La Repubblica - 05 Ottobre 2016

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Transcript La Repubblica - 05 Ottobre 2016

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A ragione il ministro del
Tesoro Padoan: il programma economico del
governo Renzi «non è una
scommessa». Purtroppo, allo
stato attuale, è qualcosa di ancora più incerto e ipotetico. È
un vero e proprio “atto di fede”.
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ROMA. Scontro sui numeri
del Def. La minoranza del
Pd chiede di fermare l’iter
della nota di aggiornamento, ventilando anche un
possibile voto contrario.
Mentre le opposizioni obbligano il ministro dell’Economia Padoan a tornare
in Parlamento a spiegarli
ancora una volta, all’inizio
della prossima settimana.
La replica di Renzi: «I soldi
ci sono, tra un anno vedremo chi ha ragione».
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pagine della perizia di ufficio firmata dai
professori Introna, Dammanco, Andreula, D’Angelo
sono un italianissimo capolavoro di ipocrisia .
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pa Francesco nel cratere del terremoto del Tronto. Un viaggio desiderato, nel giorno di San Francesco, e segreto, finché il segreto
ha resistito: il pontefice, due vescovi e pochi uomini della sicurezza.
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RUJIFF o Cruijff? Cruyff, è
scritto in copertina
dell’autobiografia
del
campione, scritta con Jaap de
Groot e pubblicata da Bompiani: -BNJBSJWPMV[JPOF. Esce a
circa sei mesi dalla morte, per
cancro ai polmoni. E poco importa come si scrive il cognome: tutti sanno chi era. La copertina è
color arancia, un colore che prima di lui, e di quelli della sua generazione, non era nel gotha
del calcio.
Ed è un grande risultato, lo
pensava anche lui, che quella
Nazionale olandese sia ricordata a tanta distanza dagli anni
Settanta, quando arrivò due volte in finale del Mondiale e due
volte la perse. Contro Germania
e Argentina (ma nel 1978
Cruyff non c’era), le padrone di
casa, ma per chiunque allora
non fosse tedesco o argentino i
veri vincitori, per come giocavano, erano gli arancioni.
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ROMA. L’ultima perizia sulla fine di Stefano Cucchi,
quella redatta dagli esperti
del collegio incaricato di stabilire se ci sia un nesso di
causa-effetto tra il decesso
e le lesioni inflitte dai carabinieri la notte dell’arresto,
sostiene che è morto per un
attacco epilettico. La sorella Ilaria: «Combatteremo
per Stefano fino alla fine
per avere giustizia».
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AMATRICE
STATO un tour faticoso, di poche parole e gesti sobri, quello di pa-
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A RUSSIA non è altro che una potenza regionale». Quando nel marzo 2014 Obama lasciò cadere queste parole, commentando con esibita noncuranza la presa
russa della Crimea, forse non immaginava
quale effetto avrebbero prodotto nell’irritabile psiche di Putin. La memoria di quell’insolenza ha contribuito a determinare la scelta del Cremlino di intervenire in Siria. Persa
Kiev, infragilita dal crollo dei prezzi petroliferi, colpita dalle sanzioni occidentali per
l’intervento in Ucraina, la Russia voleva dimostrare di restare una grande potenza.
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N MILITARE che si unisce civilmente a una
persona dello stesso sesso «non può e non
deve avere valutazioni e trattamenti diversi dall’ordinario». A metterlo nero su bianco è
il generale Claudio Gabellini.
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Padoan difende i suoi numeri sulla
crescita. Ma dovrà tornare in Parlamento a
spiegarli ancora una volta, all’inizio della
prossima settimana. Le parole accorate usate dal ministro dell’Economia ieri («Numeri
inventati? Un po’ di rispetto»), in audizione
davanti a deputati e senatori delle commissioni Bilancio, non hanno convinto le opposizioni. Non solo esterne, ma anche interne.
Visto che quella Pd chiede di fermare l’iter
della nota di aggiornamento del Def, ventilando anche un possibile voto contrario.
Mentre Forza Italia, Cinquestelle, Lega, Sinistra italiana, Fratelli d’Italia, Conservatori e
riformisti raccolgono in fretta e furia il terzo
di firme richiesto dalla legge 243 del 2012. E
obbligano così il ministro a un secondo passaggio nella Sala del Mappamondo per giustificare come mai il governo insiste nel confermare un Pil in rialzo dell’1%, quando Bankitalia e Corte dei Conti lo ritengono un
obiettivo ambizioso e l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Authority dei conti pubblici,
addirittura frutto di un «eccesso di ottimismo» e dunque «fuori linea». Al punto da negare il bollino, dunque non validare la nota
di aggiornamento al Def, approvata una settimana fa dal Consiglio dei ministri. Una prima assoluta.
«Stiamo parlando di decimali di differenza, tutte le volte in questo periodo arriva
puntuale la stessa solfa, vedremo tra un anno chi avrà ragione sulle previsioni», si difende il premier Renzi ai microfoni di Radio CaROMA.
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pital. Ma dal suo stesso partito partono i distinguo. «Una situazione imbarazzante, spero si chiarisca», incalza Pierluigi Bersani. «In
un momento difficile dell’economia bisogna
fare le cose per bene». Mentre Enrico Morando, viceministro dell’Economia e un tempo
sponsor dell’Upb, ora difende il balzo del Pil:
«Ci sono scelte che hanno moltiplicatore elevato e scelte che hanno effetti sul prodotto
molto più modesti».
Un ragionamento analogo a quello del ministro Padoan quando afferma che un Pil
all’1% nel 2017 «non è una scommessa». Anzi, «un obiettivo non solo ambizioso e ottimistico, ma anche realizzabile». Smentendo
contrasti, «nessun braccio di ferro, nessuno
scontro frontale», né con il Parlamento né
con l’Europa, piuttosto «un dialogo continuo». Ma alzando pure un muro alle critiche:
«Il governo conferma il suo quadro programmatico all’1%». E lo fa perché «senza manovra il Pil salirebbe allo 0,6%, con la manovra
arriva all’1%». Con la differenza - lo 0,4%, 7
miliardi - frutto del superammortamento,
Industria 4.0, investimenti pubblici e privati che il governo si appresta ad inserire in finanziaria. «Non c’è una sovrastima del Pil,
anche se la ripresa è più lenta di quanto desideriamo», insiste Padoan. Piuttosto asimmetria informativa con l’Upb, privo di numeri
di dettaglio sulla manovra. Cifre che ieri però il ministro si è ben guardato dal fornire.
Ma che di sicuro saranno pronte per lunedì
17 ottobre (il 15 è sabato), quando la manovra prenderà il volo per Bruxelles.
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Def 2015
Def 2016
Nota di aggiornamento
Def 2016
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(valori in %)
2015
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2017
2018
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BERLINO.
La Banca centrale europea sta cominciando a spegnere
qualche motore. Forse la grande
nave dei guardiani dell’euro ha deciso che un porto è finalmente in vista. O forse è stanca di affrontare il
mare della Grande crisi da sola e fa
finta che l’orizzonte si stia schiarendo per indurre i governi, finalmente, a fare la loro parte. Fatto
sta che su due delle misure più controverse, il tasso negativo sui depositi che applica alle banche e il
“quantitative easing”, l’acquisto
dei bond governativi da 80 miliardi di euro al mese, qualcuno comincia a segnalare che la strategia potrebbe cambiare. Per la prima volta dall’inizio della crisi, alcuni banchieri centrali della Bce stanno comunicando la possibilità di una
“exit strategy” dalle misure straordinarie come l’acquisto dei bond,
ma anche i dubbi su un esperimento unico come il rendimento negativo. Si tratta peraltro delle due misure su cui la Germania si è mostrata
in assoluto più contraria, sia attraverso la Bundesbank, sia attraverso una discussione pubblica estremamente aggressiva.
Peter Praet, capoeconomista della Bce, ha ammesso per la prima
volta che c’è una “correlazione molto forte” tra il valore delle azioni
delle banche e la disponibilità a fare credito, nell’era dei tassi negativi. E’ ormai chiaro che soprattutto
in Paesi come la Germania i rendimenti al lumicino contribuiscono a
mangiarsi la redditività delle banche, schiacciandone il prezzo delle
azioni. Quelle europee hanno perso più o meno il 20 per cento del loro valore, quest’anno. Il belga am-
mette per la prima volta il nesso
tra prezzo dell’azione e disponibilità a fare credito, dopo che la Bce ha
segnalato per mesi la disponibilità
persino ad andare oltre il -0,4 per
cento stabilito da marzo per le banche che parcheggiano i soldi presso
l’Eurotower.
«Quando i prezzi delle azioni sono bassi», ha spiegato il membro
del board della Bce, «un anno dopo
si vedono gli effetti sull’offerta del
credito delle banche in generale».
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Un ragionamento simile è stato fatto il giorno prima, lunedì, da un altro membro del Comitato esecutivo, Yves Mersch. Il lussemburghese ha dichiarato che i prezzi bassi
dei titoli bancari stanno rendendo
più cauti gli istituti di credito sui
prestiti.
Mentre da due membri su sei
del board della Bce sono stati
espressi dunque forti dubbi sull’efficacia dei tassi negativi, una notizia pubblicata ieri da Bloomberg
potrebbe segnalare un altro ripensamento significativo delle strategie di Francoforte. Secondo l’agenzia di stampa americana, l’Eurotower potrebbe cominciare a comprare meno titoli di Stato pubblici e privati. Non è ancora chiaro quando
inizierebbe a farlo, se addirittura
prima di marzo del 2017, ossia della scadenza che si è posta ufficialmente per la fine del cosiddetto
“quantitative easing”, il termine
che indica il programma di acquisti da 80 miliardi di euro di bond al
mese. Secondo le indiscrezioni lo farebbe al ritmo di 10 miliardi al mese.
Tuttavia, con una stima dell’inflazione ancora all’1 per cento nel
2017 e un quadro finanziario lungi
dall’essere sereno - si pensi alle incognite ancora legate alla Brexit persino per i “falchi” come il governatore della Bundesbank Weidmann, desiderosi di mettere fine al
QE la primavera potrebbe essere
ancora troppo presto per cominciare a chiudere i rubinetti. Un portavoce della Bce ha puntualizzato ieri, in ogni caso, che il consiglio direttivo non ne ha ancora parlato.
Per ora è una notizia messa in circolo da alcuni banchieri centrali. E
non è difficile immaginare quali.
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<SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
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Ma purtroppo o per fortuna viviamo in terra di infedeli. E dunque bisogna rassegnarsi all’evidenza: i numeri che l’esecutivo ha
scritto nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza per i prossimi tre anni sono scritti sull’acqua. È scritta sull’acqua la previsione di una crescita
all’1% per il prossimo anno, come confermano da settimane tutti i maggiori istituti di ricerca italiani (l’ufficio studi di Confindustria ci assegna un misero 0,5%) e
da ieri anche il Fondo monetario internazionale (che prevede uno scarso 0,9%). E
non è questione di sfiducia nelle misure
della legge di bilancio, che secondo Padoan sarà talmente potente da stimolare
un aumento del Pil di quella portata. È che
quella previsione tanto rosea non regge alle prove empiriche del passato. Lo ha denunciato l’Upb, Ufficio parlamentare di bilancio: perché mai una riduzione del deficit dello 0,5% o il disinnesco delle clausole
di salvaguardia Iva dovrebbero far lievitare il Prodotto interno lordo?
È scritta sull’acqua la previsione di una
stabilizzazione del debito pubblico, che invece lo stesso Fmi prevede in crescita al
133,4% nel prossimo anno, e che non siamo riusciti a scalfire neanche grazie al bazooka di Draghi, grazie al quale paghiamo
un rendimento sui Btp allo 0,55%, evento
mai accaduto nella storia, che in un anno
ci ha fatto risparmiare 10 miliardi di interessi. È scritta sull’acqua la stima di 3,5 mi-
Cavaliere (forse il massimo esperto della
“materia”) ed ex ministro nel governo berlusconiano delle cartolarizzazioni. Ma è
un fatto che l’Ufficio parlamentare di bilancio non ha validato il nuovo Def perché
non lo ritiene “credibile”, e questo non era
mai accaduto. È un altro fatto che per la
prima volta dal 2014 la Spagna, senza governo da mesi e con una crescita del 3,2%,
ha da ieri uno spread migliore del nostro.
È ancora un ancora un altro fatto che la
Banca centrale di Finlandia (come Bloomberg o Credit Suisse) ha rivisto al ribasso
tutte le stime in Europa “a causa della Brexit e della situazione delle banche italiane”. Ed è infine un ultimo fatto che il Financial Times, Bibbia della finanza internazionale, che giudicava Renzi “l’ultima speranza dell’Italia” nel gennaio 2015, ieri ha
scritto che le sue riforme “sono un ponte
sospeso nel vuoto”. Tanti indizi, che tuttavia riflettono un dubbio crescente, e convergente, sulla tenuta del Paese. Quasi a
prescindere dall’esito del referendum del
4 dicembre. Tocca al premier impedire
che diventino una prova.
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liardi di spending review, che continuiamo a spacciare per “taglio selettivo della
spesa improduttiva”, mentre finisce sempre per essere taglio semi-lineare al Fondo
sanitario. E sono scritte sull’acqua anche
le previsioni di aumento degli investimenti (quelli pubblici addirittura dall’1,5 al
3,4%). Forse è l’effetto-Ponte sullo Stretto, che fa già miracoli solo a parlarne? La
verità è che ci stiamo giocando l’osso del
collo, con noi stessi e con la Ue (l’Upb sostiene ad esempio che Bruxelles non ci concederà ulteriore flessibilità). Sappiamo ancora poco o nulla della prossima manovra,
che dovrà vedere la luce entro il 15 ottobre. Ma è chiaro a tutti che in un’Europa
«sotto scacco elettorale» (sono parole del
premier), anche noi stiamo facendo la nostra parte, per illudere i cittadini-elettori
che i soldi ci sono, e che se non ci sono ce li
prenderemo lo stesso spezzando le reni alla perfida Albione, al momento non più la
Gran Bretagna ma la Germania.
La legge di stabilità rischia di essere rinunciataria e poco ambiziosa. Servirebbe
una vera scossa (concentrata sul cuneo fiscale) e invece rischiamo di ritrovarci la solita pioggerellina di mancette pre-elettorali, mascherate con qualche buona intenzione apparentemente egualitaria (vedi
la quattordicesima sulle pensioni più basse). Renzi ha ancora una decina di giorni
per rimediare. Il sentiero è sempre più
stretto, ma le scorciatoie contabili o diplomatiche possono portarci in un vicolo cieco.
C’è da vincere un referendum costituzionale, e questo per il presidente del Consiglio può giustificare qualunque forzatura. Ma c’è da chiedersi qual è il prezzo da
pagare. È grottesco che Brunetta gridi al
“falso in bilancio”, da braccio armato del
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ROMA. E se Matteo Renzi e Pier Carlo Pa-
doan non fossero poi così dispiaciuti dei
fulmini e saette piovuti ieri l’altro sui
conti del governo? Ipotesi contro-intuitiva ma non del tutto da escludere, perché grazie a quelle critiche l’esecutivo
potrebbe trovare più fondate giustificazioni nella trattativa con Bruxelles per
aumentare ulteriormente l’obiettivo di
indebitamento 2017, cioè per rafforzare la parte della prossima manovra da fare in deficit, senza copertura finanziaria. Vediamo perché.
L’Ufficio parlamentare di bilancio,
istituto autonomo previsto dai regolamenti europei per valutare preventivamente i conti del governo, annuncia che
non “validerà” il quadro programmatico da inviare alla Ue entro il 15 ottobre.
A meno che non venga corretto. Non crede che la prossima manovra economica
possa far salire il Pil 2017 dell’1%. Saremmo almeno due decimi di punto sotto. Naturalmente, una pagella per la prima volta negativa degli economisti par-
lamentari che arrivasse tra qualche giorno sui tavoli di Bruxelles rappresenterebbe uno smacco clamoroso per l’esecutivo. Se a questo si aggiungono i dubbi
espressi da Corte dei Conti e Bankitalia
(che tuttavia esclude qualsiasi volontà
critica), il quadro che ne esce per il nostro Paese non è affatto roseo.
Tutto ruota intorno a un semplice interrogativo: in che misura il maggior deficit previsto può accelerare la crescita
economica? La tesi del governo è questa: faccio salire il deficit dall’1,6 al 2%
del Pil, cioè quattro decimi in più. Questo mi consentirà di fare una manovra in
grado di accelerare il prodotto interno
lordo di altrettanto: dallo 0,6% all’1%.
Più consumi, più investimenti e il gioco
è fatto. Ma l’equazione “un euro di deficit contro un euro di Pil”, dice l’Upb, non
funziona affatto. Al massimo quell’indebitamento aggiuntivo potrà spingere la
crescita fino allo 0,8%.
C’è poi un’ulteriore incongruenza.
Sul deficit pesa la spada di Damocle
dell’aumento dell’Iva da scongiurare,
un macigno tale che per rispettare l’obiettivo di indebitamento dovremmo tagliare spese o aumentare tasse per circa
8 miliardi (0,5 punti). Siccome lo stop
all’Iva, dice il governo, crea tre decimi di
Pil in più, la paradossale conclusione è
che il resto della crescita attesa (un solo
decimo) dovrebbe essere prodotto non
da un aumento ma da una riduzione del
deficit. Misteri dell’economia.
Il nodo centrale, comunque, resta la
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misura in cui il nuovo indebitamento
spingerà la crescita. E’ su questo che i
conti del governo sono contestati. E non
solo dall’Ufficio parlamentare di bilancio ma da istituti di ricerca come Prometeia, Cer e Ref, con valutazioni anche
più pessimistiche di quelle dell’Upb. Si
arriva persino a ipotizzare un Pil drammaticamente compresso entro lo 0,6%.
Dov’è allora, se c’è, la via di fuga da quello che sembra a tutti gli effetti un vicolo
cieco? Quale potrebbe essere la soluzione?
La soluzione sta probabilmente in un
auspicio che il Def ha formulato tra le righe e che Matteo Renzi ha spiegato piuttosto frettolosamente nella conferenza
notturna seguita alla approvazione
dell’aggiornamento. L’obiettivo-deficit
per il 2017 resta fissato al 2% ma la speranza è quella di elevarlo al 2,4 dopo una
opportuna trattativa con Bruxelles, motivando l’aumento con le emergenze del
post-terremoto e dei migranti. C’è chi dice che il premier avrebbe voluto fin
dall’inizio indicare nel Def quell’obiettivo, sicuramente più comodo per i margini di manovra dell’Italia. E che alla fine
sia prevalsa, per non provocare troppo
Bruxelles, la linea di “San Prudenzio”, come l’ha definita lo stesso Renzi. Ora però il quadro è cambiato e forse proprio le
critiche degli economisti che prefigurano il rischio di una manovra troppo debole a favore della crescita potrebbero
spingere il governo a rompere gli indugi
e ad elevare l’obiettivo-deficit al 2,4%.
Gli stessi economisti, infatti, spiegano
che se quello fosse il nuovo traguardo,
una crescita del Pil dell’1% tornerebbe a
portata di mano.
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WASHINGTON. Le parole d’ordine sono crescita «de-
bole», «bassa», «deludente», ma nei documenti diffusi, ieri a Washington, a ridosso della presentazione, del World Economic Outlook 2016 fa capolino
anche la più definitiva e suggestiva formula di «stagnazione». Il mesto quadro dell’economia planetaria si riflette in una crescita del Pil mondiale bloccata nel prossimo anno al 3,4% (quest’anno si chiuderà al 3,1%): ferma rispetto alla previsione di luglio,
appena dopo il Brexit, ma in calo dello 0,1 rispetto
alla stima di aprile. Proiezioni «ancorate al ribasso», dice Maurice Obstfeld, capo economista dell’Fmi che avverte: «Senza un’azione di supporto corriamo il rischio di perpetuare la bassa crescita» e dare voce al «populismo» in molti paesi.
Sono le economie avanzate le nuove malate del
pianeta: solo l’1,6% di crescita quest’anno, l’1,8 nel
2017, ma meno del 2015 quando si scavalcò la soglia del 2% di un decimale. Anche la macchina statunitense, dopo anni di reazione orgogliosa alla crisi, rallenta: quest’anno all’1,6%, totalizza lo 0,6%
in meno rispetto a quanto si stimava tre mesi fa.
Unica nota positiva il ritorno della crescita delle economie emergenti, i cosiddetti Brics: Russia e Brasile, che pur continuano a contrarsi quest’anno, dal
2017 tornano al segno più; l’India viene rivista al
rialzo con Pil al 7,6 e la Cina si attesta al 6,6%.
L’Eurozona del quantitative easing di Mario Draghi segna per quest’anno l’1,7%, più di luglio, ma
per il 2017 non va oltre l’1,5% (vale la pena di ricordare che nel 2015, nonostante la crisi persistente
segnammo il 2%). Contribuisce a «fare media» la
Spagna che quest’anno fa il 3,1% e rispetto a luglio
incassa un aumento della stima del proprio Pil di
mezzo punto. Francia all’1,3 e Germania all’1,4%,
anche in situazioni di difficoltà, tengono. L’aria che
si respira non è certo quella dell’ottimismo. Basta
ascoltare l’elenco delle eredità lasciate all’economia mondiale dalla crisi e riassunte da Obstfeld:
«Alto debito, sofferenze bancarie, deflazione, bassi
investimenti, erosione del capitale umano». In un
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atmosfera di questo genere il ministro dell’Economia Padoan, che sarà a Washington a fine settimana, impegnato nella polemica sulla crescita del Pil e
in un braccio di ferro con la Ue per l’«estensione» al
2,4 del deficit del prossimo anno, qui ha schivato
rampogne targate Fmi. Anzi sul referendum è proprio l’italiano Milesi Ferretti, vicedirettore del dipartimento ricerca dell’Fmi, a gettare acqua sul
fuoco: «Non è la Brexit, è una questione politica e
non economica». Ma sono i dati della crescita i più
attesi da Roma: l’Outlook taglia le stime per l’Italia
di un decimo di punto rispetto a tre mesi fa e dà per
quest’anno lo 0,8 risultando il linea con la nota di
aggiornamento del governo italiano. Sul conteso
1% per il 2017 l’Fmi si attesta allo 0,9%, anche in
questo caso un decimale in meno rispetto a luglio. Il
dato è oltretutto un «tendenziale»: l’Fmi spiega infatti che non considera gli effetti della manovra
2017. Salomonica la stima del deficit-Pil che l’Outlook pone al 2,2%, tra il 2 posto nella «nota» e il 2,4
richiesto a Bruxelles. Sale invece il debito: il messaggio di Washington è che si porterà nel 2017 a quota
133,4% del Pil, oltre il 132,5 stimato dal governo.
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WASHINGTON. Jason Furman è l’e-
conomista più vicino a Barack
Obama. Da chair del comitato di
consulenti economici, il quarantaseienne newyorchese aiuta il
presidente Usa a formulare le
sue politiche economiche a livello domestico e internazionale. In
un ristorante indiano a poche
centinaia di metri dalla Casa
Bianca, Furman spiega a 3FQVC
CMJDB perché l’eurozona debba
rafforzare le sue istituzioni e le
sue banche per aiutare la crescita mondiale, ma nega che ci sia
un conflitto in corso fra le due
sponde dell’Atlantico.
Il Fondo monetario internazionale ha abbassato le stime di
crescita per gli Usa ed è preoccupato per la ripresa globale.
Come risponde?
«Non dobbiamo perdere di vista quanto è stato fatto fino ad
ora. Negli Stati Uniti, ad esempio, abbiamo visto i consumi crescere sulla scia di un forte aumento dei redditi e la fiducia dei consumatori resta molta alta. Non
c’è nulla che assomigli a un momento di crisi, insomma. Ma questi progressi rischiano di provocare un certo compiacimento: in
molte economie avanzate ci sono
segni di domanda aggregata insufficiente, la produttività cresce troppo lentamente e la disoccupazione nell’eurozona è ben
più alta di come dovrebbe essere».
Il Fondo chiede un maggiore
coordinamento delle politiche
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economiche a livello globale,
ma questo sembra impossibile da ottenere.
«I leader del G20 si sono detti
d’accordo nell’utilizzare tutti gli
strumenti necessari per far ripartire la crescita, citando la politica
fiscale, monetaria e le politiche
strutturali. Per ora, il coordinamento a livello globale è riuscito
a evitare fenomeni come le svalutazioni competitive, ma altrove,
per esempio sulla politica fiscale,
non tutti i paesi la pensano come
gli Usa. Le organizzazioni internazionali come il Fondo o l’Ocse
stanno sempre di più chiedendo
uno stimolo fiscale, ma questa
non è la posizione su cui i leader a
livello globale sono d’accordo».
Cosa dovrebbe fare l’eurozona per spingere la crescita?
«Le istituzioni dell’eurozona
sono state disegnate in un modo
tale per cui l’unica vera politica
comune è quella monetaria. La
politica fiscale comune è stata
pensata soltanto per limitare la
spesa. Bisognerebbe ripensare le
istituzioni in un modo che aiuti a
coordinare la politica fiscale».
Il Fondo è preoccupato per i ri-
schi di crescente protezionismo. Che ne pensa?
«La storia più importante da
raccontare è come, dopo la crisi, i
Paesi abbiano continuato a liberalizzare il commercio invece di
erigere delle barriere. Sono però
preoccupato per come un piccolo
numero di Paesi stia cominciando a tornare sui suoi passi e, ancora di più, per come non riusciremo a liberalizzare il commercio
allo stesso ritmo di prima. Per
esempio, noi ci auspicheremmo
di procedere con le negoziazioni
per il trattato di libero scambio
Usa-Ue (Ttip) a un passo più rapido di quanto l’Ue sia in grado fare».
Negli scorsi mesi, Ue e Usa si
sono trovati su posizioni opposte in molti casi, dalla multa
che la Commissione Europea
vuole comminare a Apple, a
quella del Department of Justice contro Deutsche Bank.
E’ in atto una guerra commerciale?
«Abbiamo una relazione molto forte con l’Ue e i suoi Stati
membri. Ci saranno sempre dei
disaccordi, ma non vedo nessun
particolare trend: si tratta di processi, decisioni e casi distinti. Posso aggiungere una cosa però: noi
vediamo con grande favore il
mercato comune digitale che si
vuole costruire in Europa. Tuttavia, siamo preoccupati che questo mercato non sia creato con le
politiche di apertura con cui negli Usa abbiamo costruito il nostro. Se questo progetto si trasformasse in una forma di protezionismo, sarebbe un problema
per gli Usa e per l’Europa».
Non crede che le autorità americane abbiano preso di mira
le banche europee? Il vice-presidente della CommissioneValdis Dombrovskis ha detto
che l’Ue si opporrà a richieste
di rafforzamento eccessivo
della patrimonializzazione
delle banche, posizione invece sostenuta dagli Usa.
«Nel caso di Deutsche Bank is
tratta di un’azione di un’autorità
giudiziaria presa indipendentemente dalla Casa Bianca e su cui
noi non abbiamo nulla da dire.
Per quanto riguarda la regolamentazione bancaria, le banche
europee sono meno solide di quel-
lo che dovrebbero essere, e questo è un rischio per l’economia europea e globale. Servirebbe più
capitale, ma gli eventi delle settimane recenti hanno dimostrato
che ci sono anche carenze di trasparenza nei meccanismi con cui
viene gestita una crisi bancaria.
Le banche Usa hanno smesso di
essere un problema globale perché abbiamo maggiore chiarezza e più capitale. L’Europa, invece, è stata più lenta».
Siamo a pochi mesi dalla fine
del secondo mandato per l’amministrazione Obama. Non
crede che l’incapacità di far ripartire la ripresa globale sia
anche un vostro fallimento?
«Gli Usa non sono onnipotenti, né dovrebbero esserlo. Durante l’amministrazione Obama, il
G20 si è rafforzato: per esempio,
ha evitato che la crisi fosse peggiore di quel che è stato. Oggi,
sebbene nel G20 cominci a prevalere una posizione che sostiene
un rilancio delle politiche fiscali,
questo non è un punto di vista
unanime. Si tratta di uno dei limiti di questi consessi».
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ROMA. Stefano Cucchi è morto per un attacco epilettico, è
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questa l’ipotesi «dotata di maggiore forza ed attendibilità». Non si esclude però la possibilità, ritenuta meno plausibile, che il geometra 32enne possa essere deceduto per
un’abnorme dilatazione vescicale determinata in parte
dalla frattura alla schiena provocata o «da una colluttazione» o «da una caduta» successiva alla data del suo arresto.
È questa la conclusione a cui arriva il professor Francesco Introna, capo del collegio di periti incaricato nel gennaio scorso di stabilire se esista o meno un nesso di causa-effetto tra la morte di Cucchi e le lesioni che gli vennero inflitte durante il pestaggio subito la notte del suo arresto da quattro carabinieri, oggi indagati nell’inchiesta
bis del sostituto procuratore Giovanni Musarò per reati
che vanno, a seconda delle posizioni, dalle lesioni personali, all’abuso d’autorità, alla falsa testimonianza e false informazioni al pm.
«Riteniamo — si legge nella relazione medico-legale —
prospettabili due ipotesi: la prima, a nostra avviso, dotata
di maggiore forza ed attendibilità nei confronti della seconda». La prima è appunto la «morte improvvisa ed inaspettata per epilessia». Cucchi, spiegano i medici, soffriva di questa patologia da quando aveva 19 anni, e la curava con una certa costanza. Tuttavia «la tossicodipendenza di vecchia data» potrebbe aver in parte inficiato l’efficacia dei farmaci anti-epilettici. Sarebbe questa l’opzione
maggiormente valida sebbene «priva di riscontri oggetti-
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ROMA. «Io non potrei essere più
soddisfatta». Così Ilaria Cucchi
commenta la perizia degli
esperti nominati dal gip di Roma nell’ambito dell’inchiesta
Cucchi-bis. Il fascicolo vede indagati cinque carabinieri, accusati di aver pestato Stefano Cucchi tanto da causarne, anche se
in modo indiretto, la morte.
Come soddisfatta? La perizia
parla dell’epilessia come probabile causa della morte di
suo fratello.
«La perizia dice molte cose, alcune anche in contraddizione
tra loro. Ma per la prima volta,
dopo sette anni, riconosce le
due fratture alla colonna vertebrale. Quelle che secondo noi,
non curate, hanno causato la
morte di Stefano. Per me è un riconoscimento importantissimo».
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vi, ma supportata da rilievi clinico scientifici».
C’è poi la seconda, meno accreditata, in cui Introna
punta l’indice contro il personale sanitario dell’ospedale
Pertini sollevando implicitamente dalle responsabilità i
carabinieri. Cucchi, secondo questa tesi, sarebbe morto
per «un’aritmia mortale» dovuta ad un’abnorme dilatazione della vescica causata in parte dalla frattura vertebrale associata a lesioni delle radici posteriori del nervo
sacrale. Perciò, si legge nelle carte, il decesso non sarebbe
stato determinato direttamente dalle lesioni, ma da alcuni effetti collaterali non individuati in ospedale: «Se Cucchi fosse stato adeguatamente sottoposto a monitoraggio infermieristico la dilatazione vescicale non si sarebbe
verificata. In conclusione riteniamo che le lesioni contusive, riportate dopo l’arresto, non possono essere considerate correlabili causalmente con la morte».
«Il perito Introna — scrive Ilaria Cucchi sul suo profilo
Facebook — alza una cortina di fumo dicendo che è impossibile determinare con certezza una causa di morte. Gli
unici dati oggettivi che riconosce sono: la duplice frattura
della colonna e del globo vescicale che ha fermato il cuore.
Con una perizia così abbiamo ottime possibilità di vedere
processati gli indagati per omicidio preterintenzionale».
Di parere contrario l’avvocato Eugenio Pini, difensore di
uno dei carabinieri indagati: «Quanto da noi sostenuto in
sede d’incidente probatorio è stato confermato dalla perizia disposta dal gip. Chiederemo l’archiviazione del procedimento».
Gli esperti la citano come
una delle due possibili cause,
certo. Ma parlano anche
dell’epilessia.
«Tutti sanno che abbiamo criticato aspramente il professor
Introna. Ma per noi, oggi, la perizia è buona. Ripeto: finalmente
vengono riconosciute quelle ferite».
Nel primo processo non erano emerse?
«Diciamo che non erano sta-
te prese in alcuna considerazione».
Le difese dei carabinieri indagati, però, esultano dicendo
che chiederanno l’archiviazione.
«Non capisco come mai.
Ognuno vede le cose a modo
suo. Ho imparato, purtroppo,
che i processi sono così. Per noi
è un successo. Perché è vero che
fanno un riferimento all’epilessia, ma dicono che, comunque,
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non è documentabile come causa della morte. Diverso è per le
fratture alla colonna vertebrale, che vengono riconosciute come recenti, e per il danno al globo vescicale non curato».
Suo fratello soffriva di epilessia?
«Sì, ma erano anni che non
aveva crisi. E in ogni caso l’epilessia non può causare la morte».
Le lesioni sì?
