Rassegna stampa 9 gennaio 2016

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Il Piccolo 9 gennaio 2016 Attualità Dimessa prima del parto perde il bimbo e denuncia Il caso a Vibo Valentia: tre medici finiscono sott’inchiesta per procurato aborto E nel Napoletano indagini sul feto morto nel grembo materno: «Mai anomalie» ROMA. Ha avvertito dei forti dolori addominali e si è recata in ospedale dove, nonostante alcune anomalie, è stata rimandata a casa, ma dopo pochi giorni il feto è morto. È quanto è accaduto a Vibo Valentia dove una donna di 28 anni ha visto infrangersi il sogno di maternità a pochi giorni dal parto. Sulla vicenda la Procura ha avviato un’inchiesta ed ha indagato tre medici per il reato di procurato aborto. La ventottenne ed il marito erano rientrati nel maggio scorso a San Calogero, piccolo comune del Vibonese, dopo avere trascorso un lungo periodo nel nord dell’Italia. La donna nei mesi scorsi non ha mai avuto nessun tipo di problemi per la sua gravidanza. Il 26 dicembre, però, la ragazza ha avvertito dolori addominali e si è presentata in ospedale dove, dopo alcuni accertamenti, era emersa una sofferenza fetale. Nonostante la situazione la donna, però, è stata rimandata a casa. Giovedì mattina è tornata nuovamente in ospedale, sempre per dolori addominali, ed i medici del pronto soccorso hanno scoperto che il feto era morto. La ventottenne è stata quindi ricoverata e sottoposta a parto cesareo. La coppia ha quindi deciso di presentare una denuncia ai carabinieri chiedendo di accertare eventuali responsabilità. Nella denuncia la donna ha riferito di aver avuto una «gravidanza normale fino a dicembre quando ho avvertito i primi dolori addominali». Dopo la denuncia la Procura ha disposto l’acquisizione della cartella clinica e degli accertamenti fatti dall’inizio della gravidanza. La Procura ha disposto anche l’autopsia che sarà eseguita oggi. In vista dell’esame autoptico, come atto dovuto per consentire la nomina di un consulente di parte, la Procura ha inviato informazioni di garanzia a tre medici, uno del reparto di ginecologia ed altri due del pronto soccorso, ipotizzando il reato di procurato aborto. L’autopsia, infatti, dovrà accertare le cause del decesso del feto e se ci sono state negligenze da parte dei medici che hanno avuto in cura la donna. In una dichiarazione, il legale di fiducia della donna, si è chiesto «per quale motivo nessuno, al momento della sofferenza fetale, ha disposto un esame ecografico? Perché non sono stati effettuati ulteriori e specifici accertamenti sulla ragazza e il bimbo? Come mai queste condotte sono state caratterizzate da simile negligenza ed imperizia?». Intanto, l’Azienda sanitaria provinciale di Vibo fa rilevare che «in occasione delle visite di controllo durante la gravidanza, non erano emersi problemi né per la madre, né per il nascituro». Un caso analogo a quello di Vibo Valentia è avvenuto a Pompei. Un bimbo che sarebbe dovuto nascere fra pochi giorni è morto nel grembo materno. I genitori, originari di Castellammare di Stabia ma residenti a Scafati (Salerno), in attesa del loro primogenito, ora hanno presentato una denuncia alla Procura di Torre Annunziata che ha avviato un’inchiesta. Dall’ultimo controllo ecografico effettuato presso un ginecologo non era emersa alcuna anomalia. Il 6 gennaio, però, la drammatica scoperta: dall’ecografia non si sentiva più il battito del nascituro. Sotto choc la coppia e per la donna la terribile esperienza del parto indotto. Regione La rivincita del vacino antinfluenza La campagna, dopo la psicosi di un anno fa, ha già toccato una copertura del 45% dei cittadini a rischio. Trieste in coda di Marco Ballico. TRIESTE. Oltre 142mila cittadini del Friuli Venezia Giulia tra over 65 e persone a rischio, si sono vaccinate contro l’influenza al 3 gennaio scorso. Un dato confortante dato che vale il 45,1% della copertura (con Trieste, al 41,8%, un po’ in ritardo), a soli 3 punti 1 dal risultato finale regionale 2014/15 quando mancano ancora alcune settimane alla fine della campagna. Tutto il contrario, invece, sul fronte degli operatori sanitari. L’adesione rimane bassissima (7,6%, si è guadagnato poco più di un punto in tre settimane), tanto che la Regione ha deciso di convocare un incontro del coordinamento dei dipartimenti di prevenzione in cui discutere le possibili strategie