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Approfondimento
Processo tributario
Attuazione solo parziale
del principio di parità delle parti
nel processo tributario
di Luigi Lovecchio (*)
Il D.Lgs. n. 156/2015, in attuazione della Legge delega per la revisione del processo tributario, ha previsto
la immediata esecutività delle sentenze a favore del contribuente, ponendo così fine alla previgente situazione, di evidente squilibrio, in cui l’esecutività prima del passaggio in giudicato delle sentenze poteva
operare solo a favore del Fisco. La parità delle parti nel processo tributario è stata attuata però solo in
parte perché la previsione di legge non potrà trovare effettiva e concreta applicazione fino a che non sarà
approvato il Decreto relativo al contenuto della garanzia collegata alle condanne di rimborso dell’Amministrazione. Nel frattempo, nel perdurante ritardo nella adozione del Decreto, la giurisprudenza di merito
potrebbe essere indotta a letture forzanti della disposizione di legge, volte a limitare l’efficacia differita alle sole liti concretamente interessate dalla prestazione di garanzia.
1. Premessa
Uno dei punti maggiormente qualificanti della
riforma del processo tributario riguarda la disciplina della esecutività delle sentenze. Il criterio di delega recato nell’art. 10, comma 1, lett.
b), punto 10, della Legge n. 23/2014, prevede infatti che le sentenze dei giudici tributari debbano essere dotate di uguale esecutorietà nei riguardi di tutti gli attori del processo, contribuenti ed enti impositori. Tale principio nasce
con la dichiarata finalità di porre fine alla situazione di evidente squilibrio generata dalla formulazione originaria del D.Lgs. n. 546/1992.
L’attuazione della delega, avvenuta con il D.Lgs.
n. 156/2015, nella versione a regime sembra rispettare il suddetto criterio di diritto. La normativa intertemporale invece lascia molto a
desiderare, tanto più che la scadenza del 1˚ giugno 2016 prevista per l’emanazione del Decreto
delle Finanze sul contenuto della garanzia che il
(*) Docente a contratto di Diritto tributario avanzato presso
l’Università di Roma Tre e Dottore commercialista in Bari.
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contribuente potrebbe essere chiamato a prestare non è stata rispettata. Ciò potrebbe indurre
la giurisprudenza di merito ad adottare soluzioni estemporanee tali da rendere del tutto imprevedibile l’effettiva valenza delle sentenze di condanna dell’Amministrazione finanziaria.
2. La normativa previgente
Va in primo luogo evidenziato come le sentenze
dei giudici tributari siano da sempre connotate
naturaliter da una immediata esecutività pro
contribuente, con riferimento soprattutto all’obbligo dell’ente impositore di astenersi dall’imporre alla controparte prestazioni coattive
derivanti dall’atto totalmente o parzialmente
annullato dalla pronuncia del giudice. È indubbio infatti da sempre (1) che, se l’atto di accertamento impugnato è stato annullato dalla Commissione tributaria provinciale, da un lato, il
contribuente ha diritto di non versare più nulla
(1) Cioè anche prima della riforma.
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a tale titolo, dall’altro, l’Ufficio impositore deve
provvedere a bloccare qualunque azione di recupero ad esso riconducibile. Se l’Ufficio non si
adegua al dettato del giudice, gli atti emessi (2)
sono illegittimi per vizi propri e, in quanto tali,
annullabili.
Ugualmente nessun dubbio si è mai posto in ordine alla provvisoria esecutività delle sentenze a favore del Fisco. Più nel dettaglio, vale in
proposito ricordare che:
- l’esecutività degli atti impositivi è sempre stata
regolata dalle singole leggi d’imposta. Cosı̀, ad
esempio, gli atti di accertamento relativi alle
imposte dirette comportano l’immediata esigibilità degli importi indicati nell’art. 15, D.P.R. n.
602/1973;
- dopo la sentenza della Commissione tributaria
provinciale, l’esecutività delle pretese del Fisco (3) viene disciplinata nell’art. 68, D.Lgs. n.
546/1992.
In entrambe le fattispecie, il Fisco ha a disposizione strumenti coercitivi (4) per ottenere l’adempimento del contribuente, fatto ovviamente
salvo il potere di sospensione cautelare del giudice.
