Il Piccolo 8 gennaio 2016 Depressione, si vive 20 anni meno Morte

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Il Piccolo 8 gennaio 2016 Attualità Depressione, si vive 20 anni meno Aumenta del 40-­‐60% il rischio di morte prematura in chi ne soffre ROMA. È la depressione, seguita dall’ansia, il disturbo mentale più frequente, che incide pesantemente su qualità ma anche sulla durata della vita: ruba in media ben 20 anni. A ribadire che la salute è fatta di benessere fisico e anche psicologico, è l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che, nel Piano per la Salute mentale 2013-­‐2020, appena pubblicato sul sito del Ministero della Salute, rilancia la sfida di una «risposta globale» al problema e denuncia: «ancora troppe poche persone hanno accesso ai trattamenti». La depressione riporta l’Oms, «è una delle principali cause di disabilità a livello mondiale», più frequente nelle donne e tra persone disagiate economicamente. Troppo spesso taciuta, ha conseguenze che non vanno sottovalutate: «aumenta del 40-­‐60% rispetto al resto della popolazione il rischio di morte prematura» e «riduce l’aspettativa di vita di circa 20 anni». La mortalità tende a essere più elevata non solo perché aumenta il rischio di suicidio ma anche perché spesso è accompagnata da «tabagismo, sedentarietà, alimentazione squilibrata, consumo eccessivo di alcol e altre sostanze». Pertanto influisce su altre malattie, quali cancro, obesità e patologie cardiovascolari. A sua volta, inoltre, ne è influenzata: chi è malato tende a deprimersi. Oltre alla depressione ci sono però anche altri frequenti problemi psicologici, come ansia, disturbi bipolari, schizofrenia, dipendenze. Complessivamente, nella popolazione europea, secondo il Piano d’Azione Europeo per la Salute Mentale, messo a punto sempre dall’Oms, «i disturbi mentali rappresentano di gran lunga la principale categoria di malattie croniche, pari a poco meno del 40%. Il disturbo depressivo rappresenta da solo il 13,7% del carico di malattia ed è quindi la più diffusa malattia cronica in Europa». Morte di parto: ospedali tutti scagionati ROMA. Sarebbero scagionati da ogni diretta responsabilità i quattro ospedali dove, nella settimana a cavallo di Natale, sono decedute altrettante donne in sala parto con i piccoli che portavano in grembo. Questa, secondo prime indiscrezioni, la conclusione degli ispettori della task force ministeriale inviata dal ministro Beatrice Lorenzin nei nosocomi teatro delle tragedie per far luce sull’accaduto, mentre le relazioni definitive dovrebbero giungere al ministero della Salute nei prossimi giorni. Non risulterebbero dunque, al momento, particolari responsabilità dirette a carico degli ospedali di San Bonifacio (Verona), dove è morta in sala parto Anna Massignan incinta all’ottavo mese; dell’ospedale di Bassano del Grappa, dove gli ispettori hanno indagato sul decesso di Marta Lazzarin in una gravidanza arrivata alla ventisettesima settimana; dell’ospedale S.Anna di Torino, dove è morta Angela Nesta, e dell’ospedale di Brescia dove è deceduta Giovanna Lazzari. In quest’ultimo caso, come già reso noto dal direttore generale degli Spedali Civili di Brescia, Ezio Belleri, la causa del decesso è dovuta ad un’infezione batterica. Conclusioni che confermerebbero la prima lettura dei fatti data nei giorni scorsi dallo stesso ministro Lorenzin, secondo la quale il tragico susseguirsi di decessi potrebbe essere «una drammatica casualità, alla quale bisogna però dare risposte». La tragica lista delle donne morte in gravidanza si è però allungata nei giorni scorsi con altri tre casi. 1 Gorizia Pronto soccorso occupato da bambini “orfani” di pediatria Genitori costretti a portarli all’ospedale civile per la chiusura anticipata del presidio infantile. «Gorizia come una città di serie B». Romoli: servizio dimezzato di Francesco Fain. Oggi il reparto di Pediatria chiude alle 18: qualsiasi cosa accada dopo questo orario ci si deve rivolgere al Pronto soccorso del San Giovanni di