da adottare per una rimonta in extremis. Una sorta di ultimo appello, conferma Maria Sandra Telesca. Senza psicosi vaccino (un anno fa i casi di morti sospette e il conseguente ritiro delle dosi), i friulgiuliani chiamati all’iniezione per evitare fastidi e conseguenze delle malattie di stagione hanno fatto la loro parte. Nessun assalto, anche perché al momento non c’è stata alcuna epidemia, ma i numeri, pure quelli a cavallo tra 2015 e 2016, ribadiscono un trend migliore rispetto a quello di 12 mesi fa. Al 3 gennaio, secondo il report fornito dall’Area promozione della salute e prevenzione diretta da Nora Coppola, si erano recati dal medico per la vaccinazione antinfluenzale 28.772 over 65 (cui si aggiunge una quota di malati cronici) nella AaS 1 Triestina (41,8% del totale), 31.200 nella AaS 2 Bassa Friulana-­‐Isontina (47,4%), 20.791 nella AaS 3 Alto Friuli-­‐Collinare-­‐Medio Friuli (46,7%), 27.301 nella AaS 4 Friuli Centrale (42,4%) e 34.473 nella AaS 5 Friuli Occidentale (47,7%), un totale di 142.037 pazienti su 314.656. «Una fotografia senz’altro positiva – commenta l’assessore alla Sanità –, insisteremo con informazione e comunicazione per incrementare ulteriormente la partecipazione». Le difficoltà di Trieste? Secondo Coppola, detto che in Fvg la percentuale di adesione alla campagna è cresciuta di cinque punti nelle ultime tre settimane, l’area del capoluogo regionale «risulta sempre la più carente come copertura, forse anche perché il denominatore è più numeroso e gli anziani non istituzionalizzati che si sentono in buona salute sono un target più difficile da raggiungere». «L’epidemia è attesa tra poco – aggiunge Coppola – e vale la pena stimolare in ogni modo ancora a vaccinarsi chi non lo abbia ancora fatto». Tra questi, ed è il nodo di questo inverno, soprattutto medici, infermieri ma anche amministrativi al lavoro nelle strutture sanitarie della regione. Addetti, questi ultimi, osservava Telesca prima di Natale, «che al lavoro negli uffici non sentono forse l’urgenza di un atto preventivo che è invece molto importante. È su di loro che dovremo intervenire con ancora più impegno». A conti fatti, però, quel richiamo è servito a poco. Stando sempre ai dati dell’Area promozione della salute e prevenzione, i sanitari Fvg che hanno rispettato l’invito al vaccino antinfluenzale restano molto pochi, non oltre il 7,6% medio (1.494 su 19.606), dall’1,6% del Santa Maria della Misericordia di Udine al 16,1% del Burlo-­‐Garofolo. Dati poco confortanti anche nella AaS 1 (7,7%) e nella AaS 2 (8%), mentre gli Ospedali Riuniti fanno segnare il 10,5%. Cifre decisamente molto lontane dall'obiettivo regionale di raggiungere una copertura almeno del 35% al 31 dicembre del 2015. Per questo si cercherà di far partire un messaggio forte mercoledì prossimo, 13 gennaio, davanti ai diretti interessati. «Va indagata innanzitutto la motivazione per questa scarsa adesione degli addetti ai lavori – osserva Telesca –. Certo, l’epidemia non c’è ancora, ma è opportuno prevenire per evitare ripercussioni le prossime settimane. Chiederemo ai dipartimenti di prevenzione di elaborare strategie a stretto giro, ma anche ai direttori generali delle aziende di farsi carico del problema dato che quello della vaccinazione “interna” era uno degli obiettivi da centrare». 2 Trieste In arrivo via sms 1.800 assegni antipovertà Il Comune conclude i controlli cestinando 250 domande. A inizio febbraio un messaggino autorizzerà la riscossione in banca di Gianpaolo Sarti. Tutto pronto per il bonus antipovertà. I contributi saranno erogati dal Comune entro i primi giorni di febbraio. Sono circa 1.800 le famiglie triestine che potranno incassare a breve il sussidio, la nuova misura di sostegno la reddito varata dalla Regione Friuli Venezia Giulia, prima in Italia con queste modalità. In queste settimane gli uffici dell’assessorato comunale alle Politiche sociali hanno setacciato le 2.059 domande pervenute. Duecentocinquanta sono state cestinate a causa della mancanza dei requisiti, mentre qualche decina è ancora da verificare. Gli aventi diritto che beneficeranno dei fondi già a febbraio sono coloro che hanno presentato la documentazione entro il 31 ottobre. A inizio del prossimo mese si troveranno in tasca complessivamente due mensilità, quella di novembre e di dicembre. «In questo periodo ci siamo concentrati