DEMOCRAZIE LIBERALI IN CRISI DI FIDUCIA

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DEMOCRAZIE
LIBERALI
IN CRISI DI FIDUCIA
GIOVANNI SABBATUCCI
I
quaranta capi di Stato e di
governo che si incontrano
oggi a Davos per discutere
- questo il programma - sul
futuro della «quarta rivolu-
zione industriale» dovranno
in realtà affrontare un quadro della situazione mondiale tutt'altro che tranquillizzante, e non solo sul piano
economico. I crediti deteriorati e le sofferenze bancarie,
lo spettro della deflazione, il
crollo del prezzo del petrolio
e le Borse a picco, la Cina che
rallenta la sua corsa e i contrasti sempre più aspri fra i
partner dell'Unione europea.
CONTINUAAPAGINA21
DEMOCRAZIE
LIBERALI
IN CRISI DI FIDUCIA
E
poi la congenita debolezza delle democrazie
occidentali nel confronto con i ricchi e potenti
regimi autoritari dell'Est. Le
turbolenze di queste ultime
settimane ci dicono che la
crisi recessiva scoppiata nel
2007-2008 non è affatto finita, anche se ha forse superato la sua fase più acuta: anzi
minaccia di eguagliare per
durata la Grande Crisi per
antonomasia: quella esplosa
nell'ottobre 1929 col crollo
azionario di Wall Street e
protrattasi per tutto il decennio successivo, fino a
confluire nel gran fiume infernale della seconda guerra
mondiale.
Le due crisi sono molto diverse per le cause che le hanno originate, per i metodi
usati per combatterle e anche per le conseguenze che
hanno provocato (l'attuale,
per quanto drammatica, non
ha finora suscitato, almeno in
Europa e negli Usa, guerre e
tragedie sociali paragonabili
a quelle degli Anni Trenta).
Ma un tratto comune c'è di
sicuro, e propone un parallelismo inquietante. Oggi come
allora, la crisi, man mano che
si prolunga, incrina gravemente, assieme alle aspettative di benessere dei cittadini, anche la loro fiducia nelle
istituzioni democratiche e
rappresentative. Più esattamente in quella forma istitu-
zionale, sempre più largamente praticata nel mondo
occidentale, che siamo abituati a chiamare «democrazia liberale»: in estrema sintesi, il suffragio universale e
la rappresentanza parlamentare combinati con la distinzione fra i poteri e il rispetto
dei diritti fondamentali.
La democrazia così declinata si presenta spesso in
forma ibrida e imperfetta.
Del resto non è stata mai
compiutamente teorizzata diversamente dalla dottrina
liberale, da Locke e Montesquieu in poi - e non è stata
(salvo forse che nei Paesi anglosassoni) oggetto di adesione fideistica e di rappresentazione mitografica, come era invece la democrazia
giacobina o mazziniana, che
però liberale non era e si presentava come l'instaurazione
del regno della virtù. La democrazia liberale non ha mai promesso il paradiso in terra: si è
affermata piuttosto come il regime della normalità e del
pragmatismo, come un sistema di regole volto a sostituire
il conflitto armato per il potere
con la pacifica rappresentazione del conflitto attraverso lo
strumento delle libere elezioni. Ma questa sua apparente
carenza di valori forti, questa
sua inevitabile permeabilità ai
fenomeni corruttivi hanno suscitato moti di delusione an-
ATTUALITÀ
che violenti, ai quali è sopravvissuta - nella belle epoque come nell'«età dell'oro» del secondo dopoguerra - grazie alla
sua capacità di abbinarsi col
benessere diffuso e col progresso materiale.
Non stupisce allora che in
tempi di crisi economica quella normalità si incrini, che i cittadini tendano ad attribuire la
responsabilità delle loro traversie non solo ai partiti e ai
governi, ma anche a istituzioni
ritenute troppo deboli e incapaci di tutelare i loro valori e i
loro interessi. E comincino a
guardare con qualche interesse agli esempi degli Stati autoritari che promettono ordine
ed efficienza. Così accadde nei
terribili Anni Trenta, quando i
regimi comunisti e nazifascisti
esercitarono su larghe fette
delle opinioni pubbliche un fascino oggi difficilmente spiegabile. Ora le cose stanno diversamente: perché la storia
non si ripete mai negli stessi
termini; e perché quei regimi
l'Europa li ha già conosciuti. E
sono tutti finiti molto male.
Ma ciò non esclude che i delusi e i pessimisti possano rivolgersi (sta già accadendo in
Europa orientale) a modelli di
autoritarismo più blandi, considerati di successo, come Cina e Russia. 0 che, al contrario, cerchino soluzioni diverse
in movimenti di tipo nuovo, accomunati, al di là delle diffe-
renze ideologiche, dalla contestazione delle forme tradizionali di rappresentanza e dalla
tendenza a proporre soluzioni
semplicistiche ai problemi più
complessi. Per la vecchia, e
tuttora insostituibile, democrazia liberale, si annunciano
ancora tempi difficili.
Con questo articolo Giovanni
Sabbatucci, storico e docente
universitario, comincia la sua
collaborazione con «La Stampa».
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