Rassegna stampa 11 aprile 2016

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Il Piccolo 11 aprile 2016 Trieste «Lei ha l’influenza». Ma muore poco dopo Esposto in Procura sul decesso di una donna di 70 anni avvenuto per una cardiopatia sottovalutata dagli operatori del 118 di Gianpaolo Sarti. Le diagnosticano un’influenza, muore poche ore dopo. Il caso, piombato in Procura, travolge il sistema di soccorso dell'Azienda ospedaliero sanitaria di Trieste. La storia della signora Vera Vidali, una settantenne originaria di Capodistria deceduta un mese fa nella sua abitazione di via Pirandello, ora potrebbe avere seri strascichi giudiziari sui responsabili della vicenda. Perché gli operatori dell'ambulanza, allertati dal marito, il settantaseienne Mario Cappelli, avrebbero completamente trascurato i sintomi di un aggravamento della cardiopatia di cui soffriva la moglie, obesa e fumatrice. Una “svista” che, fosse accertata, avrebbe del clamoroso. «Prenda un antipiretico», si è sentita dire la donna, racconta il signor Mario, che ha sporto querela. Una tachipirina, o altro, per buttar giù la febbre. Tutto comincia il mattino del 10 marzo, quando il marito trova la moglie riversa a terra, vicino al bordo del letto. Vera parla a stento, biascica, appare priva di forze. Mario decide allora di avvisare il figlio Davide e, subito dopo, il medico di famiglia. È il dottor Joseph Naddy, che consiglia di chiamare immediatamente il 118. L'autoambulanza arriva in una ventina di minuti. Gli operatori, dopo essersi informati sulle condizioni generali di salute della donna (eventuali patologie e terapie), riscontrano pressione bassa, battito leggermente accelerato e scarsa ossigenazione sanguigna, afferma il coniuge. Tre sintomi che, sommati allo stato in cui si presentava la paziente (rinvenuta sul pavimento), probabilmente avrebbero dovuto accendere un campanello d'allarme. Per misurare la temperatura i soccorritori domandano il termometro al marito (non è in dotazione al personale?) e con quello riscontrano un po’ di febbre. «Hanno concluso la visita dicendo che si trattava di una banale influenza -­‐ racconta il signor Mario Cappelli -­‐. Talmente banale che non hanno ritenuto necessario il trasporto al Pronto Soccorso, aggiungendo che in situazioni simili è del tutto inopportuno interessare e intasare le strutture di prima emergenza. Ci hanno suggerito quindi riposo e una buona alimentazione, perché hanno rilevato una certa astenia». Stanchezza. La donna, insomma, era semplicemente affaticata e con po’ di influenza. «Consigliano anche di prendere un antipiretico». Durante tutto il pomeriggio e la sera Vera rimane sempre profondamente assopita e risponde alle domande con estrema fatica. La donna morirà la notte stessa. Alle 02 e 30 il marito la trova stesa sul letto che non respira più. Come accerteranno i sanitari, il decesso risale a un'ora prima. Ripercorrendo quei drammatici momenti, Mario ricorda almeno due particolari che, se verificati dall'autorità giudiziaria, potrebbero risultare determinanti. Il primo: gli operatori sanitari domandano al marito di firmare un documento: «Mi hanno detto che era il verbale di attestazione dell'intervento». In realtà, lo scoprirà poi, ha firmato il rifiuto del trasporto in Pronto soccorso. E di quel foglio non riceve nemmeno copia: dovrà domandarla in un momento successivo all’ospedale, in seguito alla morte della compagna, quando decide di andare a fondo sulla vicenda. Quando Mario si troverà il documento tra le mani, protesterà con veemenza. Il marito era consapevole di cosa aveva sottoscritto? Glielo avevano spiegato? E perché avrebbe dovuto impedire il ricovero a Cattinara quando era stato proprio lui, preoccupato di come stava la sua anziana compagna, ad aver allertato il 118? Ma c'è un altro dettaglio che dovrà essere chiarito. Mario non avrebbe dovuto firmare alcunché: il diniego alle cure sanitarie, fanno sapere dall'ospedale, non spetta al familiare ma al paziente stesso o un eventuale tutore legale. Vera è morta, dalla successiva autopsia -­‐ riferisce la famiglia -­‐ emergerebbe un aggravamento della cardiopatia di cui soffriva la signora. La semi incoscienza, la bassa pressione e il sangue poco ossigenato avrebbero 1 dovuto far capire ai soccorritori che l'anziana era in pericolo di vita. Portata in ospedale e con le cure dei medici forse sarebbe stata salvata. Vertici dell’Azienda in silenzio Delli Quadri: «C’è un’indagine in corso. Lasciamo lavorare la magistratura» No comment dall'Azienda ospedaliero-­‐sanitaria