una città che grazie alla tecnologia si plasma intorno alla
esigenze dei cittadini, per questo non esiste una formula standardizzata ma la
strategia per la Smart City deve essere ben pianificata e differenziata localmente.
17
Le premesse per rendere smart le città sono decisori politici promotori di
trasparenza, la continua liberazione di dati in formato OpenData, la
sburocratizzazione dell’amministrazione per poter rendere possibile la comunicazione
di idee dal basso. Una politica di rigenerazione è preceduta in primo luogo da una
rigenerazione innanzitutto umana. La crisi delle nostre città risiede nella scissione tra
cittadini e spazi che non vengono percepiti come propri. Una Smart community
è una comunità che grazie alla democrazia si modifica progettando risposte sociali,
economiche e ambientali innovative.
I bisogni della comunità trovano adeguate risposte, grazie alle declinazioni
tecnologiche. Tecnologie, l’insieme di servizi ed applicazioni, non costituiscono di per
sé una Smart City, se non vengono integrate in una piattaforma che assicuri
interoperabilità e coordinamento, ma soprattutto la definizione di appropriati
strumenti di governance e finanziamento, elementi essenziali alla realizzazione
della visione politica e sociale. L’aspetto tecnologico è quindi premessa per
garantire il “conoscere per deliberare” e il rafforzamento degli strumenti di
partecipazione popolare; così come per garantire l’accountability di atti e
procedure.
Il progetto di città intelligente è definibile come “un insieme di modelli di inclusione, di
regole di ingaggio tra sistema pubblico e privato, di nuova strumentazione
finanziaria, di innovazione nella Pubblica Amministrazione, di procedure di
procurement, di azioni di semplificazione e trasparenza, di regolamentazione, su cui la
Pubblica Amministrazione sappia formulare promesse credibili nel medio periodo”
La cronica scarsità di risorse pubbliche rende nel contesto italiano la strada per le
Smart City più complessa, ma lo stesso sviluppo delle “città intelligenti”
consentirà strutturali risparmi. Proprio per il venir meno di cospicue risorse
pubbliche la amministrazioni cittadine dovrebbero favorire l’economia
collaborativa.
Federalismo fiscale
Il tentativo di deviazione dal significato originale di federalismo attuato negli anni in
Italia ha raggiunto il suo apice con l’applicazione di tale termine alle questioni fiscali.
Come abbiamo visto, il pensiero federalista ha sempre osservato il problema
dell’autonomia fiscale e tributaria con particolare attenzione. I pensatori federalisti
erano perfettamente consapevoli che al piano dell’autonomia politica dei Comuni
doveva contemporaneamente formarsi un livello di autonomia finanziaria. Ciò,
ovviamente, non si è mai concretizzato per quanto vi siano alcuni riferimenti nella
Costituzione repubblicana del 1948 ad una generica “autonomia finanziaria” delle
Regioni nell’art. 119.
Può essere utile riassumere brevemente le tappe fondamentali dell’evoluzione
normativa sull’autonomia tributaria regionale e degli enti locali.
18
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•
Art. 119 Costituzione 1948: la lettera dell’art. 119 stabiliva che l’autonomia
finanziaria regionale avvenisse “nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della
Repubblica” . L’indeterminazione di questa formulazione e la tardiva attivazione
delle Regioni ha aperto la strada alla strutturazione della “finanza derivata” dal
centro.
Legge 281/70: Tale norma certifica la prevalenza dei trasferimenti erariali dal
centro verso le Regioni e altri enti locali riducendo al minimo i tributi propri
comunque derivati da leggi nazionali.
Anni ’90: La regionalizzazione del sistema sanitario nazionale dal 1992 (
L.421/92 e D.Lgs 502/92) obbliga lo stato centrale ad emanare una serie di
atti per consentire alle Regioni il finanziamento di tali servizi. In particolare si
stabiliscono le addizionali regionali sull’IRPEF e l’imposta regionale sulle attività
produttive IRAP ( L. 622/96 e D.Lgs 446/97).
Anni 2000, Legge costituzionale 3/2001:In vista della modifica del titolo V
della Costituzione sono emanati una serie di atti cha hanno cercato di limitare
il sistema dei trasferimenti. In particolare la L. 133/99 ha abolito gran parte
dei trasferimenti statali a destinazione vincolata ( funzioni amministrative delle
Regioni, trasporto pubblico e spesa sanitaria corrente) e la loro sostituzione con
tributi propri derivati come l’addizionale IRPEF, la compartecipazione sull’IVA e
sulle accise della benzina. Tutte queste riforme, pur intervenendo sul sistema
della finanza derivata, non hanno toccato sostanzialmente due elementi
fondamentali per poter considerare il sistema prodotto realmente autonomo .
Infatti, non si è introdotta una reale potestà legislativa delle Regioni dando loro
la possibilità di istituire tributi propri, ma si è solo stabilito un sistema di
compartecipazione a tributi statali. Inoltre tale sistema non consente di
realizzare quel nesso fondamentale tra tassazione e prestazione di servizi che
costituisce il centro fondamentale della responsabilizzazione dei politici locali. In
parte queste due problematiche sono state affrontate con la legge
costituzionale 3/2001 che ha esteso l’autonomia finanziaria delle Regioni
consentendo la possibilità di gestire in maniera autonoma le entrate e uscite per
le loro competenze. In aggiunta ha stabilito che Comuni, Province e Città
metropolitane possano introdurre tributi propri solo sulla base di una
autorizzazione di legge nazionale o regionale. Si introducono i complessi criteri
di perequazione19 per garantire “livelli essenziali e uniformi su tutto il
territorio…”. Si introduce la finanza straordinaria che consente allo Stato di
destinare risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo economico e sociale.
Legge 42/2009: Le Regioni diventano le istituzioni più importanti in materia
fiscale dopo lo Stato centrale. Esse infatti potranno, con legge regionale:
-istituire nuovi tributi regionali e locali, (Art. 2 comma 2, lettera q)
-determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province
e città metropolitane possono applicare nell’esercizio della propria autonomia,
(Art. 2 comma 2, lettera q)
19
Sulla complessità dei criteri di perequazione introdotti dalla L.Cost. 3/2001 e sull’incertezza che tali criteri hanno
presentato fin dal loro esordio si veda P. Giarda: “Le regole del federalismo fiscale nell’articolo 119: un economista di
fronte alla nuova costituzione” in Società italiano di economia pubblica n. 115/2001.
19
•
- valutare la modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di
petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede
legale e operativa nelle regioni interessate(Art. 2 comma 2, lettera r)
-istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle
compartecipazioni regionali(Art. 2 comma 2, lettera s)
A questo si deve aggiungere che sono le Regioni ad avere il controllo sui fondi
perequativi alimentati dallo Stato centrale a favore dei Comuni e delle Province.
In linea con la L.42/2009, detta del “federalismo fiscale”, si sono aggiunti una
serie di decreti legislativi che hanno attuato il federalismo demaniale (D.Lgs
85/2010), l’ordinamento di Roma capitale (D.Lgs 156/2010) e il federalismo
fiscale municipale (D.Lgs 23/2011) che ha sancito l’autonomia finanziaria dei
Comuni, istituito il fondo perequativo per i Comuni le Province. Tuttavia, si deve
evidenziare che tale autonomia è nei fatti fortemente vincolata dal patto di
stabilità.
Legge Costituzionale 88/2016: Come abbiamo già visto, il testo della
riforma “Boschi” interviene sull’art. 119 della Costituzione, introducendo la
competenza dello Stato centrale nella formulazione degli indicatori di costo e
fabbisogno per i servizi erogati dagli enti locali e introducendo la riserva di
legge sui criteri di coordinamento della finanza pubblica delle autonomie locali.
Questa breve cronologia storica degli atti riguardanti l’autonomia finanziaria e
tributaria delle Regioni e degli enti locali, ci mostra come lo Stato centrale non abbia
mai percorso sinceramente una strada autenticamente federalista. Nei fatti il
federalismo fiscale è inesistente visto che gli enti locali non hanno una reale
potestà impositiva autonoma ma dipendono da leggi di autorizzazione. I tributi
regionali attualmente in vigore sono di tre tipi: i tributi propri derivati (ovvero istituiti
con leggi statali), le addizionali su tributi erariali e i tributi propri istituiti con legge
regionale. Gran parte delle entrate tributarie dei bilanci regionali è costituito da tributi
propri derivati (in particolare l’IRAP) in misura decisamente inferiore dalle addizionali (
IRPEF e compartecipazione IVA) e praticamente nulla da tributi propri. Ciò indica che
al sistema dei trasferimenti si è sostituito un sistema di tributi derivati da
leggi statali che lasciano comunque allo Stato centrale un forte potere di “borsa”
sulle Regioni e sui Comuni. La stessa introduzione dei riferimenti per i costi e
fabbisogni dei servizi, ispirata ad un criterio di efficienza, risulta in realtà uno
strumento dello Stato centrale per vincolare risorse dei bilanci regionali. La riforma
“Boschi”non ha fatto altro che costituzionalizzare i riferimenti statali di costo e
fabbisogno e l’introduzione della riserva di legge statale sui criteri di coordinamento
della finanza pubblica di tutti gli enti locali e delle Regioni.
In conclusione, l’autonomia di entrata e di spesa sancita dalla Costituzione non è
realmente concretizzata in particolare per i Comuni e le Città metropolitane. Per
quanto riguarda le entrate manca una reale autonomia impositiva di tributi propri che
dipendono sempre da leggi di autorizzazione degli organi superiori, (la Regione per i
Comuni e lo Stato per le Regioni). Per quanto riguarda le uscite, la funzione di
20
coordinamento dello Stato centrale e la determinazione dei “costi standard” limita
notevolmente il margine di autonomia. Per quanto sia stato introdotto dalla L.
42/2009 il principio della territorialità dei tributi che sancisce in generale il
criterio che il gettito di una imposta debba rimanere almeno in parte sul territorio che
lo ha prodotto, manca completamente una il criterio della trasparenza tributaria.
Ovvero una reale capacità del cittadino/contribuente di verificare l’effettiva
destinazione del gettito fiscale sul territorio.
Proposte Radicali
L’insieme delle proposte radicali punta a rafforzare le autonomie degli enti locali nel
quadro di un ordinamento più omogeneo ed armonico nella distribuzione delle
competenze dai Comuni fino all’Unione. Riteniamo che le sfide poste dai fenomeni
globali possano essere affrontate meglio con un approccio che integri le funzioni locali
con piani strategici di livello continentale. In particolare, le grandi città possono
svolgere oggi una funzione decisiva nel controllo e nella gestione dei flussi migratori,
nelle politiche di sviluppo e in quelle ambientali in maniera più efficiente di come fino
ad ora sono stati in grado di fare gli Stati nazionali. Un maggiore riconoscimento di
tale capacità deve comportare una estensione delle loro funzioni e una maggiore
capacità di relazione con le altre realtà metropolitane nazionali e internazionali20.
Questo sistema di rafforzamento delle funzioni degli enti locali deve essere associato
ad un piano di consolidamento della legittimità democratica di tali enti.
Per questo motivo come radicali dobbiamo sostenere tutte le azioni che vadano in
questa direzione. In particolare:
1. Ci proponiamo di rafforzare le istituzioni locali valorizzando la legittimità
diretta delle città metropolitane. In questo senso proponiamo:
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•
Elezione diretta del Sindaco Metropolitano: le norme stabiliscono che le
Città metropolitane possano modificare i loro statuti inserendo l’elezione diretta
tra i Sindaci del territorio. L’imposizione del Sindaco del Comune capoluogo
come Sindaco metropolitano, rischia di sbilanciare i rapporti tra i Comuni.
Riformare la composizione del Consiglio metropolitano: per garantire una
migliore rappresentanza ed un equilibrio tra i Comuni proponiamo di modificare
la composizione del Consiglio metropolitano formandolo con i Sindaci di tutti i
Comuni del territorio.
Estensione democrazia diretta: Nuova disciplina degli strumenti di
democrazia diretta negli Statuti della Città metropolitane che si stanno
formando e potenziamento di tali istituti nei Comuni e nelle Regioni.
Estensione del Diritto di voto ai residenti: Proponiamo per tutti gli enti
locali l’estensione del diritto di voto attivo e passivo a tutti i residenti siano essi
20
Si veda il progetto “Start City” sostenuto dall’ ANCI per promuovere studi sul ruolo delle Città metropolitane nello
sviluppo economico, nella pianificazione territoriale e ambientale.