«Non erano lesioni mortali,
questo è certo. Ma altrettanto
certo è che quelle fratture non
curate possono aver causato la
morte di mio fratello».
Ma questo non sposta, di nuovo, l’attenzione sui sanitari
del Pertini che lo ebbero in cura?
«In effetti sì. Il problema è
che i sanitari sono stati assolti
con sentenza passata in giudicato. E quindi non si può tornare
indietro».
E adesso?
«Ora gli indagati sono i carabinieri che quelle fratture le
hanno causate a suon di botte. E
vedremo come andrà a finire.
Certo, per come si erano messe
le cose, anche solo avere contemplato le fratture come una
delle possibili cause, per noi è
un passo avanti. In passato queste cose sono sempre state negate. Per cui ora andremo a processo per omicidio. E combatteremo, come sempre».
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ROMA. Le 205 pagine della perizia di ufficio firmata dal collegio
di professori presieduto da Francesco Introna sono un italianissimo capolavoro di ipocrisia che lascia il caso Cucchi in un guado dove è possibile sostenere tutto e il
suo contrario. Un guazzabuglio
della logica, un monumento al
«ma anche», che consente, legittimamente, di far dire ai difensori
dei carabinieri indagati per il pestaggio di Stefano che l’inchiesta
“bis” della Procura è pronta per essere sepolta da una pietra tombale. E, altrettanto legittimamente,
a Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo,
legale della famiglia, che «finalmente sarà possibile celebrare
un processo per omicidio».
Impossibile, si dirà. Eppure,
prevedibile. Chiamato dopo sette
anni a rispondere una volta per
tutte alla Domanda del caso Cucchi — di cosa è morto? — perché
dalla risposta dipende il futuro di
un nuovo processo agli autori del
pestaggio, il collegio peritale nasce infatti nel gennaio scorso sotto i peggiori auspici. Perché a presiederlo viene chiamato un luminare barese, Francesco Introna,
massone in sonno e uomo di destra, legato da rapporti di stima e
colleganza con almeno due dei
professori e medici legali (Paolo
Arbarello e Cristina Cattaneo) di
cui dovrebbe giudicare il lavoro.
Perché, nel tempo, uno quale perito del pm (Arbarello), l’altra quale consulente di ufficio della Corte
di Assise nel processo di primo
grado (Cattaneo) hanno categoricamente escluso che le lesioni subite alla schiena durante il pestaggio da Cucchi (due fratture vertebrali) abbiano qualcosa a che vedere con le cause del suo decesso.
Concludendo in un caso (Arbarello) che Stefano è morto per un «arresto cardiocircolatorio provocato da un grave squilibrio metabolico». Nell’altro (Cattaneo), di «fame e di sete», come un suicida. Di
più. Il professor Introna è diviso
da profonda inimicizia da Vittorio
Fineschi, storico consulente della
famiglia Cucchi che da sette anni
predica nel deserto sostenendo
che nella morte di Stefano hanno
avuto un peso decisivo le sue fratture vertebrali e l’effetto che hanno prodotto sui riflessi vagali che
governano il battito del cuore.
La posta in gioco per Introna e
il suo collegio è dunque alta. Concludere che le fratture vertebrali
non sono state né causa, né
“con-causa” della morte di Cucchi
significa condannare l’inchiesta
bis sui carabinieri a un’imputazione modesta di lesioni e dunque a
sicura prescrizione visto il tempo
trascorso. Sostenere il contrario,
significa aprire la strada a un’imputazione di omicidio preterintenzionale e umiliare il lavoro di
Arbarello e della Cattaneo, dando
ragione all’odiato Fineschi e violando il fairplay degli uomini di
scienza, in cui la regola vuole che
cane non morda cane.
Per uscire dalla tenaglia, Introna impiega dieci mesi. E, alla fine,
sceglie la via del «ma anche». Tira
fuori dal cilindro come «probabile
causa di morte» il coniglio dell’epilessia, ma ammette che l’ipotesi,
sebbene da lui privilegiata, non
ha riscontri «oggettivi». Quindi,
sdogana quella avanzata dall’odiato Fineschi. Ancorché da lui
scartata — argomenta infatti —
esiste una seconda ipotesi plausibile: che le fratture alla schiena di
Stefano (per la prima volta in sette anni riconosciute come recenti
e dunque frutto del pestaggio) abbiano indotto un riflesso del nervo vagale che ha provocato la spaventosa dilatazione della vescica
e, a cascata, una gravissima bra-
chicardia che ha prodotto l’arresto del cuore. E tuttavia, aggiunge, quelle fratture (e dunque il pestaggio) non possono essere considerate causa del decesso, perché sarebbe bastato che qualcuno avesse avuto cura di svuotarla
quella vescica. Insomma, colpa
non dei carabinieri, ma degli in-
fermieri del Pertini, dove Stefano
fu ricoverato, e per giunta ormai
assolti con sentenza passata in
giudicato.
Nel gergo degli addetti, una
“perizia suicida”. Forse, e più semplicemente, solo l’ultima furbizia
di una storia che continua a pretendere soltanto la verità.
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ROMA. Matteo Renzi non ha problemi
ad accettare un confronto con Massimo D’Alema o Beppe Grillo. E, perché
no, anche con Silvio Berlusconi. Il premier, infatti, intervistato da Vittorio
Zucconi su Radio Capital non si tira indietro rispetto alle sfide con i leader
del No. E ci scherza un po’: «E come dimenticare allora il prode combattente Silvio Berlusconi? Il punto non è
quanti confronti fare di qui alla fine,
sui quali peraltro non ho problemi di
nessun genere». Ma un problema, secondo il premier, comunque c’è: «Nel
frattempo - dice - io dovrei fare il presidente del Consiglio. Per esempio nelle prossime ore licenziamo la legge di
Stabilità. Allora, io sono pronto a discutere su tutto, ma la mia priorità è
governare», conclude con un filo di
ironia.
Ironia che spande a pieni mani
quando gli si chiede della possibile
“Woodstock del No”. «E chi canta,
Brunetta? O suona?», chiede. «Certo
pensare alla Woodstock di Salvini
con Vendola, di Berlusconi con Grillo
e Brunetta con D’Alema... Speriamo
che la diano in diretta perché guadagneremo un sacco di voti», spiega alludendo alla “foto di famiglia” eterogenea degli oppositori della sua riforma costituzionale.
A stretto giro di posta arriva la replica di Renato Brunetta: «Un’eventuale Woodstock del No - dice il capogruppo forzista alla Camera - farebbe
impallidire Renzi e la sua compagnia
di disperati. Il premier piuttosto pensi alla sua orchestrina per il Sì nella
quale suona con i poteri marci, con le
banche, con le agenzie di rating, con
Marchionne, con Alfano e con Verdini. Il 4 dicembre sarà un nuovo 25
aprile. Una festa di liberazione».
Renzi però la sua riforma difende a
spada tratta. «Per mesi si era detto
che c’era una svolta autoritaria, una
deriva fascistoide. Poi si va a leggere
il testo e si fa chiarezza. E nessun confronto è inutile: ho chiesto al professor Zagrebelsky se ci fosse un articolo
che potesse far venire il dubbio di
una svolta autoritaria, ma non c’è. Si
scopre che non è in ballo la democrazia ma la burocrazia».
Alla domanda sulla modifica della
legge elettorale, il premier dice: «Il
Pd attende la discussione in Parlamento sulla legge elettorale, accetterà volentieri di porsi in un clima di dialogo e confronto con le altre forze politiche affinché si possa verificare l’ipotesi di una modifica. Piaciuta la risposta in politichese?» chiede ironico il
premier.
L’attendismo di Renzi però deve fare i conti con l’attivismo di pezzi del
Pd. Ieri Vannino Chiti ha messo sul tavolo una nuova proposta: «Mi pare
giusto - dice il senatore dem - prevedere che non soltanto due partiti che sono arrivati in testa al primo turno,
ma tutti quelli che hanno superato il
15-18 per cento dei consensi possano
partecipare al ballottaggio».
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ROMA.
ranza della Capitale, finisce
triturata come gli altri: «Rappresenta il partito che combatte i poteri forti - ricorda Alvise Armellini, della Dpa international - e invece ha fatto
una campagna elettorale timidissima, per non disturbare nessuno». Piacciono poco i
grillini, non supera l’esame
neanche il premier. Per tutti,
è il leader del «grande errore»: «Ha puntato tutto su quella che definisce la “madre di
tutte le riforme” - ricorda Giada Zampano, del Wall Street
Journal - ma è un tema troppo
tecnico, difficile da spiegare
ai cittadini». Non tutti si schierano, però tutti ricordano agli
studenti l’importanza della
posta in palio: «Sarà capace l’Italia di riformare se stessa? domanda Gaia Pianigiani, del
New York Times - Saranno gli
elettori a dare la risposta».
I ragazzi restano inchiodati
in platea, assieme a Federigo
Argentieri del “Guarini institute for public affairs”. A volte però rischiano di perdersi,
invischiati nell’epopea del direttorio grillino, tra una scissione di Pizzarotti e uno screzio tra i big cinquestelle. «Sono partiti con lo streaming - tira le somme Frances D’Emilio, dell’Ap - e sono finiti a decidere a porte chiuse...».
Pronto, onorevole
Luigi Sidoti, la Camera
ha revocato il vitalizio a
lei, Toni Negri, Previti e
altri tre ex deputati condannati.
«Non avevano niente
da fare».
Se lo aspettava?
«No, belle notizie mi
dà».
Lei quanto prendeva?
«Duemila euro. Una miseria».
Una mise40550
ria?
«Rispetto
5*30
ad altre pensioni certo, comunque non
voglio fare lo
spocchioso».
Ha anche
una pensione Inps?
«Sì, di 600
euro. Ora come farò?»
Perché è
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stato conBOOJ
dannato
FYEFQVUBUP"O
per malversazione?
«Dovevo costruire un albergo, un appalto da quattro milioni per cui mi chiesero anche il pizzo, invece
è finita con una condanna
costruita. Non hanno voluto vedere le carte».
È giusto togliere il vitalizio a chi ha una condanna sopra i due anni?
«Provo rabbia. Il pm aveva chiesto due anni, così
mi sarei salvato. Ma i giudici poi mi hanno condannato a 2 anni e 6 mesi».
Che farà?
«Quello che è fatto è fatto, purtroppo. Sentirò l’avvocato. Faccio notare che
il regolamento di Montecitorio è stato varato nel
2015, un anno dopo la mia
condanna, quindi sconto
anche la beffa dell’effetto
retroattivo».
Anche a Berlusconi avevano tolto il vitalizio
«Ma a quello gli fa un
baffo, per me è la vita».
Lei era missino?
«Orgogliosamente. Venticinque anni di consiglio
comunale a Catania, sempre all’opposizione, poi entrai in Parlamento con An:
due anni tra il ’94 e il ‘96.
Non avevo i requisiti per
l’assegno mensile, ma ho
pagato la differenza».
Per quanti anni l’ha preso?
«Vent’anni»
E ora?
«Ho la sospensione della
pena, la non menzione nel
casellario, però sono senza
vitalizio. Che presa in giro».
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ROMA. «L’insulto alle donne viene ormai considerato come un fatto con cui rela-
zionarsi, specialmente sul web» dice la presidente della Camera, Laura Boldrini, aprendo i lavori della commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio intitolata a Jo Cox, la politica britannica assassinata
nei giorni precedenti al referendum sulla Brexit. Con lei, il ministro per le Pari
opportunità Maria Elena Boschi: «È inaccettabile, dopo anni di battaglie, tollerare di essere sottoposte a insulti e umiliazioni».
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ROMA. Gli studenti della John
Cabot University brindano a
Coca cola. Nulla di meglio per
tirar su il morale, dopo un paio d’ore spese ad ascoltare le
spietate analisi dei cronisti
stranieri sul futuro dell’Italia.
Ci sono tutti: New York Times, Wall Street Journal, Reuters, Frankfurter Allgemeine
Zeitung, Ap, Dpa international. E nessuno fa sconti. Se i
cinquestelle deludono e Matteo Renzi sbaglia una mossa
di troppo, chi salverà il Paese? «Il figlio di un mio amico
ha ventisei compagni di classe - racconta un corrispondente - e soltanto uno vuole restare in Italia. Gli altri imparano
le lingue per poi scappare
via...».
Già il titolo avvicina la platea al caos di questi mesi: “Ultime notizie dall’Italia: Roma,
Movimento cinque stelle e referendum”. Un imbuto in cui
finiscono incastrati un po’ tutti. «Renzi? Ha commesso il tremendo errore di personalizzare il voto, e adesso ha paura
perché la maggioranza sembra schierata per il No». «Raggi? Non ha ancora combinato
nulla». «Il Movimento? Gruppi che si combattono tra loro». Proprio i grillini, la speranza di tanta stampa oltre
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confine, sembrano in picchiata: «Può essere davvero Facebook la base democratica? domanda Tobias Piller, presidente dei giornalisti stranieri
- E poi, come scelgono i candidati?». I ragazzi ascoltano, incalzano. «Davvero occorre superare il bicameralismo perfetto, quando il Jobs act è stato approvato in un lampo? E
perché il Pd ha promesso una
legge anticorruzione e poi ha
pensato soprattutto alla riforma costituzionale?». Corruzione, ne parlano proprio tutti.
Come anche del sogno del
ponte sullo stretto, l’eterno incompiuto preso in prestito
«proprio da Berlusconi!».
Se la stampa estera è lo
specchio, l’immagine riflessa
fa paura. «La visione di tutte
le maggioranze è corta. Io sono in Italia dal 1992 - racconta
sempre Piller (Faz) - e quando mi domandano da quanto
tempo sto qui rispondo: “Da
sedici governi”». Disincanto
totale. C’è un Paese che lotta
per riformarsi, ma torna sempre al punto di partenza. «Roma non sembra una capitale
del G7 - riflette Crispian Balmer, della Reuters - e per questo spero che Raggi governi
bene. Però l’altro giorno un
tassista mi diceva: “I poteri
forti remano contro di lei”. E
io gli ho risposto che non mi
sembra davvero che sia così».
Proprio la sindaca, la spe-
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Per il 'JOBODJBM 5JNFT l’Italicum e la riforma costituzionale
voluti da Matteo Renzi sono un
«ponte verso il niente». «Servono meno leggi scritte meglio,
non più leggi approvate rapidamente» aggiunge il quotidiano
londinese. «La riforma non farà
molto per migliorare la qualità
del governo e della politica».
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ROMA. «Non voglio più vedervi l’uno contro l’altro,
mai più». Beppe Grillo lo ha detto ai deputati che
ha incontrato ieri, alla Camera, insieme a Davide
Casaleggio. Lo ha fatto prima e dopo aver spento le
candeline per i sette anni del Movimento. Tra una
fetta di torta e un discorso sul sistema operativo
Rousseau, con in testa il problema che non riesce a
risolvere: il caso Muraro a Roma.
L’assessora all’Ambiente indagata per illeciti
sui rifiuti imbarazza tutto il Movimento. Perfino
uno sponsor dell’autonomia di Virginia Raggi come Luigi Di Maio confida ai collaboratori: «È un problema che dobbiamo risolvere». E c’è chi si spinge
a interpretare come un avvertimento il ringraziamento mattutino di Grillo ai netturbini. «La città è
più pulita grazie a loro che sono la forza più importante della città», ha detto il fondatore. E non, come dice la sindaca, per merito di quell’ex consulente Ama che lei - nonostante tutto - non vuole mollare.
Si è impuntata, Virginia Raggi. «Come sempre»,
commentano i parlamentari che di lei non si fidano. E che arrivano a dire: «Paola Muraro sostiene
che ha il sostegno della sindaca perché è andata a
cercare protezione da Pieremilio Sammarco». Una
notizia che l’avvocato nega («Non la conosco, su di
me solo miti») ma che avrebbe spinto i diarchi del
Movimento a bloccare ogni ipotesi di incontro con
la prima cittadina romana. La sua assenza si è notata, a una festa cui è arrivato perfino il consigliere
comunale bolognese Max Bugani. E le difficoltà, ormai, non le nega neanche Grillo, che lasciando
Montecitorio ha fatto una battuta: «Good Movement, bad moments» (Movimento buono, momenti brutti) e che ai parlamentari ha ripetuto: «Sono
tornato per le difficoltà del direttorio, è per questo
che ho dovuto riprendere in mano la situazione».
Le divisioni tra i cinque - Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Carla Ruocco, Carlo
Sibilia - hanno quindi causato il ritorno del capo e
l’ascesa di Davide Casaleggio. A protezione di quel
candidato premier in pectore - il vicepresidente della Camera Di Maio - che aveva ormai troppi nemici
all’interno di quelle che avrebbero dovute essere
le sue truppe. Così, le parole di conforto del fondatore ai suoi - «Dovete essere uniti, la comunicazione
deve far venire fuori più i temi che i personalismi,
d’ora in poi tra noi ci saranno meno filtri» - sono vissute da alcuni come una gigantesca messa in scena. Perché a cena, con Grillo, Casaleggio, Pietro
Dettori e i due capi della Comunicazione Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi, lunedì sera, c’era sempre
e solo Luigi Di Maio. E gli altri, ancora una volta, lo
hanno scoperto leggendo i giornali.
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ROMA. Nelle stesse ore in cui
Grillo si occupa da Roma della
molto terrena questione di come gestire il Campidoglio, e il
Movimento festeggia sette anni dalla Fondazione, Davide Casaleggio manda in rete un algido filmato progettato dal padre
prima di morire e mai diffuso.
Una sorta di videotestamento,
par di capire, in cui Gianroberto Casaleggio, facendo sua «l’in-
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quietante» profezia dello scienziato Stephen Hawking, evoca
«la nascita di un superorganismo che trascenderà l’intelligenza umana». Niente di buono in arrivo: «Ci sarà un momento conosciuto come Singolarità
in cui questa entità sfuggirà al
nostro controllo e non potremo
più capirne le decisioni. Potrebbe considerarci noiosi insetti
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da schiacciare». Musica di sottofondo adeguata, quasi il rombo
di un aereo.
Che il guru dei Cinquestelle,
appassionato sponsor della Rete in politica, ci volesse dire,
«Attenti alle macchine?». Di sicuro, in ultimo, come spiega il figlio, «gli piaceva riflettere sul
futuro» e il tema della «Singularity» lo intrigava molto. Non
più i robot di Asimov, rispettosi
dell’essere umano, ma un’intelligenza artificiale autosufficiente che prende il sopravvento e
insidia la nostra sopravvivenza. Dibattito non nuovo. Casaleggio senior evoca le sue infarinature in materia: la partita a
scacchi di Deep Blue, calcolatore dell’ Ibm che, nel 1996, batte
il campione Kasparov; il romanzo «Solaris» di Stanislav Lem; il
super computer Al 9000, dotato di sentimenti, che, in «2001
Odissea nello spazio», «uccide
per non essere disattivato»; anche il megaprogetto di mappatura dei neuroni del cervello,
Brain Initiative, voluto da Obama; l’Intelligenza degli oggetti
(Iot) in pericolosa avanzata assieme alla «crescita esponenziale dei Big Data». Roba difficile
da seguire per quegli esponenti
del Movimento che di recente
hanno lanciato l’allarme sulle
scie chimiche, negato lo sbarco
sulla Luna e ipotizzato che l’America infili microchip nel cervello dei suoi cittadini. Scienza
e Cinquestelle, rapporto controverso.
Mentre la sua creatura politica cresceva grazie alla Rete, Casaleggio, diffidente di certo progresso, cominciava ad interrogarsi «sull’evoluzione delle
macchine». L’assessora Muraro, la monnezza di Roma, i contratti non ortodossi, la cacciata
di Pizzarotti. Diciamo la verità:
tutto molto terra terra di fronte
a questo lungo video infarcito
di interrogativi come quello
tratto dal libro di Philip K. Dick:
«Ma gli androidi sognano peco-
re elettriche?». Non pensabile
coinvolgere nel dibattito «Diba», Di Battista, o la senatrice
Taverna, impegnati nel corpo a
corpo quotidiano, eppure questa è la «singularity» del Movimento. Dal Vaffaday alle teorie
degli scienziati. Dall’esaltazione della Rete, celebrata nel
2008 nell’altro video «visionario» di Casaleggio, dedicato a
«Gaia», il nuovo ordine mondiale, alla cupa profezia “rubata” a
Hawking: «La fine dell’umanità potrebbe iniziare dagli Anni
Quaranta di questo secolo». In
«Gaia», realizzato qualche anno prima, andava meglio: «Nel
2040 l’Occidente vince (nota
per il lettore: era in corso, dal
2020, secondo le previsioni di
Casaleggio, la terza guerra
mondiale) e la democrazia della Rete trionfa».
Altro che l’artigianale Direttorio. A sentire la nota profezia,
sposata dal guru dei Cinquestelle, a governare il pianeta sarà
un Superessere. Sui titoli di coda della Casaleggio Associati
2016, appare tuttavia di grande conforto la conversazione di
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due alieni. Uno chiede all’altro
«chi sta dietro le macchine». La
risposta apre uno spiraglio: «La
carne ha fatto le macchine. Carne che nasce carne e muore carne». Quasi un inno: «Carne pensante, carne cosciente: la carne
è tutto». In calce al video, il primo commento dalla carne della
Rete: «Ora capisco come votare
al prossimo referendum».
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ROMA. Come Pulcinella in
mezzo ai suoni, l’assessora
all’ambiente Paola Muraro
continua a ripetere a ogni legnata un autistico «vado
avanti con il pieno appoggio
della sindaca», tenendosi alla
larga da un proscenio di cui
ormai sono nitidi i contorni e
da un’indagine penale in cui
risponde di reati ambientali
e concorso in abuso di ufficio
con l’ex Presidente di Ama
Franco Panzironi e l’ex dg
Giovanni Fiscon, l’uno e l’altro imputati nel processo Mafia Capitale. Quelli che consentono di dire che la Muraro
è la cruna dell’ago attraverso
cui un sistema di relazioni e
interessi nato, cresciuto e battezzato dalla destra post-fascista romana, ha rimesso le
mani su Ama, la municipalizzata dei rifiuti.
È una storia che si può documentare con le intercettazioni telefoniche (storia della
scorsa settimana) tra la Muraro, Fiscon e Panzironi. Dunque, con il legame ora sentimentale, ora di business (1
milione e 350 mila euro di
consulenze) che legava la prima agli altri due. Ma anche
con quel reticolo familista
proprio della città e di quel
clan che in gioventù portava
la celtica al collo. Si tratta di
una storia minore, forse, eppure esemplare, che lega la
Muraro a una famiglia “nera”, i Di Pisa, che ha avuto
una parte nelle vicende della
destra romana. E che documenta la microfisica e la vischiosità del Potere che si è
saldato intorno alla giunta
M5S.
Accade infatti che nello
staff dell’assessora Muraro lavori oggi, quale dipendente
comunale distaccata, Maria
Paola Di Pisa, educatrice di
asili nido, e già precedentemente “in distacco” (era il
2010) nello staff dell’allora
sindaco Gianni Alemanno.
Maria Paola ha una sorella
più giovane, Serena, come lei
già attivista di destra, cresciuta nel quartiere “nero” Trieste, già militante di Terza Posizione, e con un ex compagno dal nome e la storia pesanti. Pasquale Belsito, un ex
Nar oggi all’ergastolo dopo
una lunga latitanza a Londra
(nel febbraio scorso, ha tentato l’evasione dal carcere di Secondigliano). Serena Di Pisa
e Pasquale Belsito hanno due
figli: un maschio, Giulio, e
una figlia, Elena, entrambi
non riconosciuti dal padre. E
anche per questo “adottati”
da quella famiglia di ex camerati che, negli anni 2000, dopo aver deposto la celtica e indossato la grisaglia della classe dirigente, comandano a
Roma.
Mentre Serena Di Pisa lavora nella segreteria di Andrea
Augello, senatore Ncd e all’epoca coordinatore delle campagne di Alemanno, la figlia
Elena, ingegnere ambientale, viene assunta in Ama dalla coppia Panzironi-Fiscon in
quella che sarà battezzata come la più macroscopica delle
Parentopoli dell’era Alemanno. E, coincidenza, viene mes-
sa a lavorare agli impianti
TMB di Rocca Cencia e Salario con Paola Muraro, allora
consulente ricchissima e potentissima dell’Azienda, la
“favorita” di Fiscon, il ventriloquo di Panzironi. Dura finché dura la destra al potere,
perché con l’arrivo di Daniele
Fortini e Filippi in Ama, 41 degli assunti della Parentopoli
vengono licenziati. E tra loro
c’è Elena Di Pisa. La Muraro
propone allora all’Azienda di
riassumerla con un contratto
di collaborazione, ma Fortini
si oppone. E ne avrà a pentirsi. Perché sia lui che l’allora direttore generale Alessandro
Filippi diventano il bersaglio
politico del senatore Andrea
Augello e di un altro pezzo da
novanta della vecchia destra
romana, il deputato Vincenzo Piso (nel frattempo anche
lui transfuga dal Popolo della
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ROMA. Una torta con sette candeline rosa per festeggiare il compleanno del Movimento 5 Stelle,
fondato il 4 ottobre 2009 a Milano. I parlamentari che cantano “Tanti auguri” e “Un amore così
grande”, in una sala di Montecitorio, a conforto
del fondatore venuto a cercare di mettere pace
dopo gli scossoni del caso Roma. A spegnere le
candeline è Davide Casaleggio. Chi non c’è, twitta: «Sono di ritorno da Assisi e penso a come siamo cresciuti in questi anni. Oggi siamo più forti
che mai e non ci fermeremo» scrive la sindaca di
Torino Chiara Appendino. In serata si aggiunge
Virginia Raggi, sindaca di Roma: «Auguri a noi,
ogni anno sempre più grandi».
Libertà al gruppo Misto).
Raggiunto telefonicamente, il senatore Augello spiega
di «non aver avuto alcun ruolo nei rapporti tra Elena Di Pisa e l’assessore Muraro, conosciuta per la prima volta in occasione della sua audizione
in Parlamento». È un fatto
che nessuno sia in grado di
spiegare per quale motivo sia
stata tirata a bordo della nuova giunta una donna, la Muraro, che dichiarava pubblicamente di aver votato a sinistra, ma i cui legami e incroci
con la destra romana appaiono sempre di più saldi come
la gomena di una nave. Come
anche la vicenda della famiglia Di Pisa dimostra. Del resto, nel festival delle ricorrenze “nere”, come svelato quando ancora la campagna elettorale non aveva incoronato la
Raggi sindaca, balla anche il
nome di un’altra donna, Gloria Rojo. Anche lei in Ama con
Parentopoli. Anche lei per
questo licenziata. Era amministratore delegato della società di recupero crediti che finanziava la fondazione di Alemanno, la “Hgr” fondata da
Panzironi, di cui era Presidente, per conto dello studio Sammarco, la giovane “praticante di studio” Virginia Raggi.
Come la Muraro oggi, anche
la sindaca, allora, liquidò la
faccenda come un irrilevante
dettaglio, senza spiegare
mai, tuttavia, perché avesse
eliso dal suo curriculum
quell’esperienza in “Hgr” che
la legava, insieme, allo studio
Sammarco e all’imputato di
Mafia Capitale Franco Panzironi.
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ROMA.
«L’addio di Pizzarotti? Rischiamo un
effetto domino, altri abbandoni, soprattutto
in Emilia-Romagna che è una regione complicata per il Movimento. Federico è un punto di
riferimento per molti nostri attivisti». Michela Montevecchi, senatrice M5S di Bologna, è
amareggiata per l’epilogo del rapporto tra i
vertici pentastellati e il sindaco di Parma.
Non ha voglia di parlare. Come lei anche la collega Elisa Bulgarelli, amica di Pizzarotti, cerca di dribblare le domande. Ma è impossibile,
per chi ha militato per anni fianco a fianco,
fingere che non sia successo nulla.
Come si è arrivati a questo addio al veleno?
«Federico da tempo aveva idee diverse da
Beppe su come far crescere il movimento, sulle regole da darci».
Un abbandono spontaneo o una espulsiona camuffata?
«Diciamo un’uscita indotta da un contesto
di rapporti umani che si erano lacerati da tem-
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po. Era venuta meno la fiducia tra lui e i vertici».
Ha pesato la sua rivalità con Massimo Bugani, bolognese e fedelissimo dei capi?
«Federico è sempre stato una figura ingombrante per Bugani. Tra il fedelissimo e il
principe dei dissidenti il rapporto si era deteriorato. A Pizzarotti non è mai stato perdonato di esprimere le sue critiche quasi sempre a
mezzo stampa».
Nel pieno del caso Raggi per voi quanto pesa perdere un buon sindaco?
«Perdiamo una freccia dal nostro arco, un
esempio di come il Movimento può governare una città importante. Non credo che ci farà
bene. Però anche di fronte ad altre espulsioni
o addii pensavo sarebbe successo un cataclisma. E invece il M5S ha una grande capacità
di andare avanti».
Il caso Muraro a Roma non vi sta facendo
bene...
«Una cosa è certa: Raggi ha il pieno sostegno di Grillo. Se su Muraro emergeranno degli illeciti dovrà fare un passo indietro».
Che futuro vede per Pizzarotti?
«In Emilia-Romagna può riunire la diaspora dei tanti che sono usciti dal M5S. Credo
che, dietro al suo addio, ci sia anche un progetto politico».
A livello nazionale? Con altri fuoriusciti?
«La dimensione nazionale è troppo complicata. E del resto i tanti ex M5S non sono mai
riusciti a costruire un progetto alternativo. Alcuni se ne sono andati per fare carriera altrove. Ed è meglio così».
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BRUXELLES. «Con la Global Strate-
gy presentata da Federica Mogherini l’Europa si sta impegnando a creare una Difesa comune.
Ma su un aspetto chiave della futura capacità difensiva, cioè l’attività di ricerca e sviluppo, stiamo perdendo terreno e non investiamo abbastanza». Lo spagnolo Jorge Domecq è il direttore esecutivo dell’Eda, l’Agenzia europea della Difesa, che coordina
l’attività militare e industriale in
materia di armamenti. E sarà oggi in Italia per una serie di incontri con i massimi responsabili
dell’industria e delle Forze armate. Ma il suo cruccio principale è
la continua diminuzione degli investimenti nella ricerca e il fatto
che, nonostante le belle dichiara-
zioni, ogni Paese stia ancora andando per conto proprio, impegnato a cercare soluzioni nazionali ad un problema che dovrebbe invece essere affrontato in modo congiunto.
Grandi dichiarazioni sulla Difesa comune, ma a che punto
stiamo veramente?
«Lo so che parlare di un possibile Quartier Generale europeo
fa più notizia, ma ci sono altri
aspetti che sono molto più importanti. E oggi la chiave per realizzare una Difesa europea è un’attività di ricerca e sviluppo coordinata, che è essenziale per mantenere competitiva l’industria europea e garantirci di non dover dipendere da altri Paesi per le nostre necessità in materia di armamenti».
E invece le cose non funziona-
no?
«Il settore della ricerca è molto trascurato. Gli Stati Uniti hanno appena varato un progetto
che consente al Pentagono di investire diciotto miliardi di dollari
all’anno per stimolare le indutrie
più innovative, in particolare
quelle di Silicon Valley, su programmi di difesa. In Europa, invece, gli investimenti nella ricerca in questo settore sono scesi
dai 3 miliardi nel 2006 a due miliardi l’anno scorso. Dopo dieci
anni di tagli dovuti alla crisi, nel
2015 le spese per la Difesa hanno
ricominciato a crescere in Europa. Ma quelle per la ricerca no.
Inoltre c’è una frammentazione
eccessiva. Meno del nove per cento degli investimenti in ricerca
sono dedicati a progetti congiunti. Non ci sono programmi che sti-
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molino la ricerca comune».
Un declino irreversibile?
«Non è detto. La Global Strategy lanciata da Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Ue
per gli Affari Esteri e la Sicurezza, si abbina ad un progetto di investimenti che vede per la prima
volta risorse del bilancio europeo
destinate alla Difesa. Già l’anno
prossimo saranno stanziati 25
milioni per la ricerca. Se l’Action
Plan presentato dalla Commissione sarà approvato, nel bilancio
quinquennale 2017-2021 ci potranno essere 3,5 miliardi da investire su progetti congiunti».
Quali sono le vostre priorità?
«Quelle più immediate sono
quattro. La prima è il rifornimento degli aerei in volo. Durante la
crisi libica gli europei non sono
stati in grado di rifornire in volo i
loro aerei e hanno dovuto chiedere aiuto agli americani. La seconda è la creazione di un sistema di
droni europei: solo la ricerca per
la prossima generazione di aerei
senza pilota costerà un miliardo
di euro. La terza è la creazione,
entro il 2025, della prossima generazione di satelliti per la comunicazioni utilizzate dagli apparati di governo (GovSatCom). La
quarta priorità è la Cyber Defence, cioè la difesa di quel territorio immateriale ma determinante che è il cyberspazio.