di Trieste. «La vicenda è in mano della magistratura c’è un esposto e un’indagine che deve fare il suo corso. Do la mia vicinanza umana e morale ma altro non posso aggiungere», si limita a dire il commissario straordinario Nicola Delli Quadri, che è a conoscenza del caso. La vicenda è delicata, piena zeppa di interrogativi sul modus operandi dei soccorritori che sono intervenuti il mattino del 10 marzo. Come è stato possibile non accorgersi dello stato di salute della signora Vera Vidali, che il marito Mario Cappelli ha trovato a terra, stesa sul pavimento della camera? La pressione bassa, il battito leggermente accelerato e una scarsa ossigenazione sanguigna, che sarebbero stati rilevati durante la visita secondo il coniuge, non avrebbero dovuto spingere gli infermieri (o chi per loro) a trasportare la signora a Cattinara per ulteriori accertamenti? Tanto più, come precisa lo stesso marito, che gli stessi erano stati informati della cardiopatia di cui soffriva la moglie. Tutto questo è riportato negli atti spediti in Procura. A cui spetterà anche chiarire il “giallo” della firma sul documento sottoposto al signor Cappelli (di cui non avrebbe ricevuto copia) in cui avrebbe sottoscritto il rifiuto al trasferimento di Vera in Pronto soccorso. La magistratura dovrà appurare se i soccorritori hanno agito correttamente. Anche perché il Protocollo operativo del 118 prevede che, in assenza del medico tra l'équipe dell'ambulanza (e nella circostanza in oggetto non risultava presente), «il personale è tenuto a provvedere al trasporto in ogni caso venga richiesto, salvo richiedere alla Centrale operativa l’intervento medico o di altre strutture sanitarie quando il trasporto in ospedale appaia incongruo o il caso rientri nella tipologia prevista dall'attività di filtro». Detta in altri termini, o si portava la paziente a Cattinara o si interpellava un dottore. È stato fatto? (g.s.) «Esigo verità. Chi ha sbagliato, deve pagare» La disperazione del marito: «Mi distrugge pensare che portando Vera in ospedale l’avrei salvata» «Mi sento ferito nel profondo, il solo dubbio che portando mia moglie in ospedale avrebbero potuto salvarle la vita, mi fa star male. Solo questo basta a capire la gravità della situazione, non serve aggiungere altro». Quella di Mario Cappelli, marito di Vera Vidali, non è rabbia. È tristezza, come comprensibile, e desiderio di giustizia. Ha portato il caso in Procura pochi giorni dopo il decesso della coniuge, il 20 marzo, come si evince dalla querela. «Si proceda penalmente per tutti i reati verranno ravvisati nei confronti di chiunque sarà ritenuto responsabile», è precisato nell'atto. «Farò di tutto per avere verità anche per rispetto di mia moglie -­‐ spiega Cappelli -­‐ se qualcuno ha sbagliato, se non ha operato come di dovere, deve rispondere. Ciò che è stato fatto deve venir fuori ed essere analizzato. Non me la sento di dare giudizi a chi è intervenuto o sul funzionamento del sistema di emergenza della nostra sanità -­‐ osserva -­‐, la questione è in mano ai giudici. Io personalmente ritengo che ci siano state delle mancanze e per questo motivo ho perso mia moglie. Ho 76 anni, non sto molto bene, anche questo peserà sulla mia salute. Io ora desidero soltanto togliere Vera da quel frigorifero e portarla nella tomba. Se ci sono colpe -­‐ conclude -­‐ verranno fuori». C'è anche un altro lato della vicenda: la famiglia, al di là degli aspetti puramente sanitari e giudiziari, lamenta l'assenza di informazioni da parte dell'Azienda ospedaliero sanitaria di Trieste. «Non si sono mai fatti sentire -­‐ accusa il figlio Davide -­‐, capisco che di mezzo c'è un’indagine, ma almeno un contatto, una telefonata. È questione non solo di diritti, ma anche di rispetto umano. L'unica informazione che abbiamo avuto è saltata fuori appena qualche giorno fa, dopo quasi un mese. Mi riferisco alle onoranze funebri, da cui abbiamo saputo che la salma di mia mamma era in carico a un medico legale. È da questo dettaglio che abbiamo dedotto che sarebbe stata fatta 2 l'autopsia. L'Azienda, invece, non ci ha detto niente. L'esecuzione dell'esame autoptico è un particolare che abbiamo solo potuto dedurre». Sull'esito la famiglia dispone solo di informazioni ufficiose. «Per noi -­‐ rileva ancora il figlio -­‐ è impossibile anche ottenere l'atto di decesso. Vorremmo fissare il funerale, ma prima sarebbe opportuno visionare il referto dell'autopsia per disporre di indicazioni adeguate e di un punto di vista legale». (g.s.) Monfalcone Stato vegetativo risarcito con 1,5 