con i controlli di quanto ci hanno consegnato i cittadini agli sportelli, comprese le autocertificazioni e adesso – conferma l’assessore competente Laura Famulari – è possibile procedere». Il meccanismo di pagamento non avviene con soldi in mano da parte del Comune, come si potrebbe immaginare, bensì attraverso “un mandato”. Ogni singolo avente diritto riceverà un sms sul proprio cellulare inviato direttamente dagli uffici. Nel messaggio verranno precisati i riferimenti della pratica in modo da poter ritirare il contributo in banca. Probabilmente, da quanto si è saputo, in una filiale Unicredit. Ma altri dettagli sulle modalità saranno comunicati dall’assessore nei prossimi giorni in una conferenza stampa apposita. La misura regionale ha riscosso un indubbio successo a riprova della situazione di difficoltà economia in cui versano molte famiglie. A partire dal 22 ottobre, data in cui è stato avviato il provvedimento, hanno bussato agli sportelli dei servizi sociali in media duecento persone al giorno. «Uno scenario che ci ha fatto riflettere», osserva Famulari. La maggior parte delle persone si è recata già con la modulistica precompilata, altri invece hanno avuto bisogno dell’aiuto degli operatori che il Comune ha messo a disposizione appositamente. Come detto, questa prima tranche di raccolta delle domande, quella che si concludeva il 31 ottobre, ha consentito di maturare il diritto all’assegno da novembre, con l’erogazione attesa a gennaio. Ma le necessità organizzative e i tempi tecnici di controllo, oltre alle festività natalizie, hanno fatto slittare tutto di qualche settimana. Come ormai noto, il bonus antipovertà della Regione dà la possibilità di accedere a un contributo economico che può variare da un minimo di 70 fino a 550 euro mensili. L’assegno ha cadenza bimestrale. Può riceverlo chi non supera la soglia Isee 3 di 6 mila euro e dimostra la residenza in Friuli Venezia Giulia da almeno 24 mesi. I fondi sono concessi a patto che il beneficiario accetti di aderire a un percorso di inserimento sociale finalizzato a superare le condizioni di bisogno. Ciò comporta la ricerca attiva di un lavoro, l’adesione a progetti di formazione o inclusione occupazionale, un impegno scolastico con regolare frequenza, comportamenti di prevenzione e cura volti alla tutela della salute, svolgimento di attività utili alla collettività, anche nell’ambito di progetti realizzati da realtà del terzo settore, enti locali e amministrazioni pubbliche. Si tratta di una sorta di patto con il cittadino. Il regolamento approvato dalla Regione consente un’erogazione effettiva su 12 mensilità, rinnovabili per una sola volta. Il meccanismo con il quale viene quantificata la somma per ogni singola persona varia in base agli scaglioni Isee: da 0 a 1.000, da 1.000,01 a 2.000, da 2.000, 01 a 3.000, da 3.000,01 a 4.000, da 4.000,01 a 5.000, da 5.000,01 a 6.000. Stando ai calcoli fatti nei mesi scorsi in fase di stesura del provvedimento, con un figlio a carico l’integrazione al reddito va da 170 ai 500 euro, mentre con 2 o più figli la Regione concede dai 220 ai 550 euro. Il potenziale beneficiario, inoltre, non deve risultare intestatario di autovetture di grossa cilindrata (non oltre i 2.000 cc se a benzina e i 2.500 cc se diesel, per le moto il limite è di 750 cc) e usufruire di altri trattamenti economici di natura previdenziale, indennitaria e assistenziale di valore complessivo superiore a 600 euro, elevati a 900 euro in caso di presenza nel nucleo di persona non autosufficiente. La giunta regionale ha stanziato a bilancio inizialmente 10 milioni di euro, poi ulteriori 10 milioni per il 2016. Altri 11 milioni derivano dal Fondo sociale. Trieste domina la classifica del bisogno Ha raccolto un terzo delle richieste dell’intero Friuli Venezia Giulia. La Regione: «Monitoraggio costante» La Regione torna ad accendere i riflettori sulla misura di sostegno al reddito. Lo farà con una giornata di studi che sarà organizzata a fine febbraio. L’obiettivo è valutare l’impatto effettivo del provvedimento a tre mesi dalla sua introduzione. L’iniziativa interesserà innanzitutto la terza commissione regionale, l’organismo presieduto dal consigliere triestino del Pd Franco Rotelli, in collaborazione con l’assessorato alle Politiche sociali retto da Maria Sandra Telesca. Sarà il primo vero focus sull’applicazione