La questione cambia sensibilmente se si guarda
l’esecutività delle sentenze con riferimento alla
restituzione di somme in favore del contribuente.
A tale proposito, si distingue tra due ipotesi, a
seconda che la restituzione abbia ad oggetto le
somme versate medio tempore, in pendenza di
giudizio (5), oppure le somme versate prima dell’instaurazione del processo (6).
Nel primo caso, il dettato del previgente art. 68,
comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, disponeva l’obbligo di rimborso degli importi versati in eccesso,
rispetto al contenuto della pronuncia del giudice, entro novanta giorni dalla notifica della sentenza a cura del contribuente. Nella circolare n.
49/E/2010, l’Agenzia delle entrate peraltro invitava gli Uffici periferici a provvedere comunque
alla restituzione degli importi dovuti al contribuente, a prescindere dalla notifica della sentenza da parte dell’avente diritto. I problemi tuttavia sorgevano nell’ipotesi in cui l’Ufficio si
rendeva inadempiente rispetto a tale obbligo di
legge. L’apparato legislativo precedente, infatti,
sia con riferimento al giudizio di ottemperanza,
sia con riguardo al procedimento esecutivo individuale (7), richiedeva il passaggio in giudicato della sentenza, al fine di ottenere in via coercitiva l’attuazione del diritto del contribuente.
Per questo motivo, la giurisprudenza della Suprema Corte ha ravvisato, come unico rimedio
esperibile da parte del soggetto passivo, la proposizione di un’istanza di rimborso e, in caso di
inerzia dell’ente impositore, l’impugnazione del
silenzio rifiuto, instaurando cosı̀ un contenzioso
che si sovrapponeva ad un altro contenzioso di
assai dubbia efficacia, sotto il profilo operativo (8).
L’altra fattispecie invece non poneva dubbi o
criticità interpretative di sorta, atteso che l’originaria formulazione dell’art. 69, D.Lgs. n.
546/1992 stabiliva chiaramente che le sentenze
di condanna dell’Amministrazione finanziaria
alla restituzione di somme divenivano obbligatoriamente eseguibili solo dopo il loro passaggio in giudicato.
La situazione che si delineava nell’assetto legislativo vigente sino alla fine dello scorso anno,
pertanto, vedeva una esecutività “zoppa” delle
sentenze tributarie favorevoli al contribuente, a
cospetto della disciplina valevole pro Fisco, in
particolar modo con riferimento al diritto alla
ripetizione delle somme versate in eccesso, rispetto alla pronuncia del giudice.
A tale squilibrio nelle forme di tutela delle posizioni dei due attori del processo, dunque, ha inteso porre rimedio la riforma di cui al sopra citato D.Lgs. n. 156/2015.
(2) Ad es., rigetto dell’istanza di sgravio, atti della procedura
esecutiva, quali preavviso di fermo, iscrizione di ipoteca, pignoramenti, eccetera.
(3) Senza voler entrare in questa sede nella infinita diatriba
interpretativa se l’esecutività debba essere riferita all’atto o alla
sentenza.
(4) Il riferimento è alle procedure del D.P.R. n. 602/1973 relative alla riscossione tramite ruolo.
(5) In dipendenza per l’appunto della immediata esecutività
degli atti impositivi.
(6) Circostanza che si verifica nelle liti che originano da
istanza di rimborso.
(7) Entrambi regolati nel “vecchio” art. 70, D.Lgs. n.
546/1992.
(8) Rispetto al quale si rendeva generalmente preferibile attendere la conclusione della controversia principale, cosı̀ da
dotarsi di un giudicato favorevole.
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3. La riforma
Va innanzitutto ricordato come uno dei tratti
distintivi della riforma sia rappresentato dall’entrata in vigore immediata della novella, secondo
il principio processuale del tempus regit actum,
che è stato preferito al criterio del c.d. doppio
binario, a mente del quale le modifiche avrebbero potuto rendersi applicabili solo a partire dai
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procedimenti introdotti dal primo gennaio di
quest’anno.
Ne consegue pertanto che le novità trovano ingresso immediato in tutti i procedimenti pendenti a tale data.