Dio, o al reparto di Pediatria di Monfalcone secondo i protocolli oppure a un altro ospedale regionale. Il più delle volte, visto che il tragitto da percorrere ha la sua importanza nel caso di un bambino bisognoso di cure, ci si rivolge all’astanteria di Gorizia. Il risultato? Bambini, magari con lievi ferite causate dalla loro esuberanza, si ritrovano in fila assieme ad anziani con la broncopolmonite o pazienti con ferite sanguinanti. Succede spesso. Succede quasi ogni giorno. Ci sono 4.092 bambini (solo a Gorizia) e sguarnire un presidio sanitario di riferimento rappresenta un vero e proprio rischio per la salute della fascia che, per antonomasia, è la più debole. E così viene rivolta alla Regione una richiesta pressante: va aperto anche a Gorizia, a mò di risarcimento per la chiusura del Punto nascita, un Pronto soccorso pediatrico, disponibile 24 ore su 24. La triste realtà attuale, infatti, è quella di una Pediatria dimezzata, come la definiscono tante mamme che si ritrovano ad essere spedite, con il proprio pargolo malato, a Monfalcone se non addirittura al Burlo Garofolo a Trieste. E la rabbia sale. «Gorizia è stata trattata in questa vicenda come una città di serie B: poche storie. Il reparto è stato scarnificato -­‐ tuona Genj Furlan, presidente del comitato "Voglio nascere a Gorizia" -­‐. Il personale fa quello che può ma a mancare sono persino le dotazioni. Serve un Pronto soccorso pediatrico: non si può spedire i bambini in mezzo agli adulti feriti e sofferenti». E segnalazioni di un reparto, quello di Pediatria, che funziona a singhiozzo continuano ad arrivare alla nostra redazione da parte di genitori che definire "arrabbiati" è un eufemismo. Pure l’amministrazione comunale vuole dare battaglia. Anzi, anche in occasione della recente presentazione della programmazione 2016 dell’Aas Bassa Friulana-­‐Isontinaq, il sindaco Ettore Romoli ha portato sul tavolo la questione. «Ho ancora nelle orecchie le parole di Serracchiani e Telesca quando incontrarono il Consiglio comunale. Rassicurarono l'uditorio che sarebbero rimasti gli ambulatori di Pediatria e Ginecologia. Oggi abbiamo un reparto che chiude alle 18: qualsiasi cosa accada dopo questo orario ci si deve rivolgere a Monfalcone secondo i protocolli oppure ad un altro ospedale regionale. Ho chiesto più volte al direttore generale dell'Ass unica Giovanni Pilati di prorogare la chiusura almeno sino alle 20: ritengo sia una maniera per venire incontro alle necessità di mamme e figli. Risultati? Nessuno». Altra necessità richiesta con forza dai genitori goriziani e fatta propria dall'amministrazione comunale è la necessità di predisporre un Pronto soccorso pediatrico. È capitato molte volte che, soprattutto nei fine settimana (quando i pediatri di libera scelta sono, nella maggior parte, irreperibili), mamme e papà dovessero rivolgersi alla Guardia medica per un forte attacco febbrile o altri disturbi del proprio bambino. «Pediatria deve diventare un servizio effettivo, non dimezzato -­‐ tuona il primo cittadino -­‐. Si dia vita a un protocollo per il quale le impellenze "normali" vengono gestite a Gorizia mentre soltanto i casi più complicati o eccezionali vengono girati al Burlo Garofolo». «Infermieri dell Aas Isontina dirottati in carcere» «Dal primo gennaio 2016 l'Aas 2 Bassa friulana-­‐isontina ha incaricato il distretto Alto isontino di occuparsi dell'assistenza infermieristica presso le carceri di via Barzellini di Gorizia, come da decreto del ministero del 2008 che dispone il passaggio di tale assistenza alle aziende sanitarie». Lo rende noto il vicecapogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale Rodolfo Ziberna, che aggiunge: «Lo scorso anno tale assistenza veniva erogata da due infermieri assunti in convenzione (come lo sono del resto i due medici che attualmente lavorano lì) per 50 ore settimanali, ma la convenzione è venuta a scadere lo scorso 31 dicembre; pertanto, 2 l'obbligo di assistenza pesa ora completamente sulle spalle dell'Aas 2 Bassa friulana-­‐isontina». «Il