Ma i settori dove cooperare sono infiniti. Dall’acquisizione di
una capacità di produzione del
nitruro di gallio, essenziale per
la prossima generazione di sensori, fino alle fibre tessili intelligenti, che dovranno pesare di
meno, proteggere di più, e fornire informazioni sullo stato di salute dei soldati in operazione».
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Lo scacchiere delle alleanze
GLI STATI UNITI
Attaccano l'Isis
Supportano i curdi siriani
Sostengono anche i ribelli
sunniti e altre forze anti-Assad
LA RUSSIA
Attacca l'Isis
Supporta Assad
Prende di mira anche
i ribelli sunniti
I raid aerei della coalizione anti Isis a guida Statunitense
5.504
9.601
Siria
Iraq
Kilis
Alessandretta
Afrin
Aree popolate dai curdi
Aree a controllo militare curdo
Aree sotto il controllo dell'Isis
Aree a controllo governativo
Aree controllate dai ribelli
Aree controllate da Hezbollah
50 km
TURCHIA
Kobane
Jarablus
Azaz
TURCHIA
Manbij
Ain Issa
SIRIA
Aleppo
Hatay
DAMASCO
Attacca l'Isis e i ribelli
E' supportato da Iran e
hezbollah libanesi
I RIBELLI
Nella galassia di forze anti
Assad: ribelli sunniti, al Nusra,
Isis, milizie curde
(al 20 settembre)
Sanliurfa
Damasco IRAQ
Raqqa
Idlib
1
Latakia
Tabaqa
4
2
Laodicea
Deir el Zor
SIRIA
Hama
6
LE POSIZIONI RUSSE
Tartus
3
1
2
3
4
5
Homs
Al Qusair
Palmira
Tripoli
BAN O
5
FONTE IHS CONFLICT MONITOR, 6 SETTEMBRE
Porto di Latakia
Aeroporto Bassel al-Assad
Porto di Tartus
Slinfah
Aeroporto internazionale
di Damasco
6 Hama Equestrian Club
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A RUSSIA non è altro che una
potenza regionale». Quando nel marzo 2014 Barack
Obama lasciò cadere queste parole,
commentando con esibita noncuranza la presa russa della Crimea,
forse non immaginava quale effetto
avrebbero prodotto nell’irritabile
psiche di Vladimir Putin. La memoria di quell’insolenza ha contribuito
poco più di un anno fa a determinare la scelta del Cremlino di intervenire in Siria. Persa Kiev, infragilita dal
crollo dei prezzi petroliferi, colpita
dalle sanzioni occidentali per l’intervento in Ucraina, la Russia voleva dimostrare a se stessa e al mondo di
restare una grande potenza. Capace di far sentire il suo peso anche lontano dalle frontiere di casa. E di tornare a dire la sua in Medio Oriente,
profittando del disimpegno di Obama.
Finora il limitato impegno militare nella mattanza siriana, affidato
soprattutto all’aviazione e a un’esigua forza di terra, composta soprattutto da “volontari”, ha segnato per
Putin un notevole successo. Sul fronte domestico, il richiamo all’orgoglio nazionale ha contribuito a far dimenticare (per quanto tempo?) la
disfatta in Ucraina. Sul terreno, l’operazione russa ha salvato il regime
di Al Assad e con esso le basi russe
sulla costa mediterranea. Anzi, la
coalizione siro-russo-iraniana più
Hezbollah sta guadagnando terreno, fino a rendere concepibile la ripresa di Aleppo, o di ciò che ne sarà
restato. A Mosca si studia poi l’offensiva finale su Raqqa, epicentro locale dello Stato Islamico, che dopo la
simbolica liberazione di Palmira
qualificherebbe la Russia quale
campione mondiale della lotta al
“califfato”. Sul piano regionale, infine, Putin è riuscito a riportare Erdo-
gan a più miti consigli, giocando persino la carta curda, e a imbastire
una molto circoscritta cobelligeranza con Teheran.
Tutto questo era avvenuto finora
sullo sfondo di un interminabile negoziato russo-americano sulla Siria,
fatto di labili intese e rumorose rotture. Segnato dalle esitazioni
dell’amministrazione Obama, con il
Pentagono deciso a boicottare l’aperturismo del Dipartimento di Stato nei confronti dei russi (il bombar-
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MOSCA. “Agente straniero”, un termine che
fino al 1991, a Mosca, voleva dire sabotatore e
i sabotatori venivano mandati nei gulag. Nel
2016, questa etichetta è stata affibbiata a
.FNPSJBM, l’organizzazione non governativa
di Andrej Sakharov, premio Nobel per la Pace
nel 1975. Il fisico nucleare contribuì agli studi
per la bomba all’idrogeno, poi, contestò gli
esperimenti nucleari a scopo bellico e, infine
avversò l’intervento russo in Afghanistan.
Sakharov è sempre vissuto al servizio dei
diritti civili e .FNPSJBMattiva dal 1989, era
una sua creazione, finita ieri nel mirino del
Cremlino e della legge del 2012 contro gli
attivisti. Da 27 anni, l’Ong si occupava di
diritti umani, ma secondo Mosca, svolgeva
attività politica con il beneficio di
finanziamenti stranieri. Andrej Sakharov
morì poco dopo aver fondato .FNPSJBM, aveva
passato anni nelle prigioni sovietiche e aveva
voluto regalare alla Russia di Gorbaciov un
baluardo per i diritti umani. Oggi, a capo
dell’organizzazione c’è Arsenij Roginskij,
storico che ha conosciuto l’Urss e per questo si
unì alla creazione del progetto .FNPSJBM
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damento “per errore” di un contingente militare siriano da parte di aerei Usa era forse parte di questa
campagna). L’ipotesi di un compromesso fra Mosca e Washington sulla Siria sembra definitivamente svanita dopo che il Dipartimento di Stato ha annunciato la sospensione del
dialogo con la diplomazia del Cremlino, motivandola con i brutali bombardamenti russi e siriani sui quartieri di Aleppo in mano ai ribelli. E
dopo che, come immediata risposta, Putin ha annunciato la sospensione dell’accordo del 2000 con cui
le due superpotenze atomiche stabilivano di eliminare parte dei rispettivi stock di plutonio, impiegabile nelle armi nucleari.
Gesto poco più che simbolico, ma
che tocca un’area finora sacrosanta
nelle relazioni russo-americane,
quella degli accordi sugli arsenali
atomici.
La Siria è solo uno degli scenari
dove si sta dilatando la conflittualità fra Stati Uniti e Russia. Rivalità
paradossale, considerando lo squilibrio di forze fra i due protagonisti.
Ma Mosca e Washington sembrano
indisponibili a una vera intesa. Troppo profonda la sfiducia reciproca,
sempre attive le scorie mai smaltite
della guerra fredda, palese il rifiuto
di capirsi fra le due élite, quasi appartenessero a pianeti diversi.
Dall’Ucraina al Medio Oriente, russi
e americani conducono una guerra
ibrida, condotta per interposti clienti, come in Siria e nel Donbass, ma
fatta anche di colpi sotto la cintura
(guerra cibernetica, campagne di
disinformazione, contenziosi estesi
financo alle Olimpiadi o ai Mondiali
di calcio) e di esibizioni muscolari.
Incluso il rafforzamento degli schieramenti di Nato e Federazione Russa lungo la linea di faglia fra Scandinavia e Balcani — cui presto contribuirà anche l’Italia, con un gettone
militare sul fronte baltico.
Non è “nuova guerra fredda”. Ai
tempi, sovietici e americani seguivano il copione della deterrenza, basata sulla mutua distruzione assicurata. Si capivano benissimo. Oggi Putin e Obama recitano a soggetto.
Non sono in grado di entrare nella
testa dell’avversario perché i loro codici sono differenti. Questo mondo è
più pericoloso di quello crollato insieme al Muro di Berlino.
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L REGIME di Addis Abeba non gradisce le critiche: l’ultimo a farne
le spese è stato il blogger Seyoum Teshome, 35enne docente di
Management all’università Ambo
di Woliso, nell’Oromia, e voce non
sempre tenera con il governo di Hailemariam Desalegn. Teshome sapeva di rischiare grosso, occupandosi
di temi roventi come le proteste anti-governative nelle regioni Oromo
e Amhara, dove le tensioni indipendentiste non sono sopite. Il primo
ottobre scorso, il blogger è finito in
manette, buon ultimo di una lunga
fila, dopo il giornalista Getachew
Shiferaw e l’attivista internettiano
Yonathan Tesfaye, incarcerati nel
dicembre scorso. Non è ben chiaro
quali siano i reati attribuiti a Teshome, ma una certa preoccupazione è
giustificata, visto che i due arrestati prima di lui sono accusati di terrorismo e incitamento alla violenza.
La città di Woliso, a 110 chilome-
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tri dalla capitale, è al centro delle
proteste della comunità Oromo,
esplose ancora una volta verso la fine del 2015. A riaccendere le tensioni, una festa tradizionale del gruppo etnico più numeroso (il 34 per
cento della popolazione) nella città
di Bishoftu, che domenica scorsa si
è trasformata in massacro dopo che
le autorità centrali avevano cercato
di censurare i discorsi dei leader locali. Negli scontri successivi, diverse persone sono rimaste uccise: 678
secondo il Congresso federalista
Oromo, 55 a sentire il governo. Il
mese scorso anche all’interno del
governo c’era stata una sorta di
“purga” anti-Oromo, motivata formalmente da manovre anti-corruzione. Secondo gli attivisti della comunità, le tensioni fra Oromo e governo nascono soprattutto da un
progetto di “accaparramento” della terra da parte di Addis Abeba,
che vuole ampliare i confini della
sua regione per poter poi cacciare i
piccoli proprietari, allo scopo di vendere poi vasti appezzamenti di terreno a grandi investitori stranieri,
seguendo il consueto meccanismo
di MBOEHSBCCJOH
Seyoum Teshome aveva riferito
dei disordini sul suo blog, ma soprattutto aveva espresso giudizi cri-
tici verso il governo con il /FX:PSL
5JNFTe il (VBSEJBO. Poco prima
dell’arresto, il blogger aveva annunciato di voler proseguire i suoi
studi ad Addis Abeba.
Ma le violenze, la repressione e
le violazioni dei diritti umani passano in secondo piano per l’Occidente, che considera l’Etiopia un bastione intoccabile nell’Africa orientale.
Addis è impegnata in una missione
sostenuta internazionalmente per
la lotta al fondamentalismo qaedista nella vicina Somalia, e ha anche
schierato i suoi soldati come peacekeeper in Sudan e Sud Sudan. Il paese ha finito per acquisire un ruolo
da “argine” verso il Corno d’Africa,
dove la Somalia è ben lontana dalla
pacificazione e l’Eritrea, retta con il
pugno di ferro da Isaias Afewerki, è
comunque considerata inaffidabile
dalle cancellerie occidentali. Etiopia e Kenya sono considerati “paesi
amici” su cui contare, chiudendo
un occhio sugli abusi interni. Tanto
più che l’economia etiopica è in forte crescita. Entro il mese sarà inaugurata una nuova linea ferroviaria,
di costruzione cinese fra Addis Abeba e Gibuti, che permetterà di far affacciare sul mare la produzione
dell’Etiopia.
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naggio di Yahoo ai danni dei suoi
utenti: centinaia di milioni di email
scannerizzate e fornite alla National Security Agency o all’Fbi. Torna l’incubo del Grande Fratello digitale, la società della sorveglianza
permanente. Anche se stavolta lo
scoop viene da altre fonti, è un punto a favore della narrazione favorita di Julian Assange: l’America come pseudo-democrazia. Il caso-Yahoo sembra quasi un regalo per il
decimo anniversario di WikiLeaks.
In un momento in cui l’ombra di WikiLeaks torna ad allungarsi sulla
campagna elettorale Usa.
Da giorni i social media della destra americana suonano il tam tam
sulle «rivelazioni che distruggeranno Hillary Clinton». Il conto alla rovescia era iniziato in vista della
«madre di tutte le sorprese, che
metterà fine alla campagna presidenziale». Tanto più attesa dai repubblicani, visto che Hillary sta rimontando nei sondaggi. Il deus ex
machina doveva essere ancora una
volta Assange, ormai considerato
dai democratici come un alleato di
Vladimir Putin e Donald Trump. La
data era ieri, ma per una volta WikiLeaks ha deluso: Assange e i suoi
colleghi si sono limitati a celebrare
i dieci anni della loro organizzazione. L’assalto mortale a Hillary deve
attendere. Forse ci sarà. Parlando
alla tv di riferimento della destra,
'PY/FXT, Assange ha ribadito che
ci saranno scoop, al ritmo di uno a
settimana, «con riferimento alla
campagna elettorale, sotto angola-
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NEW YORK. Scoppia il caso dello spio-
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ture inattese e interessanti». Inattese, salvo la quasi-certezza che attacheranno i democratici e aiuteranno Trump? Perché finora il ruolo di WikiLeaks nella campagna
elettorale americana è stato a senso unico. Le rivelazioni, a volte attingendo a materiale rubato dagli
hacker russi, hanno messo in imbarazzo Hillary, hanno seminato zizzania tra lei e Bernie Sanders, hanno provocato le dimissioni della capa del partito democratico Debbie
Wassermann.
Ripercorrendo la storia decennale di WikiLeaks, gli attacchi sono abbastanza unilaterali, salvo rare eccezioni è l’America il bersaglio principale. È quando se la prende con
gli Stati Uniti che WikiLeaks fa notizia e la sua fama s’ingigantisce. L’elenco parte dal dicembre 2007, con
la pubblicazione del manuale interno d’istruzioni ai militari di Guantanamo. Poi arriva un’incursione nel
settembre 2008 nelle email di Sarah Palin, dove peraltro non emerge nulla di politicamente rilevante.
Un regalo alla destra americana è
la divulgazione nel novembre 2009
degli scambi di email tra autorevoli
scienziati ambientalisti, da cui risulterebbe un complotto contro i rari studiosi che negano il cambiamento climatico. Il 25 luglio 2010
Assange rende di dominio pubblico 75.000 rapporti segreti dei militari Usa sulla guerra in Afghanistan. Il 22 ottobre dello stesso anno
è la volta di 400.000 documenti riservati sulla guerra in Iraq dai quali trapela fra l’altro un bilancio di
centomila vittime irachene di cui il
60% sono civili. Il grande botto arriva poco dopo, 28 novembre 2010: è
il cosiddetto “Cablegate”, la rivelazione di 250.000 comunicazioni riservate tra il Dipartimento di Stato
e le sue ambasciate nel mondo. I
dialoghi interni alla diplomazia
Usa diventano di dominio pubblico
creando tensioni coi governi (alleati o meno), talvolta scatenando crisi politiche all’interno di paesi stranieri destabilizzati dai giudizi confidenziali degli americani o dalle notizie che Washington e gli ambasciatori si scambiano sulla corruzione di questo o quel regime. Compreso il versante italiano, che coinvolge Silvio Berlusconi, Eni, Putin. In
alcuni casi come la Tunisia è stato
osservato che le “primavere arabe”
hanno avuto una scintilla iniziale
anche da quelle rivelazioni. Da ultimo Assange si è concentrato sulla
campagna presidenziale Usa. Rivelazioni su Russia o Cina? Zero. Al
/FX:PSL5JNFT che gliene chiedeva conto, in un’intervista lui stesso
rispose: «Tutti criticano la Russia,
che noia».
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LESSANDRA è una commerciante, aveva un
negozio nel centro di Amatrice. Quando il
terremoto l’ha distrutto, ha scavato sotto le
macerie. È riuscita a salvare una felpa con su
scritto “Amatrice”. Era ancora confezionata,
intonsa. «Per me — spiega mentre aspetta
Francesco — questa felpa è il segno della nostra
rinascita». Alessandra vive ancora ad Amatrice, la
sua casa non è caduta, e vuole ricominciare qui la
sua attività. Mentre aspetta il Papa saluta il
parroco, padre Savino, gli mostra la felpa e
piange. Dice:
«Sono qui oggi
per tutti i
commercianti
del paese,
specialmente per
quelli che non ci
sono più. Dono
questa felpa al
Papa. È il simbolo
di un nuovo
inizio. E la dono a
nome di tutti i
commercianti.
Non intendo mollare. Ho intenzione di allestire
dei mercatini nella zona dove portare tutti i
commercianti a vendere i propri prodotti. Voglio
ideare delle giornate solidali, magari un Natale
solidale, per tutti noi, perché ci possano aiutare
anche da lontano. Voglio rappresentare tutti
coloro che non ci sono più, perché so che loro
avrebbero fatto la stessa cosa per me».
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AMATRICE. È stato un tour faticoso, di poche parole e gesti sobri, quello di papa Francesco nel
cratere del terremoto del Tronto. Un viaggio desiderato, nel giorno di San Francesco, e segreto,
finché il segreto ha resistito: il pontefice, due vescovi e pochi uomini a controllarne la sicurezza.
Francesco, in verità, avrebbe voluto essere solo. Il viaggio è iniziato nella scuola simbolo
d’Italia, alle 9.15 di ieri: la Capranica di Amatrice, ricostruita con moduli prefabbricati a un
chilometro dall’istituto collassato. Una carezza per i 195 studenti. È proseguito nella zona rossa
della città, tra montagne di macerie e le chiese colpite. Francesco, poi, ha visitato una struttura
per anziani, a Rieti, che oggi ospita sfollati, quindi Accumoli, il paese epicentro del sisma. Ha
pregato sulle rovine di Pescara del Tronto, portato un saluto tra le tende di Arquata e chiuso il
viaggio a Norcia, città di San Benedetto. Trecentocinquanta chilometri. «Ho aspettato a venire
qui per non dare fastidio», ha detto. «Abbiate coraggio, i tempi cambieranno, io sono con voi».
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UCA Cari, 51 anni, romano, è il responsabile
delle emergenze dei vigili del fuoco. Ha
fatto L’Aquila, dove ha accompagnato papa
Ratzinger tra le macerie di Onna. Ieri mattina,
quando Francesco è entrato nella zona rossa di
Amatrice, si è sentito chiamare: «Non mi
accompagna?». Racconta: «Alcuni giornalisti mi
avevano avvertito: “Forse martedì il Papa va ad
Amatrice”. Nel dubbio, mi sono alzato alle 5 e ho
raggiunto il cratere. Era vero. Ha voluto vedere la
scuola, il centro. Dopo l’incontro del 2009 ho
imparato le
buone maniere
e, salutandolo,
gli ho baciato
l’anello. Quando
mi ha chiesto di
entrare in zona
rossa il capo
della
Gendarmeria mi
ha gelato: “Vuole
stare solo”. Ho
aspettato ma,
fatti venti metri
di corso Umberto, è stato lui a chiamarmi: “Non
mi accompagna?”. Abbiamo proseguito insieme.
Gli ho raccontato come il ritrovamento di una
persona sia il momento più bello di una carriera.
Lui mi ha detto: “Grazie per il lavoro che fate, ma
prego ogni giorno affinché non lavoriate. Il
vostro è un mestiere doloroso”. Poi ha preteso
una foto di gruppo: il Papa e i vigili del fuoco».
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IÙ che quanto ci ha detto, è stato
importante il segno che ha voluto dare
venendo qui. Francesco non è stato a
Roma a farsi ossequiare e acclamare, ma è venuto
da noi partendo di mattina presto, come un
parroco che va a trovare i fedeli. È arrivato senza
preavviso, un po’ come il terremoto, ma il suo
arrivo è stato benefico». È ancora commosso padre
Savino D’Amelio, parroco di Sant’Agostino ad
Amatrice. Ieri mattina era nel suo container con
altri terremotati. Racconta: «Alle 9.15 sono andato
alla scuola di
Amatrice con il
parroco di
Leonessa, padre
Orazio. Il vescovo
ci aveva chiesto
di partecipare a
una cerimonia
per il giorno di
San Francesco.
Non immaginavo
che sarebbe
arrivato
Francesco. Non
avevo preparato niente, nessun discorso, quello
che posso dire è che ancora provo una grande
emozione». Per padre Savino, il Papa ha voluto
stare fra i terremotati «come un padre farebbe con
i figli». Ai sacerdoti dell’area Bergoglio ha voluto
parlare personalmente: «Ci ha voluto incontrare
per dirci di andare avanti, avere coraggio».
QS
-
A neopreside della scuola più famosa d’Italia,
il prefabbricato Romolo Capranica che in 14
giorni ha sostituito l’istituto in pietra e
mattoni che si era inginocchiato nel centro di
Amatrice, ha solo vestiti da campo. Giubbotto
leggero e scarpe comode, Maria Rita Pitoni, 56
anni, crocerossina di lungo corso, non ha fatto in
tempo a preparare l’abito da ricevimento: «Lunedì
mi ha chiamato il vescovo Pompili, lui in questa
scuola è di casa. Mi ha detto: mi raccomando,
domattina alle 9 fatevi trovare che vengo su. Era
trafelato, capivo
che non diceva
tutto, ma quando
davanti al
giardino dei meli
è apparso il Papa,
a fianco di
monsignore, sono
trasecolata. Non
sono riuscita a
parlargli, troppa
gente, ho visto
però che ha
baciato tutti,
proprio tutti i 195 bambini e ragazzi dell’infanzia,
delle medie, delle superiori. Si è sistemato in Terza
A, il primo box, quello rosso, e ha dispensato
carezze e preghiere. I ragazzi, mi hanno detto,
l’hanno trovato stanco. Sono un po’ arrabbiati
perché in due classi piove, forse i lavori sono stati
troppo veloci. Ma questo a lui non l’hanno detto».
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bambini hanno tanto bisogno di voi,
continuate così». Carillon, il nome è quello
d’arte, ma solo quello può diventare
pubblico, è un clown. Anzi, una clown. Si esibisce
insieme a Rugiada e Golfetta (anche questi nomi
per le esibizioni): insieme fanno i Clown Orsotti.
Arrivano da Brescia. Dopo le prime immagini del
sisma, e le prime notizie di scuole toccate,
inagibili, hanno scelto di scendere ad Amatrice. E
da due settimane intrattengono scolari e bambini
tutti, anche fuori dalle aule. «La clownterapia
serve anche agli
adulti», dice
Carillon, «a quelli
della Protezione
civile, ai vigili del
fuoco». Faranno
terapia fino a
quando, sul prato
del Borgo,
frazione di
Arquata del
Tronto, ci
saranno le tende
e gli sfollati.
Carillon, Rugiada e Golfetta hanno visto il Papa
nel suo passaggio ad Arquata Terme, l’ultimo che
ha toccato il cratere del terremoto. Gli hanno
parlato, gli hanno stretto la mano: «La cosa più
toccante è stata lo sguardo. Ci ha detto: “I bambini
hanno tanto bisogno di voi”. In una frazione di
secondo, ha capito chi siamo e cosa facciamo».
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A voluto sapere se vengo qui tutti i
giorni, gli ho risposto di sì». Così
Domenico Pompili, vescovo di Rieti,
svela quanto gli ha chiesto ieri Francesco mentre
visitavano insieme la zona rossa di Accumoli. «È
stata la visita dei gesti e dell’incontro fisico con la
gente. Non è venuto a vedere le macerie, ma le
persone», spiega Pompili dopo aver salutato il
Papa che, dalle zone terremotate del Lazio, entra
nelle Marche accolto da Giovanni D’Ercole,
vescovo di Ascoli. «Ad Amatrice — dice ancora —
ha pranzato con i
giovani e gli
anziani, ha
voluto solo un
piatto di riso in
bianco. Una
signora di 92
anni ha detto:
“Tutto mi sarei
aspettata, meno
che stare vicino
al Papa”. I
bambini erano
contenti, ma
ancora turbati dal terremoto e Francesco lo ha
percepito. Li ha abbracciati uno a uno e ha dato
loro un buffetto d’incoraggiamento». E ancora:
«Nel giorno di san Francesco, la sua visita acquista
un ulteriore spessore e ribadisce quanto sia
importante partire dalle situazioni più piccole,
periferiche e in difficoltà».
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MILANO. Un militare che si uni-
sce civilmente a una persona
dello stesso sesso «non può e
non deve avere valutazioni e
trattamenti diversi dall’ordinario». A metterlo nero su bianco,
in una comunicazione interna
rivolta al Comando delle forze
da combattimento dell’Aeronautica, è il generale Claudio
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Gabellini, fino allo scorso 15 settembre capo della struttura
che riunisce stormi da combattimento e Frecce Tricolori. Il generale ha indirizzato la nota sulle unioni civili ai UPQHVO italiani dopo che due militari si sono
uniti civilmente fra loro. Non è
dato sapere se nelle forze armate sia la prima unione civile
dall’entrata in vigore della legge che le ha istituite. E l’Aeronautica protegge l’identità dei
militari che hanno deciso di diventare ufficialmente coppia di
fronte alla legge.
La circolare del generale Gabellini fissa un principio chiaro:
«Ricordo a tutti — si legge —
che il militare che dovesse fare
“outing” o intendesse unirsi civilmente con altra persona dello stesso sesso, ovvero conviverci, non può e non deve avere valutazioni e trattamenti diversi
dall’ordinario». E di conseguenza, «sarà considerato illegitti-
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riva in un momento di fermento nelle forze armate e nelle forze dell’ordine sul tema dei diritti delle persone omosessuali e
transessuali. L’associazione Polis Aperta, che si riunirà in convegno a Milano il prossimo 10
ottobre, stima che i gay in divisa in Italia siano 19mila fra forze armate, carabinieri, polizia,
guardia di finanza e polizie locali. Polis Aperta chiede al gover-
mo ogni commento o comportamento teso a denigrare e offendere la reputazione di detto personale. Tutti i militari, a nulla rilevando le proprie scelte e
orientamenti, dovranno essere
valutati disciplinarmente soltanto laddove il contegno e la
condotta non fossero in linea
con i dettami dello specifico status». Una presa di posizione autorevole, anche per la storia professionale di chi firma la nota.
Gabellini è il primo italiano a es-
sere stato nominato Chief of
Staff del Nato Air Command
con sede a Ramstein in Germania. Prima di guidare il Comando delle forze da combattimento, aveva pilotato un Tornadonella guerra in Kosovo ed era
poi stato comandante di stormo.
La possibilità per i militari,
uomini e donne, di sposarsi fra
loro è stata chiarita nella direttiva SMA-ORD-007 emanata il
14 dicembre 2001 dal Capo di
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Stato Maggiore, con oggetto
«Relazioni interpersonali tra
uomo e donna nell’Aeronautica
militare». Un documento di cui
è stata più volte denunciata, anche in parlamento, la natura discriminatoria nei confronti dei
militari omosessuali. Oggi, alla
luce della legge Cirinnà sulle
unioni civili, la circolare al Comando delle forze da combattimento rappresenta un passo
avanti verso una maggiore parità. L’indicazione di Gabellini ar-
no di garantire accesso ai ruoli
operativi per le persone transessuali. E di investire in formazione per contrastare l’omofobia in caserme e commissariati, «problema diffuso e spesso
considerato tabù», dice Simonetta Moro, presidente dell’associazione.
I casi di omofobia segnalati a
Polis Aperta sono decine l’anno. Lo scorso luglio un poliziotto milanese ha trovato scritto “i
froci non ci piacciono” sull’armadietto. Tre mesi prima, in
Veneto, un militare 43enne ha
espresso la volontà di suicidarsi
perché “stanco degli insulti
omofobi”. «Il bollettino del generale Gabellini ha un’importanza enorme va esteso a tutte
forze armate — dice Gabriele
Guglielmo, vicepresidente di
Polis Aperta — decine di militari vorrebbero unirsi civilmente
ma temono ritorsioni».
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ROMA. È una morte ancora avvolta nel mistero quella di
Alessandro, il bambino di 11 anni scomparso dal giardino
della casa dei nonni e ritrovato poco distante, annegato
nelle acque di un canale di irrigazione. A dare l’allarme lunedì intorno alle 13 è stata la nonna quando non lo ha più
visto giocare nel giardinetto del comprensorio di viale del
Campo Salino a Maccarese, una località del litorale romano. Subito sono scattate le ricerche e tre ore dopo il corpo
è stato ripescato a poco più di 200 metri, nelle acque del canale. Una caduta accidentale?
O forse è stato allontanato con la forza e poi
spinto in acqua? Magistratura e investigatori lavorano per ricostruire quelle ultime
drammatiche ore. Una prima ipotesi, compatibile con le ferite riscontrate sulle ginocchia
della vittima, è che Alessandro sia caduto nelle acque salmastre e che poi non sarebbe più
riuscito a risalire. Ma ieri pomeriggio è stato
predisposto un secondo sopralluogo: il sospetto è che il ragazzo possa essere stato attirato
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«Non si sarebbe mai allontanato da solo. Me
lo hanno portato via e lo hanno ammazzato» ha ripetuto
più volte Gino Righetti, il nonno. Parenti e amici sono stati già ascoltati dal dirigente del commissariato di Fiumicino, Laura Petroni, che sta ricostruendo il quadro familiare: figlio di genitori separati, era stato affidato alle cure
della mamma. Nei prossimi giorni verranno ascoltati anche i medici e gli psicologi che avevano in cura il ragazzo a
cui era stato diagnosticato un disturbo di iperattività associata all’autismo. Seguito nelle ore scolastiche da un insegnante di sostegno, aveva scatti di ira sempre più frequenti in cui spesso si feriva volontariamente. Nell’ultimo episodio avrebbe gridato: «M’ammazzo». Proprio questa frase avrebbe fatto scattare ulteriori accertamenti.
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ACCETTAZIONE TELEFONICA NECROLOGIE
IL SERVIZIO È OPERATIVO TUTTI I GIORNI
COMPRESI I FESTIVI DALLE 10 ALLE 19.30
Operatori telefonici qualificati saranno a disposizione
per la dettatura dei testi da pubblicare
Si pregano gli utenti del servizio telefonico di tenere
pronto un documento di identificazione per poterne
dettare gli estremi all’operatore (ART. 119 T.U.L.P.S.)
PAGAMENTO TRAMITE CARTA DI CREDITO:
VISA, MASTERCARD, CARTA SÌ
A. Manzoni & C.
Numero Jolly
Superstar
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LE QUOTE
Concorso n. 119 del 4-10-2016
Superenalotto
Nessun vincitore con punti 6
Nessun vincitore con punti 5+
Ai 2 vincitori con punti 5
Ai 421 vincitori con punti 4
Ai 20.182 vincitori con punti 3
Ai 340.438 vincitori con punti 2
110.733,86 €
531,62 €
33,55 €
6,19 €
Superstar
Nessun vincitore con punti 6
Nessun vincitore con punti 5+
Nessun vincitore con punti 5
All’unico vincitore con punti 4
53.162,00 €
Ai 99 vincitori con punti 3
3.355,00 €
Ai 1.649 vincitori con punti 2
100,00 €
Ai 12.641 vincitori con punti 1
10,00 €
Ai 29.843 vincitori con punti 0
5,00 €
IL PROSSIMO JACKPOT CON PUNTI 6
€ 151.900.000,00
LOTTO
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FIRENZE 47 90
GENOVA 74 62
MILANO 36 74
NAPOLI 58 54
PALERMO 47 31
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TORINO 61 39
VENEZIA 27 59
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NUMERO ORO: 35
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FIRENZE. È morta nell’ospedale di Careggi poco più di 24
ore dopo aver partorito. La procura fiorentina ha aperto
un’inchiesta sulla fine di una trentaseienne, Annalisa Casali, uccisa da un’emorragia contro la quale i chirurghi
non hanno potuto fare niente.
Durante la gravidanza la donna non ha avuto particolari problemi e anche il travaglio e il parto sono andati bene. Arrivata nella sera di sabato in ospedale, la donna ha
dato alla luce il figlio, che adesso sta bene, in
meno di tre ore, alle 4.51. Poi lo ha anche allattato. I primi problemi si sono presentati nella
mattina, quando gli esami hanno rivelato
una emorragia. I chirurghi hanno rimosso la
milza e inviato la paziente in terapia intensiva. Qui le sue condizioni sono inizialmente migliorate, tanto che lei ha anche parlato con i
suoi familiari. Nella notte tra domenica e lunedì, però, c’è stato un nuovo peggioramento, ancora una volta provocato da un sanguinamento, e alle 7 di mattina la donna è morta. L’ospedale ha chiesto subito l’accertamen- "OOBMJTB$BTBMJ
to diagnostico, per risalire ai motivi del decesso, sembra provocato dal danneggiamento in vari punti
di un’arteria. La procura adesso farà approfondimenti
per chiarire se ci sono responsabilità del personale dell’ospedale. Intanto è stato bloccato il funerale nell’attesa
che i periti del pm dicano se va eseguita anche un’autopsia.
Di recente, ad agosto, Careggi ha riorganizzato la sua
maternità alla luce di alcuni casi che hanno riguardato
neonati, che sono morti o rimasti con problemi di salute irreversibili. Sono stati almeno quattro gli episodi sospetti,
alcuni dei quali hanno portato alla denuncia di genitori e
familiari, che hanno spinto la direzione a cambiare il percorso di assistenza per le madri e i bambini.