21
•
cittadini italiani o comunitari e ai residenti non comunitari con permesso di
soggiorno UE di lungo periodo.
Rafforzare l’integrazione e la cooperazione tra le Città metropolitane:
Le città metropolitane non saranno in grado di affrontare da sole le sfide
gestionali che sono poste dalla globalizzazione (mobilità di persone, merci e
investimenti ecc…) se non attraverso una strategia condivisa tra loro e con le
altre realtà metropolitane europee.
2. Riteniamo necessario impostare le relazioni degli enti locali in maniera più
armonica e non gerarchica. Per questo proponiamo:
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•
Potenziamento delle forme associative dei Comuni: Queste forme
associative hanno il pregio di risolvere alcuni problemi di gestione
amministrativa dei servizi.
Rafforzamento delle competenze ai Comuni: L’abolizione delle province
ordinarie come organo costituzionale deve comportare un passaggio di quelle
funzioni verso le città metropolitane o verso i Comuni del territorio.
Abolizione delle Prefetture: Per quanto negli anni siano stati limitati
notevolmente le funzioni delle prefetture e che la nuova conformazione degli
Uffici territoriali di Governo (UTG) svolga una funzione di coordinamento
dell’attività amministrativa a livello locale, il superamento di tale sistema
favorirebbe il passaggio di altre funzioni amministrative verso gli enti locali.
Potenziamento del Consiglio delle Autonomie locali:
attualmente tale
organo è dotato di soli poteri consultivi nei rapporti tra gli enti locali e la
Regione. La L. cost. 3/2001 però consente un ampio margine agli statuti
regionali nel determinarne le funzioni e la composizione. Si può quindi
immaginare che tali consigli possano anche partecipare in vari modi al
procedimento legislativo regionale.
3. Pensiamo sia necessario una politica molto più incisiva per rafforzare
l’autonomia fiscale degli enti locali, già costituzionalmente sancita ma, nei
fatti, continuamente ostacolata. Per questo proponiamo:
•
•
•
•
Definizione dei costi e fabbisogni: che tutti gli enti locali partecipino
attivamente alla definizione dei costi e dei fabbisogni collettivi.
Gestione territoriale dei fondi perequativi: che i fondi perequativi siano
gestiti in accordo con tutti i livelli territoriali non solo statale e regionale.
Reale autonomia impositiva: Aumentare i margini delle addizionali irpef per
gli enti locali, stabilire margini ampi nei settori in cui gli enti locali possano
istituire tributi propri.
Trasparenza tributaria: strumenti per i cittadini per verificare la destinazione
dei tributi sul territorio.
22
4. Come abbiamo detto il rafforzamento delle autonomie locali si iscrive in una
idea di federalismo “omogeneo” che arriva direttamente a livello di Unione.
Proponiamo quindi di rilanciare un progetto federale europeo attraverso:
•
•
Trasferimento di competenze all’UE: Riteniamo che alcune funzioni
debbano essere trasferite a livello europeo quali: la difesa, la
sicurezza interna,il controllo delle frontiere, la ricerca e lo sviluppo, le
reti trans europee, amministrazione diplomatica
Spazio unico IVA: Tali funzioni secondo numerosi studi21possono
essere integralmente finanziate attraverso le entrate dell’IVA che
potrebbe essere coordinata a livello di Unione.
A queste proposte si devono aggiungere, per un punto di vista più completo ed
omogeneo, le proposte radicali sulle partecipate pubbliche, sulla trasparenza e
misurazione della qualità dei servizi pubblici e sulla estensione della
democrazia diretta a livello centrale e locale. Questi argomenti meritano una
trattazione specifica ed approfondita nei prossimi capitoli di questo lavoro.
21
Si veda in particolare M. De Andreis “Il Federalismo fiscale e l’unione europea”
23
Servizi locali e organismi partecipati
Introduzione
In Italia vige un sistema economico finanziario fondato su un capitalismo di
relazione, sottocapitalizzato e incentrato sul sistema bancario. Il principale agente
inquinante è costituito da interessi politici, partitici, oligarchici e corporativi
finalizzati alla conquista o al mantenimento di potere e consenso. Oggi questo
sistema si struttura in oligarchie e reti di potere legate o interne
a partiti e corporazioni. Questa
“nuova partitocrazia” occupa le strutture
economiche della società italiana conservando i vizi del consociativismo e del
metodo spartitorio. Essa non agisce più prioritariamente tramite le istituzioni e le
assemblee elettive, ma attraverso un’enorme area solo formalmente privata, di
fatto sottoposta a controllo partitocratico. A questa generalizzata tendenza, non
solo italiana, di adottare la forma privatistica da parte delle istituzioni
pubbliche, per la quale non manca di responsabilità l’ambiguità del Trattato
22
europeo , non è seguita una corrispondente maggiore apertura alla
liberalizzazione dei mercati e alla concorrenza. Questa nuova forma privata
(privatizzazione
cosiddetta
“fredda”)
non produce merito
ed
efficienza,
ma sprechi, inefficienze, incompetenze e consenso. Si tratta di un sistema,
comprendente tra l’altro le società partecipate da Enti locali e Regioni, le
23
Fondazioni bancarie e Cassa Depositi e Prestiti , che consente di eludere il
rispetto delle regole di finanza pubblica e di uscire dal perimetro del debito
24
pubblico . Questa forma privata, conveniente al potere, serve a proteggere aree
dell’economia dalla concorrenza.
L’obiettivo è dunque, in primis, quello di spezzare la commistione tra politica ed
economia a partire da settori affidati al mercato o da liberalizzare
25
riformando le
22
Si veda l’art. 106, c. 2, del Trattato europeo, per il quale “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse
economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle
regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto,
della specifica missione loro affidata”: norma di carattere circolare, che, in linea di principio, consente la concorrenza
in ogni campo e settore, ma al contempo il suo contrario, se lo Stato membro riesce a fornire giustificazione alla scelta
di privativa.
23
le fondazioni di origine bancaria sono nate dalla necessità imposta dall’Europa di privatizzare le banche e hanno
finito per costituire lo strumento per mantenere sotto controllo politico e degli Enti locali le banche. CDP è stata
privatizzata formalmente per un obbligo europeo, il ministero azionista ha quindi, a questo fine, previsto l’entrata nel
proprio capitale azionario per il 30% di soggetti privati quali le fondazioni bancarie.
24
almeno fino al 2006, il Patto di stabilità interno sembrava costruito apposta per ingigantire il fenomeno delle società
strumentali, che permetteva di far uscire dal bilancio dell’ente spese e assunzioni in slalom rispetto ai vincoli di finanza
pubblica (Giuseppe Pennisi, XII rapporto sulle liberalizzazioni di Società Libera)
25
che la liberalizzazione delle attività economiche siano strumento di crescita economica del Paese lo afferma anche la
Corte Costituzionale nella sentenza n.8/2013 “(..) evidenze economiche empiriche che individuano una significativa
relazione fra liberalizzazioni e crescita economica, su cui poggiano anche molti interventi delle istituzioni europee – è
ragionevole ritenere che le politiche economiche volte ad alleggerire la regolazione, liberandola dagli oneri inutili e
sproporzionati, perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo dell’economia nazionale (..) L’attuazione di politiche
economiche locali e regionali volte alla liberalizzazione ordinata e ragionevole allo sviluppo dei mercati, infatti, produce
dei riflessi sul piano nazionale, sia quanto alla crescita, sia quanto alle entrate tributarie, sia, infine, quanto al rispetto
delle condizioni dettate dal Patto europeo di stabilità e crescita”
24
infrastrutture giuridiche attuali che spesso costituiscono un esempio della crisi del
Diritto, che pervade le istituzioni italiane, e della sua strutturale ineffettività.
Servizi pubblici locali e organismi partecipati
Un servizio è considerato “pubblico” se rivolto al pubblico degli utenti e se
soddisfa dei bisogni della collettività. L’Ente locale ha la responsabilità di
assicurarlo alla comunità di riferimento indipendentemente che questo venga
prodotto, distribuito o gestito da un soggetto privato. Quello che va dunque
considerato rilevante è la qualità del servizio aldilà della forma giuridica del
26
soggetto che lo fornisce .
Da oltre un decennio si è manifestata l’impropria e fallimentare gestione diretta
da parte degli Enti locali di società che operano, anche in mercati concorrenziali,
27
nella fornitura di servizi . La responsabilità è di quelle del sistema dei partiti che
hanno creato questo costoso sistema “sociale” di consenso e che tuttora pongono
resistenze a riforme e razionalizzazioni.
La proliferazione di società, per lo più comunali, che operano in mercati
concorrenziali non si spiega se non con la volontà politica di allargare l’area
d’influenza pubblica sui mercati, inquinandoli, per disporre di maggiori risorse e
postazioni ben retribuite per manager fidati e in ultima analisi per ottenere
consenso. Queste società pubbliche, infatti, si sono rivelate uno straordinario
strumento per la politica grazie ad un effetto perverso del sovrapporsi di
interventi legislativi: “la forma privatistica societaria ha sottratto le imprese in
house alle procedure vincolistiche della pubblica amministrazione; ed i limiti posti
dal legislatore all’attività di tali imprese sul mercato le ha sottratte alla disciplina
ed al controllo dell’efficienza economica. Si è formato così un territorio protetto
dove scatenare due impulsi difficilmente contenibili: le assunzioni clientelari e
28
l’assegnazione discrezionale dei progetti” .
Il sistema degli 8000 organismi partecipati dagli Enti locali è stato edificato a
partire dal 1990 interamente con modalità anti-concorrenziali. I servizi pubblici
26
Distinzione tra assunzione del servizio e sua erogazione. Il servizio pubblico è assunto dal soggetto pubblico con
legge o con un atto generale, che ne rende doverosa la conseguente attività. Alla fase dell'assunzione del servizio
segue quella della sua erogazione e, cioè, la concreta attività volta a fornire la prestazione. L’erogazione del servizio,
va chiarito, non consiste semplicemente in un'attività materiale. Nella delimitazione e nell’attuazione del rapporto tra
utente e soggetto erogatore vengono infatti in evidenza atti e fatti di varia natura: legislativi, amministrativi
autoritativi, operazioni materiali e contratti di diritto comune (contratti di utenza). L'ordinamento prevede forme
tipizzate di gestione, contemplando spesso anche l'intervento di soggetti privati. E’ crescente il fenomeno conosciuto
come “esternalizzazione” che si verifica allorché l'esercizio di attività amministrative sia affidato a soggetti diversi dalla
pubblica amministrazione, spesso in virtù del principio di sussidiarietà orizzontale; il che avviene attingendo a svariati
moduli giuridici già conosciuti dall'ordinamento (concessioni, convenzioni, affidamenti, appalti). Il legislatore ha
introdotto anche l'impiego del “contratto di servizio”, strumento per disciplinare i rapporti tra amministrazione e
soggetto esercente. (Gianmario Palliggiano “L’evoluzione legislativa della gestione dei servizi pubblici locali dalla legge
Giolitti al Testo unico degli enti locali”)
27
Secondo la Corte dei Conti ed il dossier predisposto dal servizio studi della Camera dei Deputati (Camera dei
Deputati 2012), l’indebitamento netto di questo “capitalismo delle autonomie locali” si porrebbe sui 35-40 miliardi.
28
“In house providing: i piedi della politica nella P. A. Il caso Lazio” di Marcello Degni
25
locali sono stati affidati ad un universo di attività economiche controllate dai
partiti attraverso gli enti locali, inventate, create o trasformate e guidate dai
partiti o da uomini indicati dai partiti o da società scelte dai partiti attraverso le
esternalizzazioni. Il 98% degli attuali servizi locali sono stati affidati in 25 anni a
29
organismi partecipati senza gara , quindi in modo discrezionale dagli Enti locali
in deroga alle regole della concorrenza. Società che godono dunque di un regime
privilegiato.
La prassi anti-concorrenziale, e quindi discrezionale, della partitocrazia si è
sostanziata anche attraverso gli affidamenti diretti da parte delle fondazioni
bancarie, in mano agli enti locali, che finanziano da più di un ventennio progetti di
organizzazioni private e pubbliche per più dell’80% dei casi senza ricorrere a gare
o bandi.
Il tutto è avvenuto trasformando la cosiddetta sussidiarietà orizzontale da una
selezione concorrenziale dei migliori impulsi dei cittadini organizzati alla creazione
e/o sostentamento di organizzazioni private “amiche” e funzionali alla politica di
chi governa le istituzioni.