milioni Claudia Durigatti, 63 anni, di Turriaco nel 2005 era rimasta senza ossigeno al cervello durante il ricovero al San Polo di Laura Borsani. Risarcimento da 1,5 milioni di euro a favore di Claudia Durigatti, 63enne di Turriaco, e dei suoi familiari. La donna è ridotta in stato vegetativo, a causa della mancata ossigenazione al cervello, per una decina di minuti, mentre era ricoverata al reparto di Rianimazione del San Polo. I fatti risalgono al 2005. E ora, a distanza di quasi otto dalla causa civile, è stata emessa la sentenza da parte del Tribunale civile di Gorizia, in virtù dell’apertura del procedimento distinto rispetto a quello penale. Con la sentenza emessa dal giudice civile Barbara Caponetti, sono stati condannati al risarcimento dei danni l’allora Azienda sanitaria numero 2 Isontina, e l’assicurazione della quale si avvale l’Azienda. La sentenza, pur appellabile, è immediatamente esecutiva, con il relativo versamento della somma alla signora Durigatti e ai suoi familiari. In particolare, l’Azienda sanitaria è tenuta a pagare 500mila euro, mentre il restante importo del ristoro è a carico dell’assicurazione. La somma, come è stato stabilito nella sentenza del Tribunale civile goriziano, è stata suddivisa in circa 950mila euro a favore di Claudia Durigatti, mentre l’importo restante andrà a favore del coniuge Paolo Pascoli, anche rappresentante dell’amministratore di sostegno della donna, e l’unica figlia della coppia. Si è, dunque, chiusa in questi termini la procedura civile, promossa dal legale difensore della donna e della famiglia, l’avvocato Massimo Bruno, del Foro di Gorizia, che ha anche sostenuto le loro ragioni in sede penale. Claudia Durigatti, dunque, era stata ricoverata nella notte tra il 3 e il 4 novembre nel 2005 all’ospedale di San Polo, in seguito ad una grave crisi di asma. Al reparto di Terapia intensiva, era stata intubata correttamente. Tuttavia, la paziente, in preda ad una forte agitazione e a causa di un conato di vomito, si era involontariamente strappata il tubo di apporto dell’ossigeno. Non ripristinato tempestivamente, comunque nei tempi utili ad evitare lo stato ipossemico. La donna rimase privata della necessaria ossigenazione per una decina di minuti, tale da provocarle una encefalopatia irreversibile, riducendola in uno stato vegetativo, tecnicamente definito stato vegetativo secondario persistente. Stando a quanto emerso nel procedimento penale, ripristinata l’intubazione, l’ossigenazione era risultata carente a causa di un’occlusione al tubo. Di fatto, pertanto, sempre secondo quanto era emerso nel processo penale, non sarebbero stati adottati gli accorgimenti necessari a evitare una possibile estubazione, che invece è avvenuta, da parte della paziente. Altro aspetto è legato alla compilazione della cartella clinica della donna, per la quale è scaturito il reato di falso. Per tutto questo era stato condannato Giuseppe Di Salvo, 69 anni attualmente in pensione, all’epoca in servizio al reparto di Terapia intensiva dell’ospedale di San Polo. Una drammatica vicenda, che ha rovinato la vita di una famiglia. La signora Durigatti deve essere costantemente accudita. Vive in una villetta a Turriaco, che è stata completamente adattata alle sue esigenze. Totalmente non autosufficiente, non è in grado di parlare, viene alimentata da una sonda gastrica e respira attraverso un foro all’altezza della gola. Viene assistita dal marito e dalla figlia, mentre uno specialista si occupa della fisioterapia. Un calvario, a fronte di enormi sacrifici dovendo peraltro combattere con le difficoltà di ordine economico. 3 Condanna per lesioni prescritta in Appello Dopo l’impugnazione della sentenza di primo grado che aveva condannato a 8 mesi il medico Di Salvo Al Tribunale di Gorizia il drammatico evento che nel novembre 2005 aveva ridotto Claudia Durigatti in stato vegetativo, arrivata al San Polo per una forte crisi d’asma, si sono celebrati due processi penali. Il primo aveva riguardato il reato di lesioni colpose, in ordine ai danni subiti dalla paziente legati ad una mancata ossigenazione al cervello di una decina di minuti, tali da comportare un’encefalopatia irreversibile. Il medico allora in servizio in Terapia Intensiva, al San Polo, Giuseppe Di Salvo, era stato condannato a 8 mesi. Ne era seguito il ricorso in Appello. E la prescrizione del reato, sancita dalla Corte. Durante questo primo procedimento erano emersi altri elementi, in ordine alla compilazione della cartella clinica della donna. Da qui l’apertura di un secondo