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BARI. Il centro: «Bisogna anche
avere il coraggio di lasciare andare le persone che si amano. Anche quelle che si amano più di
ogni altra cosa al mondo, più di
se stessi. Una madre non può
mai volere allontanarsi da suo figlio. Ma quel male può essere necessario». È qui, tra l’amore e il
coraggio, che Maria Rita Vigilante traccia il centro della storia di
Davide, suo figlio. Davide è morto a luglio del 2008, a meno di
tre mesi, dopo aver vagabondato tra l’ospedale di Foggia, dove
era nato, e quello di Bari. Era affetto da sindrome di Potter, «malattia costantemente infausta»,
dice la medicina: ti fa nascere
senza reni e apparato urinario e,
dunque, non ti dà alcuna chance
di sopravvivenza.
Di Davide e della storia dei
suoi genitori ha parlato nei giorni scorsi, in un intervento su 3F
QVCCMJDB, il professor Umberto
Veronesi commentando il caso
di eutanasia su minore avvenuto
in Belgio. Maria Rita e suo marito avevano infatti chiesto che
non ci fosse accanimento terapeutico sul loro bambino. Il tribunale, su richiesta di un medico,
privò loro della patria potestà.
Ordinò le cure sul bimbo allungandogli di qualche giorno la vi-
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rebbe andato per il verso giusto.
Mi fidai, purtroppo. E spero che
quel medico non abbia omesso
evidenze, unicamente perché
era ideologicamente contrario
all’aborto. Certo è che io avevo il
diritto di sapere quello che, purtroppo, ho scoperto dopo».
Cosa?
«Che Davide non aveva alcu-
na possibilità di sopravvivere.
Quando è nato le abbiamo provato tutte, non ho mai perso nemmeno per un secondo la speranza. Abbiamo consultato i migliori specialisti, è arrivato un chirurgo del Gaslini. Ricordo le sue parole: «Non saprei nemmeno da
dove cominciare». Lo stesso medico di Foggia ci disse che se fosse stato suo figlio non avrebbe
fatto altro che aspettare. Poi una
sera, lo stesso medico ci chiese
l’autorizzazione per sottoporre
il bambino a dialisi. Era tardi. Gli
chiesi qualche ora per pensarci.
Quel tempo non mi fu concesso.
La notte arrivarono i carabinieri, in divisa. Ci trattarono come
criminali davanti ai nostri bambini. Ci comunicarono che il tribunale, d’urgenza, su segnalazione del medico, ci aveva tolto
la patria potestà perché noi non
volevamo curare nostro figlio».
Voi non volevate curare vostro figlio?
«Non scherziamo. Non volevamo però che ci si accanisse contro di lui. Che diventasse una cavia chissà per cosa. Davide aveva cateteri ovunque, uno se l’è
strappato con le sue stesse manine. Che senso aveva?».
Ci furono polemiche furibonde. Il deputato dell’Udc, Luca
Volontè, scrisse che volevate
sacrificare vostro figlio per-
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ta.
Signora Maria Rita, otto anni
dopo cosa è rimasta della vostra storia?
«Oltre al dolore, quando il dolore è così grande, può restare
poco. È restato però uno spazio
per una voce, per quella che secondo noi è una richiesta di civiltà: a nessuna famiglia, a nessun
genitore, deve più succedere
quello che è accaduto a noi».
Cosa vi è accaduto?
«Davide era il terzo dei nostri
figli. In precedenza non avevo
mai avuto problemi, i bambini
erano tutti sani. Durante la malattia il mio ginecologo, il dottor
Zingariello, fu l’unico ad accorgersi che il bambino non aveva i
reni. Ma nessuno fu in grado di
spiegarci esattamente di cosa si
trattasse. La sindrome di Potter
non lascia scampo: nostro figlio è
nei libri di medicina perché ha
vissuto per 80 giorni. Prima di
lui il più longevo era rimasto in
vita per 38».
Sarebbe cambiato qualcosa
se lo aveste saputo?
«Avrei abortito. Nella stanza
di un luminare romano, a cui avevo chiesto un consulto, accennai
all’ipotesi. E fui aggredita: gridò,
sbattette i pugni sul tavolo, non
voleva nemmeno sentire pronunciare la parola aborto. Era
contrario, per motivi religiosi.
Ma io ero lì per consultare lo
scienziato. Mi disse che tutto sa-
ché non era perfetto.
«Abbiamo sofferto. Soffriamo. Soffriremo. E quelle parole,
insieme con le aggressioni furibonde di quei giorni, con l’umiliazione del tribunale, hanno contribuito a calpestare la nostra dignità, la sensibilità di una famiglia che stava per perdere il suo
bambino. Questo tipo di dolore è
colla indelebile, non potrà andare via mai. Ma vorremmo che a
qualcosa possa essere utile».
A cosa?
«Ad aprire un dibattito serio
sull’eutanasia in questo paese.
Un dibattito che si affidi alla
scienza, alla libertà e che sia libero da ogni pregiudizio. Un dibattito che contribuisca a creare
una legge seria, che ponga regole e diritti, e che non consenta a
nessuno di soffrire quanto noi.
Dalla storia di Davide, io, mio
marito, i miei figli, abbiamo imparato due cose, su tutte. La prima è che i medici hanno il dovere della chiarezza. Non può esserci alcun sottinteso, e devono essere mossi unicamente dalla
scienza. Soltanto così i pazienti,
e nel caso di bambini, i loro genitori, possono essere messi nelle
condizioni di scegliere in piena libertà. La seconda cosa è che davanti a scelte così difficili, l’unica
strada possibile è quella dell’amore. Anche quando ti condanna al dolore».
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otografava l’aula magna dell’Università di
Padova con il suo iPhone con lo stesso entusiasmo
di una turista. Livia Holden, 50 anni, napoletana
d’origine, insegna antropologia del diritto e ha
trascorso gran parte della sua carriera tra Francia,
Inghilterra, Germania, Australia e Pakistan. È
consulente nei processi penali, perché i suoi studi
consentono di fotografare il contesto culturale da cui
viene una persona che deve essere giudicata. Ora deve
gestire una “borsa” da due milioni di euro che le
consentirà di allestire una squadra di cinque persone
alle sue dipendenze dirette, più 14 assistenti in
altrettanti Paesi. «Vivevo in Pakistan con mio marito e
i miei due figli e sono stata contenta di tornare. Lì ho
avuto qualche problema perché le donne in posizioni
apicali non sono ancora ben accette». Livia decise di
lasciare l’Italia subito dopo l’Erasmus a Parigi. Non le
volevano riconoscere tutti gli esami svolti all’estero,
così scelse di andarsene a cercare lavoro e fortuna
oltre i confini nazionali. «La chiamata dell’Università
di Padova mi ha convinto a tornare: voglio mappare e
catalogare i comportamenti delle persone dal punto di
vista antropologico. L’idea è quella di creare un
archivio universalmente accessibile».
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PADOVA. Si erano rassegnati a vivere fuori dai confini dell’Italia nel nome della ricerca. Dopo aver conseguito la laurea negli atenei italiani avevano lasciato un
Paese senza prospettive di occupazione
per portare il loro sapere in Germania,
Francia, Belgio, Svizzera, Turchia, Inghilterra, America e persino in Pakistan. L’Università di Padova è andata a
riprendersene 20, dopo che il consiglio
di amministrazione ne ha approvato la
chiamata diretta. E ieri l’operazione è
stata presentata nell’aula magna del Bo
davanti a cinquecento matricole.
Il rettore Rosario Rizzuto ha voluto
raccontare questa storia al contrario,
che la lingua inglese definisce in modo
efficace “brain gain” (recupero dei cervelli), ammettendo di aver impegnato
circa due milioni di euro per la causa.
Del gruppo che entrerà in servizio all’ateneo veneto fanno parte dieci vincitori
di finanziamenti Erc (European Research Council), di cui due già in Italia, e dodici professori a diversi livelli di carriera. Un piccolo passo (rappresentano
l’1% dei duemila ricercatori che compongono il personale accademico dell’Università di Padova) ma comunque significativo per provare a invertire la tendenza e contrastare la fuga dei cervelli
dall’Italia. «Quando ero un giovane professore» conclude Rizzuto «rifiutai un
posto ad Harvard. Ora metto da parte
fondi per far rientrare chi è dovuto andare all’estero in mancanza di alternative».
L VERO problema è che tra i 30 e i 40 anni un docente
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PSBSJFOUSP
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ATTEO Millan ha 33 anni, è originario di
Campodoro, nel padovano, e si è laureato in
Storia all’Università di Padova. Insegnava a
Dublino dopo aver trascorso due anni a Oxford. La sua
attività di ricerca si è concentrata sui gruppi armati e
sui movimenti paramilitari nei 25 anni antecedenti la
prima Guerra mondiale. «A ottobre 2015 ho ottenuto
una borsa di ricerca Erc da un milione e 400 mila euro»
spiega. «Sono fondi da spendere in viaggi all’estero,
ma una quota consistente sarà destinata al
reclutamento di altri ricercatori: quattro persone, più
uno studente di un altro paese europeo. Sono
orgoglioso di tornare da professore nell’ateneo dove
mi sono laureato». Matteo racconta come sia stata
obbligata la scelta di rivolgersi all’estero dopo la
laurea. «Il governo irlandese ha finanziato subito una
mia ricerca, cosa impensabile in Italia. A quel punto ho
deciso di rimanere». La fidanzata, però, è rimasta a
Padova. Ed è uno dei motivi per cui ora ha preso la
palla al balzo. «Motivi personali ma anche
professionali» sottolinea. «In questa università ci sono
un paio di colleghi che lavorano molto bene sulla
violenza politica e sul paramilitarismo. Per me sarà un
ambiente molto stimolante».
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4
tedesco guadagna esattamente il doppio di un
collega italiano. Tornare in Italia è bellissimo ma
dovrebbe essere la normalità e non una scelta che
comporta rinunce così importanti sulla retribuzione».
Simone Montangero, 41 anni, pisano, è professore di
fisica quantistica computazionale. Vive e lavora a
Ulm, nel sud della Germania. Si è laureato in Fisica a
Pisa, poi ha svolto un dottorato di ricerca
all’Università di Milano. La carriera di scienziato l’ha
portato in Germania, dove ha trovato posto prima
come assistente e ora come professore. «Vivo lì da otto
anni, mia moglie è medico e ho tre figli». A Padova gli
sarà assegnata la gestione di una scuola incardinata
nel Dipartimento di Fisica. «La proposta è allettante
ed è il motivo per cui ho accettato ma ci sono una serie
di “ma”. Tanto per cominciare mia moglie perderà il
lavoro. In molti Stati esteri sono previsti posti di lavoro
anche per le consorti dei ricercatori, visto che ci si
sposta sempre per lavoro. In Italia, invece, non è così.
Quasi mai le condizioni di lavoro qui sono equivalenti a
quelle che ci vengono offerte all’estero. È triste, ma è
un dato di fatto. Se uno torna non lo fa certo per motivi
economici. E comunque è una sfida».
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E n’è andato dall’Italia a 28 anni dopo la laurea in
Medicina conseguita all’Università di Napoli.
Torna dopo 32 anni, due mogli, due figli e una
carriera trascorsa tra Oregon, Texas e Canada. Mario
Liotti, 60 anni, napoletano, è professore ordinario di
Neuroscienze cognitive. Ha studiato le demenze, la
depressione e ora si è specializzato nei disturbi di
apprendimento dei bambini. «Andarsene non è mai
una decisione che si prende a cuor leggero e tornare
credo che sia il sogno di tutti». Dopo aver finito la
specializzazione nel 1989 ha ottenuto una borsa di
studio di tre anni in Oregon e successivamente è
rimasto per dieci anni in Texas dove ha fatto solo
attività di ricerca. «Volevo tornare a insegnare e
volevo farlo in Italia, ma purtroppo i meccanismi di
rientro non sono così semplici». Quindi un nuovo
trasferimento, stavolta a Vancouver. La vita del
globetrotter della scienza comporta spesso scelte che
investono anche la sfera personale e familiare. «Chi ti
vuole ti segue», scherza ripercorrendo la sua carriera.
Nel 2003 ha ricevuto a New York il Premio Arnold
Pfeffer per il migliore contributo scientifico nella
neurobiologia delle emozioni. A Padova insegnerà
Psicobiologia.
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ROMA.
Giocavano con le forme
geometriche e con la matematica spensierati, forse, come bambini. E così, come Alice correndo
è inciampata nel Paese delle Meraviglie, i tre vincitori del Nobel
per la fisica hanno scoperto un
mondo esotico e controintuitivo,
in cui la materia, a livello dell’infinitamente piccolo, si comporta
in maniera inaspettata. Una maniera che potrebbe avere, in potenza, proprietà molto utili per
computer, magneti e apparecchi medici del futuro.
David Thouless, 82 anni, Duncan Haldane, 65, e Michael Kosterlitz, 73, sono tre fisici teorici
britannici che lavorano negli Stati Uniti. Il Comitato Nobel di Stoccolma li ha scelti perché «hanno
aperto le porte di un mondo sconosciuto dove la materia può assumere stati strani. Usando metodi matematici avanzati hanno
studiato questi stati insoliti, in
cui i materiali possono diventare
superconduttori o superfluidi».
Se si pensa che i materiali superconduttori lasciano passare
l’elettricità non dissipando energia, che i superfluidi sono liquidi
che scorrono senza attrito e che
fra le altre caratteristiche, modellabili giocando con gli atomi e
le molecole come fossero mattoncini di Lego, ci sono quelle magnetiche, è facile immaginare le
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possibili applicazioni industriali
o informatiche.
«Sono fisici che studiano una
branca della matematica pura,
incredibilmente bella e astratta,
che si chiama topologia» spiega
Carlo Cosmelli, professore di fisica alla Sapienza di Roma. «Si occupano di forme, di geometrie,
di buchi nello spazio. Per semplificare, potremmo dire che studiano come sono disposti atomi
e molecole all’interno di un materiale. Da questa disposizione dipendono alcune caratteristiche
elettriche o magnetiche di quella sostanza».
Ancora una volta, il Nobel è
andato a una ricerca pura, di base, iniziata oltre 40 anni fa. Che
però dal livello teorico recentemente ha raggiunto anche quello pratico. Disponendo atomi e
molecole secondo geometrie da
noi scelte abbiamo infatti già
creato materiali “da meraviglia”
come il grafene: atomi di carbonio a forma di esagono perfetto, i
cui scopritori si sono già aggiudicati un Nobel nel 2010.
«Non ce l’aspettavamo. Nelle
nostre scoperte ci siamo inciampati. E forse è quel che avviene
per molti grandi progressi» ha
commentato Haldane. Il segreto
per il Nobel? «L’ignoranza» ha risposto Kosterlitz. «All’epoca ero
abbastanza giovane e stupido
da non avere preconcetti».
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COS'È INTERRAIL
Le reti ferroviarie
di 30 Paesi europei
si sono unite
nel consorzio "Eurail"
per offrire il prodotto
"Interrail"
Nasce
nel 1972
rivolto
ai giovani
under 21
di 21 Paesi
consente di viaggiare
PASS
attraverso l'Europa illimitatamente,
INTERRAIL per un certo periodo di tempo,
su treni di seconda classe
Fenomeno in crescita
Pass venduti
Oggi
coinvolge
2005
30 Paesi e più
fasce d'età
2015
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100mila
250mila
Nel 2015 (rispetto al 2014)
Passeggeri
Ricavi
+5%
⒊
+7%
⒊
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L’ITALIA AL TOP
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SE VUOI mettere le ali al progetto
europeo, allora fallo correre sui binari. «Caro 18enne d’Europa, buon
compleanno. Oggi Bruxelles ha un
regalo per te: un biglietto Interrail
gratuito che ti consentirà di viaggiare per 30 giorni attraverso 30 Paesi
del nostro continente». Funzionerà
così: con una lettera-regalo della
Commissione europea, scritta nella
convinzione che uno zaino in spalla,
molti incontri e qualche orizzonte in
più siano un investimento per combattere euroscetticismi e populi-
Il governo Renzi appoggia l’iniziativa, Trenitalia esulta: del resto il nostro Paese è la destinazione prediletta di chi sceglie l’Interrail, preceduto solo dalla Germania. E poco importa che i voli low cost abbiano
spazzato via l’Orient Express dai romanzi: sempre più ragazzi scelgono
il treno per scrivere il loro romanzo
di formazione da giovani europei.
Nel 2005 i passeggeri Interrail erano 100mila, dieci anni dopo 250mila, +7% rispetto all’anno prima.
I primi a trasformare l’idea del
#FreeInterrail in idea pop, e in hashtag, sono due scrittori e attivisti se-
Conta l’istruzione, conta l’estrazione, ma anche l’età: se sei Millennial
e hai viaggiato, allora sei meno euroscettico, parola di Eurobarometro.
Non mancano però i perplessi, come il segretario dei giovani federalisti europei Giulio Saputo: «L’Ue affronta crisi gravi su temi come i rifugiati, noi ragazzi siamo senza lavoro. Davvero pensano, con un viaggio, di poter dare basi solide a un progetto comune?». È importante avere un finestrino del treno dal quale
guardare l’Europa, ma serve anche
un orizzonte.
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D APRILE scorso, dovendo spostarmi
da Roma a Lugano a Innsbruck a Budapest, ho voluto fare in treno quel
viaggio. Avevo voglia di saltare la serialità
di sale d’attesa e luci al neon e duty free,
giocare a indovinare chi sarebbe sceso o salito, in che città la mia carrozza si sarebbe
svuotata o riempita. Così, per alcuni giorni, vent’anni dopo il mio primo Interrail e
quindici dopo l’ultimo, io ho di nuovo conosciuto un ritaglio d’Europa, libera dal tempo asfittico di weekend a base di voli a basso costo e orari stretti. Ho lasciato scorrere
ricche stazioni svizzere, baie austriache,
cittadine ungheresi crepuscolari. Ho mostrato sei biglietti e parlato in tre lingue, attraversato paesini innevati e spiato le abitudini di frontalieri e pendolari di quattro
Stati diversi. Ho impiegato per viaggiare
circa cinque volte il tempo che ci avrei messo in aereo, e so di averlo guadagnato, non
perso.
Trenitalia è il 2° partner
(la prima è la Germania)
per scelta della destinazione di viaggio e quindi come
compagnia utilizzata dai possessori di Interrail
I pass più venduti
77%
Global
Pass
23%
per
viaggiare
nei 30 Paesi
per spostarsi
in un Paese
One Country
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smi. Così, dopo la generazione Erasmus, dal 2018 potrebbero arrivare
i ragazzi del #FreeInterrail.
L’idea è stata rilanciata da Manfred Weber, presidente del Partito
popolare europeo all’Europarlamento. Ci avevano già provato un anno
fa anche i Socialdemocratici, con
Verdi e Liberali. Solo la Commissione però ha il potere di trasformare il
viaggio dei desideri in azione. E ci
pensa su. Violeta Bulc, che ha la delega ai Trasporti, ieri ha chiarito la necessità di un compromesso tra l’idea (del Parlamento) e la realtà
(del budget): «L’idea è eccellente,
ma va studiata, per gradi». Regalare il viaggio a tutti potrebbe costare
un miliardo e mezzo, ogni pass costa 479 euro. Ma basta l’idea per accendere le speranze dei ragazzi: la
casella di posta di Weber è invasa di
mail, in Germania i sondaggi dicono
che oltre l’80% tra i 18 e i 24 anni apprezza. Anche l’Italia sale sul treno.
dotti nel 2014 dal viaggio transeuropeo. «Abbiamo incontrato tanti coetanei, ci siamo interrogati con loro
sul nostro futuro», ci raccontano
Vincent-Immanuel Herr e Martin
Speer. «Ma la svolta è arrivata a cena, a Vienna, con lo scrittore Robert
Menasse. Ci siamo detti: e se tutti i
ragazzi potessero fare l’Interrail?
Non saremmo più uniti?». La proposta è sbarcata sui media e ora fa
breccia nel cuore dell’Ue. Tra i corridoi di Bruxelles, la lezione di Brexit
ha fatto riflettere: ha dimostrato
che la generazione Erasmus è la più
affezionata a un destino comune.
All’interno del consorzio Eurail
Era così che viaggiamo noi della generazione nata quando l’Unione Europea era
un mito da raggiungere e nessuno si sarebbe sognato di uscirne, anzi c’era la fila per
entrare. Dormivamo in sacco a pelo nei corridoi di treni che ad agosto erano invasi solo da noi, e trovavamo tutte le scuse per fare amicizia con inglesi, spagnoli, finlandesi, coetanei di ovunque, purché non italiani. L’Interrail era la nostra Internet, il modo che avevamo per sapere come vivevano
gli altri, di scambiarci libri e giornali e baci
e stili di vita, lasciarci a Lisbona e sperare
di ritrovarci a Nizza senza telefoni cellulari, fidandoci di un appuntamento, al massimo di un bigliettino, di un nome scritto in
fretta su un’agenda. Solo una cosa non c’era, e non c’è neppure adesso: quegli “scompartimenti per lettori e taciturni” che invocava Grazia Cherchi in uno dei suoi scritti
più belli, e se a vent’anni puoi non badarci,
a trentotto sono il solo dettaglio che può
farti rimpiangere la rapidità di un aereo.
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+47%
Tra questi
l’Interrail Italia Pass
è il più venduto sia
sui mercati di oltre
oceano sia in Europa
le vendite
nel 2015
il dato dimostra la crescente
popolarità dell’Italia
come destinazione
Interrail
L’iniziativa di cui discute l’Ue
OFFRIRE
UN PASS
AI
DICIOTTENNI
EUROPEI
IL PASS
COSTA
479 euro
⒊
⒊
Il costo dell’iniziativa
1,5
miliardi
di euro
se ad aderire
fossero il
50-70%
dei
diciottenni
europei
valido per
VIAGGIARE
UN MESE IN
30 PAESI
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PARIGI. Il fascino dello chic digita-
le di Karl Lagerfeld per Chanel.
Viviamo connessi 24 ore su 24, Instagram e Twitter fanno parte
della nostra vita e così Chanel,
con un mix di tweed e lingerie, celebra questa nuova realtà con
una sfilata ambientata in un gigantesco Data center. Al Grand
Palais, alte torri di acciaio, percorse da cavi colorati, pulsano di
led luminosi e fanno da sfondo a
un defilè in sintonia con lo spirito
delle giovani generazioni. In prima fila Lily Rose, la figlia di Vanessa Paradis e Johnny Depp, il
nuovo volto del profumo “N°5
l’eau”, una versione più fresca
della storica fragranza Chanel.
Ad aprire la sfilata una modella con un casco integrale, stile
(VFSSFTUFMMBSJ, che dà il via alla
nuova versione, più futurista,
del tailleur Chanel, sempre indossato con lingerie a vista, con fasce in velcro e dettagli in caucciù
al posto dei bottoni. Tutto è più
giovane: il berretto da baseball
sdrammatizza sia i completi in
tweed, percorsi da zip, con bordi
a contrasto, ma anche gli abiti
sottoveste da sera, piuttosto che
le mise con stampe che esplodono in un vortice di colore. Karl Lagerfeld è in perfetta sintonia con
i tempi e, anche se travolto dagli
impegni, trova il tempo di esprimere la sua solidarietà a Kim Kardashian, aggredita e derubata
l’altra notte a Parigi (ma «non
puoi mostrare la tua ricchezza e
poi essere sorpresa che qualcuno
la voglia condividere», ha anche
detto). Un episodio che pesa non
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poco sulla capitale francese. Ieri,
la sindaca Anne Hidalgo ha riunito la stampa internazionale e ribadito che «è un caso isolato, anche se grave. Parigi è sicura ed è
la grande casa della moda che
muove un business da 150 miliardi». In questa occasione Anna
Wintour ha chiesto che «il Louvre apra le porte alla moda, come
ha fatto il Metropolitan di New
York». E Sidney Toledano, presidente di Dior, ha ricordato che
«Parigi esporta la bellezza nel
mondo. Noi siamo aperti ai giovani creativi che rappresentano la
nuova linfa della couture».
Sul fronte della creatività Parigi non delude mai. Sarah Burton
per Alexander McQueen ha reso
modernissime le classiche maglie delle isole Shetland, trasformandole in pizzi di lana da indossare con corsetti in cuoio o patchwork di pullover portati con spirito rock. Da Sonia Rykiel, la stilista Julie De Libran ha reso omaggio alla femminilità ridisegnando le uniformi da lavoro e da marinaio, in versione over, per dare
un senso di libertà alle donne. E
Bill Gaytten per la griffe John
Galliano ha portato in scena una
collezione vista con gli occhi di
una ragazza che apre vecchi baule e si rifà un guardaroba con
giacche da uomo e delicati abiti
in tulle e chiffon in seta, anni ‘30.
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Cigni ricamati, nei toni
pastello, campeggiano sulle
borse di Giancarlo Petriglia,
che al posto delle frange
hanno tante piccole ali.
Le borse
del brand,
espressione
di massima
creatività,
sono
costruite
con savoir
faire artigianale, decorate
anche con cristalli, fiori e
materiali che simulano i
coralli. Petriglia usa pure
pelle “fotosensibile”: il colore
cambia con l’intensità della
luce.
1*;;*"6%"$*
Allo stilista Alber Elbaz è stata
conferita la Lègion d’Honneur,
uno dei massimi
riconoscimenti francesi
per il contributo dato in questo
caso alla
moda.
Elbaz,
che negli
ultimi anni
è stato
il grande
artefice del successo di Lanvin,
è stato insignito dal ministro
della cultura francese Audrey
Azoulai. Per l’occasione
ha presento un profumo,
Superstitious, prodotto da
Louis Malle, con la dedica
«per le donne con amore».
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.
entre la settimana della moda francese giunge al gran
finale, in molti iniziano a fare un bilancio della
manifestazione. Il primo resoconto riguarda la sicurezza in
città e i dati relativi non sono incoraggianti. Perché se il furto
dei preziosi a Kim Kardashian è stata la notizia più virale,
sono in aumento anche le rapine nelle gioiellerie del centro e
persino negli alberghi a cinque stelle. Parigi è una città sotto
assedio: l’esercito e la polizia si spostano a gruppi per le vie
più importanti, spesso coi fucili spianati. E il clima di paura
non solo ha fatto diminuire drasticamente le vendite dei
grandi magazzini cittadini come Galeries Lafayette o Le Bon
Marché; ha anche tenuto lontani i turisti asiatici e americani
che, secondo Reuters, nel primo semestre 2016 sono
diminuiti del 6,4 per cento. C’è poi il fattore internet: sempre
più compratori guardano gli show sul computer o, meglio, sul
proprio smartphone, piazzando poi ordini via mail. Più delle
tendenze, bisogna ammetterlo, hanno dettato legge paura e
web.
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La borsa Paris premier è stata
la protagonista della festa
per la riapertura della storica
boutique Longchamp in rue
Saint
Honoré,
con interni
totalmente
rinnovati
e spazi
molto più
ampi.
Per
la prossima
estate, la collezione di abiti,
quasi tutte in pelle, si chiama
City blossom: decori di fiori
di pesco, omaggio a Tokyo
e l’azzurro del cielo londinese
nella bella stagione.
Cesare Paciotti alterna sandali
Black rock con grintose fibbie
in cristalli Swarovski a scarpe
in morbido camoscio
con i delicati colori del deserto,
dall’avorio, al beige al verde
salvia.
Tra le
novità
della
prossima
estate,
il tacco DIVOLZ, alto sette
centimetri,
che consente una camminata
comoda e veloce. Per le scarpe
da sera torna il classico
stiletto, con sandali in oro e
bronzo, vere e proprie
sculture.
La Repubblica .&3$0-&%¹ 0550#3& $0/5"55*
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ROMA. Oltre quattro milioni di
dichiarazioni presentate nel
2015, un indicatore che il
ministero del Lavoro definisce
«molto più veritiero», eppure la
compilazione dei modelli Isee
rischia una battuta d’arresto. A
sollevare il problema la
Consulta nazionale dei Caf,
l’organizzazione che si fa carico
della compilazione e della
trasmissione della stragrande
maggioranza delle
dichiarazioni: «Abbiamo già
esaurito l’attuale plafond di 76
milioni di euro, che si è ridotto
rispetto ai 100 milioni stanziati
negli anni passati. - dice Mauro
Soldini, Cgil, coordinatore della
Consulta insieme a Massimo
Bagnoli - e inoltre è scaduta la
convenzione con l’Inps, che era
stata prorogata al 30 settembre.
Dal momento che però non ci
sono altri fondi, dovremmo
rinnovare a zero euro, e per noi è
impossibile considerato che già
il costo attuale della redazione
di un’Isee è di 23 euro, e il
compenso richiesto è invece in
media di 13,50 euro». Del resto
la convenzione con l’Inps
esclude espressamente la
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NJOJTUSPEFM-BWPSP
PHHJJODPOUSBMB
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BTTJTUFO[BGJTDBMF
possibilità di chiedere, come
avviene invece per il modello
730, una tariffa o un rimborso
spese agli utenti.
Un problema che verrà
affrontato stamattina in una
riunione al ministero del Lavoro.
L’intenzione, fanno sapere fonti
ministeriali, è quella di risolvere
rapidamente il problema,
cercando di superare eventuali
rigidità di bilancio. Fonti Inps
confermano che la questione è
proprio questa: «Non c’è un
problema di mancanza di fondi,
anche se ci sono invece vincoli
precisi dovuti alla spending
review, per cui non possiamo
spostare autonomamente
risorse da una voce di bilancio
all’altra». Anche l’Inps
manifesta però la massima
disponibilità a valutare quante
risorse siano ancora necessarie
per coprire i costi di
compilazione dei Caf fino alla
fine dell’anno, e a stipulare una
nuova convenzione, evitando
un’ulteriore proroga di quella
scaduta. La Consulta dei Caf
sottolinea però l’urgenza della
questione: «Oltre all’ordinario
flusso di dichiarazioni, stanno
fioccando le richieste dei
Comuni per convenzionarsi con
i Caf per lo svolgimento di
attività di sportello per il SIA
(sostegno per l’inclusione
attiva)».
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MILANO. La strada per vendere le
quattro banche salvate a novembre è molto stretta e ripida. Se si
arrivasse in cima ci sarebbe comunque un prezzo alto da pagare per il settore, che dovrebbe
spartirsi circa 1,5 miliardi di perdite a fine anno: circa 300 milioni
per Intesa Sanpaolo, sui 250 per
Unicredit, un centinaio per Ubi e
così via. Di qui i nervi dei banchieri, e la tentazione di rovesciare il
tavolo invocando lo Stato pagatore: o almeno rimandarlo a Bruxelles a trattare scadenze meno vessatorie che spostino al 2017 la
cessione forzosa di Marche, Etruria, Cariferrara e Carichieti. Tuttavia, come ha detto lunedì il ministro Pier Carlo Padoan, di nazionalizzazioni bancarie «non se ne
vede la necessità». Il governo è in
trincea: lo si è visto nella riunione di due giorni fa al Tesoro, sollecitata dalla Banca d’Italia, che
nel suo duplice ruolo - vagamente in conflitto - di controllore del
credito e di autorità di risoluzione per le quattro good bank teme per lo stallo nella vendita, slittata due volte e che non si perfeziona sull’offerta a prezzi simbolici fatta da Ubi per Marche, Etruria e Chieti. «E’ una partita complessa, può incidere sulla stabilità finanziaria del paese - ha detto
ieri il dg Salvatore Rossi -. Bankitalia è attenta a che non vengano
ventilate ipotesi di contagio».
Ubi ieri ha svolto un consiglio
di gestione, che s’è limitato a fornire un’informativa sul dossier,
niente di più. L’ad Victor Massiah non recede dalle strenui condizioni chieste per muoversi: conteggiare un avviamento negativo da un miliardo, scontare crediti di imposta da 400 milioni, adottare da subito i suoi modelli avan-
I numeri della 4 good bank Banca Marche, Etruria,
Cariferrara, Carichieti
Clienti
Conti correnti
Dicembre 2015
Giugno 2016
1.000.000
1.000.000
770.000
770.000
9,85
9,88
Patrimonio primario
(Cet1)*
Perdita netta
Raccolta clienti
153
134
milioni
milioni
21,5
21,2
miliardi
miliardi
Crediti a clienti
18,58
17,7
miliardi
miliardi
Incagli e
sofferenze lorde
4,1
4,3
miliardi
miliardi
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zati di riservazione rispetto a
quelli delle prede (ancora ispirati alle vecchie banche fallite), infine comprare le tre banche già ripulite dai crediti problematici,
che ammontano a 3,4 miliardi
netti. Le prime tre condizioni sono al vaglio della vigilanza a Francoforte, che finora non deflette
né affaccia sconti di sorta; la
quarta potrebbe risolversi con
un affare in privato. Lo stesso presidente delle good bank Roberto
Nicastro lo aveva scritto ai dipendenti settimana scorsa: «Per facilitare la cessione abbiamo anche
avviato un ulteriore progetto di
vendita dei crediti problematici». Lì dietro ci sarebbe Atlante, il
fondo consortile che ha già comprato Vicenza e Veneto Banca, e
s’appresta a rilevare parte dei 9
miliardi di sofferenze di Mps. Il
fondo, che da tempo studia questo dossier, potrebbe muoversi
insieme a operatori specializzati,
magari Apollo e Lone Star che s’erano offerti di comprare a peso le
4 banche nell’asta estiva. C’è un
nodo tecnico, perché gli incagli
sono più difficili da vendere: possono tornare in bonis, e oltre ai
crediti ci sono i relativi contratti
di finanziamento, che si possono
cartolarizzare solo tramite attori
terzi. Qui potrebbe tornare in gioco anche Fonspa, che già lavora
con Atlante (valuta le sofferenze
Mps) ed è tra i pochi in Italia ad
aver comprato contratti di finanziamento. L’alternativa, radicale
per le ricadute socio-contabili, sarebbe trasformare in sofferenze
gli incagli da vendere.