Un quarto di secolo di scelte discrezionali e dirette dei partiti e di oligarchie, di chi
ha governato i servizi ai cittadini senza affidarsi alla selezione concorrenziale.
Più volte per esigenze di bilancio, dovute alla riduzione in corso da anni dei
trasferimenti statali e regionali, i comuni hanno ceduto quote di minoranza di
società controllate. Ad esempio a Milano il 25% degli organismi partecipati sono
30
misti a prevalenza pubblica, il 21% a prevalenza privata . Non si tratta di misure
di liberalizzazione, mantenendo il controllo in mano all’Ente locale e intatto
l’apparato politico. Se poi il soggetto acquirente è un fondo statale non è altro che
una partita di giro.
Il sistema delle partecipate pubbliche
Come nasce
Nel 1990 si assiste al passaggio dalle aziende municipalizzate a forma pubblica, sotto
il diretto controllo dei consigli comunali, a un nuovo e ampio capitalismo municipale
pubblico costituito da società a forma privata controllate dagli Enti locali e, di
conseguenza, dai Partiti. La legge del 1990, ufficialmente nata per ridurre la presenza
dello Stato e delle sue articolazioni locali nell’economia, per aumentare la concorrenza
e per ridurre la spesa pubblica31 (i conti delle municipalizzate rientravano nel bilancio
29
Elaborazione di Radicali Italiani dalla relazione della Corte dei Conti 2015
Elaborazione di Radicali Italiani dalla relazione della Corte dei Conti 2015
31
Centro studi della Camera: “la trasformazione in via legislativa di enti pubblici in società per azioni è stata operata
sin dagli anni 90 sia al fine di ammodernare il tessuto economico produttivo nazionale alle regole della concorrenza in
un contesto di integrazione comunitaria e globale, sia al fine di riorganizzare i moduli dell’azione amministrativa, nel
senso di una maggiore efficienza ed efficacia, da realizzarsi anche con il raggiungimento di obiettivi di razionalizzazione
e contenimento della spesa pubblica”
30
26
dell’Ente locale) ha dato vita in realtà, in controtendenza rispetto al resto dei Paesi
europei, a un nuovo e più ampio capitalismo municipale pubblico a forma privata che
però ha fallito sia nella apertura alla concorrenza sia nel contenimento della spesa
pubblica.
Si è quindi creata un’enorme area, né politico-istituzionale, né privata-concorrenziale,
con debole controllo pubblico da parte delle assemblee elettive e forte controllo
partitocratico.
Filiera:
Partiti/Gruppi di potere
Nominati
Nominati o assunti dai
nominati
Lavori a fornitori e Consulenze
Si è generata un'area intermedia, di produzione di servizi, fatta di nomine decise dalle
segreterie dei Partiti con insufficienti misurazioni di qualità e con poca trasparenza.
Condizioni per lo sviluppo di sacche di privilegio e clientele utili a convogliare
consenso. Gli Enti locali possono ora agire al di fuori dei propri bilanci. Negli anni le
società hanno forzato le regole sulla concorrenza e a eluso i vincoli di finanza pubblica
32
sempre più stringenti .
L’Ente locale assume il ruolo di imprenditore, con la doppia funzione di
regolatore/controllore e regolato/controllato, anche in mercati concorrenziali in
competizione con imprese private.
Imprese pubbliche e imprese private difficilmente usufruiscono di pari condizioni di
concorrenza per due ordini di motivi. In primo luogo, la proprietà pubblica dà
normalmente maggiori garanzie alle banche che le accordano crediti con maggiore
facilità; in oltre i Partiti sono indirettamente presenti nelle banche. La realizzazione
della proclamata distinzione tra potere di indirizzo politico e funzione di gestione si è
rivelata un'illusione
Chi l’ha creato e sviluppato
Il sistema dei partiti che ha governato il Paese e gli Enti locali ha ingigantito il sistema
dagli anni '90 senza limitarne la crescita. I tentativi legislativi effettuati dal 2007 per
ridurre il fenomeno sono un riconoscimento implicito del fallimento del modello.
Prevale tuttora, a livello locale, la tendenza a non dismettere, vendere o ricorrere alle
gare se non quando costretti a far cassa. Questi partiti sono sempre stati contrari a
forme di liberalizzazione di mercati potenzialmente concorrenziali quali quello dei
trasporti pubblici locali, della gestione dei rifiuti e della vendita di energia. Perfino
partiti legati alla retorica del "bene comune", M5S compreso, sempre inteso come
gestione pubblica e non come qualità del servizio nell'interesse pubblico. Come parte
32
La Corte dei Conti afferma che la costituzione e la partecipazione in società da parte degli enti locali risulterà essere
spesso utilizzata quale strumento per forzare le regole poste a tutela della concorrenza e sovente finalizzato ad eludere
i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti locali (“Le società a partecipazione pubblica “, Camera dei deputati 4 aprile
2012)
27
dell'interesse comune va considerata anche l'effettiva tutela degli interessi erariali.
Nessun partito a livello amministrativo locale vuole liberarsi o mettere a gara società
controllate se non costretti dai conti in dissesto. Si tratta di organismi che
restituiscono consenso da meccanismi clientelari. A queste resistenze si aggiungono
quelle dei sindacati.
Utilità del sistema
Guidare una società partecipata vuol dire controllare indirettamente non solo nomine,
assunzioni e consulenze ma anche affari e favori a fornitori, aggirando i vincoli
che invece pesano sull’Ente locale.
Si costruisce così una forma di welfare improprio, un costoso sistema “sociale” di
consenso e clientele.
L'Antitrust, nella sua relazione 2014 ha affermato che la classe politica locale trae
dal controllo diretto delle società partecipate una delle fonti più rilevanti di
acquisizione del consenso.33
L'intento, come evidenzia la relazione, è eludere i vincoli di finanza pubblica,
specialmente riferiti all’attività contrattuale ed alle assunzioni di personale: tali enti
spesso ricorrono, e la forma privatistica glielo consente, a reperire risorse
lavorative all’esterno della struttura pubblica ricorrendo ad assunzioni di
personale a tempo determinato ed al conferimento di incarichi di prestazioni
professionali e di consulenza esterna.
In questo modo si allarga l'area di influenza e il bacino di consenso per partiti e gruppi
di potere anche in mercati concorrenziali. Cresce l’area di manager, cittadini,
organizzazioni e fornitori che dipendono da commesse e favori.
Attraverso il Modello holding si è ampliato il controllo indiretto, tramite una vera e
propria piramide di nomine di società di secondo, terzo, quarto livello ( 200 società
solo nei gruppi A2A, ACEA, IREN e HERA) con una ulteriore crescita del bacino di
consenso per chi detiene di fatto il potere di nomina.
Tale modello ha prodotto un affievolimento dei poteri di controllo dell’ente socio sugli
organismi partecipati, rendendo, di fatto, complesso l’esercizio delle prerogative
connesse alla qualità di socio. L'utilizzo della struttura della holding e le partecipazioni
societarie indirette danno luogo a situazioni di sostanziale carenza di monitoraggio nei
confronti di organismi comunque affidatari di servizi pubblici locali34. In oltre la
funzione di controllo dell’assemblea elettiva dell’Ente locale non è pienamente
34
ad esempio nella vendita al dettaglio di prodotti farmaceutici: Cfr. C. conti, sez. contr. Lombardia, n. 1/2012/PRSE,
ove si osserva che «la partecipazione societaria indiretta, di fatto, “allenta” il controllo che l’ente locale deve esercitare
sui propri organismi partecipati poiché, nell’assemblea societaria della partecipata di secondo livello, non interviene il
rappresentante dell’amministrazione comunale, bensì il rappresentante della società partecipata di primo livello.
Conseguentemente, l’amministrazione comunale deve valutare con particolare ponderazione il ricorso alla
partecipazione societaria indiretta tenendo, altresì, presente il fatto che l’interposizione di un organismo societario di
secondo livello può trovare ragione d’essere in presenza di particolari circostanze, quali ad esempio lo svolgimento di
una attività che richiede una organizzazione imprenditoriale di una certa complessità (circostanza questa non
riscontrabile nel caso di specie, ovvero di attività per la vendita al dettaglio di prodotti farmaceutici)» (C.Conti,
relazione 2015).
28
garantita. Nel caso di società controllate direttamente dalle Istituzioni, i consiglieri
raccolgono informazioni con grande difficoltà e in tempi lunghi. Nel caso delle società
di secondo e terzo livello controllate indirettamente dal Comune, per i consiglieri è
impossibile avere chiarimenti se non dalla società capogruppo. Gli amministratori delle
imprese pubbliche rispondono ad azionisti, i cittadini, sempre più lontani dalla loro
funzione di controllo. Laddove l’azionista controlla poco aumenta il rischio di fenomeni
corruttivi. Questo collegamento tra assenza di controllo e corruzione vale per tutte
le imprese a partecipazione pubblica. La ridotta trasparenza nelle azioni politicoeconomiche delle pubbliche amministrazioni è un altro fattore di controllo ridotto e
quindi di aumento della corruttività. Transparency International (TI) pubblica
annualmente il suo Corruption Perceptions Index (CPI), l’Italia è al 67° posto nel 2010
con un punteggio pari a 3.9 (più basso è il punteggio e più alto è il grado di corruzione
percepito). Nel 2009 l’Italia era 63/ma, nel 2008 55/ma. Nel 2005 e nel 2006 il dato è
stato molto più alto, pari a 6.2, ciò segnala un netto peggioramento35. L’indice 2014
colloca il nostro paese al 69esimo posto della classifica generale, come nel 2013,
fanalino di coda dei paesi del G7e ultimo tra i membri dell’Unione Europea.
La prassi anti-concorrenziale, e quindi discrezionale, della partitocrazia si è sostanziata
anche attraverso gli affidamenti diretti da parte delle fondazioni bancarie, in
mano agli enti locali, che finanziano da più di un ventennio progetti di organizzazioni
private per oltre l’80% senza ricorrere a gare o bandi.
Il carattere anti-concorrenziale si è manifestato anche con un sistema comunale,
come a Roma, di affidamento di lavori spesso a chiamata diretta con procedure
prive dunque di evidenza pubblica, con il conseguente incremento di fenomeni
distorsivi che hanno agevolato il radicarsi di prassi corruttive, come evidenziato dalla
relazione dell’ANAC36 del 10 marzo 2016. Nel Dipartimento Politiche Sociali si è
concentrata la più alta percentuale di appalti assegnati senza gara. In generale, scrive
l’Autorità, vi è stato un ricorso facile alla ‘procedura negoziata‘, il contrario di una gara
pubblica a cui tutti possono partecipare, ma spesso mancano i presupposti per la
procedura ricorrendo sempre agli stessi soggetti.
35
La Politica e l’Economia, V.Federico, nov 2011
29
Schema delle modalità di sviluppo
Ø bassa governance pubblica
(come prima delle assemblee
elettive)
1.
Ø bassa accountability
(senza concorrenza)
38
e
trasparenza, negazione del
diritto alla conoscenza
(Opacità informativa sulle società
Privatizzazione
"fredda”
37
e sulla qualità dei servizi)
Ø maggiore controllo partitico e
delle reti di potere
2.
il 98% degli attuali servizi locali sono stati affidati
a organismi partecipati senza gara
39
(affidamenti diretti, metodo anti-concorrenziale
1. + 2. =
discrezionalità partitica)
forma giuridica
privata e affidamenti
diretti come polmone
della nuova
partitocrazia
37
La privatizzazione 'fredda' corrisponde a una mera forma giuridica privata senza liberalizzazione. La forma
privatistica societaria ha sottratto le imprese in house alle procedure vincolistiche della pubblica amministrazione; ed i
limiti posti dal legislatore all’attività di tali imprese sul mercato le ha sottratte alla disciplina ed al controllo
dell’efficienza economica. Si è formato così un territorio protetto dove scatenare due impulsi difficilmente contenibili: le
assunzioni clientelari e l’assegnazione discrezionale dei progetti. (In house providing: i piedi della politica nella P. A. Il
caso Lazio” di Marcello Degni)
38
L’accountability fa parte del diritto alla conoscenza in quanto attiva processi e forme di conoscenza. Non parliamo
estesamente di diritti in questo contributo, ma di strumenti di politica pubblica (policy instruments). In sintesi, siamo
nel campo dell’amministrazione pubblica e non in quello delle relazioni fra Stati. Traduciamo accountability come:
Rendere Conto. Accountability: un diritto dei cittadini, ma vuoto se non si accompagna a un dovere dei decisori.