processo, a fronte dell’ipotesi di accusa di falso. Il procedimento ha comportato il pronunciamento della condanna di 3 anni a carico del medico. Anche la sentenza di condanna per falso nella compilazione della cartella clinica è stata impugnata davanti alla Corte di Appello di Trieste. È ora attesa la relativa sentenza. Durante il dibattimento in aula era emerso che nel diario clinico non era stato riportato un passaggio importante per la comprensione esatta di quanto fosse accaduto. Nella descrizione del procedimento sanitario, infatti, era stata indicata una sola intubazione praticata alla paziente, anzichè due. Lo si era compreso quando il primario della Terapia intensiva dell’ospedale di San Polo, Paolo Sabbadini, ascoltato in aula, aveva confermato il suo diretto intervento volto a procedere ad una terza intubazione della donna, in sostituzione del precedente tubo risultato occluso. Un intervento che si era rivelato tardivo. In sostanza, sempre secondo quanto era emerso a processo, la cartella clinica rappresenta un atto pubblico e, come tale, deve riportare tutti gli elementi nel corso di ogni intervento praticato sul paziente. Le discrepanze emerse avevano quindi indotto il giudice ad affidare al medico legale una superperizia. E nel dispositivo di condanna, il giudice aveva trasmesso gli atti alla Procura, al fine di accertare eventuali responsabilità in merito alla compilazione della cartella clinica. Messaggero Veneto 11 aprile 2016 Attualità Giornata Internazionale Omeopatia sempre più popolare ne fanno uso soprattutto le donne Circa 30 milioni di confezioni vendute ogni anno con un fatturato di 330 milioni di euro L’Italia è al terzo posto sul mercato Ue, ma i prodotti non vengono rimborsati dal sistema sanitario di Cinzia Lucchelli. C’è chi è convinto che si tratti di acqua fresca e chi ne tesse gli elogi. Quando si tratta di omeopatia la discussione, prima di tutto tra gli addetti ai lavori, pare non avere fine e i toni si fanno accesi, particolarmente in Italia. In questo periodo dell’anno ci sono diverse iniziative per promuovere questa medicina complementare, culminanti oggi, giornata internazionale dell’omeopatia. La ricorrenza La data è stata fissata per ricordare il fondatore, Samuel Hahnemann, nato nell’aprile del 1775. Secondo la sua idea, la terapia si basa su dosi infinitesimali di sostanze che causano sintomi analoghi a quelli propri delle malattie da curare. I farmaci omeopatici sono diluiti e “dinamizzati”, vale a dire scossi in modo energico. La diluizione è tale, in alcuni casi, da eliminare tracce del principio attivo o da non poterne misurare più la presenza. Punto su cui fanno leva molti detrattori. Come Silvio Garattini 4 direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri, e autore del libro “Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere sull’omeopatia”. «Quando si utilizza come sostanza madre un prodotto tradizionale ufficiale, questo deve essere diluito almeno 100 volte. Questo può significare due cose: o utilizziamo i farmaci a dosi 100 volte superiore al necessario o si vuole che il prodotto non faccia nulla» spiega. In genere la tesi di chi sostiene l’omeopatia è che non si sia trovato ancora la spiegazione scientifica dei meccanismi d’azione. Insomma, dicono, è efficace ma non si è ancora capito esattamente il perché. Il mercato Di certo è nutrito il numero di chi ricorre ai medicinali omeopatici per curarsi. Questo nonostante il costo elevato dei singoli prodotti, in Italia non rimborsato dal Servizio sanitario pubblico, con l’eccezione della Toscana dove dal 2005 l’omeopatia è inserita nei Livelli essenziali di assistenza. Lo testimonia prima di tutto la stabilità nel tempo e la crescita del mercato (del 3% per il 2015). I medicinali in commercio dal 1995 sono 25mila, circa 30 milioni le confezioni vendute ogni anno. Il fatturato è a quota 330 milioni di euro l’anno per le vendite in farmacia. Secondo un’indagine Istat il nostro Paese si posiziona al terzo posto sul mercato dopo Francia e Germania, con il 4,1% degli italiani che ne fa uso. Si stima siano oltre 100 milioni le persone in Europa che scelgono farmaci omeopatici. Dell’utilità ed efficacia è convinta anche la Svizzera, il cui ministero dell’Interno ha da poco annunciato l’intenzione di inserire, dal maggio 2017, lo status di medicina convenzionale a cinque terapie complementari tra cui l’omeopatia. Il sondaggio Secondo un sondaggio recentissimo commissionato da Omeoimprese, l’associazione che riunisce le maggiori aziende italiane produttrici