Il D.Lgs. n. 156/2015 ha introdotto l’art. 67-bis e
modificato gli artt. 68 e 69, oltre ad aver abrogato l’art. 69-bis, del D.Lgs. n. 546/1992 (9).
A mente del nuovo art. 67-bis, dunque, “le sentenze emesse dalle Commissioni tributarie sono
esecutive secondo quanto previsto dal presente
capo”. Come correttamente rilevato in dottrina (10), questo significa che non si è data piena
attuazione al criterio di delega, che invece prevede l’esecutorietà immediata ed apparentemente incondizionata delle sentenze tributarie.
Occorreva invece introdurre una disposizione
modellata sulla scorta dell’art. 282 c.p.c., a mente del quale “la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti”, senza limiti
predeterminati. La relazione illustrativa allo
schema di Decreto osserva, in proposito, che
“l’espresso rinvio nel presente articolo alle sentenze contenute nel capo IV consente di limitare l’esecutività alle sole sentenze aventi ad oggetto l’impugnazione di un atto impositivo
ovvero il diniego espresso o tacito alla restituzione di tributi”. Il riferimento, per vero
piuttosto criptico (11), dovrebbe essere alla circostanza che nel capo IV del titolo II sono disciplinati, da un lato, le regole sul pagamento del
tributo in pendenza di giudizio (art. 68), dall’altro, gli effetti delle sentenze di condanna dell’Amministrazione finanziaria al rimborso di
somme. Sembra quindi si voglia affermare che
l’esecutività in senso stretto riguarda solo le sentenze che hanno ad oggetto atti che accertano
posizioni creditorie dell’una o dell’altra parte
del giudizio (atti di accertamento, per il Fisco,
diniego di rimborso, per il contribuente), non
anche sentenze che accertano posizioni sogget-
tive non recanti, direttamente, un contenuto patrimoniale (qualificazione di ONLUS e provvedimenti che negano la spettanza di agevolazioni
di legge) (12).
(9) Su tali modifiche cfr. L. Lovecchio, “Immediata esecutività delle sentenze a favore del contribuente”, in Esecuzione di
atti e sentenze nel processo tributario, Guida il fisco, n. 4/2016,
luglio 2016.
(10) E.A. Sepe, “Nuove regole su esecutività delle sentenze e
misure cautelari successive”, in il fisco, n. 1/2016, pag. 33.
(11) Come criticamente osservato da C. Glendi, Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016, commento
all’art. 67-bis, pag. 266.
(12) Cosı̀, la relazione di accompagnamento allo schema di
Decreto che giustifica tale limitazione con la finalità di assicurare “una maggiore certezza delle situazioni giuridiche”.
(13) Che dopo la riforma è rimasta l’unica procedura applicabile per ottenere in forma coercitiva l’adempimento al dictum del giudice, essendo stato abrogato il richiamo al procedi-
mento di esecuzione individuale.
(14) Cosı̀, peraltro, testualmente anche la relazione di accompagnamento allo schema di Decreto legislativo.
(15) Cosı̀, C. Consolo - C. Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2012, commento art. 68. Secondo M. Basilavecchia, però, poiché per attivare gli strumenti
per ottenere in via coattiva la tutela del diritto del contribuente, alla fine del procedimento giudiziale, era sempre richiesta
una pronuncia di condanna, conveniva in ogni caso che tale
domanda fosse riportata nel ricorso introduttivo, seppure in
via eventuale, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino,
2013, pag. 153. Con la riforma è però evidente che tale cautela
non appare più necessaria, vista l’espansione del perimetro di
operatività del giudizio di ottemperanza.
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4. La restituzione delle somme
pagate in pendenza del processo
Con riferimento alla esecutività delle sentenze
in punto di diritto alla ripetizione delle somme
pagate medio tempore, in pendenza del giudizio,
la riforma ha integrato il disposto dell’art. 68,
comma 2, D.Lgs. n. 546/1992. Si è pertanto confermato l’obbligo di restituzione al contribuente
delle somme pagate in più rispetto a quanto statuito dal giudice, decorsi novanta giorni dalla
notifica della sentenza. La novità è rappresentata dalla previsione espressa secondo cui, in caso
di inerzia dell’ente impositore, il contribuente
ha diritto ad attivare il giudizio di ottemperanza (13), pur in presenza di sentenza non ancora definitiva. Si è cosı̀ colmata la lacuna della
disciplina previgente (14), innanzi illustrata, che
a fronte della attribuzione di un diritto trascurava di dotare il titolare dello stesso di un valido
strumento di tutela.