della legge, su cui la Regione intende comunque garantire un monitoraggio bimestrale per avere il polso della situazione, trarre le somme e intervenire eventualmente con contromisure di carattere organizzativo e gestionale. A fine febbraio la Regione conta di disporre di dati esatti sul pubblico di riferimento: numero di richiedenti, componenti per ciascun nucleo famigliare, stranieri, redditi delle singole persone e occupazione. Un modo, peraltro, per fotografare la situazione economica di migliaia di persone in difficoltà, in considerazione anche che il provvedimento di “sostegno al reddito” non si ferma nel 2016. Perché, come noto, si può beneficiare dei fondi per un periodo limitato a un anno, che scatta a partire dal primo bimestre 2016 (sebbene la prima tranche tenga conto già dei mesi di novembre e dicembre), ma l’assegno è ripetibile per una ulteriore annualità. Possibile, comunque, con l’interruzione di almeno due mesi, anche non continuativi, a condizione però che perdurino i requisiti previsti nell’accordo sottoscritto tra cittadino e istituzioni. La Regione punta quindi a un ragionamento complessivo. A metà dicembre, stando ai dati emersi in quella data, erano 6.500 i cittadini in tutto il Friuli Venezia Giulia che si erano fatti avanti per domandare un aiuto economico. 2.000 richieste sono state avanzate a Trieste, città che ha garantito l’erogazione effettiva dei bonus ai primi di febbraio. Ma ogni Comune del Friuli Venezia Giulia si muove da sé in base alle proprie esigenze organizzative, che tengono conto della raccolta della documentazione, del loro controllo e degli strumenti necessari per i pagamenti. «L’avvio in tutto il territorio regionale dipende dai sevizi sociali di ciascun Comune», conferma l’assessore al Welfare Maria Sandra Telesca. E aggiunge: «Mi sento comunque di dire che l’intero procedimento sta funzionando bene». (g.s.) 4 Lettere TROPPI MORTI. Il governo trascura i punti nascita Con il taglio degli investimenti (che secondo il Governo non ci sono stati), ora ci dobbiamo preoccupare non solo per la salute di tutti i cittadini, giovani ed anziani, ma anche dell' incolumità delle donne in sala parto e dei bambini mai nati? I recenti e drammatici casi sono un segnale molto allarmante. E di sicuro non si possono accusare soltanto i medici di tutto quello che succede, essendo pochi, schiacciati dalle responsabilità, con turni massacranti e senza un adeguato riposo. Si tratta di malasanità o piuttosto di mancanza di mezzi o costi troppo alti per appropriati esami ad identificare i soggetti a rischio? Hanno voluto, dicono, razionalizzare i servizi della sanità pubblica (risparmiare?), abolendo anche molti Punti di Nascita, sostituendo qualcuno con la cosiddetta Casa del Parto. Ma non è le stessa cosa. Avrebbero dovuto, invece, aumentare il numero dei medici, dei chirurghi ed infermieri negli ospedali. Ed aggiungo, per completare, senza fare polemica, che per ora, in certe Regioni dell'Italia le regole in essere sui Punti Nascita non vengono rispettate. E se vogliamo essere sinceri e dire la verità, non ci dicano, per favore, che le risorse, i soldi non ci sono. Questo Governo, il Governo Renzi lo ha abbondantemente dimostrato, che per certi provvedimenti i soldi si sono sempre trovati. Bruno Budal -­‐ Gorizia Messaggero Veneto 9 gennaio 2016 Cividale Pronto soccorso di Cividale guerra di numeri sulle ambulanze I dati del piano regionale dell’emergenza non coincidono con quelli del sistema operativo del 118 Nel 2015 sottostimati di 700 unità i servizi di trasporto. La denuncia del consigliere regionale Novelli di Lucia Aviani. CIVIDALE. Da un lato i dati racchiusi nel piano regionale dell’emergenza. Dall’altro quelli -­‐ non collimanti con i primi -­‐ del sistema operativo del 118. Il consuntivo dell’attività delle due ambulanze del nosocomio cividalese nel 2014 cambia a seconda della prospettiva, e non di poco: 2.884 attivazioni secondo il piano dell’emergenza, appunto; complessivamente 3.586 secondo l’altra fonte, cifra comprensiva di 592 servizi di trasporto secondario urgente (ovvero di trasferimento di pazienti dal pronto soccorso della città ducale a quello del Santa Maria della Misericordia di Udine). «I conti non tornano, insomma», dichiara il consigliere regionale forzista Roberto Novelli, che solleva il caso evidenziando come la difformità