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ESTERO - LE NOTIZIE MAI LETTE IN ITALIA
Giovedì 13 Ottobre 2016
Le banche d’Oltralpe vanno controcorrente annunciando nuove assunzioni nel 2017
Un esercito di 12 mila bancari
Sostituiranno chi va in pensione che sono molti di più
e delle banche popolari (Bpce,
Banque popoulaire caisse
d’épargne), si arriva alla bella
cifra di 12 mila dipendenti che
entreranno, l’anno prossimo,
in organico.
da Parigi
GIUSEPPE CORSENTINO
N
ell’Europa delle banche squassate dalla
crisi e dai ladrocini dei
loro manager, pronte a
licenziare decine di migliaia di
dipendenti con la lista che si
allunga ogni giorno dal Monte
dei Paschi alla Deutsche Bank
che tutti immaginavamo di
un’onestà teutonica e invece
era il focolaio di tutte le speculazioni come ha denunciato
perfino il Fondo monetario
internazionale; ecco, in questa
Europa in cui ogni prova di
sforzo a carico del sistema annuncia inevitabilmente tagli e
ancora tagli, arriva dalla Francia una notizia sorprendente,
una notizia da scuola di giornalismo come quella dell’uomo
che morde il cane.
Le banche francesi, che
pure hanno 371.600 dipendenti, il 2,3% di tutta l’occupazione privata, un livello più
o meno analogo a quello delle
banche italiane, sono pronte
ad assumere a partire dall’anno prossimo.
Prendete nota. Bnp Paribas,
la più grande, la prima in Europa (in Italia controlla la Bnl)
e la terza al mondo con 189
mila dipendenti, quella che
La sede canadese di Bnp Paribas
in un solo esercizio finanziario si è risollevata senza tanti
problemi dalla mazzata americana, la megamulta da 14
miliardi di euro inflitta dal Tesoro americano per certi suoi
traffici con alcuni paesi della
black list di Washington, ha
fatto sapere che nel 2017 assumerà almeno 2 mila giovani
e tutti con il Cdi, Contract à
duré indéterminé, che qui in
Francia non è a tutele crescenti come nel Jobs act renziano,
ma un rapporto di lavoro (quasi) indissolubile.
Anche il suo diretto concorrente, la Société Générale, ne assumerà altri 2 mila,
mentre la banque verte, il
Crédit Agricole (che in Italia
controlla Cariparma) raddoppierà la posta: 4 mila assunzioni contando tecnici informatici, consulenti, gestori,
banker, ingegneri finanziari,
insomma tutte le nuove figure
professionali di cui ha bisogno
oggi un istituto di credito con
sempre meno sportelli e più
esperti di gestione finanziaria
e patrimoniale.
Se a queste 8 mila assunzioni, già dichiarate ai rappresentanti sindacali aziendali, si aggiungono le altre 4 mila
promesse dal reseau, dalla
rete delle Casse di risparmio
Questo non vuol dire,
però, che l’occupazione
bancaria complessiva crescerà. Perché, tenendo per
buoni i dati del 2015 che
hanno visto 39 mila entrate a
fronte di 41 mila uscite, il tasso di sostituzione o di turnover
si assesterà ancora una volta
intorno al -1%. Come a dire,
una discesa morbida, resa
possibile da migliaia di départ
naturels massifs, prepensionamenti e dimissioni incentivate
che confermano, come spiega
un report della società di consulenza Scope Ratings, la bonne santé, le condizioni di relativa buona salute del sistema
creditizio francese. Che, negli
anni dell’euforia delle borse,
non ha preso la brutta strada
della speculazione finanziaria,
come hanno fatto appunto la
Deutsche e il Montepaschi,
ormai sinonimi di malagestio
bancaria.
Basti dire che l’unico
caso recente di malversazione qui in Francia risale a
quasi trent’anni fa, quando
il Crédit Lyonnaise collassò
sotto il peso dei miliardi (di
franchi, all’epoca) prestati
allegramemente proprio a un
finanziere d’assalto italiano,
Giancarlo Parretti, che si
era messo in mente di scalare,
con i soldi della banca francese, la Mgm, una delle major di
Hollywood.
La bonne santé gestionale
(per la cronaca: il Crédit Lyonnaise è finito nella pancia del
Crédit Agricole) ha consentito
anche una gestione prudente
del personale, con un flusso
costante di uscite (circa 30
mila dipendenti l’anno) compensate solo in parte da nuove
assunzioni.
I 12 mila nuovi posti, in
ogni caso, non fermano il
lavoro di innovazione della
rete bancaria con chiusure
di sportelli, esternalizzazione del cosiddetto back office,
accorpamento delle direzioni.
Solo che qui, come fa notare
la società di consulenza strategica Oliver Wyman, «la mutation s’est faite jusqu’ici dans
la douceur sans casse sociale»,
il cambiamento si sta facendo
per gradi, dolcemente, senza
traumi sociali. In Italia Abi e
Fabi, banche e sindacato, ne
saranno capaci?
