Omelia, Chiusura Anno Santo della Misericordia, cattedrale Massa

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Transcript Omelia, Chiusura Anno Santo della Misericordia, cattedrale Massa

ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA
CHIUSURA DELLA PORTA SANTA
Cattedrale di San Cerbone
Massa Marittima, 12 novembre 2016
Carissimi,
dicevamo lo scorso sabato nella Concattedrale di Sant’Antimo in Piombino, in
occasione della chiusura della Porta Santa, che quasi a volo d’aquila abbiamo
attraversato questo Anno Santo della Misericordia. Un anno in cui la parola
misericordia, pur presente nelle preghiere e nelle liturgie della Chiesa, ma non
di rado troppo sommessamente annunciata e sperata, è stata fatta riemergere
dalla nostra noncuranza e distrazione ed è stata messa sul lucerniere della
Chiesa, delle nostre Diocesi e Parrocchie, perché tutti potessero ricevere luce e
forza dal Padre Misericordioso, che Gesù Cristo ci ha rivelato.
Come è urgente ai nostri giorni accogliere quel fiume di luce e di forza che
scaturisce dal Padre, sorgente di ogni bene, che ha inondato la terra irrigando le
aspre solitudini di noi uomini: alle terre assetate e sterili è stato donato il
refrigerio dei torrenti e dei mari, a noi è stato donato Cristo. Così canta la
Liturgia Vespertina:
«Irriga, o Padre buono,
i deserti dell'anima
coi fiumi di acqua viva
che sgorgano dal Cristo»
(Inno dei Vespri nel Tempo Ordinario).
1 Abbiamo bisogno di stare vicino a quella fonte che è Cristo, per bere e farci
raggiungere da quell’acqua viva.
Questo, infatti, abbiamo chiesto al Signore nella preghiera di COLLETTA:
«Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella
dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura».
Uno stare con il Signore che non ci rende estranei alla storia, alla responsabilità
di essere cittadini di questo mondo, uomini e donne operosi che mangiano del
lavoro delle proprie mani, non oziosi.
Scrive san Benedetto nella Regola: «L’ozio è il nemico dell’anima» (cap. XLVIII).
Come è attuale ai nostri giorni e nelle nostre situazioni l’esortazione che San
Paolo rivolge ai Tessalonicesi: «Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una
vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali,
esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane
lavorando con tranquillità» (2 Ts 3, 11-12).
Anche allora come ora alcuni cristiani vivevano senza far nulla, immischiandosi
in ogni cosa. «Pigrizia nel lavoro abbinata a un attivismo a vuoto di ficcanaso
curiosi. La Comunità ne doveva essere contagiata. […] Il clima di entusiastica
esaltazione per la venuta dei giorni ultimi dava al quadro la sua cornice naturale.
Dunque non un semplice fenomeno di ozio e di assenteismo parassitario dal
lavoro, ma un ambiente surriscaldato da sognatori turbolenti» (G. BARBAGLIO, Le
Lettere di Paolo, I, Roma,1990, p. 177).
Il nostro oggi è preludio dell’eternità beata, non è un capitolo a sé.
Viviamo quel già e non ancora che ci chiama ad essere laboriosi fino all’ultimo
respiro, succeda quel che succeda.
Il nostro operare è nel Signore.
Come l’agricoltore affida il seme alla terra e aspetta abbondante raccolto, così
noi affidiamo la fatica dei nostri giorni alla storia, un seminarci nel tempo,
fiduciosi e speranzosi nel Signore che ci ripete: «Nemmeno un capello del vostro
capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21,19).
Ogni giorno, ma soprattutto la domenica, Pasqua della settimana, la Chiesa offre
al Signore il pane e il vino perché diventino cibo di vita eterna e bevanda di
salvezza.
Noi ci nutriamo di quel cibo, perché la grazia, che scaturisce da quella mensa, ci
renda capaci di vincere la paura, di non essere ingannati dai molti che verranno
nel nome del Signore, ma non sono stati inviati: «Badate di non lasciarvi
ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo
è vicino”. Non andate dietro a loro! […] Ma prima di tutto questo metteranno le
mani su di voi e vi perseguiteranno. […] Avrete allora occasione di dare
testimonianza» (Lc 21, 8.12-13).
2 Noi non siamo capaci di tanto, siamo deboli, fragili; veramente il nostro peccato
ci sta sempre davanti, ma la misericordia del Signore soccorre, libera, rigenera e
salva continuamente quanti a Lui si affidano, e ci rende vittoriosi nell’ora della
persecuzione e della prova. La misericordia che Lui continuamente ci dona,
specialmente nel sacrificio della croce che stiamo celebrando, ci fa partecipi di
questa vittoria.
Veramente dobbiamo fare nostre e ripetere continuamente le parole della
Preghiera che pronunceremo sulle offerte: «Quest'offerta che ti presentiamo, Dio
onnipotente, ci ottenga la grazia di servirti fedelmente e ci prepari il frutto di
un'eternità beata».
L’Eternità beata è comunione dei Santi.
Il Signore ci ha parlato di un tempio costruito da mani di uomo di cui non
resterà pietra su pietra, ma il vero tempio santo di Dio, non costruito da mani di
uomo, è la Chiesa, Corpo mistico del Signore Gesù.