personale infermieristico, che a rotazione dovrà ora farsi carico del servizio -­‐ denuncia il consigliere regionale azzurro -­‐ solo negli ultimi giorni di dicembre è stato messo a conoscenza dei nuovi obblighi, nonostante la rivoluzione che ciò ha determinato nei servizi e nei turni, che ad esempio saranno resi anche la domenica pomeriggio. L'assistenza presso le carceri viene assicurata da infermiere donne, mentre i convenzionati erano due uomini, con un'organizzazione tutta particolare come può essere quella carceraria». «Nel distretto Alto isontino -­‐ così ancora Ziberna -­‐ attualmente lavorano 18 infermiere che coprono tutto il territorio, anche con ambulatori territoriali, che prevedono una chiusura di ben tre ambulatori infermieristici territoriali su cinque per la necessità di far fronte al nuovo carico di lavoro. Nel carcere attualmente sono autorizzate solo otto infermiere, che ruoteranno tutto il mese, sabato e festivi compresi». «Potenzieremo i quattro poli ospedalieri» Il primo obiettivo è l’apertura dei Centri di assistenza primaria a Cormons, Grado e nella Bassa Nel 2016 la riorganizzazione dell'Azienda per l'Assistenza Sanitaria (AAS) n. 2 Bassa Friulana-­‐
Isontina proseguirà puntando al rafforzamento dei quattro poli ospedalieri con funzioni differenti, come prevede l'atto aziendale, e dei servizi territoriali. È quanto emerso dall'incontro della presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e dell'assessore regionale alla Salute Maria Sandra Telesca con il direttore dell'AAS n. 2 Giovanni Pilati, incontro che si è tenuto lunedì scorso nella sede della Regione a Udine. Per quanto riguarda il territorio, dopo gli ulteriori 43 posti letto attivati in tutta l'Aas tra riabilitazione estensiva ospedaliera e residenze Sanitarie assistenziali (RSA), l'obiettivo del 2016 è l'apertura dei Centri di assistenza primaria (CAP) a Grado, Cormons, Latisana e Cervignano e l'ampliamento (fino al raddoppio) della rete degli infermieri di comunità. Sul Punto nascita di Latisana la Giunta regionale è in attesa dei documenti tecnici in corso di elaborazione da parte del gruppo di lavoro. L'incontro è servito anche per tracciare una linea sui risultati raggiunti nel 2015, anno che si è chiuso con la riorganizzazione ospedaliera tra le sedi di Gorizia e Monfalcone e di Palmanova e Latisana. Il riordino, come è stato evidenziato, ha permesso di lasciare intatti i servizi esistenti e di attivarne di nuovi. In particolare sono stati resi disponibili nove posti letto per gli stati di minima coscienza (a Gorizia), 20 posti letto tra Rsa e riabilitazione (a Monfalcone), 14 posti letto di riabilitazione (a Palmanova) e la nuova dialisi a Latisana. Infine, è stato ricordato, che per il polo di Monfalcone è stato acquistato un importante macchinario: un videobroncoscopio per le malattie amianto correlate. Messaggero Veneto 8 gennaio 2016 Udine La Regione: fusione ok Ora nuovi infermieri Sopralluogo dei vertici regionali che promuovo l’integrazione con l’università Il nuovo Centro laboratori e servizi permette risparmi del 20 per cento di Giulia Zanello. L’integrazione tra risorse ospedaliere e universitarie all’ospedale di Udine funziona e il nuovo Centro servizi e laboratori (Csl) realizzato all’interno dell’azienda ospedaliero-­‐universitaria Santa Maria della Misericordia ne è un esempio concreto. Parola dell’assessore regionale alla Salute Maria Sandra Telesca, che commenta con entusiasmo il decollo della piattaforma logistica che, grazie alla sinergia delle diverse competenze medico-­‐
