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ottobre 2016
18
Multe latte, l’Italia in infrazione:
il dramma però adesso è il prezzo
ECONOMIA
Cina, rimosso
il bando su
carne suina
Made in Italy
La Cina ha aperto il mercato alla
carne suina fresca italiana che era
bloccato dal 1999. In particolare,
l’Amministrazione Generale per iI
Controllo della Qualità, l’Ispezione
e la Quarantena (AQSIQ) e il Ministero dell’Agricoltura cinese hanno
riconosciuto l’indennità da malattia vescicolare della macroregione del nord. Si tratta di un’area
composta da Liguria, Piemonte,
Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino
Alto-Adige, Friuli Venezia-Giulia,
Emilia-Romagna e Marche, dove è
concentrato oltre l’80% della produzione nazionale di carne suina.
Negli ultimi anni le esportazioni
italiane in Cina hanno superato i
350 milioni di euro, confermando
anche un crescente interesse per
il Made in Italy agroalimentare.
La Cina rappresenta il principale mercato di destinazione delle
esportazioni europee del comparto suino, con una quota pari al 48
per cento del totale; già in queste
prime fasi, aprendo un canale diretto dalla Macroregione agricola
del Nord alla Repubblica Popolare
Cinese, si prospettano opportunità
per raggiungere valori di 50 milioni di euro. Secondo i dati recentemente diffusi dalla Commissione
europea dicono che la domanda
cinese è balzata a 1,157 milioni di
tonnellate nel periodo gennaio-luglio 2016 su base tendenziale, con
un incremento del 106,3 per cento
e con un valore complessivamente generato di 1,7 miliardi di euro
(+123 per cento)
È
una pesante eredità delle troppe incertezze e disattenzioni del passato
nel confronti dell’Europa nell’attuazione del regime delle quote latte che
è terminato quasi una anno e mezzo
fa, il 31 marzo 2015. È quanto ha affermato la Coldiretti nel commentare
l’avvio della causa della Corte di Giustizia contro il nostro Paese per recuperare ben 1,343 miliardi dalle quote latte
proprio nel momento in cui il prezzo
insostenibile riconosciuto agli allevatori
sta provocando la chiusura delle stalle.
La procedura di infrazione dell’Ue per
il mancato recupero dei prelievi dovuti dagli allevatori che hanno superato
le quote latte individuali per il periodo
compreso fra il 1995 e il 2009 è stata
determinata da una disattenzione nei
confronti delle politiche comunitarie sulla quale si sono accumulati errori, ritardi
e compiacenze che hanno danneggiato
la stragrande maggioranza degli agricoltori italiani che si sono messi in regola
ed hanno rispettato le norme negli anni
acquistando o affittato quote per un valore complessivo di 2,42 miliardi di euro.
Le pendenze a cui fa riferimento l’Unione Europea riguardano appena duemila produttori con 600 di loro che devono pagare somme superiori a 300.000
euro, cioè la gran parte del debito. Un
comportamento che mette a rischio le
casse dello Stato e fa concorrenza sleale
alla stragrande maggioranza dei 33mila
allevatori italiani che sono costretti ad
affrontare una drammatica situazione
di mercato. La questione quote latte è
iniziata oltre 30 anni fa nel 1984 con
l’assegnazione ad ogni Stato membro
dell’Unione di una quota nazionale che
poi doveva essere divisa tra i propri produttori ma all’Italia fu assegnata una
quota molto inferiore al consumo interno di latte. Dalla fine delle quote latte
hanno chiuso in Italia almeno 1500 stalle da latte, la maggioranza in montagna,
per effetto del crollo del prezzo pagato
agli allevatori che è sceso addirittura al
di sotto dei costi di alimentazione del
bestiame, su valori di ben quindici anni
fa. Per effetto di questi pochi centesimi
le stalle presenti in Italia dopo la fine
delle quote latte sono scese al minimo
storico di meno di 33mila unità, rispetto alle 180mila attive nel 1984 all’inizio
del sistema delle quote, con il rischio
concreto che di questo passo nel giro di
qualche anno la nostra montagna verrà
spopolata dalla indispensabile presenza
degli allevamenti, che hanno garantito fino ad ora biodiversità, ambiente e
equilibrio socio economico delle aree più
sensibili del Paese. “Adesso ci sono tutte
le condizioni per alzare anche in Italia il
prezzo pagato agli allevatori da Lactalis
che ha giustamente chiuso un accordo in
Francia con un aumento di 3 centesimi
al litro” ha affermato il vicepresidente
della Coldiretti Ettore Prandini nel chiedere l’immediata apertura del confronto
con l’industria lattiero casearia italiana e
con Lactalis Italia per discutere un prezzo del latte che tenga conto della nuova
situazione di mercato. Intanto il prezzo
del latte spot, venduto cioè al di fuori dei
normali contratti di fornitura, nella prima
settimana di ottobre ha sfondato quota
41 centesimi, valori che in questo periodo non si registravano da due anni.