di farmaci omeopatici, a Emg Acqua, l’80% degli italiani conosce l’omeopatia, più del 20% ne utilizza i medicinali almeno una volta l’anno e il 4,5% con una frequenza quotidiana o settimanale. «Il 16,5% della popolazione italiana ne fa uso almeno una volta in un anno-­‐ spiega il presidente di Omeoimprese Giovanni Gorga, autore dell’“Elogio della omeopatia”. Questa percentuale segna un aumento dello 0,3% rispetto ai dati di un’indagine Doxa 2012. È una disciplina tra le più diffuse, una disciplina medica – continua Gorga – come stabilito dalla federazione nazionale degli ordini dei medici. È regolamentata da un punto di vista legislativo in tutta Europa. I medicinali sottostanno a precise norme di sicurezza». Il tipo omeopatico Il sondaggio, basato su 2 mila interviste, ci consegna anche un ritratto di chi usa rimedi omeopatici in Italia: donne più che uomini (60,4% degli users), per lo più tra i 35 e i 54 anni. Con un’istruzione superiore in oltre la metà dei casi (53,7%). Concentrati nel Nord-­‐Ovest (34,4%) e poi nel Nord Est (21,9%), Centro (16,2%), Sud (14,7%) e Isole (12,8%). Con i rimedi omeopatici gli italiani curano soprattutto riniti, raffreddori, influenze (63,6%), dolori articolari o muscolari (30,4%), allergie e problemi all’apparato respiratorio (21,8%). Il farmaco più popolare è l’arnica, usato più frequentemente dal 14,4% degli italiani. È tramontata la moda dei fiori di Bach, cui ricorre il 5.9% degli intervistati. In crescita anche l’utilizzo di farmaci omeopatici, soprattutto in pediatria. Quasi 3 italiani su dieci li utilizzano per i bimbi, in particolare dai sei anni in su, soprattutto per infezioni respiratorie. Percezione dell’omeopatia «I dati sono per noi molto positivi e interessanti, ma ci dicono che dobbiamo lavorare per cercare di informare sempre di più la popolazione su che cosa sia l’omeopatia – spiega Gorga -­‐. È fondamentale sottolineare che si tratta di una medicina che non sostituisce le cure tradizionali ma le integra e affianca in maniera naturale e seguendo le caratteristiche e le esigenze di ognuno». Interessante vedere come, sempre dal sondaggio commissionato da Omeoimprese, il maggior vantaggio rilevato dall’utilizzo di questi farmaci sia individuato nell’assenza di effetti collaterali e controindicazioni (18,2%) e nel non essere tossici (15,5%). Il 18,6% degli intervistati continua a pensare poi che l’omeopatia sia meno efficace della medicina tradizionale, mentre un altro 18% contesta il fatto che le terapie siano troppo lunghe. Chi cerca informazioni su questi medicinali e su come usarli ha come referente il farmacista (40,6%), non il medico. Normativa La Comunità europea ha emanato la direttiva 2001/83/CE con una parte dedicata ai medicinali omeopatici. «L’Italia ha iniziato un processo di regolamentazione, che in altri paesi si è già concluso, per mettere sotto il controllo 5 dell’Agenzia italiana del farmaco il medicinale omeopatico» spiega Gorga. La normativa comunitaria è stata attuata con il decreto legislativo 24 aprile 2006 numero 219. Ma anche qui le opinioni sono contrastanti: per Garattini «la legislazione italiana è centrata sulla sicurezza/non nocività del prodotto omeopatico e non sulla dimostrata capacità terapeutica». S. Giorgio di Nogaro Donazioni di sangue in caduta libera: mancano i giovani San Giorgio, il bilancio delle Afds: nel 2015 solo 385 prelievi Dati in calo a causa dell’assenza di ricambio generazionale di Francesca Artico. SAN GIORGIO DI NOGARO. Manca il ricambio generazionale tra i donatori di sangue. E, inevitabilmente, calano le donazioni. La sezione Donatori di sangue di San Giorgio di Nogaro lancia l’allarme sulla mancanza di giovani volontari che si iscrivano alle Afds per donare il sangue: nel 2015 (anno del 55° di fondazione) si sono iscritti 20 nuovi donatori, di cui 11 al di sotto dei 28 anni. E sono questi i donatori che mancano: va perdendosi, dunque, la cultura del dono. Come ha spiegato il presidente Fausto Scapinello, nella sua relazione all’assemblea annuale dei donatori sangiorgini, «a causa di questo trend le donazioni subiscono un calo, seppur in linea con l’andamento generale: nell’anno 2013 la nostra sezione ha raccolto 433 donazioni, nel 2014 ne sono state fatte 402, per scendere a 385 nel 2015». Attualmente, come indicato da Scapinello, la nostra sezione è costituita da 512 iscritti, «266 donatori attivi, 138 a riposo definitivo per patologia o età, 50 in sospeso perché sono più di due anni che non donano, 58 eliminati ma ancora negli elenchi, in procinto