(Damonte/Radaelli)
39
La maggior parte dei servizi pubblici tradizionali (gas, energia elettrica, servizi idrici integrati, raccolta e smaltimento
dei rifiuti, trasporto pubblico locale) è erogata dagli Enti del territorio in virtù di affidamenti diretti (e ripetute
proroghe) alle società ex municipalizzate, che solo di rado risultano conformi ai principi e alle regole di concorrenza. Le
ragioni sono note: per molte amministrazioni locali, gli utili distribuiti dalle società partecipate rappresentano una
quota rilevante delle entrate di bilancio. Anche con riferimento alla filiera dei rifiuti - dove le logiche del mercato si
intersecano con forti istanze di tutela ambientale - una delle principali criticità segnalate dall’Autorità è legata al ricorso
all’affidamento diretto dei servizi, anche in assenza dei requisiti previsti per la praticabilità dell’in house providing.
(Antitrust, relazione 2014). MERCATO DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI - Provvedimento n. 25057 L’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO NELLA SUA ADUNANZA del 1° agosto 2014;
CONSIDERATI i seguenti elementi: 5. Al riguardo, l’analisi preliminare degli assetti istituzionali e di mercato nel
settore sembra suggerire la presenza di diverse criticità concorrenziali. Innanzitutto, si osserva l’esistenza di un ricorso
significativo all’affidamento diretto anche in assenza dei requisiti in-house e una durata degli affidamenti nella maggior
parte dei casi superiore a quella che sembra necessaria per recuperare gli investimenti, tali da scoraggiare lo sviluppo
della concorrenza tra operatori e favorire il consolidamento delle posizioni di mercato dei gestori incumbent.
30
Dimensioni del sistema
Sono oltre 8.000 gli organismi censiti, ma si stima siano più di 10.000 ( si pensi che in
40
Francia sono meno di 1.000) con circa 285 mila dipendenti
(che si aggiungono ai
450mila dipendenti degli 8 mila comuni italiani). La spesa corrente annuale degli
Enti locali e delle Regioni nel 2012 è stata di 88,9 miliardi (esclusa quella sanitaria), il
costo di produzione del settore degli organismi partecipati è nello stesso anno di 36,5
41
miliardi.
La proliferazione degli organismi partecipati è passata da 80 società
partecipate nel 1990 alle 6.450 del 2012.
Un sistema che in alcune grandi città, a partire da Roma, ha un peso economico e
occupazionale superiore a quello delle amministrazioni cittadine stesse.
Multiutilities: I giganti della politica locale
Tra le controllate dai Comuni si evidenzia la presenza di veri e propri colossi
dell’economia italiana, risultato di una tendenza ad un gigantismo inefficiente,
politicizzato e oligopolista in corso da anni, dovuta a fusioni, acquisizioni e crescita di
fatturato in mercati poco o per nulla concorrenziali.42
40
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/08/13/news/quella-sprecopoli-delle-partecipate-migliaia-di-societa-perregalare-stipendi-1.177038
41
Adelisa Corsetti, Corte dei Conti, Napoli 23.1.16
42
A fine 2006, ben 230 imprese facevano capo a soli cinque gruppi quotati in Borsa42, gruppi diventati quattro nel
2008 con la costituzione della milanese-bresciana A2A (44 Società nel 2011). Le altre 3 sono ACEA (63 società nel
31
Il ruolo dei principali Comuni italiani è ormai quello di azionista finanziario,
vista la complessità della struttura societaria delle imprese controllate e le
partecipazioni di straordinaria importanza che detengono.
Queste realtà sono attori economico-politici che operano anche in mercati
concorrenziali. Infatti, se la produzione di gas ed energia elettrica sono attività “a
maggior tutela”, protette, la distribuzione è attività in parte “tutelata” e in parte
liberalizzata e la vendita è in gran parte attività liberalizzata, in libera concorrenza, o
così dovrebbe essere, gestita spesso attraverso società del Gruppo.
Il rischio di operare contemporaneamente in mercati protetti e concorrenziali è, tra gli
altri, come dimostrato da alcuni procedimenti dell’Antitrust, quello di mettere in
pratica politiche di “cartello” con le altre utilities pubbliche a danno delle imprese
private, le quali possono occuparsi solo di vendita e non di produzione e distribuzione.
L’Antitrust ha chiuso nel settembre 2010 quattro istruttorie avviate nei confronti di
A2A, ACEA e IREN, oltre che di Italgas (gruppo ENI) , per verificare possibili abusi di
posizione dominante43. Le istruttorie si sono concluse con alcuni impegni presi dalle
multiutilities, accettati dall’antitrust, che in un comunicato stampa affermava che le
preoccupazioni sulla presenza di una effettiva libera concorrenza “nascevano dalla
constatazione che la discriminazione nella qualità dei servizi forniti dai
distributori alle società di vendita a seconda che queste appartenessero o
meno al gruppo di riferimento (derivante in particolare dall’adozione di procedure
inefficienti), accresceva il costo di competere dei venditori al dettaglio di energia
elettrica e gas nuovi entranti”. Anche la “rossa” HERA ha attuato pratiche simili
rilevate dall’Autorità garante44.
Insomma, il mercato liberalizzato della vendita di gas ed elettricità, di fatto non si è
rivelato essere un mercato effettivamente aperto alla concorrenza. Le politiche attuate
da gruppi pubblici presenti sia nella distribuzione – mercato “protetto” – che nella
vendita – mercato concorrenziale45 aperto ai privati, sono state attuate a danno di
nuovi competitor privati. Non è finita. A2A si sarebbe resa protagonista, secondo
quanto denunciato dall’Antitrust, insieme agli altri soci di Edipower di “un’intesa
2010), HERA (44 società nel 2011) ed IRIDE. Quest’ultima nel 2010 si è fusa con ENIA dando vita a IREN. Queste
quattro grandi multiutilities , uno degli esempi più clamorosi di connivenza tra politica ed economia che operano nel
settore dell’energia, hanno avuto un fatturato complessivo per l’esercizio 2010 di circa 14,5 miliardi di Euro con quasi
30 mila dipendenti.
43
iniziativa seguita a una serie di segnalazioni inviate dalla societa' Sorgenia che denunciava un generalizzato
atteggiamento ostativo e dilatorio, da parte di questi gruppi, nelle procedure necessarie per consentire il passaggio dei
clienti alle societa' di vendita concorrenti
Sorgenia è controllata, attraverso CIR S.p.A., dalla famiglia De Benedetti, che ne detiene il 52% circa del capitale
sociale attraverso Sorgenia Holding. Le rimanenti quote sono di proprietà di Verbund A.G., il maggior produttore e
distributore di energia elettrica in Austria (44,8%), del management (2,2%) e del Monte dei Paschi di Siena S.p.A.
(1,2%).
44
12 maggio 2009, avvio istruttoria antitrust “nei confronti della società HERA e delle società operative territoriali
controllate Hera Bologna, Hera Ferrara, Hera Modena, Hera Forlì-Cesena, Hera Ravenna, Hera Rimini e Hera ImolaFaenza, per verificare se abbiano abusato della loro posizione dominante nei rispettivi mercati, attraverso
comportamenti idonei ad ostacolare la capacità concorrenziale dei nuovi entranti nella vendita di gas ed elettricità a
clienti finali domestici e alle piccole imprese. I provvedimenti sono stati notificati oggi nel corso di alcune ispezioni
condotte in collaborazione con le Unità Speciali della Guardia di Finanza”
45
Cosiddetti “operatori verticalmente integrati”
32
restrittiva della concorrenza” per “tenere alto il prezzo dell’energia venduta in
Sicilia”46 e ACEA ha condizionato un numero imprecisato di gare d’appalto per
la gestione di servizi idrici47.
Pur essendo molti i fattori che contribuiscono al prezzo finale si può affermare che per
i consumatori non ci sono stati vantaggi dalla nascita di queste grandi utilities
pubbliche le quali avrebbero dovuto calmierare le tariffe ma così non è andata. Il
sistema dei giganti pubblici controllati dai Comuni non ha dato risultati favorevoli visto
che i prezzi italiani dell’elettricità sono più alti di quelli medi dell’Europa dei 2748. Lo
stesso accade per le tariffe sul gas. La qualità dei servizi inoltre non è migliorata. E
non va dimenticato che il capitale di rischio delle utilities pubbliche viene dalle tariffe
che i cittadini non possono certo non pagare. Peraltro, la politica tariffaria dei
servizi energetici non è tra le leve delle municipalità, essendo determinata a
livello nazionale, né lo è il monitoraggio della qualità che ricade sotto la
responsabilità dell’Authority. Eppure sono i Comuni che controllano le
società, un’altra contraddizione di questo mercato protetto.
Misurazione della qualità dei servizi pubblici locali
La misurazione della qualità dei servizi pubblici è uno strumento di conoscenza e di
controllo necessario per due motivi. In primo luogo per individuare le carenze dei
servizi e migliorarne la qualità. In secondo luogo, perché il cittadino possa valutare
come vengono investiti i soldi pubblici e effettuare le conseguenti scelte in merito agli
amministratori eletti e da eleggere. Si può inquadrare nel più generale diritto alla
conoscenza da garantire ai cittadini.
In Italia le normative affidano alle amministrazioni locali la misurazione della qualità
dei servizi che le stesse amministrazioni sono chiamate ad erogare. Emerge subito il
conflitto d’interessi tra il controllore e il controllato che coincidono nelle
46
Febbraio 2010 Antitrust – “Secondo l’Autorità l’andamento anomalo dei prezzi dell’energia elettrica nella macrozona
Sicilia potrebbe derivare da un abuso di posizione dominante di Enel e Enel Produzione e da un’intesa realizzata
all’interno di Edipower tra le società ‘toller’ socie di Edipower (A2A trading, Edison trading, Iride mercato, Alpiq energia
italia, che in base a contratti forniscono combustibile a Edipower in cambio di energia prodotta), nonché tra le società
madri” (..) “L’intesa potrebbe avere riguardato il funzionamento di tutti gli impianti di generazione di Edipower sul
territorio nazionale, e quindi anche le macrozone Nord e Sud. L’ipotesi di un coordinamento tra i toller sarebbe
avvalorata anche dai legami azionari esistenti tra gli stessi. In particolare, Edison (che detiene il 50% di Edipower) è
posseduta al 50% da EdF e A2A, mentre Alpiq Holding S.A., che detiene una partecipazione del 20% in Edipower, è
posseduta per il 25% da EDF - e per il 5% da A2A” – Gennaio 2011 si chiude l’istruttoria “ANTITRUST ACCETTA E
RENDE VINCOLANTI GLI IMPEGNI PRESENTATI DALLE MAGGIORI SOCIETÀ DI ENERGIA OPERANTI NELLA MACRO
ZONA SICILIA. PORTERANNO ALLA RIDUZIONE DELLA FORBICE DI PREZZO CON LE ALTRE AREE DEL PAESE NEL
MERCATO ALL’INGROSSO”
47
Novembre 2007 - Secondo l’Autorità l’intesa restrittiva della concorrenza tra ACEA e Suez Environnement “ha
direttamente condizionato l’esito di quasi un quarto delle gare per la gestione dei servizi idrici realizzatisi a livello
nazionale oltre ad incidere significativamente su altre procedure di gara poi aggiudicate ad altri soggetti, proprio nella
fase di apertura alla concorrenza di tale mercato”. ACEA è stata multata per 8,3 milioni di Euro.
48
Secondo i dati Eurostat ultimi disponibili (secondo semestre 2010), riferiti ai prezzi al netto delle accise e dell’IVA
(Nota A.Smith Society “eliminare queste due voci consente di analizzare la sola componente del prezzo che risulta
dalle dinamiche e dalle caratteristiche del mercato interno di ciascun Paese”) i prezzi italiani dell’elettricità sono più alti
di quelli medi dell’Europa dei 27 del 13% per i consumatori più piccoli e di quasi il 50% per i “grandi utilizzatori”.
33
responsabilità istituzionali, una sorta di “misurazione e valutazione tra di noi”. Emerge
la necessità dunque di un’agenzia indipendente unica nazionale che misuri la qualità
dei servizi pubblici locali sulla base di criteri scientifici e standard di qualità individuati
su base nazionale e internazionale.