scientifiche e di tecnologie avanzate, consente di eseguire esami di routine e allo stesso tempo analisi di altissima specializzazione in tempi piuttosto rapidi. La conferma è giunta ieri nel 3 corso della visita alla nuova struttura di servizio compiuta dalla presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e dall’assessore Telesca, accompagnate dal commissario straordinario dell’Azienda ospedaliero-­‐universitaria Santa Maria della Misericordia Mauro Delendi e dal direttore del Dipartimento di Medicina di laboratorio Francesco Curcio: un sopralluogo alla struttura, attiva dal dicembre 2013. Il complesso tecnologico che prevede l’accentramento delle analisi degli esami di laboratorio, pur mantenendo i presidi di prelievo sul territorio, garantisce al cittadino più sicurezza, migliori risposte, maggiore efficienza del servizio, senza dimenticare una riduzione dei costi (dopo un anno di attività del Csl è stato già stimato un risparmio di circa il 20 per cento). La fotografia di quelli che vogliono essere gli obiettivi della riforma sanitaria, secondo la presidente della Regione, Debora Serracchiani: «Il nuovo centro – ha affermato la presidente – tocca con mano gli effetti positivi della riforma che, mettendo insieme risorse, e competenze, lavora nell’interesse dei cittadini non solo per abbassare i costi ma per aumentare efficienza e qualità dei servizi». Un centro, ha aggiunto la presidente, «unico in tutta Italia, che rappresenta il futuro della medicina e consente ai cittadini di continuare a servirsi dei presidi territoriali, ottenendo risposte più puntuali grazie anche alla standardizzazione dei processi». Nel dipartimento dei laboratori, «il personale ospedaliero sta lavorando assieme a quello universitario senza differenze – ha osservato l’assessore regionale –, a dimostrazione che qui, oggi, l’integrazione in buona parte c’è e prosegue anche molto bene». La strada è lunga, ma molti passi sono stati fatti e «a breve – informa Telesca – chiuderemo il protocollo d’intesa tra Regione e università, dove saranno contenute le nuove regole per l’integrazione». Anche sul fronte della carenza di personale infermieristico ci sono buone novità: «Le riorganizzazioni cominciano a dare i primi frutti, noi comunque prevediamo assunzioni -­‐ ha assicurato Telesca -­‐. Il concorso dedicato agli infermieri si dovrebbe concludere a primavera e da quello attingeremo per incrementare diverse unità. Siamo partiti con un numero di 170, ma saranno di più perché dobbiamo reintegrare le cessazioni e garantire il rispetto della direttiva europea sui riposi, che vale per i medici ma anche per il resto del personale sanitario». Una sessantina di tecnici al lavor sugli esami clinici Dal 1 gennaio, tutto il personale tecnico e laureato dei laboratori che partecipano al Lui, che conta circa una sessantina di professionisti, è transitato giuridicamente alle dipendenze dell’Azienda ospedaliero universitaria, programmando un contingente sufficiente a garantire le funzioni necessarie nelle sedi periferiche. Si tratta della fase conclusiva di un percorso di preparazione che ha impegnato parte del 2014 e l’intero 2015 e fa seguito agli accordi con le organizzazioni sindacali del comparto e della dirigenza. Il pannello di esami che continuerà ad essere garantito nelle diverse sedi periferiche, ciascuna delle quali manterrà un laboratorio adeguato alle esigenze, in grado di rispondere in tempi rapidissimi ai quesiti clinici per i degenti nei diversi presidi ospedalieri, è già stato definito. (g.z.) Ogni giorno 4 mila referti È l’obiettivo cui punta il Laboratorio unico interaziendale Tanti punti di prelievo sul territorio, un’unica sede per l’elaborazione dei referti. Con il trasferimento delle funzioni di laboratorio anche dagli ospedali di Latisana, San Daniele, Tolmezzo e Palmanova è decollato il progetto del Laboratorio unico interaziendale (Lui). Si tratta di un laboratorio unico – ospitato sempre al Centro servizi e laboratori dell’Azienda ospedaliera – che accentra le funzioni di analisi delle “sedi periferiche”, consentendo al cittadino di continuare a fare prelievi sul territorio mentre i referti verranno elaborati a Udine, con parametri e competenze condivise. A illustrare gli step che hanno portato alla realizzazione e all’avvio del Lui, il direttore del Dipartimento di Medicina di laboratorio Francesco Curcio: «Grazie a un’attenta programmazione nello sviluppo e nell’utilizzo delle 4 