Vale evidenziare che, come già osservato dalla
dottrina nel vigore della formulazione precedente, l’obbligo di restituzione in esame costituisce
un effetto legale della sentenza, che trova titolo
per l’appunto nella legge e non nella pronuncia
giurisdizionale. Da ciò si desume che il ricorso
del contribuente non debba necessariamente
contenere una espressa richiesta di condanna
dell’Amministrazione finanziaria al rimborso
degli importi, medio tempore, pagati (15), né
tantomeno che il giudice debba esplicitare l’obbligo di restituzione nel dispositivo della sentenza.
La novella ha mantenuto il riferimento alle
somme pagate in eccesso rispetto alle sole sentenze del giudice di primo grado. Considerato
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che già nel vigore della normativa originaria
non si dubitava della circostanza che uguale diritto competesse al contribuente con riferimento a indebiti derivanti dalle sentenze di appello,
il legislatore della riforma ben avrebbe potuto e
dovuto cogliere l’occasione per integrare il testo
di legge con il richiamo, per l’appunto, anche alle sentenze della Commissione tributaria regionale.
In questo senso, si è infatti espressa la Corte di
c a ss a z i o n e , t r a l ’ a l t r o , n e l l a s e n t e n z a n .
20526/2006, nella quale si legge che “il comma
2 dell’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 stabilisce
addirittura che se il ricorso viene accolto, il tributo eventualmente corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della
Commissione tributaria provinciale (ma sembra
logico che a maggior ragione il rimborso sia dovuto ove sia intervenuta la sentenza d’appello)
deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta
giorni dalla notificazione della sentenza (non
ancora passata in giudicato), con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali”.
Ugualmente favorevole a tale lettura è la dottrina di gran lunga maggioritaria sull’argomento (16).
L’Agenzia delle entrate, nella circolare n.
38/E/2015, a commento della nuova formulazione del sopra citato art. 68, ha richiamato le precedenti istruzioni, contenute nella citata circolare n. 49/E/2010, confermando che ai fini dell’effettuazione del rimborso non occorre necessariamente attendere la notifica della sentenza. Il documento di prassi precisa ulteriormente
che tuttavia, per l’attivazione del giudizio di ottemperanza, e quindi in presenza di inerzia dell’Amministrazione finanziaria, è comunque necessaria la notifica della sentenza e il decorso di
90 giorni da essa, anche in pendenza di appello
da parte dell’Agenzia delle entrate, trattandosi
dei presupposti di legge per l’accesso a tale giudizio. Potrebbe in effetti osservarsi che, laddove
l’Ufficio abbia già proposto il gravame avverso
la pronuncia di primo grado, la notifica della
sentenza sia priva di utilità sostanziale, considerato che la parte erariale ne conosce certamente
il contenuto e che l’obbligo di restituzione è direttamente prescritto dalla legge. È chiaro però
che, in assenza di orientamenti di riferimento
da parte della giurisprudenza, conviene per il
momento attenersi alla lettera del dettato legislativo.
Sotto il profilo della individuazione della Commissione tributaria competente a decidere in
ordine al giudizio di ottemperanza, la novella
stabilisce la competenza della Commissione tributaria provinciale, a meno che il giudizio non
penda nei gradi superiori (17). Pertanto, sino a
quando il contribuente non riceve la notifica
dell’appello da parte dell’Agenzia delle entrate,
il suo riferimento sarà rappresentato dalla Commissione tributaria provinciale. Vale peraltro
notare che, poiché il presupposto normativo
dell’accesso al giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla notifica della sentenza e dal decorso di 90 giorni da essa, al momento della
proposizione del ricorso per ottemperanza, il
contribuente dovrebbe essere venuto a conoscenza dell’avvenuta presentazione dell’appello.