La Commissione Ue è in «contatti stretti e costruttivi con le autorità italiane», e ribadisce le
«buone ragioni» dietro il rinvio,
non si sa per quanto. Palla a Francoforte.
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ROMA. Addio ai contributi pub-
blici per i giornali di partito. Un
tetto invalicabile di 240 mila euro per i compensi dei dipendenti e dei consulenti Rai. Aiuti fiscali a chi comprerà pubblicità
sulla carta stampata, le radio,
le televisioni locali.
Alla Camera, la maggioranza porta al traguardo la nuova
legge sul settore editoriale che
garantirà aiuti per almeno 300
milioni l’anno, ma più mirati e
trasparenti. Sono 275 i voti a favore delle nuove norme. No da
M5S e Forza Italia, si astengono Lega e Fratelli d’Italia.
I soldi. Il settore editoriale e
dell’informazione potrà contare su un “salvadanaio” di dena-
ro pubblico. Al suo interno finiranno le risorse stanziate per
l’editoria quotidiana e periodica (157,9 milioni nel 2016); gli
aiuti all’emittenza locale (altri
48,1 milioni) e fino a 100 milioni del canone Rai (nel caso il pagamento in bolletta porti un
gettito superiore rispetto all’anno scorso); mentre le concessio-
narie pubblicitarie assicureranno un contributo di solidarietà
pari allo 0,1% del loro reddito
annuo.
I beneficiari. Stop agli aiuti
di Stato per i giornali di partito
e gli editori quotati in Borsa. Un
decreto del governo preciserà,
entro 6 mesi, i beneficiari. Tra
cui troveremo - come già oggi emittenti locali; cooperative
giornalistiche; enti senza fini di
lucro; giornali delle minoranze
linguistiche, per non vedenti e
ipovedenti e per gli italiani all’estero, oltre alle pubblicazioni di
associazioni di consumatori.
La trasparenza. L’editore riceverà i soldi pubblici solo se
avrà riconosciuto ai suoi dipendenti i diritti dei contratti nazionali o territoriali di lavoro; e se
la sua testata ha anche un’edizione web. Premi ai giornali innovativi nella formula e a chi assume personale sotto i 35 anni.
Il limite. Amministratori, dipendenti, collaboratori e consulenti Rai avranno compensi di
massimo 240 mila euro lordi annui, anche se l’azienda emette
obbligazioni. La nuova concessione della tv di Stato, con durata decennale, sarà approvata al
più tardi a gennaio 2017.
Pensionamenti. Entro 6 mesi, il governo stabilirà infine criteri più stringenti sul prepensionamento dei giornalisti.
Nuove regole per il Consiglio
dell’Ordine: componenti ridotti a 60, con i professionisti che
avranno due terzi dei posti.
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MILANO. Le utility
italiane alla campagna di
Grecia. Sia Snam che Terna, le due società
controllate dalla Cassa Depositi Prestiti, sono tra le protagoniste nel processo di privatizzazione varato dal governo di Atene e che
fa parte degli accordi con la Ue per la riduzione del debito pubblico. A breve, Snam e Terna conosceranno l’esito delle gare che le vedono in corsa per rilevare quote della rete
elettrica e del gas del paese ellenico. Con buone possibilità di successo.
La più vicina al traguardo è Terna. Per la
metà di ottobre sarà completata la due diligence e la società guidata da Matteo Del Fante farà la sua offerta per il 24 per cento di Admie, la società greca che distribuisce l’elettricità in tutto il paese. Secondo alcuni analisti,
l’equity value di Admei si aggira sugli 800
milioni, per cui l’offerta potrebbe aggirarsi
attorno a qualcosa in più di 200 milioni. Ter-
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MILANO. Eni vende il gas mozambicano, ed è
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molto vicina a cedere una fetta del suo 70%
nel consorzio Eea, dove detiene indirettamente metà dell’Area 4. Con i restanti soci
Galp, Kogas, Enh, cui resta un 10% ciascuno
del giacimento al largo dell’isola, ieri è stato
firmato un accordo vincolante con Bp Poseidon, controllata dalla major britannica, per
la vendita anticipata del gas naturale liquefatto (Gnl) che sarà prodotto dall’impianto
galleggiante Coral South, al largo del Mozambico. L’accordo di vendita è a oltre 20 anni, riguarda «l’intero ammontare dei volumi di
Gnl dell’impianto, che avrà oltre 3,3 milioni
di tonnellate di capacità produttiva». Non sono state fornite cifre, ma siamo nell’ordine
dei miliardi. L’accordo di ieri, approvato dal
governo locale, resta subordinato alla decisione finale di investimento, attesa nel 2016.
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MILANO. L’ex monopolista della telefonia
francese Orange diventa l’azionista di controllo di Groupama Banque, dopo avere ricevuto il via libera dalle autorità Ue e francesi a
rilevare il 65% della banca che sarà ribattezzata Orange bank. L’offerta commerciale
partirà in Francia nel corso del primo semestre 2017, tramite app, online o utilizzando
le 140 boutique Orange nel territorio, mentre sarà anche distribuita dalla rete di Groupama da luglio in poi. L’obiettivo di Orange
bank è di superare a regime quota 2 milioni
di clienti in Francia. «La partecipazione maggioritaria in Groupama banque - ha detto
l’ad di Orange Stephane Richard - permette
al gruppo di continuare la sua strategia di diversificazione nei servizi finanziari mobili».
Il gruppo già dal 2008 aveva lanciato i suoi
servizi finanziari in Costa D’Avorio con Orange Money.
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na, però, ne investirà soltanto la metà: l’utility si propone, infatti, come socio industriale
e ha deciso di presentare la sua offerta assieme a un partner finanziario. La scelta è ricaduta sul fondo infrastrutturale F2i, partecipato dalla stessa Cdp.
La cordata italiana dovrà attendere i primi di novembre per conoscere l’esito dell’aggiudicazione. Gli unici concorrenti che possono ancora impensierire l’accoppiata Terna-F2i sono i cinesi di State Grid, la più grande utility del mondo, con oltre un milione e
mezzo di dipendenti, proprietaria di oltre il
90 per cento della rete elettrica ad alta tensione del colosso asiatico. Una sorta di derby
quello con i cinesi, visto che State Grid due
anni fa ha rilevato il 30% di Cdp Reti, la holding che controlla sia Terna che Snam: soci
in Italia, ma concorrenti in Grecia.
Per la fine di ottobre, anche Snam dovrebbe sapere se l’operazione di sbarco in Grecia
andrà a buon fine. Nel suo caso, non ci sarà
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nessuna gara. L’indecisione riguarda la trattativa che il governo di Atene ha in corso con
la società azera Socar. Il gruppo petrolifero
ha vinto nel 2013 la gara per il 66 per cento
della rete del gas gestita da Desfa, società
per il 65 per cento dello stato greco. Sull’operazione è intervenuta la Ue, in quanto Socar
è anche un operatore nella vendita di gas e
ha imposto che almeno il 17 per cento venisse ceduto a un terzo soggetto. Inoltre, il prezzo già fissato a 400 milioni per la quota del
61% viene ora contestato da Socar, che chiede uno sconto: l’anno prossimo scatteranno
nuove tariffe (al ribasso) per il servizio di trasporto gas che permetteranno ai consumato-
ri greci di pagare meno le bollette. Socar e
Atene stanno trattando il nuovo prezzo e si
sono date tempo fino alla fine di ottobre per
arrivare a una soluzione condivisa.
L’ingresso come socio industriale permetterebbe a Snam di allargare le sue partecipazioni in Europa, dopo Francia, Germania, Austria, oltre all’Interconnector che collega
Olanda e Gran Bretagna. E rafforzerebbe la
sua presenza nel corridoio del sud Europa, visto che possiede il 20 per Tap, il gasdotto partecipato proprio da Socar che porterà il gas
dall’Azerbaijain fino alla Puglia, passando
per Grecia e Albania.
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MILANO.
finito i suoi calcoli, il verdetto è
stato drastico: il rapporto deficit/Pil reale del paese nel 2009
era del 15,4%. Più del 13,6% stimato dal governo e usato come
base negoziale con la Troika.
Quasi il quintuplo dell’improbabile 3,4% fissato dall’Elstat appena prima del suo arrivo.
Un’operazione trasparenza,
dice lui. Un atto di alto tradimento a favore della Troika –
sostengono i detrattori – che in
molti (specie nel partito di Alexis Tsipras) non gli hanno mai
perdonato. I venticelli della calunnia si sono trasformati nel
2013 nelle prime accuse. Respinte in tribunale salvo una
condanna in primo grado per
aver definito «truffatori» – numeri alla mano con qualche ragione - i predecessori all’Elstat.
Il verdetto della Corte Suprema
fa ripartire ora tutto da zero.
Dai pesanti bauli di pelle di
Louis Vuitton alle valigie superleggere di Rimowa. Il colosso del lusso francese Lvmh, che tra le altre cose possiede la più grande catena di duty free al
mondo, ha annunciato l’acquisto
dell’80% del gruppo tedesco per 640
milioni di euro. Rimowa è famosa per
le sue valigie in alluminio e policarbonato, che ne fanno un’eccellenza con
un posizionamento di fascia medio alta. Per il gruppo che fa
a capo a Bernard Arnault che dagli Usa al
Giappone ha investito
in tutto il mondo, questa è la prima operazione in Germania. Il patron di Rimowa, Dieter
Morszeck, resterà per
gestire l’azienda familiare fondata a Colonia
nel 1898 che quest’an#FSOBSE"SOBVMU
no dovrebbe superare
quota 400 milioni di ricavi. «Trasmettere questa avventura familiare al
gruppo Lvmh - ha detto Alexandre Arnault, uno dei figli di Bernard Arnault, che affiancherà Morszeck nella
gestione - permette di assicurare a
tutti i nostri collaboratori un futuro
promettente». Rimowa impiega
3.000 persone e vende i suoi prodotti
in 65 paesi con circa 150 negozi, ma
ora potrà contare su un colosso da 80
miliardi di capitalizzazione e 125mila
dipendenti.
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MILANO.
La crisi greca? Tutta
colpa di Andreas Georgiou. L’unico imputato nel processo sui
bilanci truccati da Atene che
hanno portato il paese al crac
nel 2010. L’ex presidente dell’Istituto nazionale di Statistica
(Elstat) - ha stabilito la Cassazione – deve essere processato
con accuse che possono costargli l’ergastolo: atti contro l’interesse nazionale, abuso d’ufficio
e falsificazione di dati. La sua responsabilità? Non quella di
aver aperto il buco nei conti
(nessuno è stato incriminato
per questo) ma l’opposto: averlo scoperto e denunciato sei anni fa. «Un lavoro da boia», l’ha
etichettato il quotidiano di Syriza Avgi, che ha costretto il governo di allora a rivedere al rialzo il debito, rendendo molto più
dura l’austerity imposta dai cre-
ditori.
una cintura nera in Jiu jitsu, è
Georgiou, che oggi vive in iniziata nel 2009. Quando con
Maryland, è sereno: «Non rim- la bufera economica alle porte,
piango nulla, ho solo aiutato la il governo di Atene l’ha richiamia patria» ha ripetuto in que- mato da Washington (dove lasti giorni. In suo soccorso sono vorava da 21 anni all’Fmi) per
arrivati i colleghi economisti e certificare dei bilanci nazionali.
la Ue: «Questo processo – ha Appena atterrato sotto il Partedetto il presidente dell’Euro- none, Georgiou ha intuito il gigruppo
Jenepraio in cui
roen Dijsselsi era infilato:
bloem – è un %JKTTFMCMPFNQSFTJEFOUF debiti non ditragico erro- EFMM&VSPHSVQQP
chiarati, vorare» e rischia di
gini dei fondi
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pesare sui nepensioni sparigoziati per le OVPWJBJVUJBE"UFOF
te nel nulla,
nuove tranperdite
di
che di aiuti.
aziende stataDue siti di crowdfunding attiva- li non calcolate correttamente.
ti da professori universitari «Ho detto subito a tutti che ero
hanno raccolto 30mila euro per lì per rompere con il passato»,
pagare le spese legali al capro ha raccontato, ingollando persiespiatorio della crisi ellenica.
no l’hackeraggio dei colleghi
La surreale vicenda del 56en- («si presentavano in riunione
ne statistico, costretto a vivere con in mano copie delle mie
sotto scorta in Grecia malgrado mail personali»). E quando ha
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Affari in rialzo dello 0,21% . Ben comprati i titoli
della moda, con Ynap (+2,05%), Moncler
(+1,9%) e Ferragamo (+1,6%), e del comparto
auto, con Fca (+0,6%), Ferrari (+1,8%) ed Exor
MILANO.
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parità Intesa e Ubi, bene Bpm (+2,2%) e Banco
Popolare (+1,5%). Realizzi invece sulle reti di
Snam (-1,1%) e Terna (-1%).
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3
IVELA molte cose l’appassionato dibattito su democrazia e
oligarchia suscitato dall’articolo di Eugenio Scalfari e dal
confronto stesso fra Gustavo Zagrebelsky e Matteo Renzi,
come dimostrano le tante lettere arrivate al giornale. È
una passione che segna da tempo i confronti e le assemblee pubbliche sulla riforma costituzionale: non mi riferisco qui (e non mi riferirò) alla “animosità da talk show” di alcuni protagonisti ma alla
passione vera di molti cittadini, portati ad ingigantire sinceramente i rischi per la democrazia e a sentire vicina una sua crisi radicale
ed irrimediabile. Non a caso stiamo parlando soprattutto del popolo della sinistra (quello della destra appare molto meno angosciato, esattamente come i suoi leader) ed ha qualche ragione il lettore che scrive in modo icastico: “la scomparsa di una identità di sinistra ha spalancato i cancelli dello zoo che ci circonda”. È questo popolo orfano di identità a muoversi, talora in modo esasperato, ed a
spingerlo non è — o non è solo, a me sembra — la tradizionale “paura del tiranno”, su cui comunque non è lecito ironizzare. È qualcosa
di più profondo e non ci parla di un immaginario “altrove”, ci parla
di noi e delle nostre inquietudini. Per questo quella passione, portata talora a trasformarsi anch’essa in animosità, non va lasciata a
se stessa e certo non può esser considerata solo il residuo di una sinistra ideologica. Per questo è “obbligatorio” passare dalla pancia
(in primo luogo dalla nostra pancia) alla testa (in primo luogo alla
nostra testa) come ha invitato a fare Mario Calabresi.
In questo passaggio ci aiuta certo la discussione classica su questi temi, e anche quella relativa alla democrazia novecentesca:
una democrazia che ha sullo sfondo i processi di industrializzazione e il delinearsi della società di massa, la conquista del diritto di
voto e l’affermarsi dei partiti di massa. Ci aiuta ancor di più, forse,
una riflessione sulle ansie e sullo spaesamento indotti dal declinare di quella democrazia, dal suo incrinarsi per il drastico modificarsi della realtà sociale e culturale su cui si basava. Indotti, anche,
dal contemporaneo e altrettanto radicale modificarsi delle modalità della politica. Viene da qui quello spaesamento, viene da qui
quell’angoscia, e con questo dobbiamo misurarci. Diversi anni fa
Bernard Manin, ricordato ieri da Nadia Urbinati, ha aperto la riflessione sulla “democrazia del pubblico” — sul trasformarsi cioè della
comunità dei cittadini in una platea di telespettatori — e a questo
si è aggiunta e sovrapposta poi la realtà della rete. Spettacolarizzazione della politica e delinearsi dei partiti personali hanno preso
corpo insieme (e già prima della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, per quel che ci riguarda) logorando l’insediamento dei partiti della società e portando in ultima istanza, per dirla con Ilvo Diamanti ed altri, a partiti senza società e a leader senza partiti. Altri
pilastri della democrazia novecentesca sono andati in crisi nei decenni scorsi, nel declinare dell’“età dell’oro” dell’Occidente. Quel
declinare ha posto infatti in discussione le modalità tradizionali
del welfare, così centrale per le democrazie occidentali (lo ha ricordato spesso con grande lucidità Ezio Mauro): sarebbe stato necessario un ripensamento generale sulle sue modalità e sulle possibilità di un suo allargamento — non di un suo restringimento — nel
nuovo scenario che si è delineato, ma quel ripensamento non è venuto. Non è venuta neppure una riflessione sulla formazione e sulla selezione della classe dirigente, assolutamente urgente nel deperire e talora nel crollare delle precedenti forme dell’agire politico. E nel dilagare — non solo nel ceto politico — di forme di corruzione che hanno fatto impallidire quelle del passato.
C’è questo insieme di nodi, a me sembra, dietro le riflessioni
sempre più insistite su $PNFMBEFNPDSB[JBGBMMJTDF, per citare un
libro di Raffaele Simone. C’è questa stessa ansia, questa stessa avvertita urgenza in un comune sentire sempre più diffuso, e non stupisce riconoscerlo nelle molte lettere giunte a MB3FQVCCMJDB o nei
molti interventi che rendono talora incandescenti i confronti pubblici sulla riforma costituzionale. E che rischiano troppo spesso di
renderli improduttivi, scontri fra opposte sordità, come avviene anche per due dei nodi evocati dal confronto fra Renzi e Zagrebelsky.
In questo quadro di incertezze e disorientamenti, ad esempio, l’ipotesi di governi stabili diventa anche in molte assemblee e dibattiti
non un segno di salute della democrazia ma quasi un rischio. E la sacrosanta attenzione al mantenimento e al rafforzamento delle figure e degli organi di garanzia porta talora a capovolgere la realtà: così è considerata addirittura un vulnus la norma che in realtà innalza il quorum necessario per l’elezione del Presidente della Repubblica, portandolo dalla maggioranza assoluta ai tre quinti dei votanti, e quindi al di fuori della portata di chi governa (a meno di non ipotizzare una assemblea letteralmente dimezzata nelle presenze, come ha fatto ieri Salvatore Settis). Evitare forzature polemiche o distorsioni è il primo passo per misurarsi con i nodi di fondo: sono nodi ineludibili e forse è un bene, non una iattura, che siano balzati in
primo piano con tanta prepotenza. Lo è, per lo meno, se ad essi iniziamo faticosamente a dare alcune prime risposte.
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giornalista, diciamolo, è Marco Travaglio
che è in effetti uno dei più abili e ostinati polemisti,
dotato di un formidabile archivio e di una memoria
prodigiosa. Non piace nemmeno a me il tono irridente
che spesso assume, tanto più che, forte dei suoi argomenti, potrebbe avere risultati più convincenti se moderasse i frequenti sorrisetti che piaceranno forse ai
già convinti ma possono avere effetti controproducenti sugli indecisi. Tattica, diciamo. In giro c’è ancora
qualcuno che si dispiace nel veder deridere, più che
contraddire, l’uomo che in questo momento copre il
ruolo di capo del Governo. Non si tratta di avere o no
simpatia, ma di quel tanto di rispetto che le famose (e
logore) istituzioni meritano — prima del caos. L’aria
del tempo è un po’ così dappertutto, basta pensare a
che cosa sono ridotti i dibattiti pre-elettorali negli Stati Uniti, democrazia leader dell’Occidente, per rabbrividire. D’altronde in Italia siamo arrivati alle ingiurie
urlate in coro nelle piazze che rappresentano un salto
vertiginoso verso l’annullamento di ogni parvenza politica. Infatti, quando poi gli urlatori sono chiamati a
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Sul caso Elena Ferrante contraddico Michele Serra: ho amato
Stevenson dopo aver amato la
sua vita. Come faremmo a leggere Proust senza conoscere la sua
vita e il suo volto? Come faremmo a leggere Oscar Wilde senza
sapere ciò che ha sofferto?
svogliati. Facciamo un passo alla volta e cominciamo a dire nelle scuole che cos’è la plusdotazione, che il 5% degli studenti
italiani lo è.
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Alcuni giorni fa è morta una giovane alla guida mentre con il
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governare, si vedono i risultati. L’estate scorsa, rileggendo “L’uomo senza qualità”, mi sono imbattuto (capitolo 72, “La scienza sorride sotto i baffi”) in una frase che un po’ s’adatta al nostro caso. Quel grande romanzo uscì poco meno di un secolo fa, quando una certa aria si poteva già cogliere. Scrive Musil: «È un fatto
che almeno il secondo pensiero di ciascun uomo posto
davanti a una manifestazione soverchiante, sia pure
una visione di bellezza, è oggi il seguente: non me la
dai a bere, ti metterò a posto io! Questa smania di rimpicciolire tutto, che domina un secolo aizzato e aizzante, non è quasi più la naturale divisione della vita in volgarità e nobiltà, piuttosto un autolesionismo dello spirito, un inqualificabile piacere di vedere il bene abbassarsi e lasciarsi distruggere con meravigliosa facilità».
Non è, ripeto, calzante al cento per cento, ma per quel
tanto che sfiora il nostro argomento aiuta a capire che
cosa abbiamo perso riducendo non dico la famosa “dialettica” ma anche la semplice discussione a derisione
o ingiuria.
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cellulare immortalava il tachimetro della sua auto che indicava 170 km/h. Tutti si sono schierati, giustamente, contro l’uso
del telefonino da parte di chi
guida. Nessuno ha commentato il fatto che la giovane viaggiasse alla velocità di 170
km/h. Perché? Perché ormai sono tantissimi coloro che viaggiano, impunemente, a folle velocità. Quando si guida, le distrazioni possono essere moltema una distrazione di pochi secondi, viaggiando a 120 km/h,
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Lo “Student Act” parla di borse
di studio e fondi per i talenti.
Ma stiamo molto attenti a non
prendere in giro chi come me,
genitore di 2 bambini certificati “plusdotati”, affronta quotidiane difficoltà con la scuola solo per farsi ascoltare. Sono 3 anni che ricevo porte in faccia dalle istituzioni scolastiche per
spiegare come sono fatti questi
ragazzi e di cosa hanno bisogno. Talento non è QI elevato;
certo anche quello, ma c’è molto di più. I “talenti” non è detto
che a scuola vadano bene, se
non vengono riconosciuti e valorizzati. Non c’è formazione universitaria per insegnanti, psicologi, pediatri. E gli insegnanti
spesso si sentono messi in discussione nel loro modo di lavorare quando gli si dice che i nostri figli sono diversi. Sta a noi
genitori trovare le forze emotive, fisiche ed economiche per
identificarli e sostenerli. Quindi una ricerca del talento nella
secondaria come da Student
act, certo!, ma non dimentichiamoci che questi ragazzi hanno
fatto la primaria e molti di loro
hanno visto spegnere il loro fuoco da insegnanti impreparati o
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ARO Augias, al referendum voterò sì. Non interessa ad alcuno, ma questo stillicidio di dichiarazioni, di
accuse, di talk show preparati per attizzare la polemica, mi hanno esasperato. Alcune sere fa, un noto
giornalista polemista, si è rivolto al presidente del Consiglio con modi ed epiteti così irrispettosi che mi
hanno fatto pensare ad una deriva oramai irreversibile. Ma esistono ancora persone che dicono: “Non sono
d’accordo”, “Lei si sbaglia”, “I miei dati sono diversi dai suoi”? Si deve fare sempre spettacolo con atteggiamenti
più provocatori che da dibattito, anche da parte di un professionista dell’informazione? Badi che non dico che
tutte le affermazioni fossero sbagliate, ma, vivaddio, un po’ di rispetto per l’interlocutore è d’obbligo. Chiudo
dicendo che il mio Sì non sarà fideistico, ma pragmatico. Alcune cose potrebbero essere migliorate, è evidente,
ma allora, aspettando la perfezione continuiamo a rimandare ai posteri?
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OME un qualunque giornalista compreso nel suo
ruolo, il fondatore di Wikileaks Julien Assange,
nell’imminenza del voto americano, ha reso noto
che renderà pubblico “materiale significativo”. Assange
gode di fama mondiale in quanto, diciamo così, de-secretatore universale. Nella sua concezione della galassia informatica tutto deve essere “in chiaro” e tutto pubblico, perché l’opacità è l’arma del potere per tenere in scacco i cittadini. Questa sorta di glasnost totale, strappata alle caste di
ogni ordine e grado, ha fatto di Assange una specie di eroe
della libertà d’informazione, soprattutto tra chi è convinto
che la rete sia la terra promessa dell’autogoverno.
L’aura vincente di Assange, in quanto desecretatore a priori di tutto il desecretabile, è quella del liberalizzatore neutrale e “oggettivo”, contro le manipolazioni interessate dei
potenti. Ma nel momento stesso in cui pubblica dati sui protagonisti delle elezioni americane alla vigilia delle elezioni
americane, Assange si manifesta — come chiunque pubblichi qualcosa — come un attore della scena mediatica;
un opinion maker; un direttore responsabile. La finzione
(non saprei dire se più ingenua o più ipocrita) che siano “i
file” a parlare è, appunto, una finzione. A parlare è Assange, che come ogni giornalista, ogni editore del mondo, sceglie come e quando rendere pubblici materiali in suo possesso. Con una visibilità enorme e — dunque — un potere
enorme. Non riesco a fidarmi di un uomo di potere che fa
finta di non esserlo.
forse ci può stare. La stessa distrazione, a 170/180 km/h, può
essere fatale. Multiamo pure
chi usa il telefonino mentre guida, ma multiamo anche chi supera i limiti di velocità.
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Da decenni, la domenica mattina, abbiamo il rito di vedere
i film trasmessi da Rai Tre. A
questa dolce abitudine si è presto affezionata anche la nostra bambina. Innumerevoli i
capolavori che abbiamo conosciuto grazie a Rai Tre e Rai
Movie. Da questo mese i film
sono stati sostituiti da una striscia news, un programma sulla natura (dove si parla ancora un volta di cibo) e uno di approfondimento politico. Su
Rai Movie sono state introdotte numerose interruzioni pubblicitarie. È deprimente vedere che in tv anche quel piccolo
spazio culturale che rimane
debba essere sacrificato in nome della raccolta pubblicitaria e che si fa di tutto per rendere la domenica un giorno di
schizofrenia come gli altri.
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Il finale del mio articolo di ieri — “Referendum, se il confronto chiude il ring” — ha dato adito a un equivoco tra alcuni lettori. Voglio precisare
che quando citavo la “professoressa della Sapienza” non
mi riferivo a Nadia Urbinati,
che invece insegna alla Columbia University ed è una
collaboratrice del nostro giornale.
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dare voce, all’interno
del dibattito aperto da 3FQVC
CMJDB sul referendum del 4 dicembre, a una parte non esigua di italiani che vivono con crescente disagio, e anche un certo fastidio,
questa vicenda. Ciò trapela dalla tendenza, dimostrata da più personalità
del mondo della politica, a sottrarsi alla domanda asfissiante, loro continuamente rivolta da mezzi di informazione, talk show e anche colleghi e amici,
di rendere pubblico il loro voto.
Per alcuni di essi si tratta di riserbo
istituzionale di chi ha occupato, o ancora occupa, cariche di particolare rilievo pubblico e che dunque ritiene di
dover restare, se non al di sopra delle
parti, almeno fuori dallo scontro diretto. Magari cercando di approfondire i
contenuti del quesito referendario,
senza esibire subito la propria scelta.
Ma non si tratta solo di questo, come
dimostra il silenzio eloquente di importanti figure della cultura italiana
— filosofi, storici, scrittori — sempre
più proclivi a trarsi fuori da quello che
è destinato a diventare il mantra di
queste prossime settimane, sì o no, in
un quadro in cui ogni altra risposta,
più argomentata, come ogni altra distinzione, è esclusa in linea di principio. E anzi stigmatizzata, come inutile
perdita di tempo o incapacità di decidere, da entrambi gli schieramenti.
Credo si debba evitare l’interpretazione, assai facile, che si tratti di una
sottrazione di responsabilità o addirittura di una manifestazione di qualunquismo. Del timore di schierarsi per
7
ORREI
non inimicarsi una parte — il cinquanta per cento — degli elettori potenziali. Non è così. Almeno per alcuni, come
chi scrive, non è così. Non c’è, in questo atteggiamento, nessun timore del
conflitto. Che — come ha spiegato Machiavelli — è il sale della politica, la
sua condizione costitutiva. Senza la
differenza, e anche il contrasto aperto, viene meno la ragione, e anche il
linguaggio della politica. Semplicemente, non è il nostro conflitto. Non è
un conflitto affermativo — tra visioni
delle cose, modelli socio-culturali, opzioni sulle condizioni di vita dei cittadini. Ma un conflitto negativo. In cui ciò
che conta è contraddire, indebolire,
umiliare l’avversario. Non tanto per
ciò che dice, ma per ciò che simbolicamente rappresenta, se non per il suo
stesso modo di essere. Di volta in volta
contestato, offeso, dileggiato dal fronte avverso. Un conflitto che si è colorato, nel tempo, di umori e sfide personali, cui alcuni, o molti, che non amano
accodarsi a schieramenti precostituiti, si sentono estranei.
Non è stato così per alcuni referendum precedenti che hanno contribuito a fare la storia di questo Paese. Affermando, talvolta, posizioni costitutive della nostra civiltà politica, giuridica, culturale. Essi vertevano sulla difesa o la rivendicazione di diritti fonda-
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mentali, sul modo di intendere il senso e le finalità della nostra convivenza, sulla parità di genere e di possibilità di vita, su scelte bioetiche e biopolitiche decisive per la società contemporanea. Certo, anche un referendum
sulla Costituzione, nessuno più di esso, può svolgere una funzione simile.
Ma non se è presentato — inizialmente dal Presidente del Consiglio — e poi
interpretato da entrambe le parti in
causa in una maniera esacerbata, aggressiva, fatta di valutazioni esagerate o di previsioni apocalittiche da scontro finale tra bene e male, tutto e nulla, progresso o restaurazione, come
ha notato ieri anche il Direttore di questo giornale.
Questa modalità fa di un istituto utile, e anche necessario, della democrazia rappresentativa — visto che immette in essa un elemento vitale di democrazia diretta — un dispositivo propriamente teologico-politico. Perché
basato su una bipolarità escludente
tra il sì e il no e dunque su una concezione teologica e metafisica della politica. Non mi pare sia il modo migliore
per superare antipolitica e populismo.
Tale procedura unisce il corpo politico
attraverso una drastica frattura che lo
spacca tra campi avversi e inconciliabili. Per secoli, o millenni, la metafisica si è costituita su alternative bipolari tra bene e male, essere e divenire,
ordine e conflitto. È proprio quanto dovremmo, a partire dal 5 dicembre, cercare di lasciarci alle spalle. Ma è una
speranza fondata?
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cosa è la persona che ha
una tendenza omosessuale o
anche che cambia sesso», ha
detto l’altro giorno Papa Francesco per spiegare quanto dichiarato
in Georgia a proposito dell’ideologia
gender. «Un’altra è fare insegnamenti
nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità: io chiamo questo colonizzazione ideologica», ha concluso il
Pontefice. Ma a quali insegnamenti si
riferisce esattamente Papa Francesco? Che cosa vuol dire “cambiare la
mentalità”? Cos’è questo benedetto
“gender” di cui tanto si parla e che, di
fatto, è solo il termine inglese per il quale esiste ovviamente una traduzione
italiana, ossia l’espressione “genere”?
Papa Francesco non fa altro che ripetere quanto già detto altre volte: il
gender a scuola è un’ideologia pericolosa. Dando così credito a quanti sostengono che ormai, nelle scuole, si insegnerebbe ai più piccoli che possono
scegliere se essere ragazzi o ragazze,
cambiare sesso a piacimento, e decidere quali tendenze sessuali privilegiare
o meno. Ma è questo che si insegna a
scuola oggi? Se veramente fosse così,
anch’io sarei molto preoccupata. Come potrebbero d’altronde raccapezzarsi un bimbo o una bimba se venisse
detto loro che tutto si equivale, che
non c’è alcuna certezza identitaria, e
che si può essere di giorno ragazzi e di
notte ragazze o viceversa? Il punto,
però, è proprio qui: a nessuno passa
oggi per la testa di colonizzare la men-
6
NA
te dei bambini con tali fandonie, tali
bugie, tali assurdità. Perché è di questo che si tratta quando si pretende
che sesso, genere e orientamento sessuali siano solo il frutto di una scelta e
che basterebbe quindi insegnare ai
più piccoli il valore delle decisioni individuali affinché diventino omosessuali o trans, «giustificando e normalizzando ogni comportamento sessuale», come scrivono associazioni come
ProVita, Giuristi per la vita o la Manif
Pour Tous Italia. «Lasciate che le ragazze siano ragazze. Lasciate che i ragazzi siano ragazzi», recita lo slogan
di un video prodotto proprio per spiegare «l’ideologia gender in meno di
tre minuti», senza rendersi conto che,
mischiando realtà, fiction e fantasmi,
sono questo tipo di spot a creare confusione e paura.