Il compito di misurare la customer satisfaction, che è il secondo parametro di un
sistema di programmazione e controllo della qualità dei servizi, può essere lasciato
agli enti locali ma va accompagnato da adeguate azioni di pubblicità rompendo il
cerchio dell’autoreferenzialità. La trasparenza intesa come effettiva conoscenza
dell’efficacia dei servizi pubblici costituisce inoltre antidoto a degenerazioni in azioni
corruttive e clientelari.
La legislazione che regola misurazione e valutazione dei servizi da oltre venti anni
costituisce un altro esempio della crisi del Diritto in questo Paese. Norme susseguitesi
segnate da impegni e principi restati sulla carta, diritti in gran parte ineffetivi49. In
periodo dove la retorica della partecipazione è continuamente presente, come carta da
giocare per ottenere consenso, il diritto alla conoscenza che i Radicali stanno cercando
di codificare a livello transnazionale, non è garantito.
E’ necessario rendere conveniente alla politica e ai partiti gestire con criteri di
efficienza ed economicità le società partecipate. Questo obiettivo si può perseguire
grazie a misure di trasparenza che, incentivando gli amministratori eletti a
responsabilizzarsi di fronte ai cittadini, portino ad una buona gestione della pubblica
amministrazione. La politica virtuosa, insomma, come unica via per i politici per
guadagnare legittimo consenso.
Oggi la politica locale utilizza lo schermo di società formalmente private, ma
sostanzialmente pubbliche, per esercitare le peggiori pratiche clientelari senza dover
rispondere dei risultati conseguiti e della qualità dei servizi. Una declinazione del
principio di trasparenza che si coniuga con l’efficienza consiste nella necessità che tutti
gli enti locali adottino il bilancio in forma consolidata. Con questo strumento le società
che gestiscono i servizi pubblici locali risulterebbero “leggibili” nella loro gestione da
parte dei cittadini.
Ci sono servizi essenziali che sono regolarmente in perdita. E’ necessario costringere
la politica ad assumersi preventivamente la responsabilità di sussidiare i servizi
49
Alcuni esempi di legislazione che non ha avuto attuazione o efficacia:
•
•
•
•
Direttiva P.C.M. gen 1994 – acquisizione periodica della valutazione dell'utente circa la qualità del servizio entro 3 mesi adottano e pubblicano standard di qualità e quantità di cui assicurano il rispetto - indicono
riunioni pubbliche con la partecipazione degli utenti di una determinata zona o di una determinata unità di
erogazione del servizio
Decreto P.C.M. dic 1998 - individuazione di indicatori di qualità costituisce il punto di partenza per avviare il
processo di continua misurazione e miglioramento dei livelli di qualità del servizio
Direttiva ministeriale mar 2004 - promuovere, diffondere e sviluppare l’introduzione di metodi di rilevazione
sistematica della qualità percepita dai cittadini - diffusione con mezzi idonei dei risultati della rilevazione
Legge 2012, TUEL – va garantito “il controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante
organismi gestionali esterni, con l'impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti
esterni e interni dell'ente”
34
pubblici locali – con la fiscalità generale - in una misura predeterminata e non come
succede oggi andando a coprire i buchi di bilancio prodotti dalle società controllate
dagli Enti Locali.
Per introdurre elementi di corretta gestione all’insegna dell’economicità anche per
queste società si potrebbe anticipare il momento in cui l’Ente Locale si fa carico dei
debiti della società controllata, assumendo preventivamente una quota che si prevede
necessaria per raggiungere il pareggio di bilancio per la gestione del servizio, così di
fatto imponendo il controllo della gestione economica e dei risultati.
Sempre sul filone della trasparenza va posta l’attenzione sull’effettivo controllo che
Comuni e Province esercitano sulle società che gestiscono i servizi pubblici locali
nonché sulla qualità del servizio offerto.
Il servizio idrico integrato con il noto problema della dispersione delle reti offre una
rappresentazione di quanto i servizi pubblici siano gestiti con logiche poco attente sia
agli utenti sia, come accade per l’acqua, all’ambiente. La legge n.36 del 1994,
conosciuta come Legge Galli, prevede alcune condizioni che necessariamente
dovranno essere contenute nel contratto di servizio tra l’ente locale e il gestore del
servizio. La legge Galli in particolare contiene una norma che prevede l’obbligo da
parte del gestore “di assicurare il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da
assicurare all’utenza anche con riferimento alla manutenzione degli impianti”(art.11
lettera f), la stessa legge prevede penali, sanzioni ed addirittura la risoluzione del
contratto in caso di inadempimento (art.11 lettera l). Proprio la catastrofica condizione
delle reti idriche (le reti italiane hanno un media di dispersione vicina al 50% con
punte dell’80%) sta ad indicare che ove vi fosse un’effettiva applicazione di questi
contratti la quasi totalità degli affidamenti delle gestioni dei servizi idrici integrati
andrebbero revocati.
Sul territorio le Associazioni radicali potrebbero fare richiesta, avvalendosi della legge
sull’informazione ambientale (Dlgs.n.195/2005), alle aziende idriche, di conoscere gli
indici di dispersione ed una volta acquisiti i dati porre l’attenzione sul mancato
controllo esercitato dai Comuni sulla corretta esecuzione dei contratti finanche
chiedendo la revoca degli affidamenti e per quello che riguarda il Comune
l’accertamento di responsabilità amministrative e\o contabili da parte di chi avrebbe
dovuto controllare e non lo ha fatto. Vi è un altro problema. La funzione di controllo
dell’assemblea elettiva dell’Ente locale non è pienamente garantita: nel caso di società
controllate direttamente dalle Istituzioni, i consiglieri raccolgono informazioni con
grande difficoltà e in tempi lunghi. Nel caso delle società di secondo e terzo livello
controllate indirettamente dal Comune, per i consiglieri è impossibile avere chiarimenti
se non dalla società capogruppo.
Il caso delle utility energetiche
Le società energetiche locali, come Acea e A2A, sono aziende che operano sia sul
mercato in concorrenza nella produzione, trading e vendita di energia, sia in un
35
monopolio locale, con concessione da parte, nel caso del gas, delle stesse
amministrazioni.
L’Italia dalla primavera 2015 è sotto indagine in una procedura d’infrazione da
parte dell’UE (DG Concorrenza) perché la legislazione e la regolamentazione dei
mercati dell’energia nazionali non rispettano alcune delle direttive UE di settore. Uno
dei motivi è l’insufficiente separazione, nell’ambito di aziende di unica proprietà, tra le
attività (in monopolio) di gestione delle reti dell’energia da quelle (in concorrenza) di
approvvigionamento, trading e vendita di energia.
In questo contesto, i danni da una permanenza delle amministrazioni locali
nella proprietà delle utility energetiche sono i seguenti:
-
Nella gestione delle reti locali del gas se il concessionario (ex
municipalizzata) e il concedente (Comune o gruppi di Comuni) coincidono, c’è
conflitto di interessi:
•
•
-
l’amministrazione non ha incentivo a rendere efficiente la gestione della rete
gas e a svolgere gare davvero competitive per l’attribuzione del servizio. La
storia delle aste avvenute fin qui mostra che esse sono state inefficaci a
causare l’avvicendamento del concessionario rispetto all’uscente del
Comune.
le aste per la concessione del servizio, previste dalla legge già nel 2000, si
sono fatte solo in parte, poi congelate per modifiche normative, si stanno di
nuovo preparando ora con nuove regole.
Nella gestione sia delle reti del gas che dell’elettricità
•
•
l’amministrazione usa l’eccesso di remunerazione delle reti (oggi palese, con
tassi di interesse reali di mercato quasi nulli ma rendimento garantito per i
concessionari delle reti con oltre il 6% del ritorno sul capitale) come forma di
finanziamento e imposta mascherata. Un’imposta pagata nelle bollette
energetiche. Traendone vantaggio, l’amministrazione ha interesse a che
l’Autorità di settore mantenga alte le tariffe, in una sorta di coalizione tra
istituzioni a svantaggio dei consumatori.
la gestione delle reti di distribuzione dell’energia è regolata da leggi e
delibere dell’Autorità di settore sia in termini di remunerazione sia in termini
di qualità del servizio. La proprietà comunale delle reti date in concessione è
un aspetto meramente finanziario. Soprattutto in amministrazioni
fortemente indebitate, è sensato che la proprietà delle reti sia ceduta ai
concessionari e poi trasferita al concessionario successivo. Il nostro
ordinamento, sia a livello locale che nazionale, garantisce l’esercizio
pubblicistico delle reti indipendentemente dalla loro proprietà, oltre che da
chi ne sia l’esercente.
36
-
Nelle attività commerciali (vendita, trading di energia) i Comuni dedicano
capitale di rischio a un’attività che non ha nulla a che vedere con il loro
mandato di amministrazione.
•
•
Anche la qualità e il livello di servizio della vendita di energia è monitorata
per molti versi dall’Autorità di settore e altre Autorità e non dipende dalla
proprietà pubblica o meno dell’azienda. Osservando le procedure di
infrazione da parte di Autorità Energia e Antitrust si rileva come anzi casi di
qualità commerciale pessima avvengano proprio in aziende
controllate dai Comuni.
I Comuni si espongono a rischi, guadagni e perdite attraverso il capitale
di rischio messo nell’azienda. Questo capitale appartiene ai contribuenti e
che quindi essi siano esposti a un rischio di impresa che non è in nessun
modo funzionale a migliorare i servizi pubblici locali.
Il problema risiede nel fatto che l’amministrazione pubblica sia azionista coi soldi
non suoi mentre gli amministratori locali possono facilmente ottenere vantaggi
clientelari. Il rischio che corrono è quello politico, ma difficilmente gli elettori hanno
cognizione dei bilanci di tutte le partecipate, né la cadenza elettorale è adatta a
esercitare i propri diritti di “azionista occulto”. Un’azionista normale, invece, può in
qualunque momento vendere le azioni e può partecipare con diritto di voto alle
assemblee.
Il caso dei servizi sociali
In merito ai servizi sociali alla persona le amministrazioni locali e regionali
fanno spesso riferimento al principio della sussidiarietà orizzontale che
prevede che i servizi vengano affidati ai corpi intermedi connotando dunque
le modalità dell’intervento pubblico tramite un coinvolgimento del privato, che
può sostituirsi all'amministrazione. La sussidiarietà orizzontale è assurta a rango
di principio costituzionale. L’art. 118 ultimo comma della Costituzione attribuisce
espressamente agli enti locali il compito di favorire “l'autonoma iniziativa dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale,
sulla base del principio di sussidiarietà.”
Sulla applicazione di tale principio l’Unione Europea ha fornito alcuni criteri:
• tra i corpi intermedi deve essere garantita la libera concorrenza;
•
devono essere “sussidiati” quelli capaci di assicurare i servizi migliori per
qualità e costi;
•
i criteri di scelta per accreditare un servizio devono essere rigorosi e
trasparenti; la qualità dei servizi va valutata periodicamente con criteri
scientifici e, di conseguenza, il successo di un privato accreditato deve
essere determinato dalla soddisfazione degli utenti, quindi dal mercato;
•
i cittadini debbono poter accedere facilmente a queste informazioni;
•
le società di valutazione devono essere “esterne” ed indipendenti;
•
pubblico e privato devono competere, dove è possibile, ad armi pari; infine
nel caso di finanziamento a servizi, a maggior ragione quando ci si affida
solo a progetti presentati a seguito di bandi, è fondamentale che si risponda
ad un bisogno misurato e sufficientemente diffuso da parte dei cittadini.
37
L’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale porta dunque con se molti
rischi di inquinamento delle libere dinamiche del mercato legati al non
rispetto delle condizioni appena esposte.
Molte attuali amministrazioni locali applicano la degenerazione anti-liberale di
questo metodo di governo: il privato viene selezionato sulla base di relazioni
d’interesse politico ed economico reciproco. L’iniziativa privata non è solo
indirizzata: i soggetti in campo sono scelti dalla politica. Il privato viene dunque
scelto, assistito, controllato e perfino creato: creato, scelto, assistito e controllato
attraverso le nomine, l’assegnazione degli appalti, l’impostazione dei bandi, gli
accreditamenti, i finanziamenti spot, i contratti, le convenzioni, e, in sostanza, la
distribuzione della spesa pubblica. Non vigendo quindi un sistema di libera
concorrenza le scelte del cittadino risultano indirizzate.