tecnologie, all’uso ottimale degli spazi progettati e all’adozione di un’organizzazione di lavoro fondata sull’integrazione di tecnologie e personale, abbiamo ottenuto una crescita armonica delle attività, che ha consentito di assorbire i campioni provenienti dai punti prelievo di Aas4 e di Palmanova, passando da circa 2 mila referti di laboratorio al giorno nel 2014 ai 3 mila attuali». Numeri destinati a salire: «si giungerà a sfiorare i 4 mila referti -­‐ ha aggiunto il direttore del dipartimento -­‐ non appena sarà completato il percorso con l’acquisizione degli ulteriori campioni per esterni, gestiti al momento dai laboratori periferici dei presidi che fanno parte del Lui». Dopo Palmanova, che già da un mese conferisce campioni esterni, la prossima settimana sarà la volta di Latisana, tra due mesi Tolmezzo e infine, entro maggio, San Daniele. (g.z.) S. Daniele Attese in ospedale, ecco i numeri Stridono i 490 giorni per una mammografia bilaterale, ma l’Aas 3 minimizza: un esame per poche di Anna Casasola. SAN DANIELE. Per poter effettuare una mammografia bilaterale programmata a San Daniele è necessario aspettare ben oltre un anno: ben 490 giorni. Un tempo che fa guadagnare la maglia nera per questo tipo di esame diagnostico al Sant’Antonio che fa peggio di tutte le altre strutture pubbliche e private convenzionate del Friuli Venezia Giulia. Il dato è quello pubblicato nella sezione “tempi d’attesa e prenotazioni online” presente sul sito internet dell’Azienda per l’assistenza sanitaria 3 Alto Friuli-­‐Collinare-­‐Medio Friuli. Guardando alle vicine strutture di Gemona e Tolmezzo i dati sono assolutamente più confortanti per quel tipo di prestazione: cinque i giorni di attesa a Gemona e sette a Tolmezzo. Ma com’è possibile che al Sant’Antonio vi sia una tempistica assolutamente biblica? A interpretare il dato è il direttore sanitario dell’Aas 3 Luca Lattuada che precisa subito come si tratti di un numero assolutamente fuorviante e per nulla preoccupante. «Va chiarito – spiega il direttore – che si tratta di un dato che interessa una quantità risibile di persone ovvero quelle donne che non hanno alcun sintomo e non aderiscono allo screening mammografico promosso dalla Regione». Per Lattuada dunque si tratterebbe di una percentuale assolutamente irrilevante quella delle persone che percorrono questo tipo di strada. Nel caso dell’esame in questione, ovvero della prescrizione di una mammografia, fondamentale per la diagnosi del tumore al seno, «ci sono – spiega – due possibilità: il caso sintomatico e quello asintomatico. Nel primo, dalla visita all’esecuzione dell’esame a volte non passano nemmeno 24 ore. Nel secondo caso invece vi sono sia le donne comprese tra i 50 e 70 anni già “coperte” dalla screening mammografico regionale che quelle tra i 40 e 49 anni che si presentano con appuntamento preso direttamente dalla radiologia. Per cui nel dato “490” vi è ricompresa una parte assolutamente risibile di donne». Quanto alle altre prestazioni erogate, il Sant’Antonio è assolutamente in linea con gli altri centri della nostra regione e, in alcuni casi, ha tempi d’attesa di pochissimi giorni. Una prestazione che ha subito un forte tonfo nel 2015 è quella relativa alla colonscopia (colonscopia endoscopio flessibile): 182 i giorni di attesa a San Daniele, 7 a Gemona e 202 a Tolmezzo. Per quel tipo di esame è necessario un medico specialista: il gastroenterologo. «A San Daniele – spiega Lattuada – su 7 se ne sono andati in 3, per cui i tempi di attesa si sono inevitabilmente allungati». Una situazione che però ha il tempo contato visto che l’Aas 3 è già corsa ai ripari. «Un nuovo gastroenterologo è appena arrivato – annuncia Lattuada – e per un altro dovrebbe essere in corso una procedura di mobilità. A breve, dunque, i tempi saranno ridotti drasticamente». 