Ma procediamo con ordine. Cosa si
sceglie nella vita? Cosa si costruisce o
si decostruisce a piacimento? Di scelte, nel corso della propria esistenza, se
ne fanno molte. Nessuna, però, riguarda il proprio essere donna o uomo, oppure la propria eterosessualità o la propria omosessualità. Il genere e l’orientamento sessuale non si scelgono, non
si cambiano, non si curano. Sono elementi dell’identità di ciascuno di noi,
quell’identità con la quale, prima o
poi, tutti dobbiamo fare i conti, anche
quando ci sono cose che vorremmo
che fossero diverse, cose che magari
non sopportiamo di noi stessi, cose con
le quali, però, non possiamo far altro
che convivere. E allora capita — perché la vita è anche questo — che un
così, s’intende, perché un po’ di piombo nelle
ali del tacchino magiaro
non guasta. Ma non c’è poi
da fare gran festa se oltre la metà degli ungheresi ha disertato l’appello al
plebiscito del “Viktatore” di Budapest. Si può star certi, infatti, che Viktor
Orbán continuerà la sua guerra contro la costruzione di un’Europa federata. Già il rigetto di ogni pur minima
quota di accoglienza di migranti da
parte di Budapest è stato un atto gravemente ostile a quel principio della
solidarietà mutualistica fra i soci su
cui si fonda il processo d’integrazione continentale. Ora sarebbe vano
sdrammatizzare: quel rifiuto, blindato addirittura con il filo spinato, rappresenta tanto nei mezzi quanto nei
fini un attentato deliberato contro l’identità culturale e civile del progetto
europeo. Non è, però, che si possa attribuire ogni responsabilità di questa regressione soltanto alle sempre
più palesi pulsioni parafasciste di Orbán. Con ogni probabilità costui non
avrebbe trovato il coraggio di lanciare una simile sfida se tanto da Bruxelles quanto dalle capitali più influenti
avesse ricevuto richiami inequivocabili e tempestivi. Così, purtroppo, non è
accaduto. Il
presidente della Commissione, Jean-Claude
Juncker, ha sì dichiarato “inaccettabili” le posizioni assunte dall’Ungheria (insieme a Polonia, Cechia e Slovacchia) ma senza mai colpo ferire in
tema di conseguenti sanzioni. E quando proprio il nostro premier ha cercato di prendere per il bavero l’arroganza di Orbán dicendo che non si possono incassare i miliardi dell’Unione e
poi rifiutarsi di pagare pegno, nessuno ha fiatato né a Bruxelles né altrove. Un silenzio di fatto connivente
che a Budapest hanno avuto buon gioco a interpretare come una licenza
ad alzare il prezzo.
Cosicché in questo clima di ignavia generale non si è neppure colto
l’aspetto più velenoso della domanda
che Orbán ha sottoposto al voto popolare mettendo in esplicita contrapposizione i poteri dell’Unione con quelli
del Parlamento nazionale. Non solo
una formula furbesca per catturare
più facilmente i consensi, ma molto
peggio: una chiara provocazione politica in favore di un’integrazione continentale ispirata al modello vetero-gollista della cosiddetta “Europa
delle patrie”. Ovvero il più possibile
lontana e immune da ogni ambizione
e potere federali. Obiettivo che l’astuto Orbán ha l’abilità — al contrario
degli impulsivi britannici — di perseguire costituendo all’interno dell’Unione una sorta di quinta colonna antifederalista che, oltre ai tre soci del
Quartetto di Visegràd, può trovare
sponde nell’estrema destra francese, italiana e tedesca. Il nazionalismo
è una gramigna infestante.
Attenzione, quindi. Anche se in
parte abortito il lancio del missile antieuropeo del governo di Budapest
usa un carburante altamente infiammabile qual è il ricorso ai plebisciti
convocati in nome della nazione. Nelle sue lezioni sulla civiltà europea, Lucien Febvre diceva: «Nazioni e nazionalità sono dei prodotti esplosivi, dei
prodotti pericolosi. Da quando sono
stati creati da quella chimica profonda che si elabora al fondo dei popoli,
non c’è più stata, in realtà — domando perdono ai sogni e ai sognatori —
non c’è mai più stata Europa possibile». Il grande storico delle "OOBMFTsi
riferiva a vicende secolari, ma le sue
parole suonano di un’attualità sconcertante.
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bambino, fin da quando è piccolo, sia
profondamente convinto di essere un
bimbo nonostante si ritrovi prigioniero di un corpo femminile, e allora sia costretto a passare anni ed anni a cercare di risolvere il divario drammatico e
doloroso che vive tra la propria identità di genere e il proprio sesso biologico, senza alcuna volontà di sovvertire
“l’ordine naturale delle cose”, al solo
scopo di trovare una qualche armonia
con se stesso. Esattamente come capita che, fin da quando è piccola, una
bambina sia attirata dalle altre bimbe
senza per questo essere meno bambina delle amiche o delle compagne attirate dai bambini. L’orientamento sessuale, esattamente come l’identità di
genere, non è una “tendenza” che si
può o deve contrastare; è un modo di
essere e di amare il cui valore non cambia solo perché si è omosessuali invece
che eterosessuali, e quindi si amano
persone dello stesso sesso invece che
persone dell’altro sesso. L’unica cosa
che si può “costruire” o “decostruire” è
la rappresentazione che ci si fa del proprio genere o del proprio orientamento sessuale, imparando o meno ad accettarsi per quello che si è, senza cedere alle pressioni di chi vorrebbe che fossimo diversi da come siamo.
Qualcuno potrebbe a questo punto
chiedersi che c’entra la scuola in tutto
questo, e perché si dovrebbero affrontare tematiche legate al genere o all’orientamento sessuale con i più piccoli
invece che, come ripetono in molti, limitarsi a insegnare loro a leggere, scrivere e contare. Ma lo scopo della scuo-
la non è anche, e forse soprattutto,
quello di aiutare le bambine e i bambini a trovare le parole giuste per qualificare quello che vivono, mettere un po’
di ordine nel mondo che li circonda e
riuscire a non vergognarsi per quello
che sono e quello che provano? Uno degli scopi della scuola non è anche quello di costruire i presupposti di un vivere-insieme in cui ci si accetta reciprocamente indipendentemente dalle proprie differenze? Non stiamo assistendo, proprio in questi ultimi mesi, a episodi di bullismo e di violenza verbale o
fisica nei confronti dei “diversi”?
È strano che proprio coloro che vogliono tanto difendere i propri figli
non siano poi sensibili ai tentativi che
si stanno cominciando a fare nelle
scuole proprio per proteggere tutti i
bambini e tutte le bambine, insegnando che essere una ragazza non significa né essere inferiore a un ragazzo né
amare necessariamente le bambole o
il colore rosa, oppure che un maschietto resta un maschietto anche se non è
attirato dalle bambine. È strano che
anche il Papa, che pure spiega che “la
vita è vita e le cose si devono prendere
come vengono”, prenda alla lettera le
fandonie di chi ripete che a scuola si insegna a scegliere il proprio genere e il
proprio orientamento sessuale, mentre di fatto si cerca solo di lottare contro le discriminazioni e il bullismo di
cui sono vittime innocenti le persone
omosessuali e trans, che non hanno
scelto niente, appunto, esattamente
come le persone eterosessuali.
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gni genitore desidera che i suoi figli siano felici.
Ci danniamo per fornire loro gli strumenti per
ottenerla, la felicità, intimamente convinti che
esistano percorsi ben precisi, senza i quali sarà
tutto più difficile. Viviamo schiavi di quest’idea
che la felicità sia una meta da raggiungere, non un luogo da
abitare, e se devi arrivare in un posto ciò che conta è avere i
mezzi per conseguire il risultato prima possibile. In sicurezza.
Perciò ecco, dopo la fondamentale educazione scolastica: i
mille impegni di cui infarciamo le loro giornate per
avvantaggiarli, l’agonismo sportivo caldeggiato, a volte, da
genitori che sembrano quasi dover lenire le proprie
frustrazioni giovanili, le attività alle quali li iscriviamo ormai di
default, perché le fanno tutti, con la preoccupazione che non
restino tagliati fuori, lo smartphone a dieci anni per sapere
sempre dove sono e poterli seguire di continuo, l’auspicio delle
frequentazioni giuste, tutto ciò che ci illude di fornire ai figli
un’assicurazione sul futuro, di favorire l’individuazione il più
precoce possibile di una via. Di poterla, quella via, indirizzare e
controllare. “Per il loro bene”, ci diciamo. Una frenesia imposta
che trasforma sempre più l’infanzia in un lavoro, riducendo al
minimo un elemento indispensabile per una crescita serena: il
diritto all’autodeterminazione.
Un bell’insegnamento a tal proposito ci arriva dal fotografo
Alain Laboile. Laboile è padre di sei figli, da qualche anno
documenta il tempo passato in aperta campagna nel sud della
Francia, assieme a loro, raccogliendo i suoi scatti nell’album -B
'BNJMMF. Da quando questo album è stato reso pubblico sul
web, migliaia di persone attendono ogni giorno nuove
immagini di questa tribù francese che sembra vivere in un
universo parallelo rispetto al nostro. In quel mondo, i figli di
Laboile vengono ripresi mentre giocano a cielo aperto fra
boschi, stagni, rotolandosi in mezzo al fango, a stretto contatto
con animali e con una materia accogliente e primigenia: la
terra. Che appare qui metafora di ciò che terrorizza ogni
genitore: lo sporco, le sbucciature, le incognite, le cadute. I
rischi.
A guardarle, queste foto, a scrutare gli sguardi di questi
bambini si scopre una bellezza potente: quella della pura gioia.
Sembrano dirci che la felicità non è tanto un luogo, ma un
tempo, e che quel tempo dovremmo difenderlo. Viene da
chiedersi se non stiamo sbagliando, almeno in parte,
affannandoci a fornire continuamente strumenti invece di
investire sulla presenza – non sull’ingombranza – cercando di
proteggere i nostri figli dal contatto diretto col mondo,
limando libertà e spazi oggi nell’illusione che questo potrà
consentir loro di riprenderseli un domani. Queste immagini
raccontano che la felicità che cerchiamo per i figli si annida,
forse, soprattutto nella possibilità di abitare l’adesso, nel
respirare, nello sperimentare autonomie, anche corporee, che
passano attraverso la libertà e la fiducia. Questo ci suggerisce
che il compito degli adulti dovrebbe essere, talvolta, anche
quello di sapersi togliere di mezzo, perché gli stumenti per la
loro gioia i bambini sanno sceglierseli da soli. E che forse siamo
noi, col nostro terrore che non siano sufficientemente armati e
protetti, con le nostre aspettative, che li teniamo a volte troppo
lontani dal nucleo incandescente della vita.
La loro, che non è la nostra.
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IBTDSJUUPNotti in bianco, baci a colazione
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ultima volta che ho visto Henning Mankell
eravamo a Copenaghen, in una fredda serata di dicembre del 2014. Ci siamo incontrati
al ristorante di un albergo del porto. Ci conoscevamo da sette anni, insieme avevamo
realizzato dodici film per la televisione tratti dai suoi libri di
Wallander e ci sentivamo regolarmente.
Con lui in genere gli argomenti erano l’Africa, la politica, il mare, il teatro e la famiglia, non necessariamente in quest’ordine. Era un uomo serio. Niente chiacchiere
vuote. Attribuiva un grande valore al proprio tempo. La prima volta ci incontrammo a Fårö, nella casa per le vacanze di Ingmar Bergman, suocero di Henning. Lui
portava degli abiti estivi. Cenammo con
amici e parenti, nella luminosa notte
bianca di un’estate svedese. Durante la
cena si alzò e fece un discorso. Lo faceva
spesso. Gli piaceva sottolineare le occasioni importanti. Eravamo all’inizio della lavorazione in inglese del Wallander per la
televisione, e lui ne era felice ed entusiasta.
Sette anni dopo, i nostri Wallander in
inglese stavano ormai finendo e lui aveva
voglia di sottolineare anche quel momento, pure se provavamo entrambi un po’ di tristezza e,
cosa ancora più grave, lui
aveva un cancro. Mi ha domandato se avevo voglia di
dividere con lui la DIBUFBV
CSJBOE. Era una porzione
per due e ridacchiando ci siamo confessati di non avere
mai preso un piatto del genere in un locale così raffinato. Ci incuriosiva provare
una cosa cucinata soltanto
per due e l’abbiamo ordinata con un certo entusiasmo.
A quel punto, naturalmente, ci è sembrato giusto che anche il
vino fosse speciale e Henning ha assecondato il mio piacere infantile nel seguire i
suggerimenti del sommelier. Dato che si
prospettava una spesa imprevista, come
al solito ci siamo messi a discutere su chi
avrebbe pagato il conto. Nel corso degli
anni, e in occasione di parecchie cene,
avevamo quasi sempre fatto a metà, ma
quella sera ha insistito per pagare lui.
«No. Stavolta tocca a me, Kenneth». A
parte mio padre era l’unico che mi chiamava Kenneth e non Ken. Non era tipo da
evitare certi argomenti, quindi abbiamo
parlato della sua malattia e di come l’a-
vesse cambiato. Con grande sincerità mi
ha raccontato che il male l’aveva colto di
sorpresa, che la sua virulenza l’aveva
sconvolto e che regolarmente si sentiva
travolto dalla paura. Non riteneva di avere acquisito doti particolari, in quel frangente. La sofferenza non l’aveva condotto alla consapevolezza. Viveva giorno per
giorno, spesso in preda all’infelicità e a
volte della beatitudine, come se ogni giorno fosse l’ultimo. Ecco il perché della DIB
UFBVCSJBOEe del vino – perché no? – ed
era pieno di sincera meraviglia e profonda gratitudine per coloro che lo curavano. Aveva molto chiaro che non stava vivendo quell’esperienza da solo. Mi ha raccontato che sua moglie Eva, di cui parlava con grandissima ammirazione, era secondo lui l’unico motivo per cui era ancora vivo. E la sua gratitudine era viva e
commovente. La carne era squisita e l’abbiamo mangiata lentamente. In silenzio. Abbiamo assaporato il vino in grandi bicchieri e ci siamo goduti lunghe pause piene di amicizia.
Abbiamo parlato di futuri
progetti comuni. In quell’atmosfera tranquilla sono riuscito a dirgli che la sua scrittura era un dono straordinario. A ringraziarlo per essere
riuscito a cambiare tante vite. Per avere continuato, come artista, a vivere una vita
intensa e stimolante.
Invece di ordinare il dolce
abbiamo deciso di fare una passeggiata
fuori dall’albergo, di prendere un po’ d’aria dopo quella cena gustosa. Sulla baia
cadeva una neve silenziosa, ma Henning
voleva vedere le barche. Mi ha preso in giro perché gli ripetevo di coprirsi bene per
difendersi dal freddo. Non ci siamo allontanati di molto, ma per la strada c’erano
poche persone e faceva un effetto strano,
e incantevole, lo spettacolo di quella piccola flotta accoccolata lungo il porto e
dell’oceano che si estendeva verso l’orizzonte. Dopo un po’ gli ho suggerito di rientrare. Lui mi ha risposto: «No, resto un poco qui, tu vai pure». L’ho abbracciato; ci
on voglio lasciare
che l’incendio mi
rubi la vita».
Quando Fredrik
Welin, il protagonista dell’ultimo romanzo di Henning Mankello4UJWBMJEJHPNNBTWFEFTJ,
che esce oggi da Marsilio – dice
così non si può fare a meno di
pensare al suo autore. Mankell
ha scritto questo libro nell’ultimo anno di vita, mentre la malattia, che aveva scelto di raccontare sul quotidiano locale (PUF
CPSHT1PTU, progrediva e lui non
lasciava che la vita gli venisse rubata, appunto. Come il suo personaggio, viveva giorni alterni di
luce e buio. Ma tutto, fino alla fine, fino al 5 ottobre dell’anno
scorso, era ancora da raccontare. Chiariva: «Ho deciso di scrivere di questa malattia perché non
riguarda solo me, ma tanti altri
che si trovano nella mia stessa
condizione. L’ho fatto con la prospettiva della vita, non della
morte. È una riflessione su cosa
significa vivere».
Nelle oltre 400 pagine dell’ultimo romanzo il lettore non può
fare a meno di cercare in controluce dentro la fiction l’esperienza di chi scrive. Il personaggio di
Fredrik Welin, già protagonista
di 4DBSQFJUBMJBOF, è un medico
ritiratosi su un isolotto svedese
dopo che la sua carriera di chirurgo si chiude per un’operazione
andata male. È un Robinson Crusoe – eroe amatissimo da Mankell – alle prese con la vecchiaia
e con un trauma improvviso, senza spiegazioni. Quando la casa
di famiglia brucia, si trova solo
con un paio di vecchi stivali spaiati e nulla più. Comincia così
una nuova vita alla ricerca delle
ragioni dell’incendio, di un rapporto con la figlia Louise tutto
da costruire, di un ultimo amore
senza speranze. Attorno a lui,
mentre avanza l’inverno, si muove una comunità di personaggi
ambigui, in una Twin Peaks nordica dove ciascuno nasconde un
segreto. Nessuno conosce davvero nessuno, si dice Fredrik: i sospetti su chi sia l’autore del rogo
cadono innanzitutto su di lui.
Mankell, che è ha inventato la
fortunata serie del commissario
Wallander, interpretato in tv da
Kenneth Branagh, costruisce un
thriller lento anche in questo caso. La vita stessa di Fredrik Welin diventa una detective story a
caccia di un senso. Il colpevole
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non si può svelare, ma nell’ultima postfazione all’ultimo libro,
lo scrittore spiega: «Una linea costiera è sempre una cosa indefi*--*#30
nita, sfuggente, fluttuante. La
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finzione di un racconto si lega alTWFEFTJ
la realtà allo stesso modo. MagaEJ)FOOJOH.BOLFMM ri di tanto in tanto c’è una somiUSBEV[JPOF
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renza che determina ciò che è
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successo e ciò che sarebbe potuF-BVSB$BOHFNJ
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siamo ripromessi di sentirci e che alla fine di Wallander avremmo di nuovo fatto
qualcosa insieme. E presto. Arrivato all’estremità del porto, mi sono girato. Lui stava ancora guardando il mare e le barche,
la neve gli imbiancava leggermente le
spalle. Si è voltato, mi ha visto e mi ha salutato con la mano. «Buonanotte Kenneth. È stato bello ordinare quel piatto per
due!». Aveva ragione. Grazie.
Buonanotte Henning.
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o spirito di crociata volteggia ancora sul mondo contemporaneo. La ragione suggerirebbe di archiviarlo fra le eredità più nefaste del nostro passato: ci inorridisce il pensiero che si possa uccidere e uccidersi gridando «Dio lo vuole», oppure «Allah è il più
grande». Ma succede ancora. Allahu Akbar è un’affermazione
che risuona familiare non solo nella preghiera islamica ma anche nei resoconti di tanti efferati delitti giustificati in obbedienza alla volontà divina. Scatta
così un riflesso condizionato, una specie di déjà-vu: richiamo istintivo a una
contrapposizione atavica, sempiterna. Lo spirito di crociata era nascosto lì,
racchiuso in una zona oscura della memoria collettiva. Succede per legittima
difesa, e del resto sembra che l’intenzione degli aggressori sia proprio quella: costringerci a indossare metaforicamente di nuovo l’armatura
dei guerrieri medievali crucesignati. Anche se non ne abbiamo
nessuna voglia, e non riusciamo
a immaginarci nei panni di
guerrieri di un Dio che conduce
il suo esercito allo sterminio degli infedeli.
Se però sbarazzarsi dello spirito di crociata resta difficile,
non è solo a causa del terrorismo di matrice islamica. Per
quanto fallimentare sia stato il
loro esito militare, quelle imprese ci hanno consegnato un’eredità storica imprescindibile che
va ben al di là della mitologia positiva o negativa che le circonda. Quando parliamo di Crociate chiamiamo in causa nientemeno che la nascita dell’Occidente cristiano: un progetto di
civiltà che nei secoli a venire, intorno a quel nucleo originario,
sprigionerà la sua potenza economica e culturale fino a realizzare una vera e propria supremazia planetaria. In epoche successive verranno la scoperta
dell’America, la nascita dei
grandi imperi, la rivoluzione
scientifica e l’illuminismo. Ma il
nucleo identitario di quel “nostro” progetto di civiltà fu concepito allora, come tutti gli storici riconoscono, sotto la bandiera bianca con le cinque croci rosse, simboleggianti le cinque piaghe di Gesù, che ancora sventola sul Patriarcato latino di Gerusalemme. Fu, quella, davvero
una prima volta. La prima volta
che sovrani, cavalieri e umili
contadini di varie contrade
d’Europa confluirono in un’adunata magmatica ed eterogenea, accomunati da una fede
trasformata in esercizio di potenza. Per la prima volta accet-
tarono di subordinare, sia pure
temporaneamente, i loro interessi contrastanti al supremo
magistero della Chiesa.
Impossibile spiegare la riuscita provvisoria di quella fusione
solo con l’avidità materiale e le
velleità egemoniche dei condottieri in partenza verso l’ignoto,
fossero principi o vescovi o monaci guerrieri. La civiltà cristiana europea, per la prima volta,
si affacciava al di là delle sue
sponde. Insediando i suoi fragili
regni e principati a Edessa, Antiochia, Tripoli di Libano, Gerusalemme e in seguito a San Giovanni d’Acri, realizzava il pri-
mo esperimento coloniale della
storia. Per quanto fra quei guerrieri e fra quei pellegrini ve ne
fossero animati dalle più nobili
intenzioni, oggi ci è lecito dubitare che gli autori di tanti misfatti ne abbiano ottenuto in ricompensa la vita eterna.
Ma certo, insieme a tante
chiese e tanti castelli, edificarono una nuova visione della politica mediterranea. Non a caso
fu coniata allora la nozione di
Outremer, cioè d’Oltremare.
Ma nonostante la sua fragilità,
anche l’esperimento di Oltremare si è rivelato gravido di conseguenze storiche fondamenta-
li. Quella necessità di presidiare
terre lontane diventerà un metodo abituale e una cultura vera
e propria. La dominazione europea, benedetta nel segno della
croce come fattore di pretesa civilizzazione dell’umanità, si sarebbe estesa nei secoli a venire
attraversando gli oceani e colo-
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ROMA. «Famo che è stata tutta una gag, va». Con queste parole il fu-
mettista Zerocalcare ha fatto sapere ai suoi lettori che gli Stati Uniti
gli hanno negato il visto che aveva chiesto per andare a New York al
Comicon, alla Columbia. Ha dato l’annuncio su Facebook e Twitter,
piazzando una delle sue vignette. Il motivo, aggiunge il fumettista, «è
che sono stato in Siria e in Iraq nel 2015». Poco importa che proprio dopo quei viaggi abbia scritto e disegnato la graphic novel ,PCBOF$BM
MJOH, un successo editoriale conosciuto dentro e fuori Italia, anche negli Stati Uniti dove infatti era stato invitato per parlare del suo lavoro.
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n giornalismo invasivo che rovista nell’immondizia». «Una scoperta positiva che riafferma attraverso l’identità della scrittrice il potere dell’appropriazione
culturale». Mentre su Amazon
le vendite dei libri sono aumentate, il mondo letterario è stato
sconvolto dall’inchiesta del 4P
MF0SF che seguendo la vecchia tecnica del GPMMPXUIFNP
OFZ ha identificato Elena Ferrante in Anita Raja, traduttrice
di 63 anni. Non solo molti lettori, sia in Italia che all’estero,
hanno reagito con rabbia sui social, ma anche tanti critici e
scrittori si sono schierati in difesa del diritto all’anonimato. Accusano l’autore dell’inchiesta,
il giornalista Claudio Gatti, di
non avere rispettato la privacy
della Ferrante.-JCÏSBUJPO definisce l’inchiesta «un’effrazione
rozza e malsana» e il (VBSEJBO
attacca la «terribile violazione»
del diritto di non sapere, perpetrata prima di tutto nei confronti dei lettori. Il giorno prima lo
stesso quotidiano aveva definito il giornalista un «JEJPUJDCJO
SVNNBHFS», ovvero uno che rovista nell’immondizia.
Marlon James, vincitore del
Booker Prize, va giù ancora più
pesante, chiedendosi «a che tipo di persona possa interessare
questa m...?». Secondo il 'JOBO
DJBM5JNFT centra il punto: è stato confuso il diritto di conoscere l’identità di una scrittrice famosa con il bisogno di conoscerla. Senza contare che gli accertamenti sulle proprietà e sulle
entrate economiche sono «il tipo di controllo che ci si aspetta
che i giornalisti riservino ai
boss mafiosi, agli oligarchi e ai
politici corrotti». Il /FX:PSLFS
definisce Gatti «un pedante
gonfiato» e sottolinea l’affermazione «bizzarra e offensiva» di
una collaborazione di Raja con
il marito Domenico Starnone:
«Come se la perduta anonimità
l’avesse resa ora vulnerabile
all’accusa di non essere in grado di scrivere i suoi libri senza
appoggiarsi creativamente a
un uomo». Articoli come questi
da giorni rimbalzano sui profili
social degli scrittori. Non solo
quelli italiani ( Wu Ming, Carlotto, De Cataldo, De Giovanni,
Murgia, Erri De Luca), ma anche molti stranieri, da Neil Gaiman a Joyce Carol Oates, da
Amitav Ghosh a Jojo Mojes che
ha notato come «le autrici non
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nizzando interi continenti. Per naria. Basta sfogliare l’avvintornare a imporsi negli ultimi cente resoconto di Runciman,
duecento anni anche sugli ara- per quanto scettico e distaccato
bi del Medio Oriente e del Nord egli voglia mantenersi, e ci troAfrica, spesso presentandosi co- veremo immersi in un florilegio
me gli eredi vendicatori dei cro- di aneddoti surreali: collezioni
di reliquie che vanno dal bastociati.
L’autore della più classica sto- ne del biblico Aronne fino alla
ria delle Crociate, Steven Runci- scheggia del Vero Legno della
man, pone l’accento sulle conve- Santa Croce, passando per le
più varie parti del cornienze materiali di
po dei santi; e poi anchi lasciava un’Eurocora ordalie, apparipa dove era difficile
zioni notturne o sui
sopravvivere; e ricorcampi di battaglia, rida che gli stessi predituali magici, divinacatori usavano favozioni chiromantiche.
leggiare delle enormi
Ce n’è abbastanza per
ricchezze di cui i pelriconoscere in quella
legrini sarebbero enmarcia verso il Santo
trati in possesso conSepolcro ombelico delquistando Gerusala Terra un sommovilemme. Non meno aumento mistico senza
torevoli studiosi di
pari nella storia d’Euparte cattolica preferopa.
riscono sottolineare
Potrà dunque suola virtù sacrificale ponare dissacrante, ogsta alla base della nagi, evocare il paragoscente Militia Chri- *--*#30
ne con la scelta altretsti. Notevoli sono le 5FTUPUSBUUP
tanto dirompente di
pagine dedicate da EBMMFEJ[JPOF
migliaia di giovani euPaul Alphandéry e Al- BHHJPSOBUB
phonse Dupront al EJ$SPDJBUFEJ(BE ropei, non cristiani
ma musulmani immito della crociata -FSOFS3J[[PMJ
provvisati di seconda
popolare, interpreta- QBHH
e terza generazione,
ta da questi storici FVSP
partiti per il Medio
francesi novecenteschi come una sublime espres- Oriente ad arruolarsi nel campo
sione di fede. Senza dissimulare avverso: l’esercito criminale
la loro ammirazione, Alphan- che pretende di santificarsi nel
déry e Dupront decantano te- jihad, il precetto coranico deforstualmente il cammino della Pri- mato in guerra santa e reso spema Crociata come «un andare culare all’idea di crociata. Ma è
felici verso lo sterminio». Anda- difficile negare che il culto della
re felici verso lo sterminio: ci ri- «bella morte» che spinge gli affiliati nelle bande dello Stato islacorda qualcosa?
Quale che sia l’interpretazio- mico a considerare senza valore
ne preferita, materialistica o la propria vita così come quella
spirituale, resta il fatto che le delle loro vittime, presenta forCrociate pervengono a noi co- ti analogie con lo spirito di crome un’imponente epopea visio- ciata.
vengono osservate attraverso le loro idee, ma attraverso le loro esperienze». Sul lato opposto della barricata il
5JNFT, secondo cui ai tempi
di Internet è impossibile
mantenere a lungo l’anonimato. Condividono gli scrittori Rose Tremain e Lionel
Shriver. Il /FX:PSL5JNFT, intervenuto nel dibattito con un
editoriale del poeta e critico letterario Adam Kirsch, giudica
la rivelazione positiva sebbene ottenuta con un approc-
cio «più adatto a un’inchiesta
criminale che alla critica letteraria». Kirsch ricorda come nelle ultime settimane il mondo
letterario sia andato in conflitto sull’idea dell’appropriazione
culturale, «cioè sull’idea che
uno scrittore abbia il diritto di
raccontare storie su persone
che non siano se stesse». Raja
«raccontando la storia di povere ragazze napoletane come
Linda ed Elena, ha rivendicato
il diritto di immaginare le vite
di gente diversa da se stessa».
Anche se non ha vissuto in un
quartiere degradato di Napoli
ha potuto scrivere libri nei quali milioni di persone si sono identificate, «libri sul femminismo
e il patriarcato, la povertà e la
violenza, l’educazione e l’ambizione». Ed è questo «il paradosso della letteratura, che è anche la gloria dell’umanesimo:
l’idea che nulla di umano sia
alieno ad alcuno di noi, che tutti abbiamo il potere d’immaginarci alla maniera nostra nelle
vite di altri».
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LOS ANGELES
I COSE strane è
piena la serie:
mostri demoniaci, poteri telecinetici, tornei con il gioco di ruolo %VOHFPOT
%SBHPOT. Ma la cosa più strana e bizzarra sono questi ragazzini». I gemelli Matt e Ross Duffer presentano così le piccole grandi mascotte
della serie tv 4USBOHFS5IJOHT, lo
show Netflix più visto dopo 0SBOHF
JTUIFOFXCMBDL e di ritorno, nel
2017, con una seconda stagione
top secret, sempre scritta dai Duffer Brothers. Quando le incontriamo, le giovani star toccano appena
il metro e cinquanta: sono già habitué sul divanetto di Jimmy Fallon,
sui palchi di Broadway e alla cerimonia degli Emmy. I loro nomi sono finiti nell’abbecedario della pop
culture anni Ottanta: Millie Bobby
Brown, Caleb McLaughlin e Gaten
Matarazzo hanno solo sentito parlare di &5,(PPOJFT, "MJFO o 1PMUFSHFJ
TU: «Gli anni Ottanta ci sembrano il
mito di un’era lontana», sorride
Finn Wolfhard, 13 anni, il quarto attore-bambino della gang. Ma ora
che Stephen King, super-appassionato, vuole congratularsi con loro
di persona, e una tonnellate di fan li
usa come salvaschermo, per gli
“stranger kids” il sogno è decollato.
Merito degli omaggi alla fantascienza per teenager cara a Spielberg:
4USBOHFS5IJOHT sfuma dalla science fiction al fantasy, mettendo in
scena lo sbarco di un mostro alieno
in una tranquilla cittadina dell’Indiana, nel 1983, e l’avventura di un
gruppo di ragazzi alla ricerca dell’amico scomparso. La serie è diventata il caso dell’estate scoperchiando
teorie complottiste, meme ironici,
tuffi su eBay all’ultima asta (abiti
vintage, giocattoli, mazzi di carte)
e un culto per la colonna sonora.