Quali risultati ha prodotto il sistema delle partecipate
Tale sistema ha avuto un forte impatto sui conti pubblici dai risultati della gestione
delle società partecipate:
•
Debiti netti per 41,6 miliardi
•
Oneri per la PA di oltre 15 miliardi di euro all’anno per le società
partecipate (+ alti per le 100% pubbliche)
•
Costi di produzione, soprattutto del lavoro, più alti rispetto al settore
privato (+ alti per le 100% pubbliche). Sintomo di welfare improprio
Trasporto Pubblico Locale - copertura dei costi con tariffe: 22% in Italia,
50/60% in Europa
•
Acquisti di servizi, da parte della PA , dalle società partecipate a prezzi fuori
mercato (sussidi nascosti)
•
Scarsa qualità dei servizi
•
Ineffettività del diritto
50
50
Obblighi di legge non attuati
•
Legge n.142 del 1990 (Governo Andreotti) – “L'azienda e l'istituzione informano la loro attività a criteri di
efficacia, efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso
l'equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti”
•
Art. 115 D.lgs. 267/2000 – “I comuni (..) possono (..) trasformare le aziende speciali in società di capitali, di
cui possono restare azionisti unici per un periodo comunque non superiore a due anni dalla trasformazione”.
- “Nel caso di servizi pubblici locali una quota delle azioni può essere destinata all'azionariato diffuso”
•
Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Prodi) – via le “società non necessarie per il perseguimento delle proprie
finalità istituzionali”
•
Decreto 2010 Berlusconi - divieto di partecipazioni ai comuni fino a 30 mila abitanti, 1 tra 30 e 50 mila
•
Spending review Monti 2013 - privatizzazione o chiusura delle società strumentali, quelle che lavorano per
l’ente pubblico (entro 6 mesi)
•
Mandato Cottarelli, Legge dic 2014 Renzi – programma di razionalizzazione operativo e vincolante per gli enti
locali(L. giugno 2014) - piani operativi di razionalizzazione per ridurre numero e costi (entro il 31 marzo
2015, la metà non ha provveduto)
38
•
Corruzione: Con riguardo alle “società pubbliche” (cosiddette partecipate),
Raffaele Cantone ha affermato che esse sono “il vero disastro per la corruzione
in Italia […]sono state create come escamotage per trasferire gli affari a questi
meccanismi”.
51
Proposte radicali
1. LIBERALIZZARE E RAZIONALIZZARE LE SOCIETA' PARTECIPATE
Proponiamo politiche di liberalizzazione e di messa a gara di servizi che portino ad
una maggiore presenza di soggetti privati in concorrenza. Nei servizi essenziali
proponiamo venga rafforzata la governance pubblica, intesa come una più forte
funzione regolatrice e di controllo che venga ridotta la gestione diretta da parte dei
partiti e dei gruppi di potere attraverso gli enti locali. Per questi motivi proponiamo:
•
•
•
•
•
•
chiudere o vendere le società, o rami di queste, che non forniscono
servizi pubblici essenziali di interesse generale, così come le quote di
partecipazione di minoranza detenute in queste società. Proponiamo che il
ricavato sia utilizzato al fine di ridurre le imposte locali ai cittadini meno
abbienti.
prevedere la dismissione delle società pubbliche che gestiscono servizi
pubblici locali in situazioni di perdita, procedendo altresì ad una riduzione
del numero di esercizi previsti dalla legge52. Introdurre il divieto di rinnovare
gli affidamenti in essere, con particolare riferimento a quelli in house, alle
società pubbliche che registrano perdite di bilancio per un numero di
esercizi analogo a quello previsto per l’obbligo di dismissione, o che
forniscono beni e servizi a prezzi superiori a quelli di mercato. La possibilità di
procedere al ripianamento delle perdite dovrebbe essere, inoltre, ammessa
solo ove la decisione dell’autorità pubblica risponda ai criteri che avrebbe
adottato un normale operatore di mercato nelle stesse circostanze53
liberalizzare mercati quali quelli del trasporto locale, della gestione dei rifiuti,
a partire dalla raccolta e dallo spazzamento stradale54, della distribuzione e
vendita di energia consentendo davvero la partecipazione di più soggetti
ricorrere a gare competitive, anche internazionali, per la fornitura dei servizi
essenziali laddove non vi siano mercati redditizi
limitare ulteriormente la possibilità di affidamento in house, rispetto
all’attuale normativa nazionale che fa riferimento a quella UE55
vietare il controllo di società partecipate di secondo, terzo e quarto
livello (piramide di nomine, commesse e consulenze)56
51
52
53
54
55
19 ottobre 2015 Intervista a Repubblica, Raffaele Cantone- Presidente Autorità Nazionale Anti Corruzione
Legge n. 147/2013, art. 1, c. 555,
proposta dell’Antitrust, relazione 2014
proposta di Radicali Roma per i Municipi romani
Raccomandazioni commissione Cottarelli
39
•
•
•
•
•
•
•
•
•
vietare le società miste con il soggetto pubblico in minoranza (o
limitarne la durata
prevedere per le società che forniscono servizi essenziali forme di azionariato
popolare57, dando priorità nell’acquisto di quote ai cittadini residenti nel
territorio dove operano queste società
limitare l’azione di società pubbliche controllate dagli Enti locali ai
territori di riferimento impedendo che alcuni cittadini siano “azionisti” di
società che operano in altri territori
prevedere strumenti che impediscano le gare 'su misura'
escludere dal patto di stabilità interno le spese in conto capitale finanziate da
dismissioni di partecipate58
vietare la detenzione di partecipate ai Comuni sotto i 30 mila abitanti
tranne che in forma aggregata59
creare una agenzia temporanea della Presidenza del Consiglio con il compito
di privatizzare, acquisire, liquidare, vendere quote, ristrutturare
società partecipate60
i servizi che non si possono garantire in regime di concorrenza (gli altri vanno
privatizzati) siano garantiti o da imprese partecipate dallo Stato centrale,
investendo di responsabilità tutti i cittadini italiani “azionisti”, o dagli
Enti locali solo sui propri territori
Costituire un’agenzia indipendente nazionale che misuri con criteri
scientifici e condivisi definendo standard di qualità
2. LIMITARE I CONFLITTI DI INTERESSE
Per garantire un’effettiva indipendenza della politica dagli interessi economicofinanziari dei soggetti privati e pubblici, per liberare le attività produttive di beni
e servizi dalla cappa corporativa che soffoca il Paese e per evitare dunque
potenziali conflitti d’interesse, proponiamo:
•
•
gli Enti Locali prevedano l’incompatibilità tra il ruolo di Assessore e
l’appartenenza a CdA, Consigli d’indirizzo o ruoli dirigenziali di Banche,
Fondazioni bancarie e imprese partecipate da Comunità montane, Comuni,
Province, Regioni e Ministeri (o qualora presenti che si dimettano). Per i
Consiglieri comunali che non vengano nominati nel CdA o in ruoli dirigenziali di
qualunque impresa partecipata (da Comunità montane, Comuni, Città
Metropolitane, Regioni o Ministeri) o Fondazione bancaria
che per nomine spettanti al Comune non vengano indicate persone
presenti nei CdA o in ruoli dirigenziali di Banche, Fondazioni bancarie e di
imprese partecipate da soggetti pubblici (o qualora presenti che si dimettano)
56
estendere il divieto di partecipazioni indirette “ai servizi pubblici privi di rilevanza economica” è una proposta della
commissione Cottarelli
57
L'Art.116 del D.lgs.267/2000 recita " Nel caso di servizi pubblici locali una quota delle azioni può essere destinata
all'azionariato diffuso e resta comunque sul mercato (comma così modificato dall'art. 35, comma 12, legge n. 448 del
2001).
58
Raccomandazioni commissione Cottarelli
59
Raccomandazioni commissione Cottarelli
60
Proposta di Società Libera
40
il ripristino delle incompatibilità non più in vigore a seguito della sentenza
della Corte Costituzionale n.199/2012. Gli Enti Locali possono adottare
autonomamente le incompatibilità.
•
3. RAFFORZARE LA SOVRANITÀ DEI CITTADINI CON STRUMENTI DI
CONOSCENZA - ACCOUNTABILITY E TRASPARENZA
La conoscenza e la trasparenza dei contratti di servizio rappresenta lo
strumento più efficacie per una valutazione da parte dei cittadini sulle scelte
delle amministrazioni locali. Per questo motivo proponiamo:
•
•
•
•
•
•
•
che i contratti di servizio prevedano che su tutti i documenti commerciali,
fiscali e simili (fatture, scontrini, biglietti...) resi in cambio della prestazione
emessi dalle società che forniscono servizi pubblici, sia chiaramente visibile
la percentuale del costo del servizio che è stata coperta mediante la
tariffa (tassa pagata dal consumatore effettivo) e di quella eventualmente
coperta con la fiscalità generale. La stessa informazione dovrà essere
prevista sui siti istituzionali delle aziende che gestiscono i servizi.
Che il bilancio degli enti locali e delle Regioni sia elaborato in forma
consolidata
Regolare e pubblicare indici di efficienza e rendere disponibili strumenti di
business intelligence e aprire tutte le banche dati al pubblico in modalità open
data61;
che gli Enti locali rendano pubblici nel sito web istituzionale gli elenchi di tutte
le società appaltanti e subappaltanti vincitrici di gare e tutti gli
affidamenti diretti e le società che ne hanno beneficiato indicando gli
organi pubblici che lo hanno stabilito/consentito in deroga alla ordinaria
disciplina comunitaria;
che la Giunta di Ente locale o Regione approvi un parere di indirizzo sul
bilancio preventivo delle società partecipate, prima che questo sia
eventualmente approvato dagli organi decisionali della società, parere che
dovrà essere pubblicato sul sito istituzionale dell’amministrazione pubblica;
la pubblicazione sui siti delle società di informazioni relative alle
performance del servizio, al grado di soddisfazione degli utenti e all’utilizzo
delle risorse;
che sia inserito nei contratti di servizio l’obbligo per ogni società controllata,
su un proprio sito web, di rendere consultabili:1. La Relazione dell'Organo
di Controllo (o Collegio Sindacale) 2. La Relazione degli amministratori sulla
gestione 3. La Nota integrativa al bilancio 4. Lo Statuto 5. Il contratto di
servizio 6. Il Bilancio preventivo 7. L’elenco di tutte le società appaltanti e
subappaltanti vincitrici di gare (indette dalla società controllata) 8. L’elenco di
tutti gli eventuali affidamenti diretti;
61
Raccomandazioni commissione Cottarelli
41
•
che la permanenza in carica degli
raggiungimento degli obiettivi fissati.
amministratori
sia
legata
al
4. PREVEDERE STRUMENTI PER IL GOVERNO DELLA SHARING ECONOMY
•
•
•
•
•
mappare e fare il matching delle risorse collaborative presenti sul
territorio con riferimento a tutti gli ambiti
creare una piattaforma in cui tutti i dati siano messi a disposizione,
con libero accesso, per facilitare la creazione di business.
valutare l’affidamento di servizi direttamente ai cittadini (tipo la pulizia
di quartiere o il controllo della raccolta differenziata)
superare la regolamentazione di settori che la share economy rende
possibili anche senza un sistema di concessioni
Garantire trasparenza e accessibilità di tutte le informazioni e dati utili a
capire la logistica delle persone nelle città
5. RIFORMA DEI SERVIZI SOCIALI
Chiediamo che sia il cittadino a disporre, attraverso un sistema di voucher, a
scegliere tra i fornitori privati di servizi mettendoli in concorrenza tra loro ed
evitando gestioni clientelari e a volte criminali di servizi sussidiati da
amministrazioni amiche.
•
proponiamo, a seguito di dismissioni di società o di affidamenti di servizi
tramite gara, l’istituzione di sistemi di buoni/voucher per le fasce più deboli
della popolazione fornendo loro servizi di welfare di prossimità, misure di
sostegno alla povertà;
• nuovo sistema di erogazione dei servizi alle persone - disabili, non
autosufficienti - e all’infanzia, basato sull’autodeterminazione del cittadino
utente, sulla sua libertà di scelta e sul calcolo del costo reale dei servizi,
anche favorendo la creazione di cooperative di utenti.
42
Democrazia diretta e federalismo
Introduzione
Gli strumenti di democrazia diretta hanno assunto nel tempo un’attenzione crescente
a causa della crisi della democrazia rappresentativa. Tali istituti di democrazia diretta
possono rappresentare, se associati ad un reale assetto federale delle istituzioni, non
solo un forte sostegno alla democrazia rappresentativa ma anche un valido strumento
per i cittadini per incidere realmente nelle decisioni locali. Democrazia diretta e
federalismo possono essere due elementi che si rafforzano reciprocamente.
