Department of Sociology, Università Cattolica

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SEMINARIO DI SOCIOLOGIA: TRACCE DI COMUNITA'.
di Martina Belfiore per l’esame di Sociologia, prof. Luca Pesenti – Dipartimento di Sociologia, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
CENTRI ARTEMISIA
I centri Artemisia nascono nel 1995 come centri di accoglienza per mamme e bambini; operano in Lombardia e
Piemonte. Tali centri hanno come obiettivo quello di verificare le competenze genitoriali delle madri che
provengono da una situazione familiare difficile; vengono accolte non solo le madri ma anche i loro figli e, grazie
all'aiuto di educatori professionali e psicologi, quelle di loro che si trovano in difficoltà vengono inserite in un
contesto " protetto" e recuperano il loro rapporto con i figli allontanandosi dalle situazioni di disagio.
I centri sono diversi e sono diffusi tra Piemonte e Lombardia :

Centro di accoglienza Santa Teresa – Casale Monferato

Centro d'accoglienza L'incoronata - Casalpusterlengo

Centri di accoglienza Casa la vita I e II - Lecco

Centro di accoglienza La Bussola - Merate
Esiste anche un'altra tipologia di centro, quella dedicata esclusivamente all'educazione di minori che sono stati
allontanati dall'ambiente familiare a seguito di una sentenza del giudice dei minori; i minori vivono all'interno di
una comunità assieme ad altri bambini che condividono la stessa esperienza per cercare di ricreare l'ambiente
familiare. I centri dedicati a questi scopi sono:

Centro di accoglienza Artemisia Junior - Cavenago d'Adda

Comunità Kirikù
Dal 1995, quando furono fondati da Luigi Campagner e Carlo Arrigone, i centri Artemisia hanno accolto circa 190
minori e 130 adulti.
In particolar modo, la mia ricerca si concentrerà sul centro Santa Teresa.
Il centro si trova a Casale Monferrato ed è una comunità educativa Madre-Bambino pensata per i minori
allontanati dal nucleo famigliare su istanza del Tribunale per i Minorenni. L'èquipe professionale coinvolge un
Direttore Psicologo, un Supervisore, educatrici professionali e operatori polivalenti.
La struttura è composta da diversi salotti, 10 posti letto (per mamme e bambini), aree riservate allo studio o al
gioco e una cucina nella quale possono accedervi le madri e i bambini liberamente, come se fosse la loro stessa
casa.
sala ricreativa
un salotto
Per comprendere meglio come funziona la comunità ho intervistato personalmente il direttore dei centri
Artemisia, Luigi Campagner a cui ho posto alcune domande.
Intervista a Luigi Campagner, co-fondatore dei Centri Artemisia.
Come è possibile vedere dal vostro sito internet, la vostra metodologia di recupero viene definita con
l'espressione "dalle regole alla norma" cosa significa?
Questa espressione è stata creata da me dal co-fondatore dei centri Artemisia Carlo Arrigone, nel 1995. Il motivo
per cui abbiamo deciso di dare questa formula alla nostra metodologia deriva dalla volontà di differenziarsi dalle
altre comunità di recupero che esistevano in quel periodo e che esistono tutt'ora; queste ultime, infatti, sono
interamente concentrate su regole che vengono imposte a persone sregolate; la comunità è un insieme di
regolamenti per cui chi vi entra è tenuto a rispettarli in quanto sono posti al di sopra di sè; si esce dalla comunità
quando si impara a rispettare almeno le regole del centro che sono poi il primo step per il recupero dell'individuo
all'interno delle regole della società .
Con Carlo Arrigone abbiamo deciso di cambiare questo metodo dal momento che risultava inefficace, abbiamo
pensato, dunque, di inserire nella metodologia delle nostre comunità il cuore della psicanalisi: nella psicanalisi non
si sono regole, lo psicanalista non impone al paziente cosa deve fare, l'unico impegno da rispettare è
l'appuntamento prefissato; il paziente, esponendo ad alta voce la sua esperienza si rende conto, autonomamente e
con le indicazioni del terapeuta, ciò che razionalmente sarebbe utile fare e come agire; riesce,dunque, a ridarsi una
norma senza imposizioni dall'alto. Questo è il metodo dei nostri centri. L'adeguamento alle regole non si è rivelato
vincente, serviva un orientamento diverso, più legato alla mentalità del soggetto, questo è il motivo che ci ha spinto
a cambiare; siamo, dunque, giunti alla interiorizzazione di un orientamento personale e relazionale che diminuisce
il rischio di recidiva dopo la dimensione della comunità.
Come funziona la comunità? Chi vi entra? Perchè?
La comunità è un luogo relazionale di recupero, una relazione normata. All'interno della comunità entrano donne,
con i loro bambini, che vivono una situazione di difficoltà all'interno dell'ambito familiare come ad esempio
violenza e tossicodipendenza. Il nostro centro si configura come un luogo in cui donna può muoversi in un
contesto vantaggioso, ovvero una comunità all'interno della quale sono presenti tutte le strutture che le permettono
di sentirsi a casa con il proprio figlio, lontano dalle situazioni pericolose che creavano disagio. Nei nostri centri
sono passate in 20 anni 500 donne e 200 bambini; per ogni donna viene creato un progetto individuale di recupero,
non è possibile dunque stabilire in generale la durata della permanenza. Questa fase della comunità è una fase di
prevenzione dell'allontanamento, prima di allontanare il bambino dalla madre, a seguito di una sentenza del
giudice dei minori, si fa tutto il possibile affinché la madre sia in grado di mantenerlo. La comunità, dunque, risulta
essere un luogo all'interno del quale la madre verifica se è vantaggioso vivere in un luogo " sicuro " con il proprio
figlio e quindi, anche dopo l'esperienza della comunità, starà attenta e riportare anche nella vita quotidiana
l'esperienza vissuta nel centro; se, invece, risulta che la madre non sia in grado di mantenere il proprio figlio ,
questo verrà allontanato dalla stessa; entra in gioco l'istituzione dell'affido o altri centri per minori che si occupano
della soluzione definitiva. In generale si può dire che il 50% dei bambini rientrano in famiglia con delle variazioni
(come l'allontanamento del padre o il compagno della madre che erano motivo di violenza), il restante 50% della
casistica, invece, viene lasciato all'affido eterofamiliare.
Cosa avviene nella comunità?
Si fanno dei progetti individuali sia per i minori che per gli adulti, dunque, ciò che avviene nella comunità varia da
caso a caso; tuttavia a grandi linee si può dire che la donna è tenuta a compiere delle azioni riguardanti l'economia
domestica: come si tiene una casa e come si tiene un bambino in una casa in base alle fasi della sua crescita; non si
sostituisce la madre ma si danno dei supporti affinché la madre sia in grado di crescere autonomamente il proprio
figlio. Per il periodo dell'inserimento madre e figlio vivono nel centro; la comunità può ospitare solo 10 persone,
un luogo quasi familiare.
Vivere in un contesto familiare aiuta la donna a recuperare il rapporto con il figlio?
Le donne condividono tutti gli spazi; da una parte questo è previsto dal progetto, dall'altra è un esercizio, un
rischio: alcune donne, magari violente, portano la violenza o i litigi anche nella comunità. La comunità è un
obbligo non un luogo che la madre ha scelto: il giudice affida il minore alla comunità e la madre può seguirlo. La
comunità per molte è una misura coercitiva e a volte per dimostrare che la comunità sia un luogo peggiore di quello
da cui sono state allontanate, lo rendono un inferno. La valenza della comunità è riabilitativa, aiuta a tener presente
che ci sono legittime esigenze anche di altri e con questo si capiscono anche le esigenze del figlio. Tuttavia il
rapporto privilegiato è quello con gli operatori, il rapporto con cui viene sempre verificata l'idoneità delle scelte è
