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PRoVe Yamaha Xv950: Custom ma non troppo + speCial moto Guzzi anvil
65
iTaliaN
MaGaZiNe
uomini stile passioni
MaRc
MaRqueZ
uoMo dell'aNNo iN aNTiciPo
il club delle iNGlesi a RoMa
heaRT's owNeRs: Gli aMaNTi
delle Vecchie MoTo Made iN uk
RIdeRs MAN
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6ANNI
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MoTo NoN sfoRNa Più
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sPaGNa iNVece sì)
riders bike
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della RedaZioNe (90 kG)
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il maniFesto
ANtI cIclIstI
RePoRTaGe
beRkeley, 1969
a scuola di RiVolTa
How
to
coMe costruirsi
Moda
la casa dei soGNi di chaTwiN
settembre 2013 - euro 3,50
PoRTo: la ciTTà sosPesa
ANNO 7 heARst MAgAzINes ItAlIA s.p.A.
MeNsIle pOste ItAlIANe s.p.A.
sped. IN A.p. - d.l. 353/2003
(cONv. IN l. 27/02/2004 N° 46)
ARt. 1, cOMMA 1, dcb MIlANO
Viaggi
Riders Italian Magazine
una special
coMe impennare
coMe derapare
Compagni di viaggio
i pezzi migliori finisCono tutti su riders
Fotografi, illustratori, blogger, scrittori, giornalisti. statene certi, se sono bravi prima o poi passano dalle nostre pagine
Lorenzo Fontanesi
Cosa fa Il fotografo, non sempre e non
necessariamente di moto.
Cosa dicono di lui Schivo come un gato
selvatico, lo si avvista solo dove la gente è più
rada, preferibilmente lontano da litorali e strade
trafficate.
Cosa diciamo noi Come Mitridate, combattiamo
il veleno col veleno. Per questo abbiamo scelto
un hipster rinnegato come Lorenzo per
fotografare quelli di Iride Fixed (a pagina 124).
toni thorimbert
Cosa fa Lo sanno anche i sassi: il fotografo.
Cosa dicono di lui Per qualcuno il suo stile
è troppo moderno. Per noi è solo molto avanti.
Cosa diciamo noi Cento! Cento! Cento! Tanti
sono con il servizio di copertina di questo
mese a pagina 54 e l’intervista a Crutchlow
di pagina 118 le storie di Riders su cui Toni
ha messo la firma. Auguri Toni, a te e a noi.
graziano panFiLi
giacomo gambineri
Cosa fa Il fotografo, atività che gli è valsa
numerosi premi internazionali. Fa parte
dell’agenzia Onoffpicture.
Cosa dicono di lui Si divide tra moto, foto e
musica. Milita in una band di dub ma non ha
voluto rivelarcene il nome neanche dopo giorni
di raffinate torture orientali. Insomma, deve
essere una roba bestiale.
Cosa diciamo noi Vorrebbe essere il Javier
Bardem di Non è un paese per vecchi. Se non
sono mati non li vogliamo. Ma per seguire
i romanacci dell’Heart’s Owners MC (a pagina 94)
serviva uno cresciuto all’ombra del Cupolone.
Cosa fa L’illustratore, collabora con Riders e altre
riviste tra cui il New York Times.
Cosa dicono di lui Essere bravi vuol dire anche
adattarsi. E con noi sta dimostrando una
versatilità non comune: questo mese illustra la
sezione How to (da pagina 66) dove vi
insegniamo a derapare, impennare e costruire
una special.
Cosa diciamo noi Lui racconta che fino a un
anno fa non era ancora sicuro che disegnare
potesse essere un vero lavoro. Oggi è un
professionista decisamente apprezzato
e richiesto. Qualcosa vorrà pur dire.
nacio brown
Dino romano
Cosa fa Il concessionario e il preparatore. Il suo
parco giochi sono le Triumph e le Harley.
Ci spiega come fare una special a pagina 66.
Cosa dicono di lui Metà customizzatore e metà
psicologo: vi leggerà nell’anima e tirerà fuori la
moto che avevate dentro.