di essere cancellati -­‐ ha spiegato il presidente -­‐. Appartenenti a questi due gruppi sono donatori che possono essere attivi ma non si sa perché non donano. A rendere meno amari questi dati, anticipo che i primi tre mesi del 2016 sono in controtendenza, infatti sono state raccolte 114 donazioni in totale contro le 95 dello scorso anno nello stesso periodo: adesso bisogna vedere se questa tendenza si confermerà nell’anno». Scapinello, però non appare fiducioso, in quanto le nuove disposizioni in materia di raccolta del sangue e del plasma, «potrebbero portare a una diminuzione delle donazioni e dei donatori. Prima dell’ammissione al prelievo si dovrà riempire un questionario, molto restrittivo e selettivo, come previsto dalle nuove normative adottate dallo Stato italiano sulla base delle direttive europee in materia di reperimento di sangue ed emoderivati». Il presidente Afds ha quindi fatto un bilancio delle varie iniziative portate avanti nel corso del 2015, tra cui la partecipazione al congresso provinciale di San Daniele, con la presenza del gruppo dei donatori, ciclisti per l’occasione, con la maglietta della sezione: alcuni sono partiti da San Giorgio, con meta Martignacco, dove la seconda parte del gruppo aspettava. L’arrivo, tutti assieme, a San Daniele, al fine di sensibilizzare le persone al dono del sangue. «La nostra speranza, purtroppo non recepita -­‐ ha concluso Scapinello -­‐ era quella di coinvolgere anche altre sezioni. Proveremo a ripetere l’iniziativa per il congresso provinciale di Ampezzo». 6 Gorizia Mancano quattro medici Cardiologia in affanno Infortuni e trasferimenti hanno dimezzato la dotazione organica del reparto Il primario scrive all’Azienda sanitaria: turni garantiti solo per una settimana di Vincenzo Compagnone. GORIZIA. Un medico – il dottor Salvatore Accardo -­‐ si è trasferito il primo febbraio a Udine, un altro – il dottor Aldo Carbonari – nei giorni scorsi è caduto in bicicletta e si è fratturato bacino e clavicola (ne avrà per diversi mesi) e così il reparto di Cardiologia, già in sofferenza, dell’ospedale di Gorizia si è ritrovato improvvisamente con l’organico addirittura dimezzato: soltanto 4 sono gli specialisti che si alternano nei turni di notte, dal momento che uno ne è esentato per motivi di salute, a fronte di una “squadra” che dovrebbe annoverare otto medici più il primario. Proprio quest’ultimo, il dottor Flavio Faggioli, ha scritto subito una lettera alla direzione dell’Ass Bassa Friulana-­‐Isontina per far presente la precarietà della situazione, che coinvolge un settore molto delicato come quello della terapia intensiva (unità coronarica) e sub-­‐intensiva. I turni, al momento, sono garantiti per una settimana, dopodiché, in mancanza – come è scontato – di assunzioni – bisognerà molto probabilmente ricorrere ai gettonisti, che dovrebbero arrivare da altri nosocomi dell’Azienda per coprire i “buchi”. Il “dimagrimento” dell’organico dei cardiologi del San Giovanni di Dio, oltretutto, capita in un momento decisamente inopportuno, e cioè quando è alle viste il concorso per la nomina del nuovo primario unico dei reparti di Gorizia e Monfalcone. Va detto peraltro che la data della sua effettuazione non è stata ancora fissata e continua a slittare, dal momento che non si riesce, a causa delle rinunce a catena, a formare la commissione d’esame: un caso davvero insolito. Fatto sta che, originariamente preannunciato per aprile, il concorso (al quale si sono iscritti una dozzina di medici, fra cui i goriziani Faggioli e Roberto Marini, con il dato curioso rappresentato della partecipazione di uno specialista che lavora in prestigiose cliniche di Bruxelles, Gaetano Paparella) è ancora nel limbo e potrebbe svolgersi addirittura dopo maggio. Sarà il nuovo primario, come ha ripetutamente affermato il direttore generale dell’Ass Giovanni Pilati, a prendere, di concerto con i vertici aziendali, le importanti decisioni riguardo ai futuri assetti organizzativi della cardiologia al San Giovanni di Dio e al San Polo. Una nomina, quindi, molto attesa soprattutto per quel che concerne la dislocazione dell’Unità coronarica, con letti monitorati, prestazioni specialistiche e la guardia cardiologica sulle 24 ore: un servizio che Gorizia rivendica con forza ma che viene osteggiato da Monfalcone che non si accontenta di una presenza cardiologica diurna per visite urgenti e ambulatoriali, test ergometrici, ecografie e consulenze pre-­‐operatorie. Telesca al convegno dell'Anffas sull'autismo Un convegno intitolato “Disturbi dello