Bob Dylan, un Nobel in ritardo di vent`anni

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Bob Dylan, un Nobel in ritardo di vent’anni | 1
venerdì 14 ottobre 2016, 06:00
Bob Dylan, un Nobel in ritardo di vent’anni
Dylan è il terminale di un processo evolutivo, si è mosso con genialità, estro creativo e intelligenza
di Gianni Lucini
È un curioso fenomeno italiano. Scorrendo i social si scopre che molti 'scrittori', spesso impegnati a dichiarare le
ingiustizie di un sistema che non riconosce le qualità (loro), si sentono offesi dalla scelta di assegnare il Nobel
della Letteratura a Bob Dylan (peraltro già da decenni nei libri di testo delle scuole). La motivazione addotta da
questa frangia di malcontenti, che può essere riassunta nella frase «che cosa c'entra la canzone con la
Letteratura?», spiega più di tante parole la crisi del libro in Italia. Miserie a parte, il buon vecchio Bob sta smentendo
se stesso. Ha vinto il Nobel e immagino sia contento, anche se aveva detto «...i grandi libri sono stati scritti, i grandi detti
sono stati pronunciati». E alla fine, proprio lui che aveva cambiato il suo cognome con il nome del poeta Dylan Thomas s'è
ritrovato parte di quella stessa storia che lui considerava finita. Il premio arriva in ritardo di vent’anni. La sua prima
candidatura risale al 1996 e il promotore era stato quel mattacchione del professor Gordon Ball dell'Università della
Virginia. Nel tempo, a partire da Allen Ginsberg, molti erano stati i fautori di questa scelta, ma sempre con la cautela
necessaria perché il regolamento del Nobel prevede che le candidature debbano restare segrete fino all'assegnazione del
Premio, pena la cancellazione dai papabili. Il tempo di Dylan alla fine è arrivato. Stando alla motivazione del Comitato, il
premio gli è stato assegnato per aver «creato una nuova espressione poetica nell'ambito della tradizione della
grande canzone americana». Si tratta di una motivazione indiscutibile, ma idealmente e moralmente questo
riconoscimento andrebbe diviso con chi, prima di lui, ha tracciato la strada sulla quale si è mosso con genialità, estro
creativo e intelligenza. Nell'arte, come in quasi tutte le esperienze umane, nulla nasce per caso e Dylan è il terminale di
un processo evolutivo, non il primo passo. Lui merita il premio perché è l'elemento di genialità che porta a compimento
il processo, ma sarebbe bello che al momento di ritirarlo ricordasse che la sua poetica è composta da tante eredità e
contributi che vanno dal blues bianco e vagabondo di poeti popolari come Woody Guthrie, alla fascinazione che si nutre di
musica dei simbolisti dell'Ottocento, alle destrutturanti esperienze della beat generation, fino al linguaggio essenziale della
pubblicità. Il merito principale di Dylan sta nel fatto che più e meglio di altri è riuscito nel difficile compito di
rivoluzionare il linguaggio della canzone popolare a partire proprio dal testo letterario. I suoi versi sono musicali
indipendentemente dalla musica. Ne è prova il loro utilizzo in ambito letterario scolastico. Ora è arrivato il Nobel. In assenza
di dichiarazioni ufficiali si può pensare che sia contento, anche se è risaputo che il rapporto di Robert Zimmerman, in arte
Bob Dylan, con la popolarità è sempre stato un po’ contraddittorio, quando non decisamente problematico. Oggi fa sorridere
ricordare il curioso incidente capitatogli nel 2009 a Long Branch, nel New Jersey, quando era stato 'fermato per
accertamenti' da una poliziotta ventiquattrenne. La giovane e zelante tutrice della legge, infatti, si era sentita presa in giro
perché quel 'vecchietto eccentrico in giacchetta blu' che vagabondava sotto la pioggia senza documenti aveva detto di
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/bob-dylan-un-nobel-ritardo-ventanni/
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chiamarsi Bob Dylan e di essere lì per una tournée. In quella storia c’era un elemento di poesia che non andava ricercato nei
fatti nudi e crudi quanto nell'evocazione di possibili citazioni dylaniane. Per esempio, prendendo in prestito un verso di 'Like
a rolling stone' si poteva dire che il buon vecchio Bob era stato trattato «like a complete unknown», come un tipo
completamente sconosciuto. All'epoca, per la verità, i media avevano lavorato sugli scontati cliché delle differenze
generazionali invece di stupirsi del fatto che una poliziotta in servizio non sapesse che nel territorio di sua competenza fosse
in programma un concerto con tre 'mostri sacri' della mitologia musicale statunitense come Bob Dylan, John Mellencamp e
Willie Nelson. Ancora oggi confesso che non mi sembrava, invece, scandaloso che una ragazza di ventiquattro anni non
riuscisse a riconoscere nell’anziano signore trovato a vagabondare sotto la pioggia, un protagonista della scena musicale del
secolo scorso, visto magari soltanto sulle copertine dei vecchi dischi dei suoi genitori. E si sa che sulle copertine dei dischi gli
eroi restano sempre 'giovani e belli' mentre il tempo passa per tutti. È innegabile che l’immagine del Dylan
invecchiato degli ultimi anni sia lontana anni luce dal magro ragazzino arrivato a New York dal Midwest all'inizio degli anni
Sessanta. I segni del tempo si vedono sulla pelle del più popolare cantautore del mondo come su quella del nostro vicino di
casa, e sono un problema soltanto per chi è incapace di accettare i diversi tempi dell’esistenza. Non è il caso di Bob Dylan
che non sembra essersi mai troppo curato di nascondere i segni del tempo. Ora, dopo il Grammy Award alla carriera del
1991, il Polar Music Prize del 2000, il Premio Oscar del 2001, il Premio Pulitzer del 2008, la National Medal of Arts del 2009 e
la Presidential Medal of Freedom del 2012 vince anche il Premio Nobel. Non penso che cambierà troppo la sua vita. In ogni
caso complimenti Bob! https://www.youtube.com/watch?v=OeP4FFr88SQ
di Gianni Lucini
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