confermi l’assoluta necessità di una seria riflessione sulle dotazioni del 118 locale, che prossimamente dovrebbe perdere un’ambulanza a favore di San Pietro al Natisone. «I numeri contenuti dal piano dell’emergenza -­‐ accusa Novelli -­‐ sono sottostimati per la postazione di ambulanza del pronto soccorso di Cividale e, stando a informazioni che reputo certe, non solo per essa. Il totale delle attivazioni del 118 nel Cividalese attestato dalla Regione per il 2014 ammonta a 700 unità in meno di quelle documentate dal sistema operativo del 118, che rileva tutte le missioni. Indicativo il quadro dei trasporti secondari non differibili, che vengono effettuati dallo stesso personale e con le medesime ambulanze utilizzate per i soccorsi primari: 592, appunto. I numeri provano che addirittura nel 20% dei casi (sul totale annuo di uscite) uno dei due mezzi presenti nell’ospedale cittadino non era utilizzabile per il soccorso primario in quanto impegnato nei trasporti secondari. Se continuerà il taglio dei servizi diagnostici e terapeutici della struttura cividalese e se la funzionalità del punto di primo soccorso di quest’ultima verrà ridotta, come previsto, alle 12 ore, la situazione non potrà che peggiorare. Basti pensare al banale caso della frattura di un arto, che necessita ovviamente di un controllo radiografico: di sera un tanto non è possibile, 5 nel nostro presidio sanitario. E’ d’obbligo recarsi al Santa Maria della Misericordia. Perché mai non garantire una piccola area d’emergenza notturna al polo cividalese?». Ma tornando alle discordanze: «Non collimano -­‐ rileva Novelli -­‐ nemmeno le cifre suddivise per codice di priorità: il piano regionale riporta 684 codici bianchi, il livello di più bassa gravità; il sistema operativo del 118 ne registra invece 497. Il problema, peraltro, non è quanti codici rossi o gialli ci possano essere in contemporanea sul territorio, ma per quanto tempo, nell’arco delle 24 ore, le ambulanze siano libere per rispondere ad eventuali urgenze. Davvero incomprensibile la decisione di togliere un mezzo a Cividale per posizionarlo a San Pietro (ovvero a 5,8 km di distanza, percorribili in circa 7 minuti senza sirena) invece che aggiungerne uno ulteriore». A maggior ragione considerato il fatto che nel 2015 le chiamate al 118 sono aumentate ancora: 3.192 soccorsi primari, cui si sommano 657 trasporti secondari urgenti, per un totale di 3.849 uscite. «La realtà -­‐ rincara il forzista -­‐ è che la giunta Serracchiani continua a venderci la riforma come un potenziamento della sanità regionale, ma così non è. Cividale non è certo l’unica realtà penalizzata dalla legge di riordino, progetto viziato da informazioni incomplete o errate e da una metodologia di lavoro che non risponde a criteri scientifici. E’ fondamentale che prima dell’attuazione del piano dell’emergenza tutti i dati contenuti dal medesimo vengano verificati: gran parte dei numeri, indispensabile base di partenza per la riorganizzazione del 118 del Friuli Venezia Giulia, non è precisa». Nuovo polo medico: a Lauzacco arriverà anche il pediatra Secondo le previsioni la struttura sarà pronta in due anni Ospiterà, inoltre, specialisti e servizio prelievi e analisi di Gianpiero Bellucci. PAVIA DI UDINE. Un nuovo polo medico dove, accanto ai medici di medicina generale, potranno esserci anche specialisti, un pediatra e il servizio ematico per i prelievi e le analisi cliniche. L’amministrazione comunale porta avanti il suo progetto per la realizzazione di un grande poliambulatorio, in una struttura che verrà realizzata da zero di fronte a quella esistente che verrà quindi demolita. La vecchia struttura di via Stringher, nella frazione di Lauzacco, continuerà naturalmente a essere operativa garantendo l’erogazione degli attuali servizi sanitari, fino alla realizzazione del nuovo centro. Dall’idea iniziale di rinnovare i servizi sanitari sul territorio, al progetto del nuovo centro, ora si è giunti dunque al bando per assegnare i lavori. E si può quindi parlare di costi e soprattutto di tempistiche per la sua realizzazione. Lo scorso 30 dicembre è stato pubblicato il bando per i “lavori di demolizione e nuova costruzione del poliambulatorio comunale”. L'avviso pubblico per partecipare all’affidamento dell’incarico prevede sia la progettazione definitiva/esecutiva, sia 6 la realizzazione della