L’adempimento della notifica della sentenza, infatti, dovrebbe essere idoneo, in linea di principio, a far decorrere il termine breve di 60 giorni
per la proposizione del ricorso in Commissione
tributaria regionale o in Cassazione. Ecco quindi che sembra profilarsi un apparente difetto di
scrittura normativa: una volta notificata la sentenza e inutilmente decorso il termine di 90
giorni, o l’Ufficio ha prestato acquiescenza alla
stessa, ed allora la competenza è della Commissione tributaria provinciale, ma in forza delle
regole ordinarie dell’ottemperanza al giudicato,
ex art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992, oppure è stato
proposto appello (18), ed allora la competenza è
sempre della Commissione tributaria regionale.
Detto in altri termini, non è chiaro in quali situazioni si realizza la competenza della Commissione tributaria provinciale, con riferimento
alle sentenze solo provvisoriamente esecutive.
Tanto, a meno di non ravvedere una peculiare
modalità di notifica della sentenza, idonea ai
soli fini dell’attivazione del giudizio di ottemperanza, e non anche della decorrenza del termine
breve dell’impugnativa, di cui tuttavia è difficile
tracciare i contorni.
La modifica in esame è già immediatamente efficace dal 1˚ gennaio 2016, anche perché il diritto alla ripetizione delle somme in favore del
contribuente non può in alcun caso esser subordinato alla prestazione di garanzie di sorta.
(16) Tra i molti, si vedano P. Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 2013, pag. 349; M. Basilavecchia, op. cit., pag.
153; C. Consolo - C. Glendi, Commentario breve cit., Padova,
2012, commento art. 68.
(17) E cioè davanti alla Commissione tributaria regionale o
alla Corte di cassazione.
(18) Dall’Ufficio o dallo stesso contribuente.
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Si ritiene altresı̀ che l’attuale formulazione ben
possa essere applicata con riferimento a sentenze pronunciate prima dell’entrata in vigore della riforma, alla luce di un duplice ordine
di considerazioni: da un lato, in ragione del sopra evidenziato criterio della immediata applicabilità della generalità delle norme della riforma, dall’altro, in forza della dichiarata funzione
“riparatrice” della modifica in oggetto, volta per
l’appunto a rimediare ad un difetto della scrittura originaria.
5. La immediata esecutività
delle sentenze a favore del contribuente
L’art. 69 del D.Lgs. n. 546/1992 è stato integralmente riformulato. Si dispone pertanto che le
sentenze di condanna dell’Amministrazione finanziaria, originate da liti da rimborso, siano
anch’esse immediatamente esecutive. La procedura per l’ottenimento della restituzione delle
somme è identica a quella disegnata nel sopra
commentato art. 68, comma 2, D.Lgs. n.
546/1992. Pertanto: a) occorre innanzitutto notificare la sentenza alla controparte e attendere
il decorso di 90 giorni; b) in caso di inerzia dell’ente impositore, si attiva il giudizio di ottemperanza.
Il legislatore si è tuttavia fatto carico dell’ipotesi, tutt’altro che improbabile, in cui l’ente impositore, risultato vincitore alla fine del giudizio,
non riesca a recuperare le somme medio termine rimborsate, a causa del venir meno o della
sopravvenuta insolvenza del debitore. A tale
scopo, si è pertanto prescritto che, in caso di
rimborso di somme superiori a 10.000 euro, diverse dalle spese di lite, il giudice può subordinare il rimborso alla prestazione di una garanzia. In tale eventualità, la restituzione deve essere eseguita entro 90 giorni dalla avvenuta prestazione della garanzia. Il contenuto di tale garanzia deve essere stabilito in un futuro Decreto
delle Finanze. Si dispone infine che il costo sostenuto dal contribuente a tale fine viene posto
a carico della parte soccombente all’esito finale
del giudizio.
(19) Cosı̀, l’originario art. 69 nonché l’art. 15, D.Lgs. n.
546/1992.
(20) Che pertanto continuano ad essere esigibili solo dopo il
giudicato.
(21) Unitamente a quella dell’art. 67-bis ed alla abrogazione
dell’art. 69-bis, medesimo Decreto n. 546/1992.