«E chi si aspettava tutto questo
successo? Clamoroso», esclamano i
Duffer. «Il nostro film di debutto,
)JEEFO, è un thriller con Alexander Skarsgard che ha attirato l’attenzione di M. Night Shyamalan, regista del 4FTUPTFOTP. Da quel momento siamo diventati consulenti e
scrittori della sua serie per Fox,
8BZXBSE1JOFT, pensavamo di avere le porte aperte. La genesi di
4USBOHFS5IJOHT invece è stata rocambolesca. D’altronde, come spieghi ai finanziatori che vuoi dei bambini protagonisti di uno show destinato a un pubblico adulto?». Oltre
mille ragazzini tra i nove e i quattordici anni sotto provino ogni giorno,
poi il colpo di fulmine con Wolfhard
(Mike), Matarazzo (Dustin),
McLaughlin (Lucas) e Brown (Eleven, “Undici” in italiano). «Con un
cast di quasi soli minori, fai centro o
sei morto», aggiungono Matt e
Ross. «I bambini devono lavorare
meno ore degli adulti, non puoi sottoporli a venti ciak per scena e ci sono regole serrate con i sindacati. I
veri “immaturi” però sembravamo
noi mentre cercavamo di convincere grosse compagnie di streaming
e video on demand come Netflix». I
fratelli si presentavano a riunione
con cartellette e adesivi dello 4RVB
MP, i #MVFT#SPUIFST, 3JUPSOPBM'VUV
SP e l’artiglio di Freddy Krueger. A
proposito di tecnologia, interviene
Gaten Matarazzo, 14 anni: «Meglio
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il mondo analogico rispetto a quello
virtuale: negli anni Ottanta e Novanta l’amicizia era vera amicizia,
avevi più tempo per coltivare i rapporti con gli altri, meno distrazioni…». Il suo film preferito, dice, è
una classico: 4UBOE#Z.F. «Lo guardo e lo riguardo. Su videocassetta,
ovvio. Ho cominciato la mia carriera con i musical. Devo ringraziare
mia sorella, attrice e cantante. Lei è
una professionista seria, non come
me che mi sono sempre detto che
questo mestiere dura un giorno,
poi chissà». Anche Caleb McLaughlin ha debuttato nel musical - era
il piccolo Simba nel 3F-FPOF a New
York - dopo aver studiato danza alla
Harlem School of the Arts: «Ero
pronto a tutto ma non al boom della
serie», ammette. «Ora su Twitter
mi seguono brasiliani, italiani... Ciò
che mi impressiona è la reazione
del pubblico a seconda della nazione. C’è chi ama e chi odia 4USBOHFS
5IJOHT, questo mi innervosisce un
po’. A differenza di Gaten, io non saprei vivere senza tecnologia, e a dire il vero nemmeno lui perché, di
nascosto, tra un ciak e l’altro, giochiamo insieme a Pokémon Go».
Pronta a cestinare il suo telefono e
vivere negli anni Ottanta è la dodicenne Millie Bobby Brown, viso da
elfo, accento inglese e appassionata di rap e Nicki Minaj: «Interpreto
Eleven, il personaggio più misterioso di tutti, una fuggitiva del governo. Non è ancora confermata la mia
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presenza nella stagione 2 ma va bene così: che fortuna essere stata
scelta! Prima di piccoli ruoli in serie
come /$*4, .PEFSO'BNJMZe (SFZT
"OBUPNZ non avevo mai calcato il
palcoscenico, nemmeno una recita
parrocchiale o il presepe vivente. I
miei fratelli fanno da manager su
Instagram e YouTube». Il suo sogno? «Lavorare con Spielberg e avere Jodie Foster come regista di un
episodio di 4USBOHFS5IJOHT. Con loro farei un salto indietro di trent’anni, dove il mondo era lo stesso ma si
respirava più libertà, nelle arti e nella cultura. Oggi le persone hanno
meno fiducia nel genere umano». I
Duffer si sentono responsabili dei
loro giovani attori, e per evitare di
perderli, come accadde con Macaulay Culkin, «il trucco è trascorrere
del tempo tutti assieme», fanno sapere: «Guardiamo 4UBOECZNF e
leggiamo Stephen King: così i nostri piccoli eroi conoscono la fine del
sogno americano, il comunismo, la
Guerra Fredda e apprendono che il
male si annida nella natura umana,
non nel sovrannaturale».
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La confessione di Ben
Stiller. Ospite dello show
televisivo di Howard Stern,
il popolare attore ha
raccontato in diretta
televisiva la sua
battaglia contro un
cancro della prostata
«mediamente
JOQJMMPMF aggressivo», operato e
rimosso chirurgicamente
due anni fa. L’attore
50enne ha partecipato alla
trasmissione insieme al suo
chirurgo incoraggiando gli
spettatori a confrontarsi
con i medici e a sottoporsi
ad esami anche in giovane
età.
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Un singolo dopo l’altro fino a
Natale e poi via alla festa per
i suoi primi 40 anni di rock. Il
14 ottobre Vasco Rossi torna
con 6ONPOEPNJHMJPSF, il
primo dei quattro singoli
annunciati che usciranno
entro il 25 dicembre. I nuovi
brani faranno parte del
cofanetto antologico che
conterrà 70 brani, tratti dai
17 album di studio, e farà da
apripista al Modena Park, il
mega evento in programma
il 1° luglio dell’anno
prossimo per celebrare i 40
anni dal primo disco.
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*
ROMA
L DEBUTTO di *OTQJUFPGXJ
TIJOHBOEXBOUJOH (traducibile, alla lettera, come “nonostante il desiderio e la volontà”) rappresentò,
nel 1999, una delle conferme più
emozionanti dello speciale talento di Wim Vandekeybus, autore
di teatrodanza, film-maker, fotografo ed esponente di punta della rovente onda fiamminga della
nuova coreografia europea che
emerse clamorosamente nel panorama anni Novanta. Pezzo venato di surrealismo e sospinto
da una furiosa energia virile, interpretato da dieci uomini e ricco di linguaggi intrecciati — danza, teatro, film e musica composta appositamente da David Byrne — *O4QJUF divenne uno spettacolo di culto. Fu il segno di una
nouvelle vague e l’immagine di
un’inedita dimensione teatrale,
fondata sull’intensità di un movimento aggressivo e “parlante”.
Fu soprattutto un’opera di riferimento per quanto riguarda la
particolare ricerca sul gesto
espressivo condotta da Wim Vandekeybus, autore stravagante e
ludico, capace di trasformare il
palcoscenico in un campo di battaglia dominato da dinamiche ferine di attrazione e repulsione
fra i corpi dei danzatori. Il ritratto di un desiderio inteso come pura pulsione animale declinata al
maschile, secondo una coraggiosa rivendicazione di genere, si
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proponeva come il centro della
pièce. Vandekeybus l’ha ripresa
in un revival che oggi conta su
un cast di dieci giovani danzatori, coi quali la presenta al Teatro
Argentina l’11 e il 12 ottobre nel
quadro del festival 3PNBFVSP
QB.
Vandekeybus, perché qui ha
voluto soltanto maschi?
«Mi premeva parlare di uomini da non considerare necessariamente in rapporto alle donne.
Ho pensato a un gruppo omogeneo all’interno del quale evocare
un mondo segreto e non condivisibile. Parlo del desiderio maschile come voglia di possedere tutto. Però attenzione, non mi sono
focalizzato sulla sessualità. Cerco di evocare quel livello di desiderio profondo che si esprime soprattutto nei sogni, nelle paure
primitive, nella condizione dei
dormienti, nelle sfere dell’inconscio e dell’istinto. Ho pensato, durante il montaggio, al film 4UBM
LFS di Tarkovskij. Non voglio
compiere una scelta di campo: in
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seguito, nel 2001, ho dedicato lo
spettacolo 4DSBUDIJOHUIFJOOFS
GJFMET a un ensemble di sole donne».
Nel pezzo c’è un film da lei realizzato, “The Last Words”,
ispirato a un racconto dello
scrittore argentino Julio Cortázar, che narra le strane manovre intercorse tra un venditore di parole e un tiranno.
«È un film felliniano, dove la
realtà si fonde con l’onirismo.
C’è un personaggio che vende le
ultime parole da dire quando si
muore e un re che intende acquistarle. Il venditore monetizza un
bene immateriale. Questo è il
film più surrealista che io abbia
mai fatto. A un certo punto la testa del venditore viene tagliata,
eppure continua a parlare».
Concretamente, cosa si vede
sulla scena?
«Uno scatenamento di energia e fantasia che muove il gruppo dei performer. Sono di volta
in volta cavalli, persone addormentate, sognatori, combatten-
ti e parlatori senza parole. C’è
una scena che dura più di venti
minuti, la più lunga che io abbia
mai fatto, dove la gestualità è velocissima e i ballerini-attori comunicano tra loro senza verbalizzare nulla. L’uomo è un animale
che ha dimenticato di essere anche istinto e impulso. In lui coesistono volontà e passione. E la passione è tanto più rischiosa dell’indifferenza naturale che anima le
bestie. Perché riguarda l’ansia
di possesso, cioè la parte più pericolosa dell’essere umano».
È vero che lei non ha avuto
una “vera” formazione accademica?
«Non ho fatto mai una scuola
di danza né di teatro. Sono nato
in una famiglia numerosa (eravamo sei figli) e sono cresciuto
in una fattoria piena di animali.
Mio padre era un veterinario, e
io l’ho aiutato spesso nel suo lavoro. Ho studiato arti marziali e ho
lavorato diretto da Jan Fabre,
che volle affidarmi il ruolo del re
nudo nel suo spettacolo 5IFQP
XFSPGUIFBUSJDBMNBEOFTT. In seguito ho formato a Bruxelles la
mia compagnia, Ultima Vez, per
creare lo spettacolo 8IBUUIFCP
EZEPFTOPUSFNFNCFS. All’epoca sorprese il pubblico col suo linguaggio fortemente innovativo».
Quanti anni ha Wim Vandekeybus?
«53. Vuol sapere la verità? Addosso me ne sento non più di
35».
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la tradisca, essendo la polizia penitenziaria polizia delle garanzie,
non ci fa fare un passo avanti». E
MILANO
Clemente? Lungo messaggio di scuLI apprendisti stregoni,
presunti, del (SBOEF se, a tutti. Chi non ci sta è l’Arcigay,
'SBUFMMP7JQ ieri hanno che tramite il segretario nazionale
prima stappato cham- Piazzoni prova con qualcosa del tipagne — (l’immenso guaio degli ul- po “ma che diavolo state dicendo?”
timi giorni ha fatto recuperare lune- ricordando che al (G7JQ mentre si
dì sera i tre punti di share persi prendevano le distanze e si manifedall’inizio. Miserelli? Di questi tem- stava riprovazione al concorrente
pi?). Poi si sono messi subito all’opera per capire come tirare in lungo
nelle prossime puntate il caso Cle- 4JGBUVUUPQFSMPTIPX
mente Russo-Bettarini. A quel pun- &TFMBTJUVB[JPOFTGVHHFEJ
to, volendo, ci stava anche un miniNBOPNFHMJPUJSBSFGVPSJ
mo di riprovazione e di bla-bla-bla e
di voglia di riaffermare fermezza UVUUPJMiTBOHVFwQPTTJCJMF
vantandosi dell’espulsione dalla casa del pugile (e Bettarini? Mai ipotizzato). Intanto la vicenda conti- si concedevano nuovi riflettori invinua a viaggiare su altri binari, sui tandolo in studio per il talk-show. Il
social ovviamente, ma c’è tornato pubblico, è l’invito dell’associaziosopra anche il ministro della Giusti- ne, cambi canale.
Appunto, sarebbe tutto lì, per
zia Orlando ribadendo che «un poliziotto penitenziario che dice che la- una vicenda che da un lato richiascerebbe stesa una donna nel caso ma polemiche ammuffite (la be-
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ROMA. Sulla loro pagina Facebook continuano a lanciare
indizi indicando la data del 6 ottobre ma senza scendere
nei dettagli. Ma il “mistero” dei Rolling Stones lo ha svelato il produttore Don Was: la leggendaria band è pronta a
pubblicare un nuovo album. Il disco, il cui annuncio ufficiale è atteso proprio domani, uscirà a dicembre. E stando alle anticipazioni concesse da Don Was a -F'JHBSP, segnerà per Jagger e soci un ritorno alla prima passione musicale. «L’album conterrà una serie di cover di pezzi sullo
stile del blues di Chicago», ha raccontato il produttore,
spiegando poi che la band ha scelto di registrare l’album
in modo molto spontaneo e
grezzo, senza uso di particolari tecnologie: «È stato inciso in tre giorni, con la band
in cerchio intorno ai microfoni. Non hanno utilizzato nessuna correzione digitale. Per
me è la cosa migliore che ho
fatto con loro».
Un ritorno alle origini, a
quei primissimi anni Sessanta che vedevano gli Stones
tra i protagonisti della scena
blues revival inglese. «L’album ha un suono molto crudo, molto vero, che cattura
in pieno la loro essenza», ha *3PMMJOH4UPOFT
aggiunto Was. E sempre in
tema di nostalgie blues, tra gli ospiti del disco ci sarà anche Eric Clapton, presente in almeno due brani. Non a caso, nella pagina Facebook della band sono presenti alcune immagini del celebre logo con la lingua che stavolta però è colorata di blu.
Ora si attendono solo l’annuncio del titolo dell’album e
di quello del primo singolo, che uscirà appena prima degli show di cui gli Stones saranno protagonisti ad Desert
Trip Festival di Indio, in California, a due ore di macchina
da Los Angeles. L’evento, che per la prima volta nella storia vedrà esibirsi sullo stesso palco Bob Dylan, Roger Waters, Neil Young, The Who, Paul McCartney e gli stessi
Rolling Stones, si svolgerà in due weekend: quello del
7-8-9 di ottobre e quello successivo, il 14-15 e 16.
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stemmia di Ceccherini all’*TPMBEFJ
'BNPTJ festeggia giusto il decennale), dall’altro costringe a rimestare
nel dibattito sulla logica dei reality,
soprattutto quelli vagamente estremi e in diretta e per il grande pubblico. Al (G7JQ sono contriti? Secondo
una robusta corrente di pensiero, al
(G7JQ sono entusiasti e non ci pensano proprio a passare per degli incapaci che non hanno vigilato abbastanza. Dopodiché si può credere
tutto: che appena quella notte Bettarini e Russo hanno iniziato la loro
tirata da ubriachi qualcuno avrebbe dovuto spegnere tutto, microfoni compresi. Oppure che in regia gli
addetti, in teoria più che vigili sempre, hanno esultato da subito mettendosi immediatamente a pensare al seguito.
Ovvero, alla puntata di lunedì sera, a cosa fare e non fare, dire e non
dire, chi tirare in ballo e (soprattutto) chi no — inutile il richiamo
dell’avvocato di Simona Ventura a
non proseguire nella faccenda, ma
del resto nessun nome è stato fatto,
se qualcuno avesse visto la puntata
senza sapere della storia non ci
avrebbe capito nulla, ma quello
non è stato un problema. Per Clemente Russo, anello debole e più
esposto e autore della frase demen-
te, il destino era segnato: ma il personaggio si presta eccome a scene
di ravvedimento&evoluzione della
storia. Per Bettarini, beh, che avrà
detto poi di eccessivo o che qualunque seguace di gossip non sapesse
già? Peraltro il reality vive di scene
madri annunciate e poi vissute: e
una delle conquiste vantate dalla
sex-machine ex Sampdoria sta addirittura dentro la Casa, ovvero Antonella Mosetti. C’è da inzupparci il
pane — pardon — per mesi, altro
che solo per le puntate che restano.
In pratica, al (G7JQ tira di tutto
tranne l’aria di sentirsi appunto come gli apprendisti stregoni a cui la
situazione è sfuggita di mano.
Tutt’altro, siamo qui per lo show,
se è al limite meglio e l’importante,
se c’è una crisi, è governarla cavando fuori tutto il sangue possibile dalle rape, e relative teste. Soltanto,
per la caratura complessiva, facendo riuscire tutto ancora più desolante di quello che poteva essere.
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RUJIFF o Cruijff? Cruyff, è scritto in copertina dell’autobiografia del campione, scritta con
Jaap de Groot e pubblicata da
Bompiani: -BNJBSJWPMV[JPOF.
Esce a circa sei mesi dalla morte, per cancro ai polmoni. E poco importa come si
scrive il cognome: tutti sanno chi era. La
copertina è color arancia, un colore che
prima di lui, e di quelli della sua generazione, non era nel gotha del calcio.
Ed è un grande risultato, lo pensava
anche lui, che quella Nazionale olandese
sia ricordata a tanta distanza dagli anni
Settanta, quando arrivò due volte in finale del Mondiale e due volte la perse.
Contro Germania e Argentina (ma nel
1978 Cruyff non c’era), le padrone di casa, ma per chiunque allora non fosse tedesco o argentino i veri vincitori, per come giocavano, erano gli arancioni. Per
chi non avesse mai visto Cruyff in azione, valga il sintetico ritratto tracciato da
Alfredo Di Stefano: «Non è un attaccante, ma fa tanti gol. Non è un difensore,
ma non perde mai un contrasto. Non è
un regista, ma gioca ogni pallone nell’interesse del compagno».
Il Pelé bianco, lo definì Gianni Brera,
che pure non amava molto il calcio totale. «È una squadra-cicala», diceva dell’Olanda. Preferiva le squadre-formica, e in-
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fatti puntò sui tedeschi per la vittoria in
finale. Ma di Cruyff c’era poco da criticare: sapeva essere cicala e formica, centravanti e terzino, una strano esemplare di individualista votato al collettivo:
nell’Ajax, poi nel Barcellona, oltre che in
maglia arancione. Era il più bravo di tutti ma aveva bisogno degli altri, perché
nel calcio non si vince mai da soli. Ma era
anche il ragazzo-prodigio, il direttore
d’orchestra, quello che dava i tempi al
padre del tiki-taka. Perché, ha sempre
ammesso Pep Guardiola, quel modo di
giocare, dai ragazzini della DBOUFSB fino
alla prima squadra, l’ha pensato, voluto
e imposto il Cruyff allenatore.
Uno molto sicuro di sé, a volte anche
troppo. Come quando buscò un pesantissimo 0-4 dall’incompleto Milan di Capello. A questa partita sono dedicate nove
righe in 234 pagine. Voglia di dimenticare, di guardare sempre in avanti, la stessa voglia che lo porta a trascurare od occuparsi di sfuggita anche dei successi (i
tre Palloni d’oro, ad esempio). Il libro è
bello per almeno due terzi, quando
Cruyff racconta le sue famiglie, quella dignitosamente povera di Betondorf e
quella formata sposando Danny Coster,
figlia di Cor, uno dei maggiori commercianti di diamanti in Olanda.
Il padre di Cruyff aveva un negozietto
di frutta e verdura e un occhio di vetro.
Sfidava i clienti a chi resistesse di più
guardando il sole, si copriva con una mano l’occhio buono e intascava la scommessa. Era tifosissimo dell’Ajax e amico
del custode del campo. Il padre muore
quando Johan ha 12 anni, la madre sposa il custode del campo e quello che Johan chiamava zio Henk diventa il suo secondo padre. Inidoneo al servizio militare (piedi piatti) a 21 anni sposa Danny,
e Cor gli fa da procuratore, segue i suoi
affari. Nel 1968 si presenta ai dirigenti
dell’Ajax per la firma del contratto affiancato dal suocero, la cui presenza non
è gradita dai dirigenti. Pronta replica di
Cruyff: «Voi siete in sei, perché io dovrei
essere da solo?».
Quando Johan decide di fare a meno
dei consigli di Coster non gli va bene: riesce a rimetterci sei milioni di dollari in
un allevamento di maiali, ma non spiega come. Per rimpinguare la cassa andrà ai Los Angeles Aztecs. Per lui, dice, il
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denaro è secondario. «Ovviamente i soldi contano, sebbene non abbia mai visto
un sacco di soldi segnare un gol. Può
sembrare contraddittorio, ma io sono
un idealista. Sono cresciuto nell’Ajax e,
nonostante abbia lasciato il club tre volte in malo modo, ho sempre provato gioia per ogni sua vittoria. È un sentimento
che ti entra nel sangue, difficile da definire ma bellissimo». Il club in malo modo lo lasciò la prima volta perché voleva
la fascia da capitano, ma anche Keizer la
voleva. Fu chiamato a votare l’intero spogliatoio, vinse Keizer e Cruyff partì per
Barcellona. Di sfuggita, in Olanda pagava il 70 per cento di tasse, meno della
metà in Spagna. In Catalogna, anzi.
Perché tra i meriti di Cruyff non c’è solo la NBOJUB (5-0) al Bernabeu, quand’era arrivato da poco, ma anche la convinta adesione all’indipendentismo catalano. Chiamò suo figlio Jordi, non Jorge. Allenò la nazionale catalana. Ma soprattutto, e questo vale per gli innamorati del
pallone al di là delle bandiere, interpretò un calcio basato sulla velocità, sulla
tecnica, sull’interscambiabilità. Un calcio quasi sacrilego per gli italiani, abituati alla specializzazione in un ruolo, e solo
quello. Un calcio quasi provocatorio per
gli italiani abituati al ritiro pre e post partita, a volte entrambe le cose, tranne
che con Scopigno («A Cagliari si è in riti-
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ro tutta la settimana»). Loro, in ritiro
con mogli e fidanzate. Loro, a vederli fuori campo, capelli lunghi, basette come
ussari, potevano sembrare un’allegra
compagnia di squinternati appena usciti da un DPGGFFTIPQ. Vogliamo metterci
anche un portiere con l’8 sulla schiena
che giocava in posizione quasi da libero?
Erano gli anni dei figli dei fiori, e quel calcio sembrava nato in una comune. Al potere non andava l’immaginazione ma
un altro modo di giocare a calcio. Su tecnica e interscambiabilità Cruyff è d’accordo. Sulla velocità meno. «Non era un
calcio dispendioso. Certo c’era da correre, ma era più importante correre bene
che correre tanto». Da qui, spiegazione
di un gioco basato su una serie di triangoli. Da qui il tiki taka.
In quella squadra, ricorda Cruyff, c’era la fascia destra, tutta gente seria:
Suurbier, Neeskens, Swart. Da loro ti potevi aspettare un lavoro ben fatto. Sulla
sinistra c’erano Krol, Muhren e Keizer,
chiamati dai compagni «Tuttifrutti». Da
loro ti potevi aspettare qualunque cosa.
L’abilità innata di Cruyff stava nell’inserirsi di qua o di là, adattandosi alle caratteristiche, o anche al centro. Molti
gol li ha realizzati in posizione da centravanti, pur non essendolo, pure avendo al
Barça il 9 sulla schiena, ma solo perché il
regolamento non permetteva il 14. Pur
di non rinunciare a quel numero, Cruyff
infilava una 9 sopra una 14.
Nel libro, enormi meriti sono riconosciuti a Michels, assai meno a Kovacs. Il
primo, parere di Cruyff, aveva fatto crescere l’Ajax dicendo: «Adesso voi fate come dico io». Con il secondo («Esprimetevi liberamente») il vino prese ad andare
in aceto, cominciarono le piccole gelosie, i mugugni di spogliatoio, insomma
lo spegnersi del gruppo, l’inizio della fine.
Meno interessante, ma era giusto trattarne, la parte che riguarda l’incompatibilità e le rotture del dirigente Cruyff
con altri dirigenti. Con un GJMSPVHF nel
racconto: la ragione era sempre di
Cruyff. Parola di Crujiff e di Cruijff.
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NA volta mi è stato chiesto come vorrei essere
ricordato tra cent’anni. Per fortuna non devo
preoccuparmene troppo, visto che non ci sarò.
Ma se proprio devo rispondere, allora vorrei essere visto
come uno sportivo responsabile. Non vorrei che mi
giudicassero solo come calciatore, perché verrebbero
presi in considerazione solo quindici o vent’anni della
mia vita, e sinceramente lo troverei riduttivo. Il talento
calcistico mi è stato donato da Dio, non ho dovuto
compiere alcunché per ottenerlo. Mi sono limitato ad
allenarmi un poco e a divertirmi moltissimo. Andare a
lavorare per me voleva dire giocare con il pallone: la
considero una fortuna. Per questo le altre cose che ho
realizzato nella mia vita hanno un peso più importante
per me. Nel corso degli anni non tutti mi hanno capito.
Da calciatore, da allenatore e anche in seguito. Ma non fa
niente, nemmeno Rembrandt e Van Gogh furono
compresi. La lezione è questa: ti prendono per pazzo
finché non diventi un genio.
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ONFERMO che ci siamo
visti quattro volte. Mi
sono stati esposti i progetti della proprietà e il mio ruolo. Ma proprio la definizione del
ruolo è il punto chiave per andare avanti. Io vorrei condividere
con i nuovi proprietari il progetto, per identificarmi con loro,
con i loro obiettivi, con i loro piani. È la mia storia col Milan che
me lo impone. Io al Milan voglio
dare qualcosa di reale e di concreto». Nella voce di Paolo Maldini non c’è alcun tono polemico. Ma la trattativa per il suo ingresso nel futuro Milan cinese è
appena iniziata e si preannuncia complessa: non certo per ragioni economiche, puntualizza
lui, semmai per la necessità di
lavorare alla costruzione di una
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Eca, la gestione dei nuovi giocatori e la scelta di altre “bandiere”.
Solo che il matrimonio per il
momento non si può fare. Le incognite sono ancora troppe: l’identità dei futuri proprietari cinesi, i compiti effettivi di Maldini, l’organigramma societario,
la distribuzione delle responsabilità. È tutto molto prematuro.
E comunque, prima, dovrebbe
cadere il velo sull’identità dei
nuovi padroni: in teoria intorno
al 20 ottobre, quando i vertici
del fondo d’investimento Sino
Europe saranno a Milano, per
presentare a Fininvest gli investitori della cordata.
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squadra davvero in grado di risalire sul tetto del mondo: «Mi
fa sorridere che si parli di questioni economiche, non siamo
nemmeno arrivati a parlarne. Il
punto è un altro. Se mi si chiede
di riportare a competere per la
Champions, con un progetto
triennale o quinquennale, una
squadra che da tre anni è fuori
dalle coppe, io devo condividere
le responsabilità con i proprietari».
Il matrimonio s’avrebbe proprio da fare. Se il nuovo Milan
deve scegliere una garanzia dalla quale ripartire, è difficile immaginarne una migliore di Paolo Maldini, 48 anni, 31 dei quali
spesi in maglia rossonera, figura di riconosciuto prestigio nel
calcio mondiale, ponte perfetto
tra l’era pre Berlusconi in cui si
affacciò alla prima squadra e l’era del post, ancora piena d’incognite. L’amministratore delegato in pectore Marco Fassone lo
ha perfettamente capito e per
questo ha incontrato per quattro volte l’ex fuoriclasse e capitano, una in compagnia del rappresentante cinese in Italia della cordata, David Han. Filtrano
indiscrezioni sulla proposta.
Nessuna carica onorifica, ma
operativa, nel trio con Fassone
e col nuovo direttore sportivo
Mirabelli, per le decisioni sportive su acquisti e cessioni. La rappresentanza presso Uefa ed
Nella triade disegnata - Fassone amministratore delegato-direttore generale, l’ex capo degli
osservatori dell’Inter Massimiliano Mirabelli direttore sportivo, Maldini direttore dell’area
tecnica - il rischio per la “bandiera” di diventare soprattutto un
parafulmine con responsabilità
dirette anche per decisioni prese da altri è una prospettiva che
potrebbe fugare soltanto i nuovi padroni. Ma rimangono ancora nell’ombra.
L’attesa potrebbe dilatarsi,
se si protraesse la permanenza
di Silvio Berlusconi a New York
per accertamenti medici: è
all’attuale padrone che Sino Eu-
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FIRENZE. Anche il veterano spagnolo Bu-
squets ha infine ammesso che il tempo
dell’improvvisazione al potere – con Del
Bosque il dribbling era un po’ la liberazione dall’imprimatur del tikitaka – è finito: «Con Lopetegui si lavora tanto sulla tattica». La breve partita a scacchi tra
i due ct di Italia e Spagna, che al di là delle rituali minimizzazioni domani allo Juventus Stadium si giocano almeno metà
qualificazione al
Mondiale 2018, ha
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vissuto ieri la fase
preparatoria. A CoBOOJ#POVDDJi4PMP
Ventura
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ha studiato le mosQPTTJBNPCBUUFSMJw
se per sorprendere
Lopetegui: Romagnoli in difesa, De
Rossi schermo protettivo e un’inedita
coppia di esterni, Florenzi a destra e Criscito o De Sciglio a sinistra. Oggi deciderà se affidarsi a queste quattro innovazioni, rispetto al felice 3-1 in Israele: le alternative sono Astori, Verratti e Candreva, gli ultimi due pronti altrimenti domenica per la Macedonia.
Di sicuro il ct proverà e riproverà ogni
soluzione, secondo il concetto esposto
da Bonucci, di fronte alla constatazione
che non ci sono più i Vieri, Paolo Rossi,
Baggio, Totti e Bruno Conti di una volta:
«Siccome siamo tecnicamente inferiori
alla Spagna e a volte scherzando, ci diciamo che siamo nati negli anni sbagliati,
l’unica possibilità è lavorare tantissimo,
come all’Europeo. Sapete perché siamo
usciti con la Germania ai rigori? Perché
evidentemente non li avevamo preparati abbastanza».
In verità lo studio degli avversari da
parte di Ventura resta maniacale («Conte è più meticoloso e motivatore, ma
l’importante sono le idee messe in pratica in campo», copyright Bonucci), però
sarà impossibile che l’Italia stupisca la
Spagna o viceversa: dal 2008, esclusa la
partita di domani, si sono già incontrate
nove volte e Buffon c’era sempre, Iniesta otto volte, De Rossi sette, tanto per
citare tre protagonisti di un duello che
ormai si ripete più di una volta l’anno.
C’è sempre stato equilibrio, se si escludono la finale di Euro 2012 (4-0 per gli spagnoli) e gli ottavi di Euro 2016 (2-0 per
gli azzurri).
È proprio la sfida più recente il paragone più ingannevole, secondo Ventura. A
differenza della Spagna di Del Bosque
spossata dall’interminabile stagione
dei giocatori di Real e Barcellona, l’Italia
di Conte arrivò infatti a quell’appuntamento in stato di grazia atletico, per l’eccellente preparazione a Coverciano e
per la settimana di riposo attivo dei titolari, risparmiati nella terza partita con
l’Irlanda. Sono condizioni irripetibili, così come il pressing avanzatissimo di Pellè e Eder, che mise in crisi gli avversari.
È in compenso replicabile il 3-5-2, indigesto in questi anni alla Spagna: stavolta
lo si prevede più coperto, con due esterni prevalentemente difensivi (da qui le
prove con Florenzi e Criscito o De Sciglio), e con l’idea del duttile Romagnoli
al posto dello squalificato Chiellini, per
plasmare in qualche circostanza l’eventuale linea a 4 con Barzagli a destra, che
la Juve talvolta sperimenta. Lopetegui
risponde consegnando lo scettro a Iniesta: l’unico libero di inventare dove e
quando crede.
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rope deve presentare i componenti della cordata. La data per
la firma del contratto definitivo
e il versamento degli ultimi 300
milioni (valutazione complessiva di 740) è sempre prevista
per la metà di novembre, in tempo per il derby del 20. Nei prossimi giorni, invece, sarà Fassone
a volare a Hong Kong, sede di Sino Europe: per fare il punto con
i futuri proprietari, per raccogliere indicazioni su piano commerciale e sponsor e per preparare l’incontro della cordata
con Berlusconi. Sperava di atterrare in Cina con in tasca l’adesione di Maldini al nuovo progetto.
Non potrà, almeno per ora.
COMUNE DI UDINE
AVVISO DI PROCEDURA APERTA
1) ENTE APPALTANTE: COMUNE DI UDINE – Via Lionello
1 – 33100 Udine – tel. 0432/1271111 – fax 0432/1270365.
2) OGGETTO APPALTO: Servizi di architettura e ingegneria
relativi ai lavori di recupero architettonico e funzionale del
complesso edilizio “EX Macello” in Udine, via Sabbadini, - 2°
lotto funzionale (OPERA 5243/A) vedasi disciplinare d’incarico; Importo complessivo a base d’appalto soggetto a ribasso
d’asta: € 342.768,42 (oneri previdenziali e iscali esclusi).
3) DURATA; 60 giorni per la fase progettuale (cfr. art. 7
disciplinare d’incarico).
4) TERMINE RICEZIONE OFFERTE: dovranno pervenire unitamente alla documentazione e con le modalità richieste
nel disciplinare di gara – pena esclusione – entro le ore
12.15 del giorno 25 ottobre 2016 al: COMUNE DI UDINE - VIA
LIONELLO 1 – 33100 UDINE. Apertura offerte 27 ottobre
2016, ore 09.00 in seduta pubblica nella sede comunale.
5) CRITERIO DI AGGIUDICAZIONE: offerta economicamente
più vantaggiosa, salvo veriica anomalia offerte. Documenti
di gara disponibili presso il Servizio Amministrativo Appalti
- U.O. Amministrativa 3 (tel. 0432 1272401 -454) e su
INTERNET www.comune.udine.gov.it. DATA INVIO BANDO
C.E.:19/09/2016.