struttura. In tutto si prevede un investimento complessivo di circa 600mila euro di cui 465mila riservati alla realizzazione della struttura e della parte impiantistica. «L’intento – fa sapere il sindaco Emanuela Nonino – è quello di iniziare i lavori entro l’anno. Per quella tipologia di fabbricato, gli esperti indicano tempi di realizzazione non lunghissimi, quindi se non ci sono intoppi entro un paio di anni il nuovo poliambulatorio potrebbe essere operativo». Dal punto di vista operativo dei servizi, il sindaco pensa alla «possibilità di offrire alla cittadinanza ulteriori prestazioni rispetto a quelle già offerte. Abbiamo previsto quindi lo spazio, oltre che per ai quattro medici di famiglia e per l'infermiere di comunità, anche per il pediatra, con un’area pensata per i bambini e separata da quella destinata agli adulti e infine per medici specialisti». Inoltre, verrà riconfermata l’attuale convenzione con l’istituto udinese Friuli Coram che gestisce il servizio di prelievo ematico e le analisi cliniche, evitando quindi, soprattutto alle persone anziane, di spostarsi a Udine. «Chiusura decisa con il Veneto» Sul punto nascita di Latisana, Zaia e il M5s del Fvg “svelano” un retroscena LATISANA. Poco più di un anno fa, il 22 dicembre 2014, la firma fra Friuli, Veneto e Carinzia, per una serie di scambi, anche in materia di sanità, all’interno dell’Euroregione. Parte da lì la decisione di chiudere il punto nascita di Latisana, per favorire il reparto maternità di Portogruaro, in Veneto. Altrimenti non si capisce come mai un punto nascita che ad agosto, quando è stato chiuso, segnava 234 parti, viene oggi salvato dalla scure ministeriale che ha imposto anche al Veneto la chiusura di sette punti nascita sotto ai 500 parti e sarebbe pronto a riaprire a febbraio. La spiegazione però la dà direttamente il direttore dell’azienda sanitaria 10 del Veneto orientale, in un’intervista sulla stampa nazionale, dove qualche giorno fa dichiarava che dall’ormai dismesso punto nascita di Latisana in Friuli potrebbe arrivare la maggior affluenza necessaria a raggiungere i limiti imposti dal ministero. E i numeri, con 16 nati in sette giorni, a Latisana, potrebbero dare proprio ragione ai calcoli del Veneto, favoriti dall’accordo sottoscritto con il Friuli, un anno fa. Ne sono fermamente convinti i due portavoce del Movimento 5 Stelle in consiglio regionale Cristian Sergo e Andrea Ussai, soprattutto alla luce delle recenti dichiarazioni alla stampa del vicepresidente della Regione Veneto: «Secondo Gianluca Forcolin, quel 22 dicembre 2014 a Trieste furono gettate le basi della futura programmazione interregionale, incentrata su turismo, cultura e trasporti e furono siglati due importanti accordi per lo sviluppo della collaborazione e lo scambio di esperienze nei settori della Protezione civile e della Sanità. E in quella sede, proprio parlando di sanità, la Serracchiani avrebbe rivelato la scelta di mettere i sigilli alla struttura di Latisana – scrivono in una nota congiunta i due – quindi l’analisi dei dati, le dichiarazioni rassicuranti sui giornali e gli incontri pubblici sono stati tutti momenti di una sceneggiata, durata più di un anno. Se fosse così la Regione in tutto questo periodo avrebbe preso letteralmente in giro utenti e amministratori del territorio. Anche quelli di Palmanova – aggiunge Sergo – che giustamente chiedevano fosse presa una decisione definitiva quanto prima. La presidente e la giunta hanno finto di ponderare, valutare, analizzare quando invece, sotto banco, tutto era già stato programmato. Prima che ai cittadini del Friuli, la decisione è stata confidata agli amministratori del Veneto».(p.ma.) Il direttore: Otorino rimane a Latisana Sindaci smentiti Nessuno tocca l’Otorino di Latisana. E quella espressa dai sindaci che non hanno approvato il Pal è un’opinione infondata, che va a danno dell’attività svolta dal personale della struttura. A rispondere in questo modo alla nota firmata dai sindaci di Latisana, Lignano, Ronchis, Rivignano Teor, Precenicco, Palazzolo, Carlino e Marano, per spiegare il voto contrario al documento di programmazione dell’Aas 2 e annunciare la «perdita della funzione di Otorinolaringoiatria», all’ospedale di Latisana, è lo stesso direttore del reparto, Giorgio 7 Pagliaro: «La funzione di otorinolaringoiatria, oltre a essere rimasta presente e