«Capo di questo corpo è Cristo. […] Ancora peregrinanti in terra, mentre
seguiamo le sue orme nella tribolazione e nella persecuzione, veniamo associati
alle sue sofferenze, come il corpo al capo e soffriamo con lui per essere con lui
glorificati (cfr. Rm 8,17). [… ] Nel suo corpo, che è la Chiesa, egli continuamente
dispensa i doni dei ministeri, con i quali, per virtù sua, ci aiutiamo
vicendevolmente a salvarci e, operando nella carità conforme a verità, andiamo
in ogni modo crescendo verso colui, che è il nostro capo (cfr. Ef 5,11-16)» (Lumen
gentium, n. 7).
Carissimi, mentre si va concludendo questo Anno Santo della Misericordia,
domandiamoci se abbiamo realmente sperimentato questo entrare nel cuore
misericordioso di Dio, se abbiamo sperimentato l’immenso suo amore.
Chiediamo all’Eterno Padre con la PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE di essere pietre
vive di quel tempio che si costruisce con la carità, che sola rende saldi e fondati i
nostri rapporti con Dio e i fratelli: «O Padre, che ci hai saziati con questo
sacramento, ascolta la nostra umile preghiera: il memoriale, che Cristo tuo Figlio
ci ha comandato di celebrare, ci edifichi sempre nel vincolo del tuo amore».
Carissimi, siamo chiamati ad edificarci, a vivere e faticare per rendere saldo con
Dio e tra di noi il vincolo dell’amore, uomini e donne che si sforzano di non
essere sordi a quella esortazione-interrogazione antica e attualissima: «Dov’è
[…], tuo fratello?» (Gen 4,9).
Come possiamo vivere la misericordia di Dio, che ha segnato particolarmente
questo intero anno, se non ci preoccupiamo di rinnovarci, restaurarci, divenire
quelle pietre vive che, nella continua conversione a Dio, divengono capaci di
stare insieme sotto la potente opera dello Spirito Santo?
3 È lo Spirito che leviga le sfasature e le spigolature di noi pietre vive così da
combaciare l’una con l’altra, per custodirci e soccorrerci gli uni gli altri come
Cristo ci ha insegnato, per formare fin d’ora l’adunata festosa degli amici di Dio:
«Dentro le tue mura,
risplendenti di luce,
si radunano in festa
gli amici del Signore:
pietre vive e preziose,
scolpite dallo Spirito
con la croce e il martirio
per la città dei santi»
(Inno delle Lodi dal Comune dei Martiri).
Non possiamo essere smemorati, ma dobbiamo rendere continuamente grazie
del dono grande del Battesimo, della nostra dignità di figli di Dio.
Vorrei ricordare a me e a voi quanto l’apostolo Pietro scrive ai neo-convertiti
angustiati, calunniati e ingiuriati da quanti ancora indugiavano in una vita
vecchia e piena di sregolatezze (cfr. NUOVO TESTAMENTO E SALMI, opere estratte dalla
BIBBIA DI GERUSALEMME, p. 593):
«Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdote regale,
la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2, 9).
«Tutti quelli che sono rinati in Cristo», infatti, scrive San Leone Magno,
«conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l'unzione dello Spirito
Santo poi sono consacrati sacerdoti. Non c'è quindi solo quel servizio specifico
proprio del nostro ministero, perché tutti i cristiani sono rivestiti di un carisma
spirituale e soprannaturale, che li rende partecipi della stirpe regale e
dell'ufficio sacerdotale. Non è forse funzione regale il fatto che un'anima,
sottomessa a Dio, governi il suo corpo? Non è forse funzione sacerdotale
consacrare al Signore una coscienza pura e offrirgli sull'altare del cuore i
sacrifici immacolati del nostro culto? Per grazia di Dio queste funzioni sono
comuni a tutti» (Disc. 4, 1-2).
Il nostro regale sacerdozio si realizza vivendo il nostro Battesimo che ci fa
sperimentare un Dio che ci ama, ci libera continuamente dal peccato e dalla
morte e ci manda, ci spinge fuori dalla nostra solitudine, da ogni sorta di
isolamento. Dunque cristiani in uscita, per testimoniare con la nostra attenzione
e tenerezza verso ogni uomo che abbiamo incontrato il Signore.
4 «Perché io possa credere», ha scritto Benedetto XVI, «ho bisogno di testimoni
che hanno incontrato Dio e me lo rendono accessibile. […] È la misericordia
quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto»
(In “L’Osservatore Romano”, LA FEDE NON È UN’IDEA, MA LA VITA, intervista a Benedetto XVI, 17 marzo
2016).
A Maria, carissimi fratelli e sorelle, affidiamo ogni nostro proposito e progetto
di bene, la nostra vita, il nostro domani che vogliamo stracolmo dell’amore
misericordioso del Signore Gesù:
«A te, Maria, fonte della vita,
si accosta la mia anima assetata.
A te, tesoro di misericordia,
ricorre con fiducia la mia miseria.
Come sei vicina,
anzi intima al Signore!
Egli abita in te e tu in lui.
Nella tua luce, posso contemplare
la luce di Gesù, sole di giustizia.
Santa Madre di Dio,
io confido nel tuo tenerissimo
e purissimo affetto.
Sii per me mediatrice di grazia
presso Gesù, nostro salvatore.
Egli ti ha amata sopra tutte le creature,
e ti ha rivestito di gloria e di bellezza.
Vieni in aiuto a me che sono povero
e fammi attingere alla tua anfora
traboccante di grazia»
(San Bernardo di Chiaravalle).
+ Carlo, vescovo
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