Il Dirigente ad interim del Servizio Opere Strategiche
(ing. Marco Disnan)
BANDO D’ASTA PER LA VENDITA
di terreni demaniali agricoli o a vocazione agricola
AVVISO PROT. N. 2016/11750/DR-VE del 26 luglio 2016
L’AGENZIA DEL DEMANIO
istituita con D.Lgs n. 300/1999 con la finalità di amministrare e gestire in nome e per conto dello Stato i beni immobili di proprietà statale, e trasformata in Ente Pubblico
Economico con D.Lgs, n. 173/300;
RENDE NOTO
che il giorno 26 ottobre 2016 ore 11:00, presso la sede
della Direzione Regionale Veneto dell’Agenzia del Demanio, la Commissione di gara, all’uopo nominata, aprirà
la gara mediante offerte segrete per l’aggiudicazione di
n. 4 immobili individuati, ai sensi dell'art. 66, c.1, del D.L
24/01/2012, n. 1, convertito, con modificazioni, con
L.27/2012, dal Decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali del 20 maggio 2014 (GU n.176
del 31-7-2014), nell’ambito dell’iniziativa denominata
“TERREVIVE”. Per prendere visione e scaricare il bando di
gara, i relativi allegati e gli eventuali ulteriori documenti
informativi relativi a tutti i lotti in gara si invitano gli interessati ad accedere al sito internet dell’Agenzia del Demanio: www.agenziademanio.it sezione “TERRE VIVE”.
Si ricorda che la scadenza per la presentazione delle offerte è il giorno 25 ottobre 2016, ore 12:00
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ISPETTO delle regole e dell’avversario, spirito di squadra. Sono i comandamenti del rugby, li osservano da
due secoli in tutto il mondo. Tranne in Italia. Qualche
giorno fa Alfredo Gavazzi è stato rieletto presidente della
Fir, ha preso il 54% delle preferenze perché il movimento è
spaccato in (almeno) due parti. Dopo lo spoglio, nessun appello alla coesione. Anzi. «Quella gente fa male al nostro
sport», ha detto degli altri. Mauro Innocenti, lo sconfitto, ha
risposto che quello «non conosce i limiti della decenza». Ne
ha denunciato «metodologie vessatorie, ricattatorie». C’era
anche un terzo candidato, si è ritirato il giorno prima di andare alle urne. Suggerendo di
non votare.
Sì, il rugby è bello giocarlo nel fango. Ma
queste sembrano sabbie mobili. Fosse solo
una questione di forma, invece è la sostanza
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che ti tira giù: anche all’inizio di questa stagione i risultati dei club in Europa sono disastrosi perché le franchigie (Treviso, Zebre)
straperdono, le Nazionali dei paesi “dilettanti” incalzano o superano gli azzurri nel ranking, i giovani di talento latitano, il campio- .*-*0/*
nato italiano non se lo fila nessuno, la Federa- 4POPJTPMEJDIF
zione ha appena ritirato la candidatura ad FOUSBOPOFMMFDBTTF
ospitare i Mondiali del 2023, Gavazzi e i EFMSVHCZHSB[JFBMMB
membri del vecchio consiglio sono stati rag- TPMBQBSUFDJQB[JPOF
giunti da un avviso di fine indagini della Pro- BM4FJ/B[JPOJ(MJ
cura del Coni per abuso d’ufficio, falso, dan- B[[VSSJGVSPOP
no patrimoniale. E il “tesoretto” ovale, BNNFTTJOFM
quell’improvviso benessere – oltre 500 milioni tra sponsor, contributi internazionali e diritti televisivi, negli ultimi 16 anni – arrivato .*-*0/*
con l’ingresso nel Sei Nazioni? Affondato an- μMJNQPSUPQBHBUP
che quello nelle sabbie mobili. L’ultimo bilan- PHOJBOOPEBHMJ
cio, che con 47 milioni e passa è secondo solo TQPOTPSB[[VSSJ1FS
al calcio, ha chiuso in passivo per 2 milioni e VOSBGGSPOUPMB
151.867,78 euro.
/B[JPOBMFEJDBMDJP
Contraddizioni, sprechi. Quattro milioni a JODBTTBDJSDB
stagione se ne vanno con le Accademie, la NJMJPOJ
scommessa di Gavazzi che per ora non ha
prodotto risultati. A parte il debito nei confronti degli allenatori, salito a più di un milio- .*-"
ne (gli arbitri vantano crediti per 207.000 eu- 4POPJCJHMJFUUJHJË
ro). L’unico centro giovanile di cui si è parla- WFOEVUJQFSMBQBSUJUB
to negli ultimi tempi è quello di Mogliano, DPOUSPHMJ"MM#MBDLT
ma perché tra una settimana 4 dei suoi ra- BMM0MJNQJDPJM
gazzi saranno processati per “atti persecuto- OPWFNCSF/FM
ri, stalking, percosse, estorsione, lesioni ag- SBOLJOHNPOEJBMF
gravate, rapina, violenza anche sessuale e M*UBMJBÒBM¡QPTUP
minacce” nei confronti di un loro compagno
sedicenne, finito in cura da uno psicoterapeuta e fuggito dalla struttura federale.
I debiti con le banche ammontano a 1.604.242,31, la liquidità in cassa è dimezzata negli ultimi 3 anni, scendendo a poco più di 3 milioni. La Nazionale costa 18 milioni, quest’estate per fortuna è riuscita a superare – ma che fatica! - Usa e Canada, altrimenti scivolava ancora più in basso nella classifica mondiale. E poi c’è la lega celtica, che la conoscono solo gli
appassionati Doc: la Fir ogni anno versa una dozzina di milioni tra i vari contributi alle squadre e agli organizzatori del
torneo, ma le due franchigie finiscono regolarmente ultime
nell’indifferenza o quasi degli sportivi italiani.
Alfredo Gavazzi giocava pilone, è abituato a prendere colpi. «Quei due milioni in meno non devono preoccupare: una
metà sono soldi che all’ultimo momento abbiamo messo sul
bilancio delle Zebre (e non gli verseremo più quest’anno);
l’altra è il denaro accantonato negli anni per gli atleti vittime di gravi infortuni». Dice che bisogna avere pazienza. «Il
mio è un progetto a medio-lungo termine: riparliamone in
primavera. Non ho mai detto che avrei fatto miracoli».
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10.00
10.10
10.30
10.35
10.45
10.55
11.00
13.00
13.30
13.50
14.00
15.00
16.05
16.30
17.15
18.00
18.10
18.15
18.30
18.50
19.40
20.30
21.10
23.30
2.25
2.55
4.15
4.45
ª3*130%6;*0/&3*4&37"5"
CANALE 5
Tg 2 Insieme
Tg 2 Mizar
Tg 2 Achab Libri
Tg 2 Eat parade
Tg 2 Medicina 33
Tg 2 Flash
I Fatti Vostri - conducono
Giancarlo Magalli, Adriana
Volpe, Marcello Cirillo
Tg 2 Giorno
Tg 2 Costume e Società
Tg 2 Medicina 33
Detto Fatto
In diretta dalla Camera dei
Deputati “Question Time”.
Interrogazioni a risposta
immediata
Due uomini e mezzo .
Jones, Charlie Sheen
The Good Wife - Tf
Madame Secretary - Tf
Rai Parlamento Telegiornale
Tg 2 Flash L.I.S.
Tg 2
Rai Tg Sport. All’interno:
Meteo 2
Blue Bloods - Tf
N.C.I.S. - Tf
Tg 2 20.30
Italia
Film: The Wolf of Wall
Street - di Martin Scorsese
Sulla via di Damasco .
Giovanni D’Ercole
Film: La variabile umana - di Bruno Oliviero
Videocomic - Passerella di
comici in tv
Detto Fatto - conduce
Caterina Balivo
7.00
7.30
8.00
10.00
11.00
11.10
11.55
12.00
12.25
12.45
13.15
13.40
14.00
14.20
14.50
15.05
15.10
15.15
16.00
16.40
18.55
19.00
19.30
20.00
20.05
20.30
20.40
21.15
24.00
1.00
1.05
1.15
2.15
TGR Buongiorno Italia
TGR Buongiorno Regione
Agorà
Mi manda Raitre. In difesa
degli indifesi
Elisir
Tutta Salute - conducono
Debora Rasio, Pier Luigi
Spada, Silvia Bencivelli
Meteo 3
Tg 3
Chi l’ha visto? 12,25
Quante storie
Il tempo e la storia
Tg 3 Fuori Tg
Tg Regione
Tg 3
TGR Leonardo
Tg 3 L.I.S.
TGR Piazza Affari
Il Commissario Rex - Serie
Tv. Moretti, K. Markovics,
W. Bachofner
Aspettando Geo - conducono Sveva Sagramola,
Emanuele Biggi
Geo - conducono Sveva Sagramola, Emanuele Biggi
Meteo 3
Tg 3
Tg Regione
Blob
Gazebo Social News
Quasi quasi... Rischiatutto
- Prova pulsante
Un posto al Sole
Chi l’ha visto?
Tg 3 Linea Notte
Meteo 3
Rai Parlamento Telegiornale
Diario Civile
Rai News 24
&%)"33*4
6OBTDFOB
EJ
8FTUXPSME
TV"UMBOUJD
ITALIA 1
6.00 Tg 5 Prima pagina. All’interno: 7.55 Traffico; Meteo.it
8.00 Tg 5 Mattina
8.45 Mattino cinque - conducono Federica Panicucci,
Federico Novella
11.00 Forum
13.00 Tg 5. All’interno: Meteo.it
13.40 Beautiful
14.10 Una vita - con Sheyla
Farina, Roger Berruezo,
Sara Miquel
14.45 Uomini e donne - conduce
Maria De Filippi
16.10 Grande Fratello Vip - day
time
16.20 Il segreto - con Maria
Bouzas, Carlota Baro, Alex
Gadea, Sandra Cervera
17.10 Pomeriggio cinque - conduce Barbara D’Urso
18.45 Caduta libera - conduce
Gerry Scotti
20.00 Tg 5. All’interno: Meteo.it
20.40 Striscia la notizia - La voce
dell’impudenza
21.10 Rimbocchiamoci le maniche - con Sergio Assisi,
Sabrina Ferilli, Benedetta
Gargari, David Coco
23.30 Matrix - conduce Nicola
Porro
1.35 Tg 5 Notte. All’interno:
Meteo.it
2.20 Striscia la notizia - La voce
dell’impudenza
2.50 Uomini e donne (r)
4.30 Tg 5. All’interno: Meteo.it
5.00 Mediashopping
5.15 Tg 5. All’interno: Meteo.it
5.45 Mediashopping
6.00
6.20
6.40
7.10
7.35
8.00
8.30
10.30
12.25
13.00
13.20
13.55
14.45
15.20
15.45
16.15
16.45
17.35
18.00
18.30
19.25
21.10
24.00
2.20
2.35
3.00
3.15
4.55
5.40
5.55
RETE 4
True Jackson, VP
Mediashopping
I Puffi
Spank tenero rubacuori
Una spada per Lady Oscar
Sailor moon
Supercar - Tf
Person of Interest - Tf.
Henson, Kevin Chapman
Studio Aperto. All’interno:
Meteo.it
Grande Fratello Vip - day
time
Sport Mediaset
I Simpson
Big Bang Theory
2 Broke Girls
Due uomini e 1/2 . Jones,
Marin Hinkle
Baby Daddy - Tf
How I Met Your Mother - Tf
Friends
Grande Fratello Vip - day
time
Studio Aperto. All’interno:
Meteo.it
C.S.I. - New York - Tf
Bring The Noise - conduce
Alvin
Film: Io vi dichiaro
marito e... marito - di
Dennis Dugan, con Adam
Sandler, Kevin James,
Jessica Biel, Dan Aykroyd.
All’interno: 0.55 Tgcom;
Meteo.it
Studio Aperto - La giornata
Premium Sport
Mediashopping
Cyber Formula
Pretty little Liars - Tf
Mediashopping
True Jackson, VP
LA SETTE
6.05 Mediashopping
6.35 Practice - Professione
Avvocati - Serie Tv
8.30 Cuore ribelle
9.30 I Cesaroni - Tf
10.40 Ricette all’italiana
11.30 Tg 4 - Telegiornale. All’interno: Meteo.it
12.00 Detective in corsia - Tf
13.00 La signora in giallo - Tf
14.00 Lo sportello di Forum
15.30 Flikken coppia in giallo - Tf
16.50 Film: Contro quattro
bandiere - di Umberto
Lenzi. All’interno: 17.30
Tgcom; Meteo.it
18.55 Tg 4 - Telegiornale
19.35 Dentro la notizia. All’interno: Meteo.it
19.55 Tempesta d’amore
20.30 Dalla vostra parte
21.15 Film: Gangster Squad
- di Ruben Fleischer, con
Sean Penn, Ryan Gosling,
Emma Stone. All’interno:
22.00 Tgcom; Meteo.it
23.45 I bellissimi di Rete 4
23.50 Film: Oldboy - di Spike
Lee, con Josh Brolin,
Elizabeth Olsen, Samuel L.
Jackson. All’interno: 0.45
Tgcom; Meteo.it
1.55 Tg 4 Night News
2.15 Mediashopping
2.35 Un sorriso anche per loro
4.20 Help
4.25 Film: Il cadavere dagli
artigli d’acciaio - di
Leonard Keigel, con Romy
Schneider, Gabriele Tinti,
Maurice Ronet, Simone
Bach
5.45 Tg 4 Night News
7.30
7.50
7.55
9.40
11.00
13.30
14.00
14.20
16.15
18.00
20.00
20.35
21.10
24.00
0.10
0.45
Tg La7
Meteo
Omnibus dibattito
Coffee Break
L’aria che tira
Tg La7
Tg La7 Cronache
Tagadà
L’ispettore Tibbs - Tf
Joséphine, Ange Gardien Tf
Tg La7
Otto e mezzo
La Gabbia Open
Tg La7
Otto e mezzo (r)
L’aria che tira (r)
TV8
7.00
8.00
9.00
10.00
10.45
11.00
12.00
13.00
13.15
14.15
16.00
17.45
18.45
19.30
20.30
21.15
24.00
TG24 Mattina
Finché morte non ci separi
Cold Blood: nuove verità
Nato per uccidere
Tg News SkyTG24
Lady Killer
Coppie che uccidono
Tg News SkyTG24
Vicini assassini
Film: Pericolo in casa di Maureen Bharoocha
Film: Il tesoro dei Templari - di Kasper Barfoed
Scandali a Hollywood
Crazy Animals
House of Gag
Singing in the Car
Film: Angeli e demoni di Ron Howard
X Factor 2016
NOVE
14.45
15.45
16.45
17.15
18.15
19.15
21.15
22.35
23.30
0.50
1.45
2.40
Delitti di famiglia
Airport Security
Airport Security
Come è fatto il cibo
Undercover Boss
Boom!
Top Chef Italia
Undressed UK
Top Chef Italia
Vite al limite
ER: storie incredibili
L’isola di Adamo ed Eva 3
XXX
3.30 L’isola di Adamo ed Eva 2
XXX
4.15 Undressed UK
5.05 Terrore a bordo
LA EFFE
16.45 RED - Racconti sul corpo
17.45 RED - Il cuoco vagabondo
19.45 RED - Bourdain: senza
prenotazione
20.40 Sconosciuti
21.10 Wu Ming 2 e 3 raccontano:
Nel pallone
22.05 Italian tabloid
23.05 Film: Persepolis - di
Marjane Satrapi, Vincent
Paronnaud
0.50 Guerra e pace - Serie Tv
2.40 RED - Viaggi nudi e crudi
3.40 RED - Viaggi nudi e crudi
4.10 RED - David Rocco Dolce
Vita
5.10 RED - David Rocco Dolce
Vita
5.40 Effetto notte
RAI
QRAI 4
8.00
8.50
9.35
10.20
11.05
11.50
12.40
13.20
14.00
14.35
15.00
15.30
15.55
16.45
17.25
17.30
17.35
18.25
19.00
19.45
21.10
21.55
23.45
0.15
0.20
1.45
2.25
3.05
3.45
4.30
QPREMIUM
Star Trek - The Next Generation
Numbers
Numbers
Numbers
Medium
Medium
Devious Maids
Devious Maids
Smartlove Vanessa&Francesco
Pechino Addicted
Generation Gap
Non fidatevi di Andrew Mayne
Doctor Who
Doctor Who
Rai News - Giorno
Doctor Who
Beauty and the Beast II
Beauty and the Beast II
Devious Maids
Devious Maids
Un Weekend con il nonno
Film: 21 Jump Street - di Phil Lord, Chris
Miller
Pechino Addicted
Rai News - Notte
Film: Hansel & Gretel - Cacciatori di
streghe - di Tommy Wirkola
Dal Tramonto all’Alba - La Serie
Supernatural
Supernatural
Doctor Who
Sabrina Vita da Strega
14.25
14.30
16.20
17.55
18.00
18.55
19.45
21.10
23.00
0.50
0.55
1.50
2.45
3.15
5.00
5.50
Anica Appuntamento Al Cinema
La Squadra
La Prova Del Cuoco
Rai News - Giorno
Un Ciclone In Convento
Un Ciclone In Convento
Velvet
L’Allieva
Provaci Ancora Prof!
Rai News - Notte
Il Commissario Nardone
Il Commissario Nardone
7 Vite
La Squadra
Swing!
Orgoglio
QMOVIE
13.45 Film: Coriolanus - di Ralph Fiennes, con
Ralph Fiennes, Gerard Butler, Brian Cox
15.55 Film: Goodnight for Justice - di Jason
Priestley, con Luke Perry, Lara Gilchrist, Ron
Lea
17.35 Rai news - Giorno
17.40 Film: L’inchiesta - di Damiano Damiani,
con Keith Carradine, Harvey Keitel, Phyllis
Logan
19.35 Film: Frà diavolo - di Hal Roach, Charley
Rogers, con Stan Laurel, Oliver Hardy, Dennis
King
MEDIASET PREMIUM
16.50 Wild Menu
17.45 I misteri dell’oceano con Jeff
Corwin
18.30 Mutant Planet
19.25 Origins: invenzioni nella
storia
20.25 Marchio di fabbrica
21.15 Le pagine oscure della
Bibbia
22.10 Codici e segreti
23.05 Marchio di fabbrica
23.55 Come funziona l’Universo
0.50 UFO: segreti svelati
1.45 Io e i miei parassiti
2.35 I segreti della Bibbia
16.40
17.30
18.25
18.30
19.05
20.00
20.30
22.00
23.15
23.20
0.20
1.05
1.35
2.35
3.20
Wild Japan
I Segreti Del Sottosuolo
Rai News - Giorno
Passepartout
Tre Città Un Secolo
Nessun Dorma
Osn Rai Concerto Piovani
Doors Live At The Bowl ‘68
Rai News - Notte
Depeche Mode
The Rolling Stones
Concerto Dal Vivo Tangerin Dream
Chez Vous Francoise Hardy
The Motels
Best Of Gb
GIALLO
8.15 Stay Alive - di William Brent Bell
Premium Cinema Energy
9.39 Necropolis - La città dei morti - di John
Erick Dowdle Premium Cinema
Energy
10.56 The Life of David Gale - di Alan Parker
Premium Cinema
11.18 The Transporter Legacy - di Camille
Delamarre Premium Cinema Energy
11.55 Summer Lovers - di Randal Kleiser
Studio Universal
11.57 Il cuore grande delle ragazze - di Pupi
Avati Premium Cinema Emotion
12.59 Dragon Ball Z - La battaglia degli dei - di
M. Hosoda Premium Cinema Energy
13.09 Un sogno per domani - di Mimi Leder
Premium Cinema
14.10 Alta società - di Charles Walters Studio
Universal
14.31 Pacific Rim - di Guillermo Del Toro
Premium Cinema Energy
15.16 Appuntamento con l’amore - di Garry
Marshall Premium Cinema
QRAI 5
QCINEMA
FOCUS
21.10 Film: La principessa Sissi - di Ernst
Marischka, con Romy Schneider, Karlheinz
Böhm, Magda Schneider, Uta Franz
23.00 Movie mag
23.30 Film: Il giardino dei Finzi Contini - di
Vittorio De Sica, con Lino Capolicchio,
Dominique Sanda, Fabio Testi, Romolo Valli
1.10 Rai news - Notte
1.15 Film: Il siciliano - di Michael Cimino, con
Christopher Lambert, John Turturro, Barbara
Sukowa, Giulia Boschi
3.35 Film: Carmela, salvata dai filibustieri di Giovanni Maderna, Mauro Santini
16.00 Che botte se incontri gli Orsi - di Michael
Ritchie Studio Universal
17.21 Studio Illegale - di Umberto Carteni
Premium Cinema
18.20 Capricorn One - di Peter Hyams Studio
Universal
19.00 Jurassic World - di Colin Trevorrow
Premium Cinema
19.39 Assassin’s Bullet - Il target dell’assassino
- di Isaac Florentine Premium Cinema
Energy
21.15 Le leggi del desiderio - di Silvio Muccino
Premium Cinema Emotion
23.08 Il caso dell’infedele Klara - di Roberto
Faenza Premium Cinema Emotion
23.12 Alexander - di Oliver Stone Premium
Cinema Energy
23.30 Risvegli - di Penny Marshall Studio
Universal
23.44 Steve Jobs: The Man In The Machine - di
Alex Gibney Premium Cinema
0.43 Biutiful - di Alejandro González Iñárritu
Premium Cinema Emotion
CIELO
15.15
16.15
17.15
18.15
19.15
20.15
21.15
23.00
24.00
2.00
3.00
4.00
My Kitchen Rules
Buying & Selling
Case in rendita
Fratelli in affari
Top Gear USA
Affari di famiglia
10,000 Days
Sex Diaries
La casa dei 1000 corpi
3AM
Metropolsex: Hong Kong
Most Dangerous - Pericolo
reale
PARAMOUNT
CHANNEL
8.30
10.00
11.40
12.40
13.10
14.40
16.10
18.10
19.40
21.10
22.30
0.30
9.45
10.35
11.30
12.20
13.10
14.05
14.45
15.35
16.40
17.35
18.25
19.20
20.10
21.05
22.00
22.50
23.40
0.40
1.30
2.20
3.10
4.10
5.05
Matlock
Crossing Jordan
Crossing Jordan
Law & Order - I due volti della giustizia
Law & Order - I due volti della giustizia
Law & Order - I due volti della giustizia
Law & Order - I due volti della giustizia
Crossing Jordan
Crossing Jordan
Law & Order - I due volti della giustizia
Law & Order - I due volti della giustizia
Law & Order - I due volti della giustizia
Law & Order - I due volti della giustizia
Law & Order - I due volti della giustizia
Law & Order - I due volti della giustizia
Web of Lies
Web of Lies
Nightmare Next Door
Nightmare Next Door
Crossing Jordan
Crossing Jordan
Giudice Amy
Giudice Amy
Relic Hunter
Sherlock
Will And Grace
Will And Grace
Relic Hunter
Quantum Leap - In viaggio nel
tempo
Sherlock
Relic Hunter
Quantico
Quantico
Sherlock - L’Abominevole
Sposa
Spartacus - La guerra dei
dannati
REAL TIME
10.00
11.50
13.50
14.45
16.40
18.10
20.10
21.10
22.10
0.05
1.05
2.50
4.40
5.35
ER: storie incredibili
Malati di pulito
Take Me Out: esci con me
Ma come ti vesti?!
Top Chef Italia
Quattro matrimoni - Canada
Take Me Out: esci con me
Abito da sposa cercasi
Incidenti di bellezza
Escort
Malattie imbarazzanti
Life Shock
Life Shock
Alta infedeltà
SATELLITE
15.00
Tg 1
Storie Vere
Tempo & denaro
La prova del cuoco
Telegiornale
La vita in diretta - conducono Marco Liorni, Cristina
Parodi
Torto o ragione? Il verdetto
finale
Tg 1
Tg 1 Economia. All’interno:
Che tempo fa
Vaticano: Aula Nervi.
Convegno Sport e Fede
alla presenza di Sua Santità
Papa Francesco
La vita in diretta - conducono Marco Liorni, Cristina
Parodi
L’Eredità
Telegiornale
Affari tuoi raddoppia
Film: Un fidanzato per
mia moglie - di D. Marengo. Cucciari, L. Bizzarri,
P. Kessisoglu
Porta a Porta . All’interno:
Tg 1 60 secondi
TG1 Notte
Che tempo fa
Sottovoce
Movie Mag - conducono
Federico Pontiggia, Alberto Crespi
Questa sera si recita a
soggetto
Da Da Da
RAInews24
vanno tipi molto solventi a cercare avventure: nel parco i cowboy e gli altri sono robot, continuamente riprogrammati per le
esigenze. Succede di tutto, non si capisce
nulla — o quasi. Ma è di fascino assurdo,
con nomi come JJ Abrams e Jonathan Nolan in costruzione e, va da sé, Michael Crichton autore in origine. O è una cosa di assoluto futuro e niente sarà più come prima, oppure andrà in un altro modo, ma sarà stato eccitante lo stesso.
RAI 3
RAI 2
RAI 1
9.55
10.00
11.05
11.50
13.30
14.00
TANCHIdel ('7JQ? La soluzione è 8F
TUXPSME, la cosa più ardita in tv, la
nuova serie Hbo che Sky Atlantic
manda in contemporanea con gli Usa (il lunedì sera gli episodi con sottotitoli, una settimana dopo quelli doppiati). Siamo all’incrocio tra #MBEF3VOOFS, 5SVNBO4IPX e
+VSBTTJD1BSL — sono tempi di nuove serie
che citano a mani basse il passato. Gruppo
di autori efferati e tecnici di prim’ordine
(il capo è Anthony Hopkins) allestiscono
un parco a tema ambientato nel West. Ci
SKY
[servizio a pagamento]
QCINEMA MATTINA
8.00 Calvario - di John Michael McDonagh
Sky Cinema 1 HD
9.25 Ruby Red II - Il segreto di Zaffiro - di Felix
Fuchssteiner, Katharina Schöde Sky
Cinema Family
10.20 Cronaca di un amore - di Michelangelo
Antonioni Sky Cinema Classics
11.35 Predestination - di Michael Spierig,
Peter Spierig Sky Cinema 1 HD
12.05 Poker di sangue - di Henry Hathaway
Sky Cinema Classics
13.00 Wiplala, un maghetto per amico - di Tim
Oliehoek Sky Cinema Family
13.15 Armageddon - Giudizio finale - di
Michael Bay Sky Cinema 1 HD
14.05 Daddy’s Little Girls - di Tyler Perry Sky
Cinema Passion HD
QCINEMA POMERIGGIO
QCINEMA SERA
QCINEMA NOTTE
14.45 Zip & Zap e il club delle biglie - di Oskar
Santos Sky Cinema Family
15.45 The Way of War - Sentieri di guerra - di
John Carter Sky Cinema Max HD
16.20 Asterix e il regno degli dei - di Louis
Clichy, Alexandre Astier Sky Cinema
Family
17.35 Snoopy & Friends - Il film dei Peanuts di Steve Martino Sky Cinema 1 HD
19.05 Kill Bill - Volume 1 - di Quentin
Tarantino Sky Cinema Max HD
19.10 Left Behind - La profezia - di Vic
Armstrong Sky Cinema 1 HD
19.10 I perfetti innamorati - di Joe Roth Sky
Cinema Passion HD
19.20 Invito ad una sparatoria - di Richard
Wilson Sky Cinema Classics
21.00 Caccia al ladro - di Alfred Hitchcock Sky
Cinema Classics
21.00 Eragon - di Stefen Fangmeier Sky
Cinema Family
21.00 Rischio a due - di D.J. Caruso Sky
Cinema Max HD
21.15 Taken 3 - L’ora della verità - di Olivier
Megaton Sky Cinema Hits HD
22.45 Le leggi del desiderio - di Silvio Muccino
Sky Cinema Passion HD
22.55 Appuntamento per una vendetta - di
Burt Kennedy
Sky Cinema Classics
23.10 Tutto può cambiare - di John Carney
Sky Cinema Hits HD
23.15 Solo per vendetta - di Roger Donaldson
Sky Cinema 1 HD
0.15 Ruby Red II - Il segreto di Zaffiro - di Felix
Fuchssteiner, Katharina Schöde Sky
Cinema Family
0.30 Toro scatenato - di Martin Scorsese Sky
Cinema Classics
0.35 Jesse Stone: Delitti irrisolti - di Robert
Harmon Sky Cinema Max HD
0.40 Dichiarazioni d’amore - di Pupi Avati
Sky Cinema Passion HD
1.00 Ma tu di che segno 6? - di Neri Parenti
Sky Cinema Hits HD
1.05 Calvario - di John Michael McDonagh
Sky Cinema 1 HD
2.05 The Gunman - di Pierre Morel Sky
Cinema Max HD
2.15 Le ragazze dei quartieri alti - di Boaz
Yakin Sky Cinema Family
14.05 Calcio: Empoli - Juventus Serie A Sky
Supercalcio HD
15.30 Ciclismo: Memorial Franck
Vandenbrouck Eurosport 2
16.00 Basket: Cremona - Pistoia Serie A Sky
Sport 3 HD
16.30 Calcio: Nigeria - Inghilterra Coppa del
Mondo U17 Eurosport 2
17.00 Calcio:Roma-InterSerieASkySport1HD
18.00 Calcio: Empoli - Juventus Serie A Sky
Sport 1 HD
18.30 Motonautica: Evian Mondiale F1
Inshore Sky Sport 2 HD
19.00 Wrestling: WWE Domestic
Smackdown! Sky Sport 2 HD
20.00 Calcio: Udinese - Lazio Serie A Sky
Supercalcio HD
20.30 Calcio: Brasile - Corea del Nord Coppa
del Mondo U17 Eurosport 2
20.45 Rugby: Argentina - All Blacks The
Rugby Championship Sky Sport 2 HD
21.30 Ciclismo: Memorial Franck
Vandenbrouck Eurosport 2
21.30 Calcio: Genk - Sassuolo UEFA Europa
League Sky Sport 1 HD
22.30 Calcio: Highlights Major League Soccer
Eurosport 2
22.30 Calcio: Roma - Astra Giurgiu UEFA
Europa League
Sky Sport 1 HD
22.35 Golf: Giornata finale Ryder Cup Sky
Sport 2 HD
23.00 Motociclismo: GP Francia Mondiale
Superbike Eurosport
23.00 Biliardo: 3a giornata European Masters
Eurosport 2
23.10 Calcio: Atalanta - Napoli Serie A Sky
Supercalcio HD
23.30 Motociclismo: GP Francia Mondiale
Superbike Eurosport
24.00 Calcio: FIFA Football Eurosport
0.30 Calcio: Brasile - Corea del Nord Coppa
del Mondo U17 Eurosport
0.30 Salto con gli sci: HS 140 Summer Grand
Prix Eurosport 2
14.00
14.10
15.15
16.30
17.20
20.00 Prigionieri di guerra National
Geographic
20.05 Senza traccia Fox Crime HD
20.05 2 Broke Girls Fox HD
20.05 Ghost Whisperer Fox Life
20.30 The Big Bang Theory Fox HD
20.55 Cosmos. Odissea nello spazio National
Geographic
21.00 Rosewood Fox Crime HD
21.00 Second Chance Fox HD
21.50 Wayward Pines Fox HD
21.50 Il futuro secondo Hawking National
Geographic
22.45 Criminal Minds Fox Crime HD
22.45 I segreti dello spazio con Bignami
National Geographic
23.35 The Big Bang Theory Fox HD
23.40 Criminal Minds Fox Crime HD
23.45 Stupidi al quadrato National
Geographic
23.55 2 Broke Girls Fox HD
0.15 Stupidi al quadrato National
Geographic
0.25 American Dad Fox HD
0.30 Bones Fox Crime HD
0.45 L’Eldorado della droga National
Geographic
0.50 American Dad Fox HD
1.00 Ghost Whisperer Fox Life
1.15 I Simpson Fox HD
1.20 Bones Fox Crime HD
1.40 I Simpson Fox HD
QSPORT
8.30 Automobilismo: Test Drive Eurosport
9.00 Calcio: Empoli - Juventus Serie A Sky
Sport 1 HD
10.00 Calcio: Brasile - Corea del Nord Coppa
del Mondo U17 Eurosport
10.45 Calcio: Bologna - Genoa Serie A Sky
Sport 1 HD
11.00 Calcio: Roma - Inter Serie A Sky Sport
1 HD
12.00 Biliardo: 3a giornata European Masters
Eurosport
13.00 Calcio: Roma - Inter Serie A Sky
Supercalcio HD
13.30 Calcio: Brasile - Corea del Nord Coppa
del Mondo U17 Eurosport 2
FOX
8.00 CSI New York Fox Crime HD
9.05 I Griffin Fox HD
9.05 Stupidi al quadrato National
Geographic
10.00 American Dad Fox HD
10.35 Drop Dead Diva Fox Life
10.50 I Simpson Fox HD
11.45 Stupidi al quadrato National
Geographic
12.05 La vita secondo Jim Fox HD
12.10 Stupidi al quadrato National
Geographic
12.55 The Big Bang Theory Fox HD
13.00 Stupidi al quadrato National
Geographic
13.10 Senza traccia Fox Crime HD
17.30
17.30
17.55
18.15
18.20
18.20
18.45
19.05
Bones Fox Crime HD
I Simpson Fox HD
Drop Dead Diva Fox Life
Gli anni 2000 National Geographic
L’Eldorado della droga National
Geographic
Bones Fox Crime HD
American Dad Fox HD
American Dad Fox HD
L’Eldorado della droga National
Geographic
Bones Fox Crime HD
I Griffin Fox HD
I Griffin Fox HD
Prigionieri di guerra National
Geographic