attiva, nel trascorso 2015, così come nel precedente triennio, con la direzione di un “primario a scavalco”, rimane presente nella sua funzione, anche nel futuro, come specificato dall’atto aziendale». La sua precisazione, scrive Pagliaro, «al di là di qualsivoglia diatriba politica, è una questione di rispetto per l’attività svolta dal personale sanitario, dirigente e no, che, pur in sofferenza numerica, rispetto al passato, ha fornito e sta fornendo una valida offerta, non solo ambulatoriale, ma anche chirurgica e di degenza, riconosciuta e apprezzata dall’utenza. Ed è anche e soprattutto, una questione di corretta informazione, nei confronti della popolazione di tutto il territorio rappresentato da questi sindaci e anche della Regione Veneto». (pa.ma.) Gorizia Stop camici bianchi al bar è polemica in ospedale A deciderlo è stata una circolare firmata dalla dirigente delle risorse umane Il provvedimento emesso per motivi igienici, ma il personale lo ritiene eccessivo di Vincenzo Compagnone. Al bar dell’ospedale sì, ma non con il camice bianco. Il divieto di indossare la “divisa di servizio” quando si vuole prendere una breve pausa per un caffè o un panino, è scattato, per tutto il personale del San Giovanni di Dio, nei giorni scorsi con una circolare firmata dalla responsabile della Soc Risorse umane, Elena Cussigh. La disposizione, che ha fatto subito discutere, è contenuta in un più ampio regolamento che disciplina l’utilizzo della mensa aziendale. Qui, peraltro, la proibizione di entrare con il camice e gli zoccoli era in atto già da tempo: sono stati soltanto precisati alcuni dettagli (la mensa non può essere usata quando si è in ferie e nei giorni di riposo, vi si può accedere soltanto al di fuori dell’orario di lavoro, non si può adoperare l’automobile di servizio per raggiungerla, per esempio, dalle palazzine di via Vittorio Veneto o dalle strutture del Parco Basaglia) ma la vera novità riguarda il bar che è situato nell’atrio dell’ospedale, subito sulla sinistra per chi entra. Il servizio, che funge anche da edicola, è stato di recente ristrutturato per consentire l’accesso ai malati del nuovo reparto Gco (Gravi cerebrolesioni acquisite) sulle carrozzine sospinte dai familiari. Fino a qualche giorno fa, chi transitava nell’atrio del nosocomio poteva vedere spesso piccoli capannelli di “camici bianchi” al bancone del bar, che ora invece appare semideserto (e per i gestori si profila una perdita non da poco). Medici e infermieri preferiscono adesso andare bere un caffè o a rifocillarsi alle macchinette dislocate sui vari piani. Mentre, poi, i dottori possono (al limite) cambiarsi in reparto, il problema riguarda più da vicino tecnici e infermieri i cui spogliatoi si trovano nel seminterrato dell’ospedale: per loro quindi, l’operazione-­‐bar diventa ancor più laboriosa. D’altra parte, la “ratio” che sta alla base del provvedimento è la stessa della mensa: ci sono delle norme igieniche da rispettare, i camici e gli zoccoli potrebbero essere un veicolo per la diffusione di germi. Un provvedimento, insomma, dettato dalla necessità di tutelare l’ambiente, dal quale gli indumenti di lavoro come il camice – così è stato deciso – devono restar fuori. Le norme, peraltro, non convincono almeno una parte del personale, che afferma: «Nessuno di noi si sognerebbe di andare al bar con il camice sporco, quando ce ne accorgiamo lo facciamo subito lavare. Le nuove disposizioni sono eccessive». I sindacati: Chiesto un incontro con i vertici aziendali Il fatto che d’ora in avanti per una “puntatina” al bar dell’ospedale ci si debba mettere in borghese, fa drizzare le antenne anche ad alcuni rappresentanti sindacali che giudicano troppo restrittivo il provvedimento. “Sono cose che infastidiscono – rimarca Massimo Peressini (nella foto) della Uil – e quindi abbiamo chiesto di valutare con i vertici aziendali alcuni articoli di questo nuovo regolamento. Il 14 gennaio, l’incontro in cui discuteremo importanti aspetti legati alla mobilità del personale sarà l’occasione per soffermarci anche sulle nuove norme che disciplinano l’uso della mensa e del bar. Per qual che riguarda la prima 8 non ritengo che ci sia molto da dire: un regolamento esisteva già da tempo. La questione del bar invece ci lascia perplessi, e vorremmo anche capire se, come in mensa, vi si possa andare solo al di fuori dell’orario