con essi. Il binomio Madre bambino non esiste, la madre sa come trattare il proprio bambino perché sa come
trattare se stessa.
Quali sono i controlli sulla comunità?
Tutti i progetti sono regolati da un decreto, questo deve essere rispettato dagli operatori e dalla madre a cui il
progetto è riferito; un secondo controllo che viene fatto è la verifica periodica delle capacità genitoriali della
madre: se l'operatore ritiene che la madre sia idonea allora potrà uscire dalla comunità, altrimenti il progetto verrà
rivisitato. La comunità è un servizio e dunque è vigilata periodicamente dalle ASL. Inoltre il servizio è locale e
dunque la tutela del minore è gestita dal comune di residenza della madre.
Chi gestisce economicamente il centro?
Le ospiti usufruiscono del servizio gratuitamente, dunque i costi della permanenza vengono gestiti dal comune di
residenza della persona. È una comunità che si inserisce nella comunità più grande , il comune, quindi tutti pagano.
Ci sono le rette giornaliere, come una pensione, che corrispondono a determinati servizi che devono essere erogati:
il vitto e alloggio, il vestiario stagionale, la parte relativa all'assistenza sanitaria. Il costo maggiore che deve essere
sostenuto è quello del personale: prima gli enti erano volontari, ora, sulla spinta di una normativa locale che ha
istituito gli standard e il numero di personale, essi si sono professionalizzati. Il 75% dei soldi erogati vanno agli
operatori, il 25% alle spese della comunità. I controlli hanno certificato e certificano tutt'ora la presenza costante di
standard qualitativamente elevati. La cooperativa, che è ONLUS, non ha solo lo scopo di recuperare le donne in
difficoltà ma anche di creare dei posti di lavoro, vedi gli operatori, per rispondere ai bisogno della comunità
grande, il comune.
Osservando il resoconto dati del centro Santa Teresa del 2010, negli ultimi 4 anni il centro ha ospitato 30 madri e
43 bambini, la maggior parte provenienti da Piemonte e Lombardia; l'età media dei bambini è di 4-5 anni ma la
struttura ha ospitato anche numerosi neonati. Le donne ospitate avevano un' età media di 31 anni di nazionalità
prevalentemente albanese, marocchina e italiana. Sempre osservando il resoconto dati, emerge che durante la
permanenza in comunità, due signore hanno reperito una occupazione lavorativa, una saltuaria ma retribuita,
l’altra stabilmente assunta.
Per quanto concerne le dimissioni, un’ospite è stata dimessa e reinserita nella vita quotidiana con le due figlie
avendo sia il decreto del Tribunale che un lavoro stabile e ben retribuito. Due ospiti sono state reinserite nel proprio
domicilio con progetto di monitoraggio da parte dei servizi sociali. Una signora ha concluso un breve percorso di
sostegno post TSO ritornando nella famiglia di origine. Una ha volontariamente abbandonato il progetto di
accompagnamento al parto.
Per quanto riguarda i dati relativi ai minori la comunità dà attuazione ai
provvedimenti del Tribunale per i Minorenni che ne hanno decretato l’inserimento. L’età media dei minori ospitati
è di 5 anni considerando i neonati di un anno.
La nazionalità italiana è del 80%, quella degli stranieri del 20%.
I minori, nel periodo di inserimento in comunità, sono stati seguiti sia dal punto di vista medico che scolastico. La
comunità si avvale di servizi scolastici ed extrascolastici offerti dal territorio e i bambini sono stati regolarmente
iscritti, a seconda delle età, alla scuola materna e all’asilo nido. Sei minori sono stati accompagnati dai Servizi di
Neuropsichiatria Infantile di competenza: due a Valenza e quattro a Casale Monferrato. La comunità dispone di un
soggiorno dedicato esclusivamente alle visite protette per permettere ai minori residenti di incontrarsi, alla
presenza di un operatore e sempre seguendo le disposizioni dei Servizi Sociali, con i parenti.
Per quanto riguarda invece il rapporto tra le ospiti e gli operatori, il resoconto afferma che è sempre molto difficile
e, a tratti aggressivo, tuttavia si deve ricordare che un ambiente accogliente, non chiuso e non pervaso da regole
può facilitare l’accoglienza delle ospiti attenuando l’aggressività. Molte ospiti hanno potuto trovare nelle
operatrici una disponibilità di ascolto mai avuta in precedenza e questo ha aiutato il loro percorso e
l’emancipazione da situazioni psicologiche di grande sofferenza.
Inoltre, il colloquio mensile con l’operatrice di riferimento al fine di monitorare l’andamento del progetto e la
situazione generale, permette sia all’educatrice che all’ospite di valutare i diversi eventi che poi, a poco a poco
daranno origine alla relazione umana stessa.
I risultati correlati a questi incontri sono indubbiamente un richiamo agli obiettivi delle signore, alla
programmazione del lavoro delle operatrici e al monitoraggio dell’applicazione sia dei decreti del Tribunale che
delle disposizioni dei Servizi Sociali.
Nel rapporto con i minori, la struttura stessa con le sue norme, contribuisce a dare un senso di benessere e di
continuità familiare agli stessi.
La certezza degli eventi che si succedono con continuità (colazione, scuola, pranzo, merenda, cena e riposo) non
possono che giovare alla crescita dei minori. Naturalmente la collocazione, che permette ai minori la vicinanza
della madre, mantiene una continuità genitoriale in alcuni casi necessaria.
Inoltre c'è da ricordare che i minori essendo a contatto con altri adulti, diversi dalla madre, possono scegliere a chi
rivolgersi in caso di necessità.
Dopo aver attentamente analizzato i dati relativi al resoconto e dopo il colloquio avuto con il direttore dei centri, ho
riscontrato che il tipo di relazione sociale prevalente è individualista e reticolare: individualista perchè ciascun
progetto è personale, ogni ospite è valutata perchè individualmente e deve seguire un progetto personalizzato;
reticolare perché gli ospiti sono invitati a fare delle relazioni proficue per mettere alla prova la loro capacità di non
mettersi nei guai.
Fonte dati:
- ww.centriartemisia.org
- Centro Artemisia Sanra Teresa resoconto anno 2010 (il più recente
trovato sul sito)
-Intervista al direttore dei centri Artemisia, Dott. Luigi Campagner.
di Martina Belfiore per l’esame di Sociologia, prof. Luca Pesenti – Dipartimento di Sociologia, Università
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