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OMELIA ALLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER IL PELLEGRINAGGIO GIUBILARE A ROMA
Roma, Castel di Leva - Santuario Santa Maria del Divino Amore
22 ottobre 2016
Oggi la nostra Comunità diocesana in piazza San Pietro ha respirato pienamente la
cattolicità della Chiesa. Nell’incontro col Santo Padre, Vicario di Cristo in terra e
successore dell’apostolo Pietro che ci ha confermato nella fede, abbiamo percepito
ancora di più la nostra appartenenza alla Comunità una, santa, cattolica e apostolica
e il compito di custodire la ininterrotta tradizione per trasmetterla fedelmente. È
stato veramente emozionante quando – insieme a migliaia di fedeli di tante
nazionalità diverse – abbiamo cantato il Padre nostro, la preghiera di Gesù.
Manca poco meno di un mese alla conclusione del Giubileo Straordinario della
misericordia – il prossimo 13 novembre celebreremo il rito della chiusura della porta
santa – ma sentiamo di poter affermare col Papa che non solo la porta della nostra
Basilica Cattedrale resterà aperta, ma soprattutto la porta del nostro cuore dovrà
essere spalancata per accogliere, vivendo pienamente l’esercizio delle opere di
misericordia corporali e spirituali, ogni fratello bisognoso del nostro affetto, della
nostra accoglienza, del nostro accompagnamento.
Il Concilio nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium fin dal suo inizio
ci dice con chiarezza cosa è la Comunità fondata da Gesù e il compito dei fedeli che
vogliono seguirlo. Le prime parole del prezioso documento conciliare sono: “Cristo è
la luce delle genti” e prosegue “questo santo Concilio, adunato dallo Spirito Santo,
desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare
tutti gli uomini con la luce di Cristo che risplende sul volto della Chiesa” (LG 1).
Fratelli carissimi il compito di ciascuno di noi è portare la luce di Cristo a ogni
creatura, illuminare ogni uomo con la stessa luce di Gesù. Per questo i padri
conciliari parlano della Chiesa come “sacramento” cioè “segno e strumento
dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (ib).
Attraverso la Chiesa-Sacramento il progetto divino giunge al mondo intero e si
instaura – già ora e qui, anche se piccolo come il granello di senape – il Regno di Dio
che si manifesterà in piena evidenza e pienezza solo quando ritornerà il Signore alla
fine dei tempi.
Quale grande compito e quale immensa responsabilità trasmettere con le nostre
umili forze il disegno salvifico universale del Padre! Potremmo spaventarci di fronte
all’immane piano di salvezza che passa attraverso le nostre povere persone ma il
Signore Gesù, che ha già inaugurato il Regno dei cieli, ci assicura la sua presenza:
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 18, 20) e conferma
il sostegno vivificante dello Spirito Santo inviandolo a Pentecoste per purificare e
santificare continuamente la Sua Chiesa.
Questa vicinanza e questa presenza ci sostengono e ci fanno superare ogni avversità
che può nascere non solo dall’ostilità del mondo ma talvolta anche dalla nostra
debolezza, dalle nostre ottusità e dal nostro peccato.
Vi cito ancora il Concilio: “Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale Cristo,
nostro agnello pasquale, è stato immolato, viene celebrato sull’altare, – quindi
anche adesso che siamo radunati dalle diverse Comunità della nostra diocesi,
mentre concludiamo con questa Celebrazione Eucaristica il nostro pellegrinaggio
giubilare – si rinnova l’opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del
pane eucaristico, viene rappresentata ed effettuata l’unità dei fedeli, che
costituiscono un solo corpo in Cristo. Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione
con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per mezzo suo viviamo, a lui
siamo diretti” (LG 3).
La prima lettura e il vangelo della Santa Liturgia che stiamo celebrando ai Primi
Vespri della XXX domenica del Tempo Ordinario, ci parlano della preghiera e in
qualche modo ci collegano a quelle di domenica scorsa, particolarmente al brano del
vangelo di Luca con la parabola della vedova insistente.