La crisi della democrazia rappresentativa si configura almeno su due piani.
In primo luogo, come crisi di legittimità della rappresentanza politica. La fiducia
dell’elettorato verso i propri rappresentanti nelle istituzioni politiche è crollata ai
minimi storici. Al punto che ad ogni elezione politica cresce il numero di cittadini che
rifiuta di andare a votare preferendo una forma di astensione come critica alla classe
politica nel suo complesso. Il livello di crisi di tale rappresentanza ha fatto emergere
alcune istanze che hanno portato all’inserimento di criteri non strettamente politici
nella selezione della rappresentanza. Si pensi ad esempio al criterio dell’equità di
genere imposta attraverso leggi elettorali a livello locale e nazionale. Senza entrare
nel merito dei criteri di parità di genere, è evidente che l’inserimento di tali norme
modifica il criterio della rappresentanza politica pura che necessita quindi di un
supporto di altre forme di rappresentanza per produrre un sostegno alla propria
legittimità. In realtà la crisi di legittimità della rappresentanza politica può essere
letta come un normale processo di critica al sistema dei partiti che ha sostanzialmente
controllato la selezione della classe politica ponendosi come intermediario nel rapporto
fiduciario. Nella rottura del rapporto di fiducia diretto tra il politico e il proprio
elettorato, si può identificare l’elemento di delegittimazione della funzione della
rappresentanza. Solo sistemi elettorali che restituiscano agli elettori l’effettivo potere
di selezionare la persona e non il partito, potrebbero consentire di riequilibrare il
rapporto eletto/partito e legittimare la funzione di rappresentanza politica. A conferma
di quanto detto, si può osservare nell’elezione diretta dei sindaci i quali mantengono
livelli di consenso e apprezzamento più elevati dei politici nazionali.
In secondo luogo, come inefficienza dei sistemi parlamentari. Tale inefficienza
non si configura come spesso si dice, nei termini di tempi di approvazione di un
provvedimento. Come mostrano numerosi esempi62, i provvedimenti di forte interesse
dei partiti hanno tempi di approvazione incredibilmente rapidi. L’inefficienza dei
sistemi parlamentari ha assunto due forme. Una nei termini della eccessiva
produzione legislativa e il conseguante caos normativo. La complessità delle norme
non è solo il frutto delle normali dinamiche di una società articolata e sviluppata, ma
62
Si veda in merito lo studio di G.Pasquino e R.Pelizzo “Qual è il Parlamento più produttivo? I numeri della produzione
legislativa dei parlamenti democratici” al link: https://gianfrancopasquino.wordpress.com/2016/06/03/qual-e-ilparlamento-piu-produttivo-i-numeri-della-produzione-legislativa-dei-parlamenti-democratici/
43
sembra il prodotto voluto di un potere che produce un sistema complesso per offrirsi
come indispensabile mezzo per la concreta azionabilità dei diritti. Le leggi sono
costruite per lasciare il maggior margine di discrezionalità al potente di turno, ma così
facendo producono una sensazione di incertezza del diritto che trasforma il cittadino in
suddito. Invece della certezza del diritto si è prodotto un “controllo dell’incertezza” che
rappresenta la forma di potere più vicina al dominio.
L’inefficienza dei sistemi parlamentari si è manifestata anche nella perdita delle
funzioni di controllo sull’esecutivo. La predominanza dei partiti ha generato un
graduale svilimento delle funzioni di controllo del Parlamento sull’attività
dell’esecutivo. Lo si può chiaramente notare nel numero di interrogazioni parlamentari
lasciate senza una risposta da parte dei Ministri. Tuttavia, è proprio nella
strutturazione del rapporto fiduciario tra governo e maggioranza parlamentare che si
possono vedere i segni di tale crisi. La disciplina di partito, soprattutto sui voti di
fiducia, mostra come, anche in questo caso, sia l’intermediazione del partito politico
nel rapporto fiduciario a ridurre l’autonomia concreta del singolo parlamentare e
dell’istituzione stessa nell’esercizio di controllo e verifica dell’esecutivo. Si deve
sottolineare che le democrazie moderne nascono nei parlamenti e si strutturano
sostanzialmente attorno alla questione del rapporto esecutivo/legislativo. Quindi la
crisi di efficienza nei termini qui descritti, si configura come una crisi della democrazia
in quanto sistema politico.
Per contrastare tale declino i radicali hanno da tempo sostenuto la necessità di
rafforzare la funzione degli strumenti di democrazia diretta per restituire, se non ai
singoli rappresentanti politici, almeno alle istituzioni nel loro complesso, un minimo di
legittimità attraverso la partecipazione diretta degli elettori. Chiaramente, per i motivi
già detti, tale estensione ha visto una forte resistenza del sistema dei partiti che ha
sempre visto in questi strumenti un elemento di rottura del loro ruolo di
intermediazione politica tra l’elettorato e le istituzioni. Per questo motivo si è prodotto
negli anni un vero e proprio sistema di “sabotaggio” del concreto funzionamento
degli istituti di democrazia diretta.
In particolare, si possono identificare alcune forme di ostacolo all’esercizio dell’istituto
referendario. Ostacoli di natura costituzionale che impongono, come noto, il
divieto di proporre referendum su materie fiscali, tributarie e di ratifica di trattati
internazionali63. A ciò la Corte costituzionale , di sua iniziativa, ha aggiunto altri
criteri selettivi imponendo l’unicità del quesito referendario64. Sono stati posti anche
6363
Art. 75, comma 2. Cost. si sono ritenute escluse dal referendum: riguardo la materia tributaria, tutte le norme che
disciplinano «il rapporto tributario nel suo insieme», vale a dire che riguardano sia il momento costitutivo
dell’imposizione sia il momento dell’accertamento e la riscossione del tributo con la precisazione che l’esclusione non
comprende in genere “le leggi di spesa”(sentenza n. 51 del 2000, riguardante la ritenuta alla fonte); con riguardo alle
leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, le leggi di esecuzione dei trattati internazionali e le leggi
attuative e produttive di effetti strettamente collegati all’ambito di operatività dei trattati stessi.
64
A partire dalla sentenza n. 16 del 1978 la Corte ampliò sostanzialmente l’applicazione del giudizio di ammissibilità
sui referendum. Nella sentenza la Corte afferma che :«esistono in effetti valori di ordine costituzionale riferibili alle
strutture o ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum al di là della lettera dell’art.
75, secondo comma, Cost. E di qui conseguono, precisamente, non uno, ma quattro distinti complessi di ragioni
d’inammissibilità». Sono considerati inammissibili i quesiti da sottoporre al corpo elettorale che contengano una
pluralità di domande eterogenee senza una matrice razionalmente unitaria. Sono inammissibili le richieste che tendano
44
ostacoli di natura burocratica dalla legge n. 352/70 che disciplina la raccolta
firme e la presentazione dei quesiti referendari. Il sistema di sottoscrizione dei quesiti,
con l’obbligo della convalida da soggetti autorizzati, con la raccolta dei certificati
elettorali e con i rigidi tempi di campagna, ha reso difficile e oneroso l’effettiva
attuazione dei referendum. In questo modo solo grandi organizzazioni radicate sul
territorio avranno la possibilità di avviare una raccolta efficace.
Strumenti di democrazia diretta nelle Regioni e negli enti locali
Negli enti locali e nelle Regioni questo tipo di diffidenza nei confronti dei meccanismi
di democrazia diretta è stata anche più marcata. Spesso gli istituti di democrazia
diretta a livello locale sono inefficaci sul piano giuridico oppure del tutto assenti.
Tutti gli statuti Regionali a seguito della riforma del titolo V stabiliscono strumenti di
democrazia diretta. In molti casi è riconosciuta come presupposto fondamentale per la
partecipazione a tali istituti, un’ampia e dettagliata informazione dei cittadini. In alcuni
casi sono anche dettagliati obblighi di informazione e trasparenza a carico degli
organi regionali per rendere effettivo il diritto di voto.
Le forme della partecipazione non sono solo limitate ai cittadini, in molti statuti sono
incluse forme di partecipazione, quali potere di iniziativa legislativa e di richiesta
referendum, anche agli enti locali ( Comuni e Province). Oltre a ciò le Regioni devono
istituire il Consiglio delle autonomie locali (CLA) previsto dall’art. 123, c. 4
Cost.65, il quale può fornire pareri nei procedimenti legislativi regionali senza però
alcuna competenza emendativa dei testi.
Le classiche forme di partecipazione diretta sono tre e sono riconosciute in modi
differenti in tutti gli statuti regionali: la petizione, l’iniziativa legislativa e il
referendum.
Per quanto riguarda la petizione si tratta della possibilità di rivolgersi al consiglio
regionale (in alcune Regioni anche alla Giunta) per chiedere dei provvedimenti o
esporre necessità. Tuttavia tale strumento non prevede una disciplina efficace in
merito alla risposta da parte degli organi regionali.66
L’iniziativa legislativa popolare è riconosciuta in tutti gli statuti regionali da parte
di un determinato numero di elettori regionali che varia da Regione a Regione dai
2.000 fino ad un massimo di 15.000.
Il referendum è lo strumento di democrazia diretta più incisivo per definizione. In
tutte gli statuti regionali è previsto il referendum abrogativo sulle leggi regionali, sui
regolamenti e, in alcune Regioni, anche su atti amministrativi. I referendum statutari
sono imposti dalla costituzione stessa art. 123, c.3, e prevede che le modifiche
ad abrogare, del tutto o in parte, la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, le altre leggi costituzionali e
disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato.
65
Il comma afferma: “ in ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di
consultazione fra Regione e gli enti locali.”
66
Solo gli statuti della Campania e dell’Emilia Romagna impongono l’obbligo di risposta scritta.
45
statutarie siano sottoposte a referendum d parte di un cinquantesimo degli elettori
regionali o un quinto dei consiglieri. Il referendum consultivo può essere attivato da
una maggioranza in consiglio (semplice o qualificata).67 Anche in questo caso la
disciplina di attuazione del referendum consultivo è estremamente debole.68
Si possono evidenziare due figure di referendum regionali atipici rispetto al quadro
generale. Quello approvativo dello statuto della Campania e quello propositivo della
Regione Lazio.69
Complessivamente a livello regionale gli strumenti di democrazia diretta soffrono di
una scarsa efficacia e di modalità burocratiche di attivazione tali da rendere difficile il
loro effettivo utilizzo. Serva una riflessione per potenziare l’efficacia giuridica di
tali strumenti e semplificare le procedure della loro attivazione. In questo quadro è
interessante l’istituto del referendum approvativo che si mostra come un valido
rinforzo all’attività legislativa.
Più complessa sarebbe una ricognizione a livello comunale visto il numero elevato,
tuttavia si possono evidenziare in molti casi dinamiche simili a quelle regionali.
Scarsa efficacia giuridica e di vincolo per gli organi decisionali e difficoltà
burocratiche per la loro attuazione. Vi sono ovviamente valide eccezioni e
sperimentazioni interessanti di partecipazione (ad esempio lo Statuto di Parma
modificato nel 2014 e alcuni comuni della Provincia autonoma di Bolzano). Me nel
quadro generale restano delle pregiate eccezioni in una regolamentazione
evidentemente restrittiva e diffidente sull’utilizzo di tali strumenti.
Strumenti di democrazia partecipativa
In alcune Regioni sono stati attivati in questi ultimi anni strumenti di democrazia
partecipativa70. Tali strumenti non hanno un carattere decisionale da parte
dell’elettorato. In sostanza non si sostituiscono al processo decisionale degli organi
rappresentativi ne lo possono annullare o modificare,
ma prevedono forme di
partecipazione nel corso del procedimento di elaborazione delle norme. In particolare
si possono identificare due strumenti distinti di democrazia partecipativa.
•
Dibattito o istruttoria pubblica: nelle fasi preliminari di elaborazione di una
norma o di un’opera di rilevanza regionale è possibile l’avvio di un dibattito
67
Solo tre statuti regionali prevedono la possibilità di ricorso a tale istituto per i cittadini ( Calabria, con il 10%
dell’elettorato, Toscana con 30.000 elettori ed Emilia Romagna 80.000 residenti).