spettro autistico e servizi alle famiglie: norme e difficoltà attuative sul territorio” si terrà oggi nella sala della Fondazione Carigo di via Carducci, con inizio alle 9, per iniziativa dell’Anffas (Associazione famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) di Gorizia, con il patrocinio della Consulta regionale dei disabili. Alle 11.30 è previsto l'intervento dell'assessore regionale alla sanità, Maria Sandra Telesca. In precedenza, con il coordinamento del presidente dell'Anffas Mario Brancati, interverranno Roberto Speziale (presidente nazionale Anffas), Marilena Francioso (responsabile Unità operativa età evolutiva e prevenzione handicap dell'Ass Bassa Friulana-­‐
Isontina), Raffaella Devescovi (dirigente medico di neuropsichiatria infantile al Burlo di Trieste), Rossella Zanetti (neuropsichiatra infantile dell'Aas Friuli Centrale) Elena Bulfone (presidente dei servizi di Progettoautismo Fvg) e Davide Del Duca (dg della Fondazione bambini e autismo onlus). 7 Sacile Progetto pilota nazionale in casa di riposo Domani e mercoledì un percorso formativo per 16 ricercatori. Il direttore: «È il primo in Italia» di Mario Modolo. SACILE. Continua a essere alla ribalta nazionale la casa di riposo di Sacile. La struttura residenziale di via Ettoreo, infatti, ospiterà una esperienza che viene realizzata per la prima volta in Italia. Domani e mercoledì sarà avviato nella struttura sacilese un percorso formativo per 16 ricercatori, selezionati dal gruppo Ottima senior in collaborazione con Sicurhouse, che proseguirà poi con una esperienza concreta sul campo. «L’esperienza – spiega il direttore della Casa di riposo – viene realizzata per la prima volta in Italia e porterà all’assegnazione di due borse di studio, una per la categoria professionale dei psicologi e l’altra per la categoria professionale dei terapisti occupazione. L’iniziativa, dedicata alla memoria di Moyra Jones, parte da Sacile dove da anni ormai nel nucleo giallo dedicato all’accoglienza di persone affette da patologie dementigene, si applica il cosiddetto metodo Gentlecare». I ricercatori, dopo le due giornate formative in riva al Livenza, svolgeranno la loro attività di studio in varie residenze protette. «Due – precisa il direttore – saranno impegnati nella realtà di Sacile. La casa di riposo, come è noto, a giorni si arricchirà di un nuovo servizio con l’entrata in funzione del centro diurno realizzato presso la casa di riposo di Sacile. Del nuovo servizio, definito un anello fondamentale nella filiera di assistenza all’anziano fragile, si parlerà, tra l’altro, nell’incontro che si terrà dpomani alle 17.30, nella sala riunioni della Casa del volontariato di via Ettoreo. Relatore sarà l’assistente sociale Paola Peruzzetto. L’iniziativa è promossa dalla sezione di Sacile dell’Associazione malati reumatici del Friuli Venezia Giulia. «La nuova struttura – sottolinea il presidente Enrico Marchiò – porta con sé fattori assai positivi in primis quello di offrire un aiuto concreto alle famiglie che possono contare su un servizio flessibile più vicino alle loro esigenze con frequenze settimanali o anche solo giornaliere. Il tutto come aiuto nell’assistenza di un loro caro pensando alla possibilità di farlo permanere il più possibile al proprio domicilio. Nel corso dell’incontro saranno illustrate nel dettaglio le caratteristiche di questo nuovo servizio, le finalità, le modalità ed i criteri di accesso ed ogni altro aspetto di utilità alla cittadinanza». Per l’apertura del nuovo servizio nei giorni scorsi da Trieste è giunta finalmente l’attesa autorizzazione. «La Regione – ha anticipato in proposito il sindaco Roberto Ceraolo – ha autorizzato il Centro diurno ed i contributi pubblici previsti per l’utenza». Ormai quindi è solo questione di giorni per l’inizio dell’attività di un servizio molto atteso in riva al Livenza e per il quale nelle ultime settimane le polemiche si sono sprecate stante la ritardata apertura. Ritardo dovuto, come è noto, a nuove norme. Cavasso Presto il cantiere per il centro Alzheimer Cavasso, l’investimento sarà di 3,9 milioni di euro. Il presidente Tomizza: altri lavori per l’efficienza di Giulia Sacchi. CAVASSO. Cantiere in vista per il centro Alzheimer all’interno della casa di riposo di Cavasso-­‐Fanna e nuovi interventi nella casa per anziani per renderla più efficiente e abbattere i costi delle bollette. Il 20 aprile sarà compiuto un altro passo avanti nell’iter per la realizzazione del centro che accoglierà 17 soggetti con patologie dementigene, assistiti coi