@pippocorsentino
IN FRANCIA NESSUN GIORNALE HA DATO LA NOTIZIA. LO SCOOP È DEL SETTIMANALE SATIRICO LE CANARD ENCHAINÉ
Arnault (Lvmh) ha sborsato 400 milioni al fisco francese
per chiudere il contenzioso dopo la fallita scalata a Hermès
DI
CAMILLO ADINOLFI
I
l gran signore della moda e del
lusso, quel Bernard Arnault,
l’uomo più ricco di Francia (l’anno scorso ha superato anche Liliane Bettencourt di L’Oréal) che
guida un gruppo (Lvmh) da 36 milioni
di euro di fatturato, al cui interno ci
sono anche tante eccellenze (ex) italiane come Fendi, Loro Piana, Pucci,
Berluti, Acqua di Parma, Bulgari
e perfino il mitico caffè Cova di via
Montenapoleone, a Milano, ha dovuto
staccare un assegno di 400 milioni di
euro intestato al fisco francese. Per
evitare guai peggiori.
Il redressement fiscal, il concordato fiscale, risale a qualche mese
fa ma nessun giornale francese ne ha
dato conto (figurarsi il primo quotidiano economico Les Echos che appartiene al medesimo Arnault). Ne dà conto,
invece, nell’ultimo numero in edicola
ieri, mercoledì 12 ottobre, il settimanale satirico Le Canard Enchaîné, che
forte della sua forza economica (ha
una tesoreria milionaria alimentata
solo da vendite e abbonamenti e zero
pubblicità) può permettersi di sparare
in prima pagina il titolone «Lvmh, un
redressement fiscal de 400 millions»
e di raccontare a pagina 4 tutti i dettagli dello scandalo, scusandosi, ironicamente, con l’interessato perché
«les grandes douleurs sont muettes», i
grandi dolori preferiscono il silenzio.
E, in effetti, consegnare al fisco 400
milioni di euro, più del 10% degli utili
netti realizzati dal gruppo nel 2015,
non deve essere stato piacevole.
Ma veniamo ai fatti, abbastanza noti nel mondo della moda
(tranne il capitolo finale con appendice tributaria). Tutto comincia nel
lontano 2008 quando le due filiali panamense e lussemburghese di Lvmh
incaricano tre banche, Crédit Agricole,
Société Générale e Natixis, di cominciare
a rastrellare in gran segreto azioni del
gruppo Hermès, altro colosso della moda
e del lusso, 48 miliardi di fatturato e 15
di ebitda, controllato dalla famiglia Dumas, terza ricchezza di Francia.
Due anni dopo, nel 2010, il colpo
di scena: Arnault rivela al mercato
di controllare il 17% di Hermès e di essere pronto a salire con l’accordo della
famiglia. Insomma, un’opa amichevole
che avrebbe dovuto portare, forse, alla
fusione con Lvmh e alla nascita di un
gigante da 70-80 miliardi.
Il disegno di Arnault era quello
di far saltare le difese finanziarie
dell’ampia compagine familiare, già
divisa al suo interno come spesso accade in questi casi. A sorpresa, invece,
la tribù dei Dumas si è rebiffée, come
si dice qui in Francia, insomma si è
ché le azioni Hermès, che Arnault
aveva parcheggiato in un veicolo finanziario lussemburghese denominato Hannibal (forse pensava al famoso
detto, «Annibale alle porte»?), sono ritornate in Francia nella disponibilità
della famiglia Dumas, ma un miliardo
dei 3,8 di plusvalenza è rimasta nel
Granducato dove, come si sa, le aliquote fiscali per operazioni di borsa di
questo tipo sono vicine allo zero.
Bernard Arnault
arrabbiata di brutto e ha organizzato
la resistenza contro il raider fermandolo a quota 23%, sotto il livello della
cosiddetta minoranza di blocco. Arnault ha capito subito che il suo raid
si era concluso con un fiasco finanziario colossale e che l’unica via d’uscita
era firmare un accordo con i Dumas e
vendergli, com’è avvenuto infatti nel
settembre del 2014, il suo pacchetto di
azioni Hermès realizzando una plusvalenza altrettanto colossale, grazie
al raddoppio del prezzo dei titoli: 3,8
miliardi di euro, l’equivalente di tutti
gli utili di Lvmh del 2015.
Ed è a questo punto che si accendono i riflettori del fisco. Per-
L’epilogo è scontato. Il fisco
francese ne chiede conto al patron
di Lvmh, il patron di Lvmh, assistito
dai migliori fiscalisti di Francia, prova
a resistere per oltre due anni, ma alla
fine è costretto a cedere e a firmare
quell’assegno da 400 milioni di euro,
380 per imposte non pagate e 20 di
interessi, come ha rivelato Le Canard
Enchaîné di questa settimana.
Commenti dell’interessato?
Nessuno. «Interrogé par le Canard,
Lvmh s’est refusé a tout commentaire», interpellato dal Canard, scrive il
settimanale, il gruppo non ha voluto
fare nessuna dichiarazione. E si capisce, è questa la conclusione al veleno
del giornale, «parler d’argent, c’est
toujours un peu vulgaire», parlare di
soldi è una cosa volgare. Che non si
conviene a un’azienda con lo stile e
l’allure di Lvmh.
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