5 Gorizia Assistenza infermieristica in carcere, ci pensa l’Aas 2 «Dal primo gennaio 2016 l'Aas 2 Bassa friulana-­‐Isontina ha incaricato il distretto Alto Isontino di occuparsi dell'assistenza infermieristica presso le carceri di via Barzellini di Gorizia, come da decreto del ministero del 2008 che dispone il passaggio di tale assistenza alle aziende sanitarie. Questo ulteriore impoverimento di personale infermieristico avviene proprio nel momento in cui è massima l’esigenza di infermieri su tutto il territorio regionale, anche a causa di una miope e colpevole capacità programmatoria di questa giunta regionale, la quale per fare cassa non ha assunto personale medico ed infermieristico producendo grave nocumento alla cittadinanza». A dirlo è il vicecapogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale, Rodolfo Ziberna. «Lo scorso anno -­‐ prosegue l’esponente azzurro -­‐ tale assistenza veniva erogata da due infermieri assunti in convenzione (come lo sono del resto i due medici attualmente che lavorano lì) per 50 ore settimanali, ma la convenzione è venuta a scadere lo scorso 31 dicembre e pertanto l’obbligo di assistenza pesa ora completamente sulle spalle dell’Aas 2». Secondo quanto indicato da Ziberna, che sulla questione ha presentato un’interrogazione rivolta alla presidente della Regione Serracchiani e all’assessore alla Salute Telesca, «il personale infermieristico, che a rotazione dovrà ora farsi carico del servizio solo negli ultimi giorni di dicembre è stato messo a conoscenza dei nuovi obblighi, nonostante la rivoluzione che ciò ha determinato nei servizi e nei turni, che ad esempio saranno resi anche la domenica pomeriggio. L’assistenza presso le carceri viene assicurata da infermiere donne, mentre i convenzionati erano due uomini, con un'organizzazione tutta particolare come può essere quella carceraria». (chr.s.) Pordenone Medici ospedalieri sul piede di guerra: «Sanità declassata» La Cimo, sindacato dei camici bianchi, attacca il piano 2016 «Pordenone non è un hub, meno servizi a Sacile e Maniago» di Donatella Schettini. La Cimo, sindacato dei medici ospedalieri, esprime forti critiche al Pal, il piano attuativo per il 2016 presentato dalla Azienda per l’assistenza sanitaria 5 di Pordenone. Troppe riduzioni e un ospedale che ben lontano dall’essere un hub di riferimento di primo livello, si avvia a diventare un ospedale di rete. Già in passato la Confederazione italiana medici ospedalieri aveva espresso critiche alla riforma sanitaria regionale per una riduzione dei servizi. «Il piano attuativo presentato dalla direzione aziendale – afferma il segretario regionale Francesco Di Nunzio –, in osservanza alle direttive imposte dalla giunta regionale, ha confermato i timori espressi». Tagli. Il documento prende in esame le unità operative complesse di cui si elenca la eliminazione: medicina interna 2 a Pordenone, medicina interna e post acuzie a Sacile, la chirurgia generale Ii a Pordenone e Spilimbergo, la medicina nucleare e radiologia interventistica, oncologia di Pordenone e quella di San Vito al Tagliamento e 6 Spilimbergo. Posti letto. Ne vengono eliminati 69. «La riduzione – prosegue il segretario regionale – incide in modo particolare sui posti letto per i ricoveri ordinari in medicina, il cui numero verrà ridotto a 176. A nostro avviso tale disponibilità di posti letto per un territorio ampio e con 315 mila abitanti risulterà di certo insufficiente, con il rischio di attivazione di processi spinti di turnover di pazienti, di ricoveri fuori reparto, di un complessivo peggioramento dell’albergaggio e di trasferimenti presso altre strutture sanitarie». Pronto soccorso. «Dopo la chiusura del pronto soccorso di Maniago, sarà eliminato anche quello della sede ospedaliera di Sacile – prosegue il sindacato dei medici ospedalieri –, che viene privata anche dell’auto medicalizzata notturna. A nostro parere sarebbe stato invece opportuno potenziare tali attività, considerato che gli accessi in pronto soccorso nel 2013 sono stati 6 mila 913 a Sacile (3 mila 578 nei primi sei mesi del 2014) e 5 mila 688 a Maniago (2 mila356 nei primi sei mesi del 2014)». Hub. Secondo la Cimo il Pal non tiene in debito conto del piano