più moderni metodi di cura: si procederà con l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto integrato. L’investimento per i lavori, che partiranno tra tre mesi, è di 3,9 milioni di euro, garantiti dalla Regione nel 2012. La struttura subirà un ampliamento per creare la nuova area, che risulterà appartata rispetto allo stabile principale, in modo tale che ci sia uno spazio per garantire la privacy ai pazienti affetti da Alzheimer, e sarà dotata di giardino. Intanto, in casa di riposo sono stati messi in cantieri altri interventi per rendere l’edificio sempre più efficiente, 8 cercando anche di installare dispositivi in grado di abbattere i costi. Con un investimento di 102 mila euro – di cui 70 mila garantiti dalla Provincia e 32 mila dalla Fondazione Crup – è stata rinnovata la centrale termica. «Sino allo scorso anno, il funzionamento della centrale termica era costantemente a rischio, dato che le caldaie avevano più di vent’anni, erano state riparate più volte e potevano collassare in qualsiasi momento – spiega il presidente dell’Asp di Cavasso Nuovo-­‐Fanna e Sequals, Ennio Tomizza –. La preoccupazione era grande, visto che la struttura ospita 91 persone anziane. L’Asp avrebbe dovuto indebitarsi per sostenere l’intervento, che invece è stato coperto da Fondazione Crup, presieduta da Lionello D’Agostino, e Provincia (il contributo è stato garantito dall’esecutivo Ciriani), che ringraziamo». La centrate termica, completamente rifatta, si compone di due moderne caldaie a condensazione ed è stata predisposta per ospitare un cogeneratore, mentre in tutte le camere sono state installate moderne valvole di regolazione. «Il risparmio di combustibile ottenuto nei mesi invernali è di circa 200 euro al mese – prosegue Tomizza –. Non appena sarà istallato il cogeneratore, si stima un ulteriore risparmio di circa 12 euro annui. L’intervento, insomma, ha permesso maggiore confort per gli ospiti della residenza, efficienza energetica e conseguente risparmio economico da reinvestire in servizi». La Nuova -­‐ Venezia 11 aprile 2016 Portogruaro Punto nascita, oggi il sit-­‐in delle mamme Portogruaro. Dalle 9 la manifestazione davanti all’ingresso dell’ospedale: «Vogliamo la riapertura» PORTOGRUARO. Riapertura del Punto nascita dell’ospedale di Portogruaro, questa mattina dalle 9 è prevista la manifestazione per chiedere che le promesse dell’Asl 10 vengano mantenute. Dura presa di posizione alla vigilia, da parte dellle mamme che formano il comitato “I fiocchi sopra le gru” che organizzano il sit-­‐in. «Siamo stanche dei proclami», dicono le mamme, «la politica del territorio deve essere vicina alle nostre esigenze». Il sit-­‐in in via Piemonte, all’ingresso del nosocomio, coninuerà fino alle 17. Saranno moltissime le madri e non solo loro presenti; si calcola possano essere più di mille, nell’arco dell’intera giornata. Alle 11.30, secondo il programma sono previsti alcuni discorsi. Alla vigilia dell’importante manifestazione, che vuole segnare una svolta nel rapporto tra istituzioni e cittadini, la portavoce del comitato Liria Bettiol, ha voluto compiere un’importante precisazione sul sit-­‐in, che sarà caratterizzato dalla presenza di due colori, l’azzurro e il rosa, con cui si identificano i maschietti e le femminucce. Ci saranno centinaia e centinaia di palloncini colorati, pronti per essere liberati verso il cielo di Portogruaro. «Vogliamo tornino ad esserci l’azzurro e il rosa. Chiediamo la partecipazione di tutte le rappresentanze politiche indipendente dal fatto che siedano a destra o a sinistra, maggioranza od opposizione». «Questo sit-­‐in non vuole essere una manifestazione politica», sottolinea Liria Bettiol, «ma un’occasione per tutta la politica del territorio, per essere vicina e attenta ai diritti dei loro concittadini. Noi donne di Portogruaro siamo stanche di meri annunci politici e vogliamo un confronto chiarificatore». Ha aderito al sit-­‐in anche il comitato «Salute, bene primario». «Per primi», ricorda il referente Adriano Moro, «avevamo sollecitato la riapertura del Punto nascita. È impensabile che il nostro mandamento venga privato di un servizio sanitario di tale importanza. Noi rivolgiamo un appello a tutta la cittadinanza, alle forze politiche e sindacali, alle associazioni di volontariato affinchè partecipino alla manifestazione indetta dal Comitato “I fiocchi sopra le gru” per chiedere venga mantenuto il servizio di Ostetricia e assicurata l’eccellenza richiesta dai cittadini nell’erogazione dei servizi sanitari». Rosario Padovano 9