di lavoro. Questo mi sembrerebbe ancora più assurdo, è ovvio che non si può interrompere per venti minuti il lavoro nei momenti più “caldi” della giornata, ma fare un piccolo break sì». (v.c.) Pordenone Sanità a Pordenone Sindacati divisi su riforma e tagli Secondo la Cimo la provincia rischia il declassamento Cgil e Cisl: «Meno primari e più infermieri? Non ci spaventa» di Donatella Schettini. «Qualche primario in meno e personale infermieristico in più a me non spaventa affatto». Replica così Pierluigi Benvenuto della Cgil alle critiche del Cimo, il sindacato del medici ospedalieri, al Pal (Piano attuativo locale) presentato la settimana scorsa alle organizzazioni sindacali. E Carlo Gerometta della Cisl evidenzia «in base a quello che dice la Cimo non c’è un rischio di declassamento dell’ospedale di Pordenone». Il segretario regionale della Cimo, Francesco Di Nunzio, aveva fatto le pulci al Pal, piano attuativo locale, criticando una serie di scelte, tra cui l’unificazione di alcuni reparti. Inoltre aveva paventato il rischio che l’ospedale di Pordenone non sia più Hub di primo livello, al pari di Udine e Trieste, ma un semplice ospedale di rete. Ma gli altri sindacati criticano l’impostazione dei rappresentanti del medici. «Ci sono state unificazioni di alcuni reparti – ha osservato Carlo Gerometta della Cisl –, medicina e chirurgia e non è una cosa prevista dal Pal, ma dalla riforma della sanità che prevede l’eliminazione dei doppioni e l’unificazione delle strutture». Secondo Gerometta «sulla base di questi elementi non c’è il rischio che l’ospedale di Pordenone sia declassato, non è che se vengono eliminati primari venga depotenziato. Il problema è un altro, verificare se queste strutture unificate funzionano bene. So che ad esempio quella della chirurgia ha creato qualche disagio, ma è chiaro che si possono verificare in caso di unificazioni». Nessun rischio di declassamento, quindi, almeno per quello che prevede il Pal, ma l’esponente della Cisl evidenzia che «critiche alla dotazione di personale sanitario l’abbiamo fatta anche noi. E’ vero che è previsto un incremento di organico sulla parte sanitaria, ma secondo noi sono insufficienti come anche il settore amministrativo e manutentivo. Carenze che stanno portando a problemi seri». «Che poi dalla razionalizzazione che viene attuata – ha concluso Carlo Gerometta – si arrivi a una conclusione secondo cui ci sarebbe una dequalificazione dell’ospedale di Pordenone non credo sia corretto». Critiche all’impostazione della Cimo anche dalla Cgil: «Non vorrei confondere una riorganizzazione figlia della riforma sanitaria con i tagli ai primariati – ha detto Pierluigi Benvenuto –. Sarei contento se qualche primario viene meno e assumessero qualche primario e operatore socio sanitario in più. Non vorrei che questa fosse una difesa dei posti da primario». Nel dettaglio delle critiche, Benvenuto ha osservaro che «le cose citate ci sono già nei fatti – afferma l’esponente della Cgil –. Sia chiaro che è necessario continuare a vigilare attentamente sulla sanità perché Pordenone non perda prestigio. Ma questo non lo fai con i primariati, ma con i servizi che dai alla gente. Il Pal è figlio della riforma. Anche noi abbiamo da formulare delle critiche alla direzione generale, carente nel dare il giusto peso alle relazioni sia sindacali che con i cittadini di questa provincia. Ma se si prevede qualche primario in meno e più servizi e personale infermieristico io non mi spavento, anzi». 9 Cro, “finestra sul cinema” per i pazienti La biblioteca pazienti del Cro di Aviano, oltre a fornire informazioni aggiornate e comprendibili sulla malattia oncologica, dispone di un'area di svago in cui pazienti e accompagnatori possono usufruire di una fornita biblioteca di libri, audiolibri e film in dvd. Per valorizzare tale area è nata “Una finestra sul cinema”, ciclo gratuito di visioni di film per pazienti e familiari che frequentano l’Istituto. Grazie all’importante collaborazione con la Mediateca Pordenone di Cinemazero, attiva dal 2001 nella diffusione della cultura cinematografica e audiovisiva, il progetto propone di migliorare la degenza dei pazienti regalando loro momenti di benessere. Ogni proiezione si svolgerà il mercoledì pomeriggio, due volte al mese, presso il salone del secondo piano. Il ciclo inizierà mercoledì 13 gennaio. 10