(22) In questo senso, sia la relazione di accompagnamento
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6. Le spese di lite
Con riferimento al pagamento delle spese di lite, vale in primo luogo ricordare che, nella legislazione precedente, le stesse divenivano esigibili solo alla conclusione del giudizio, cioè in
presenza di sentenza passata in giudicato. Tanto, sia con riferimento alle spese liquidate in favore del contribuente, sia con riguardo a quelle
stabilite a vantaggio del Fisco (19).
La riforma ha mantenuto inalterata la disciplina delle spese liquidate a favore dell’Amministrazione finanziaria (20), mentre ha fatto confluire il trattamento delle spese riconosciute al
contribuente nel novellato art. 69, D.Lgs. n.
546/1992, innanzi esaminato.
Ne deriva che anche la pronuncia di condanna
al pagamento delle spese di giudizio è, a regime,
immediatamente esecutiva, e, a differenza
delle somme dovute ad altro titolo, non può
mai essere subordinata alla prestazione di
una garanzia.
7. La disciplina intertemporale
Ai sensi dell’art. 12, D.Lgs. n. 156/2015, l’entrata
in vigore del novellato art. 69 (21) è differita al
1˚ giugno 2016. Tuttavia, sempre in forza delle
medesime disposizioni transitorie, fino all’approvazione del Decreto relativo al contenuto
della garanzia collegata alle condanne di rimborso dell’Amministrazione “restano applicabili
le disposizioni previgenti” di cui al suddetto art.
69, anche oltre dunque la predetta scadenza del
1˚ giugno 2016.
Dalla lettera della previsione sopra riportata
sembra quindi emergere che, ai fini dell’esecutività delle sentenze di condanna al rimborso di
somme, occorra attendere comunque l’emanazione del Decreto in questione. Sino ad allora,
resta applicabile l’originaria formulazione del
ridetto art. 69 che, come già evidenziato, differisce l’obbligo di restituzione alla definitività della sentenza (22).
Si tratta della situazione che si è per l’appunto
verificata con l’inutile decorso della scadenza
del 1˚ giugno. Allo stato attuale, peraltro, non si
ha notizia dell’epoca in cui sarà presumibilmente pubblicato il provvedimento sulle garanzie.
allo schema di Decreto legislativo, sia, seppure criticamente, la
dottrina C. Glendi, Abuso del diritto, cit., Milano, 2016, pag.
316. Contra, si veda M. Bruzzone, “Sentenza pro contribuente
immediatamente esecutiva senza garanzia, commento a
Comm. trib. prov. di Venezia n. 316/13/2016”, in il fisco, n.
28/2016, pag. 2792.
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È evidente la singolarità del percorso individuato dal legislatore: la piena efficacia delle novità
in materia di esecutività delle sentenze, che rappresenta uno dei punti più qualificanti della riforma, viene rimessa ad un adempimento proveniente dalla parte del processo che ha ovviamente meno interesse a ciò, privo per di più di
un termine perentorio o di previsioni di tutela
in caso di grave inadempienza del soggetto onerato (23).
Sebbene la formulazione testuale del sopra citato art. 12 non sembri consentire distinzioni di
sorta, non può escludersi che il perdurante ri-
tardo nella adozione del Decreto induca la
giurisprudenza di merito a letture forzanti della
disposizione di legge, volte a limitare l’efficacia
differita in esame alle sole liti concretamente interessate dalla prestazione di garanzia (24).
Sintomo di tale rischio è la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Venezia n.
316/13/2016 del 20 giugno 2016 (25) che potrebbe aprire la strada a soluzioni episodiche e discordanti dei vari Collegi giudicanti.
È evidente che solo l’immediata (26) adozione
del provvedimento in esame potrebbe porre rimedio alla situazione di incertezza verificatasi.
(23) E cioè il Ministero delle Finanze.
(24) Ovverosia rimborsi di somme superiori a 10.000 euro,
diverse dalle spese di lite, nonché controversie di cui è parte
un soggetto che presenta indici di rischio in ordine alle possibi-
lità di ripetizione delle somme versate.
(25) In il fisco, n. 28/2016, pag. 2792, con nota adesiva di M.
Bruzzone.
(26) Sebbene tardiva.
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