dell’emergenza urgenza della Regione che stabilisce le condizioni per essere hub di primo livello come è considerato Pordenone. Per esserlo deve assicurare tutti i giorni dell’anno alcune attività sulle 24 ore. Sono cardiologia con emodinamica «ma il piano invece sopprime la struttura semplice dipartimentale di interventistica cardiovascolare; radiologia con interventistica endovascolare «ma il piano – sostiene la Cimo – elimina la struttura complessa di radiologia Interventistica riducendola al rango di struttura semplice e non assicura la copertura operativa nelle 24 ore». Infine la chirurgia vascolare: il piano non prevederebbe la copertura operativa sulle 24 ore. «Per tali motivi la Cimo – prosegue Di Nunzio – dichiara che il Pal illustrato non si attiene al piano delle emergenze-­‐urgenze regionale e, pertanto, il presidio ospedaliero di Pordenone non può essere classificato presidio ospedaliero hub di primo livello ma è, di fatto, declassato a semplice presidio ospedaliero di base (Spoke)». Secondo il sindacato «che le condizioni di accesso alle prestazioni di pronto soccorso potranno ulteriormente peggiorare e i dirigenti medici in servizio presso il Santa Maria degli Angeli saranno costretti a trasferire in strutture più attrezzate una parte cospicua di pazienti». Risorse e orario. Il piano conferma secondo il sindacato «il solito sottofinanziamento pro capite dell’area pordenonese rispetto ad altre aree della regione». Inoltre nuove norme europee sull’orario di lavoro, sottolinea la Cimo, impegnano l’amministrazione a riformulare i turni di lavoro dei medici, stabilendo riposi compensativi e tetti orari settimanali «che nelle condizioni attuali di organico, determineranno notevoli difficoltà di copertura del servizio. Basti pensare che, quando non erano ancora vigenti le nuove norme europee sull’orario di lavoro, secondo nostri calcoli (l’amministrazione, nonostante ripetute richieste, non ne ha ancora dato informazione), i dirigenti medici ospedalieri hanno svolto nel triennio 2012-­‐2014 più di 100 mila ore di lavoro eccedente quello contrattuale e sono in credito di circa 20 mila giorni di ferie. Tali numeri, senza un urgente e cospicuo aumento dell’organico medico, considerate le nuove norme sull’orario di lavoro, potranno addirittura subire un imprudente ed illegale incremento; in alternativa, dovrà essere notevolmente ridotto il numero delle prestazioni con conseguenti e improponibili ulteriori allungamenti dei tempi di attesa». Questo sarà oggetto di un incontro che il sindacato chiederà all’Aas 5. Conclusioni. «Questa analisi – conclude il segretario regionale della Cimo, Francesco Di Nunzio – non ha scopi allarmistici né fini rivendicativi; certamente, però, intende testimoniare una insufficiente attenzione rivolta al mondo ospedaliero». Una presa d’atto necessaria, chiarisce, per la difesa della professione medica. Simon (Aas5 ): " Non considerano i lati positivi " Il direttore sanitario dell’Aas 5 Giorgio Simon (in foto) ha subito replicato al documento della Cimo. «La riduzione delle unità operative di medicina interna – ha detto – a Pordenone è stata unificata da un bel po’ e ci pare che funzioni. A Sacile andiamo istituiremo la struttura intermedia polifunzionale recuperando medici internistici e posti letto». A Maniago e Sacile 7 «sarà potenziata la presenza internistica con un aumento di ore nelle Rsa». Sulle chirurgie «l’unificazione è di fatto già da un po’ e anche in questo caso ci pare che funzioni». Per l’auto medica confermata la centralizzazione a Pordenone, ma con a bordo i medici esperti in emergenza. Sulla cardiologia emodinamica confermata la carenza di organico ma la volontà di portarla sulle 24 ore come quella di potenziare la chirurgia vascolare. Oncologia passerà al Cro di Aviano, così come la medicina nucleare «ma mantenendo l’operatività su Pordenone e per i pazienti non cambierà nulla. La Cimo nasconde i molti lati positivi: dopo ciinque o sei anni avremo finalmente dirigenti veterinari, sarà rafforzato