Il Signore ascolta la preghiera degli ultimi perché “La preghiera del povero attraversa
le nubi” e “per lui non c’è preferenza di persone” (è il brano della prima lettura di
oggi tratto dal libro del Siracide).
Al contrario il comportamento saccente del fariseo impedisce a Dio di accoglierlo,
perdonarlo, esaudirlo. Quell’uomo non chiede, riconoscendo la propria debolezza e
affidandosi alla potenza di Colui che può sostenerlo, ma pretende accampando il
diritto di chi si presume giusto disprezzando gli altri.
Non ci accada mai, carissimi fratelli, di assumere l’atteggiamento del fariseo; nella
nostra richiesta a Dio aggiungeremmo agli altri un altro peccato, la superbia. Non
consideriamoci giusti perché tentiamo di essere osservanti di regole, ma
sperimentiamo anzitutto la giustificazione che parte dalla fede e si concretizza solo
attraverso l’effluvio dell’immensa misericordia del Signore. Se facciamo esperienza
di questo dono gratuito dell’Onnipotente impareremo anche ad essere
misericordiosi come il Padre.
San Paolo nella lettera a Timoteo, la seconda lettura di questa celebrazione, parla
anche della sofferenza vissuta non solo per il processo che ha subito, ma soprattutto
per la non vicinanza della Comunità; gli è mancato il sostegno dei fratelli. Tuttavia
interpreta quanto gli è accaduto in chiave positiva: “Il Signore però mi è stato vicino
e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e
tutte le genti lo ascoltassero” (4, 17). La sua testimonianza, suffragata dalla forza che
gli ha dato il Signore, gli permette di spingere lo sguardo oltre il tempo affermando:
“… È giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia,
ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (4, 6-7).
Che il Signore conceda a ciascuno di noi il conforto nelle difficoltà a costruire e
vivere la comunione, ci faccia sentire la Sua presenza nelle incomprensioni che
talvolta sperimentiamo e, alla conclusione della nostra esperienza terrena, ci doni di
poter ripetere le stesse parole dell’Apostolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho
terminato la corsa, ho conservato la fede”.
Al termine di questa Eucaristia torneremo alle nostre case e, esortati dalla parola del
Papa, riprenderemo con rinnovato entusiasmo il nostro cammino di crescita nella
nostra Chiesa locale.
Nella bella catechesi di oggi, Papa Francesco ha finemente commentato il brano del
Vangelo di Giovanni in cui si racconta l’incontro di Gesù con la donna Samaritana al
pozzo di Sicar. Gesù – ha detto il Papa – innanzitutto la lascia parlare, la lascia
sfogare, non la interrompe. Solo dopo interviene dicendole che l’acqua viva è Lui e
solo Lui può veramente dissetare. Il Santo Padre ci ha ricordato che dialogo vuol dire
soprattutto ascolto. Ascolto attento, rispettoso, silenzioso: è un vero atto di
misericordia. Le nostre famiglie, le nostre parrocchie diventino sempre più luoghi di
condivisione e di comunione in cui nessuno si senta escluso o emarginato. Luoghi in
cui si può dialogare certi di essere ascoltati.
Cresciamo nel rispetto e nell’amore vicendevole costruendo Comunità capaci di
confronto sereno e di cammino condiviso superando decisamente ogni
personalismo, sempre pronti alla comprensione e al perdono, perennemente
disponibili all’accoglienza dell’altro. Comunità in cui non si instauri il clima del
sospetto o dell’incomprensione. Comunità che sperimentano la misericordia di Dio e
sono capaci di donarla agli altri. Comunità in cui si vive e viene chiaramente
percepita la presenza del Signore Risorto. Comunità delle quali anche i non credenti
o non praticanti possano dire come per i primi cristiani: “Come si vogliono bene!”.
Che Maria Santissima, venerata in questo Santuario del Divino Amore, ci assista ci
protegga, ci accompagni nel nostro cammino di crescita, accolga i nostri propositi di
bene e ci aiuti a portarli a compimento.
✠Salvatore, Arcivescovo