68
Non vi è alcun obbligo di dare attuazione alla volontà espressa con il voto referendario. Solo in alcune Regioni vi è un
obbligo da parte degli organi regionali di offrire una motivazione per decisioni difformi all’esito del voto oppure il solo
vincolo di presentare una proposta di legge conforme all’esito del voto (Piemonte).
69
Il primo prevede che se il numero di sottoscrittori di una iniziativa popolare superi i 50.000 elettori e la proposta non
venga accolta dal consiglio, essa possa essere oggetto di un referendum approvativo secondo i limiti di quello
abrogativo. La seconda stabilisce che una proposta di iniziativa popolare possa essere oggetto di referendum se entro
un anno il consiglio non abbia assunto una decisione in merito. Mentre il primo strumento appare utile a rafforzare il
procedimento legislativo mantenendo la “minaccia” del referendum, il secondo appare del tutto inutile vista la
possibilità del consiglio di respingere la proposta bloccando la possibilità del referendum.
70
In particolare si veda il caso della Regione Toscana ( legge n. 69/2007 ), della Regione Emilia Romagna ( Legge
n.8/2008 e Legge n.3/2010) e della Regione Umbria ( legge n.14/2010).
46
•
aperto tra i soggetti a vario titolo coinvolti ( enti locali, aziende, associazioni
ecc..) oppure di un numero determinato di residenti. Il dibattito è regolato da
una Autorità garante regionale che fissa i termini temporali del dibattito e le
modalità ed ha l’obbligo di pubblicare gli esiti del dibattito.
Progetti o procedimenti deliberativi: prevedono un coinvolgimento attivo
nel percorso di discussione ordinaria di un provvedimento dei soggetti a vario
titolo coinvolti o interessati nell’oggetto in discussione. Lo scopo è quello di
arrivare ad una completa ricognizione degli interessi in questione e di giungere
ad una forma di mediazione tra di essi a cui il legislatore potrà conformarsi.
Riforma Boschi e democrazia diretta
La riforma costituzionale, che sarà oggetto di referendum confermativo nei prossimi
mesi, riguarda anche gli articoli della Costituzione che disciplinano gli strumenti di
democrazia diretta. L’intento dichiarato dall’esecutivo è quello di modificare tale
disciplina in modo da restituire efficacia alla democrazia diretta. In particolare la
riforma stabilisce:
•
•
•
Aumento delle firme a 150.000 per presentare una proposta di legge di
iniziativa popolare e alcune garanzie procedurali per garantirne l’esame da
parte del Parlamento
La clausola che riduce il quorum di un referendum abrogativo al 50% più uno
dei votanti delle ultime elezioni politiche se il quesito raggiunge le 800.000
firme, altrimenti sotto tale soglia e sopra le 500.000 firme permane l’attuale
disciplina.
L’introduzione del referendum propositivo e di indirizzo la cui effettiva
attuazione è rimandata ad una legge costituzionale.
Chiaramente tale riforma non incide minimamente sugli ostacoli già illustrati in merito
ai criteri di ammissibilità e quelli di natura burocratica imposti dalla legge n.352/70.
Ciò comporta che, nonostante la presenza di alcuni aspetti positivi, quali la riduzione
del quorum per i quesiti con almeno 800.000 firme, l’inserimento di garanzie
procedurali che impongano l’esame delle proposte di legge di iniziativa popolare, la
riforma non incida realmente sulla reale possibilità dei cittadini di attivare tali
strumenti. Si deve evidenziare che la disciplina del referendum abrogativo proposta
dalla riforma introduce una “gerarchia” dei referendum abrogativi. Vi saranno
quesiti di prima categoria con un quorum più facile da raggiungere e quesiti di
seconda categoria con un quorum più elevato. Si può invece osservare con interesse
l’introduzione del referendum propositivo che potrebbe rappresentare un ottimo
strumento di democrazia diretta se la legge costituzionale di attuazione ne consentirà
una reale disponibilità ai cittadini.
47
Proposte Radicali
L’attivazione degli strumenti di democrazia diretta in Italia ha visto un ruolo centrale
dei radicali i quali non solo sono stati il movimento politico che più di altri ne ha fatto
uso ma che, attraverso di essi, ha costituito una vera e propria strategia politica
contro il sistema dei partiti. Strategia che in molti casi ha visto quesiti referendari
essere approvati contro l’opposizione di quasi tutti i partiti. L’efficacia di tale strategia
ha comportato una reazione del sistema dei partiti che ha avviato una politica di
“sabotaggio” di tali strumenti a livello nazionale. Il fallimento di gran parte dei quesiti
referendari dell’ultimo decennio avrebbe dovuto spingere una classe politica
responsabile a rivedere e a potenziare l’efficacia di tali strumenti.
Rispetto a tale deformazione della democrazia diretta, i radicali hanno elaborato
numerose proposte per restituire efficacia e superare gli ostacoli che impediscono un
pieno esercizio delle “prerogative” della sovranità popolare sia sul piano nazionale sia
su quello locale.
In particolare, è necessario aggiornare la legge 352/70 in modo da rendere più
semplice, meno onerosa e complessa la raccolta delle sottoscrizioni necessarie ad
attivare gli istituti di democrazia diretta. In merito vi sono più ipostesi71 che possono
essere prese in considerazione:
•
Semplificazione del procedimento cartaceo: Molti dei passaggi della
procedura imposta dalla legge 352/70 possono essere eliminati o semplificati
senza toccare minimamente le esigenze di controllo e validità delle
sottoscrizioni. Per questo si propone l’abrogazione art. 7 comma 4 della
L.352/70. Tale articolo impone la vidimazione dei moduli da parte delle
segreterie comunali o delle cancellerie degli uffici giudiziari. Tale vidimazione
non ha alcun significato di correttezza e validità del procedimento. Allo stesso
modo non è comprensibile l’esigenza dell’autentificazione della firma. Controllo
che può essere svolto successivamente al deposito delle firme.
•
Digitalizzazione del procedimento: L’art. 9 del d.lgs n. 82/2005 (cd. Codice
dell’amministrazione digitale - CAD) prevede, già oggi, che “le pubbliche
amministrazioni favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per
promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti
all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e
civili sia individuali che collettivi”. Con piccoli interventi legislativi si può dare
piena attuazione alla digitalizzazione del procedimento referendario
consentendo una maggiore efficacia di controllo e riducendo i costi di raccolta
delle sottoscrizioni. Attraverso il domicilio digitale, che preveda la possibilità
di comunicare il proprio indirizzo PEC all’Anagrafe nazionale della popolazione
residente, sarà molto più semplice attivare forme di comunicazione dei quesiti
71
Si veda il lavoro di Radicali Italiani: Proposte per una legalizzazione e semplificazione del procedimento
referendario e degli istituti di democrazia diretta.
48
referendari proposti ( newsletter, bacheche on-line ecc…) e semplificare la
procedura di sottoscrizione anche digitale.
•
Estensione degli autenticatori: Qualora si ritenga necessario mantenere la
procedura di autentica, si può intervenire consentendo una maggiore
estensione del numero di autenticatori autorizzando tutti coloro che prestano
una attività legale ( avvocati iscritti all’ordine) e ai cittadini che ne fanno
richiesta al sindaco del proprio comune di residenza.
Tali modifiche possono essere comprese in una specifica battaglia di Radicali italiani
promuovendo una raccolta di firme per un disegno di legge di iniziativa popolare
con lo scopo di emendare la legge 352/70 secondo le ipotesi presentate.
La riforma Boschi, di cui si sono già illustrati i limiti, presenta una novità che potrebbe
aprire un nuovo fronte di lotta politica nella direzione dell’estensione della democrazia
diretta. Infatti, l’inserimento in costituzione del referendum propositivo, la cui
disciplina è rimandata ad una specifica legge costituzionale, apre la strada per un
dibattito sulle potenzialità e sulle concrete modalità di attivazione di questo nuovo
strumento. I radicali possono promuovere una proposta in tal senso cercando di
mobilitare le istituzioni a legiferare presto per attivare concretamente ed
efficacemente il referendum propositivo.
Oltre a questo piano di azione politica sul livello nazionale, è possibile aprire un livello
locale di affermazione e promozione degli strumenti di democrazia diretta. Come è già
stato evidenziato, quasi tutti gli statuti regionali e comunali prevedono forme di
democrazia diretta. Tuttavia, tranne poche eccezioni, tali strumenti soffrono di una
scarsa efficacia giuridica e prevedono complesse procedure per la loro attivazione.
Tuttavia, nulla impedisce di modificare gli statuti regionali e comunali nel
tentativo di ampliare tale efficacia, di semplificare le procedure e di promuovere nuovi
strumenti di democrazia diretta. In tale senso si possono attivare iniziative territoriali
dal più piccolo comune fino alla regione da parte delle associazioni radicali presenti,
ispirandosi alla proposta di modifica statutaria elaborata per il Comune di
Milano72 adattandola alle singole realtà. In particolare le modifiche proposte devono
tenere presente i seguenti aspetti:
•
•
Estensione della partecipazione: Possibilità di voto e di sottoscrizione per
tutti i residenti siano essi cittadini italiani, comunitari o extra-comunitari titolari
di permesso di soggiorno UE di lungo periodo.
Maggiore efficacia del referendum:Obbligo da parte dell’organo comunale
competente di deliberare, nel caso di referendum consultivo, o provvedere agli
atti necessari con apposito provvedimento, entro 60 giorni dalla proclamazione
dell’esito referendario.
72
Si veda nel dettaglio la proposta di Statuto ideale elaborata per il Comune di Milano dai radicali in:
49
•
•
Semplificazione del procedimento: Prevedere un apposito regolamento
comunale che disciplini le modalità di raccolta delle sottoscrizioni anche in via
telematica.
Giudizio preventivo di ammissibilità: Il collegio dei Garanti deve giudicare
l’ammissibilità dei quesiti presentatati da un millesimo dei residenti prima della
raccolta firme definitiva valutando anche la fattibilità tecnico-contabile nel caso
il quesito comporti variazioni sulle entrate e spese del bilancio.
Nel rispetto di tali aspetti, la proposta di modifica statutaria comunale dovrebbe
prevedere tre forme di referendum.
•
•
•
Consultivo di indirizzo: Su richiesta di un centesimo dei residenti oppure tre
quinti dei Consigli di Zona con apposita delibera approvata a maggioranza.
Propositivo: Su richiesta di un centesimo dei residenti.
Abrogativo: Su richiesta di un centesimo dei residenti o tre quinti dei Consigli
di Zona.
Sul piano regionale esistono già molti di questi strumenti ma restano, come abbiamo
detto, carenti sotto il profilo della concreta efficacia giuridica. Quindi su tale livello è
necessario valutare un rafforzamento dell’efficacia giuridica di tali istituti Regione per
Regione elaborando proposte da sottoporre agli organi decisionali competenti.
Tuttavia, a livello regionale assume una importanza rilevante lo strumento
dell’iniziativa popolare per le proposte di legge regionale. Si tenga presente che le
Regioni, in materie di loro competenza esclusiva, possono elaborare delle leggi quindi
atti gerarchicamente pari alla legge nazionale. In tale senso risulta molto interessante
l’istituto del referendum approvativo in grado di rafforzare l’efficacia della proposta
di iniziativa popolare consentendo, in caso di rigetto da parte degli organi regionali, il
ricorso a referendum per confermare la volontà dell’elettorato sul provvedimento in
questione. Ciò consente di rafforzare l’attenzione degli organi regionali sulle proposte
di iniziativa popolare nel processo legislativo ordinario, vista la possibilità che tali
progetti diventino poi oggetto di referendum.
Tutti gli istituti di democrazia diretta si pongono la finalità di rafforzare il peso della
sovranità popolare nella democrazia rappresentativa. Tuttavia, tali istituti si prestano
in molti casi ad essere validi strumenti degli enti locali stessi nei confronti di organismi
territoriali superiori. In tale senso si deve considerare la potestà di cinque Regioni di
proporre un referendum abrogativo già in vigore nella presente Costituzione. Per
questo motivo il tema della democrazia diretta si ricollega direttamente alle questioni
legate al federalismo. Ogni statuto comunale e regionale deve in qualche modo
stabilire la possibilità per gli enti di livello inferiore, delle procedure per poter attivare
strumenti di democrazia diretta. Il rafforzamento dell’efficacia giuridica di tali
strumenti deve quindi essere visto come un fattore di supporto di una dinamica
federale nelle relazione fra gli enti territoriali e lo Stato centrale.
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