il servizio di salute mentale e avremo l’ambulanza sulle 24 ore a Azzano Decimo». ( d.s. ) Famiglie diabetici: «Garantiamo servizi ma siamo senza sede» San Vito, il presidente Matteotti: «Promesse, ma fatti zero» Il direttore dell’Aas: «Decideremo entro qualche settimana» di Andrea Sartori. SAN VITO. «E’ una situazione incredibile. Malgrado le rassicurazioni che riceviamo da oltre un anno, siamo ancora in attesa della nuova sede. Non ne sappiamo più nulla». A farlo sapere è un infuriato Adriano Matteotti, presidente di Famiglie diabetici del Sanvitese, nonché presidente regionale delle Associazioni di diabetici. Il sodalizio conta centinaia di iscritti e la sede si trova ancora nel semiabbandonato edificio di via Falcon Vial, un tempo occupato anche dai servizi sociali. Attende una nuova sede dall’Azienda sanitaria nell’ospedale vecchio, sede del Distretto est, accanto all’ambulatorio diabetologico. Sede necessaria per offrire servizi ai diabetici, quali controlli su trigliceridi, colesterolo e alla vista, questi ultimi grazie a un nuovo retinografo acquistato da mesi, ma sinora inutilizzato proprio perché non si hanno a disposizione spazi adeguati. E c’è anche l’attività informativa. Si consideri che in provincia i diabetici sono oltre 25 mila, nel Sanvitese almeno 2 mila. Numeri purtroppo in crescita, per una malattia che accompagna per tutta la vita chi vi incappa. «Oltre a dare servizi, stando vicini a chi si reca all’ambulatorio diabetologico, vogliamo continuare a fare prevenzione, per tutti – continua Matteotti –. Per i diabetici, la spesa sanitaria annuale è di 300 milioni di euro. Con i nuovi piani sul diabete, le associazioni sono parte integrante del sistema sanitario: non devono più considerarci collaboratori a tempo perso». Il direttore sanitario dell’Aas 5, Giorgio Simon, spiega che oggi si occuperà ancora della sede del sodalizio: l’ipotesi non è più sistemarla sotto l’hospice, nei locali dedicati alla medicina di gruppo, ma accanto all’attuale sede dell’ambulatorio diabetologico, spostando l’ambulatorio di medicina sportiva al piano superiore. Un quadro che va confermato. Simon rassicura che una risposta a Famiglie diabetici arriverà nell’arco di qualche settimana. Il sodalizio riprenderà il 12 gennaio l’intensa attività di prevenzione, con corsi di ballo e ginnastica soft a San Vito, Azzano Decimo, Pordenone, Casarsa e Ramuscello. Per informazioni, ci si può rivolgere alla segreteria o al 377-­‐1636818. Ospedale Nuovo centro prelievi, via al cantiere tagliando tre alberi SAN VITO. Il taglio di tre alberi e l’occupazione di dieci posti auto hanno dato il via ieri a un nuovo cantiere all’ospedale di San Vito, quello per realizzare il nuovo centro prelievi al piano terra del corpo A, a sua volta interamente oggetto di lavori di ristrutturazione. L’abbattimento di tre cedri del Libano, sentita la direzione dell’ospedale, si sarebbe comunque resa necessaria: gli alberi stavano morendo. Per quanto riguarda i disagi nel parcheggio visitatori, inoltre, i disagi si sono per lo più concentrati nella giornata di ieri. Gran parte degli stalli occupati per le operazioni preliminari del nuovo cantiere, infatti, torneranno liberi. All’area di sosta, i lavori al piano terra sottrarranno soltanto due posti. Si tratta di realizzare, per circa 600 mila euro, i nuovi centro prelievi e ingresso all’ospedale. Quest’ultimo, una volta costruito, servirà ad accedere soltanto all’area prelievi: il resto dei piani terra e rialzato, dedicato ad 8 ambulatori e laboratori, resterà allo stato grezzo sino a quando non saranno finanziati i lavori per completarli. Il nuovo centro prelievi, che sostituirà quello attualmente al piano rialzato, avrà una sala d’attesa di un centinaio di posti (oggi sono 68), divisi tra accettazione e attesa, quattro box per i prelievi e un ambulatorio. Spazi più adeguati, rispetto a quelli che oggi si trovano accanto a pronto soccorso e radiologia, per un servizio che ha un’utenza giornaliera tra 200 e 300 persone. (a.s.) 9