Cosa diciamo noi Il soggetto è più che ruspante:
una volta su una Bonneville ha fatto un burn out
cosi brutale da arroventare gli scarichi e scavare
un buco nell’asfalto del paddock. Letteralmente.
10 Riders Contributors
Cosa fa Il fotografo, atività in cui eccelleva
quando gran parte di voi si stava ancora
succhiando il pollicione.
Cosa dicono di lui I suoi lavori sono atualmente
esposti presso il Museo di Arte Moderna di San
Francisco, il Metropolitan Museum of Art di New
York e perfino nella biblioteca del Congresso
degli Usa. C’è bisogno di aggiungere altro?
Cosa diciamo noi Siamo fieri di pubblicare
il reportage sul Rag Theatre, a pagina 76,
anche perché Nacio ha preso non poche botte
per realizzarlo, nel corso delle numerose
dimostrazioni che scaldavano gli animi
di Berkeley in quegli anni.
paoLo sormani
Cosa fa Giornalista di Riders, enciclopedia della
special, ciclista & amatore.
Cosa dicono di lui Dicevano che non ce
l’avrebbe fata a completare la crono amatoriale
del Tour (a pagina 130) in meno di un’ora.
Sbagliavano. E chissà su quante altre cose.
Cosa diciamo noi Per mesi in redazione ha
annunciato l’inizio degli allenamenti e della dieta
per prepararsi all’agone. Alla fine si è presentato
senza avere mai inforcato la bici, da caino qual è,
ed è sopravvissuto. Respect.
65
AUTOGRAFI
22
Quella volta che
di Carlo Pernat
28
Affinità elettive
di Raffaele Paolucci
32
La stanza dei perché
di Jan Witteveen
34
Bizza a domicilio
di Luca Bizzarri
135
Correva l'anno
di Giovanni Cabassi
136
2+2
di Emanuele Vicinanza
137
Roba da uomini
118
di Pietro de Angelis
ITALIANO MEDIO
139
Intervista a Cal Crutchlow,
prossimo pilota Ducati in
MotoGP. Qui si diverte con
due ruote senza motore:
«Mi ritirerò quando potrò
pagarmi due infermiere».
Agente speciale
di Paolo Sormani
140
Stile e derivati
di Alessandro Fontanesi
141
Ri-scatto
riders
bike
vol. i
di Walter Arosio
142
Guarnizioni
di Giovanni Cabassi
142
Riders educational
di Maurizio Gissi
143
Zepping
di Zep Gori
144
Bar Superbike
di Vanessa Anfossi
146
Editoriale
Posta
7
9
Compagni di viaggio
Shots
10
19
Garage
Indirizzi
135
145
In serbatoio veritas
di Andrea Chiaravalli
Sommario
Riders
13
65
rIDErS SchOOL
STOrIE
6 anni L’età più bella.......................................................................................................................... 53
Marc Marquez Il primo della classe si racconta..................................................... 54
Minimoto Perché l’Italia non sforna più campioni.................................................. 60
Teoria Come derapare, impennare e fare la tua special................................... 66
Ricreazione Sul Brenta, ogni anno, si trovano ragazzi speciali .............. 70
Scuola di rivolta Berkeley 1969-73, nel cuore della contestazione.... 76
Kimi Räikkönen A tu per tu con l’uomo di ghiaccio........................................... 46
Chaz Davies Ha giocato per noi a fare l’operaio in BMW.............................. 48
Anvil Arriva dall’inferno la nuova Guzzi dei fratelli dell’incudine. ........... 84
Yamaha XV950 Semplice e nuda. Si guida bene e costa poco.............. 90
Heart’s Owners Club A Roma con le vecchie inglesi. .................................... 94
Porto La città del vino, sospesa fra passato e futuro....................................... 100
SpEcIALE bIkE
Cal Crutchlow «Dopo la moto proverò a fare il ciclista» . .......................... 118
Iride Fixed Cinque ragazzi in fissa per la fissa...................................................... 124
Tour de France L’inviato di Riders alla crono amatoriale.......................... 130
90
106
100
Nella casa di chatwin
MOdA
Che ci faccio qui ........................................... 106
Sopra. Nella casa amata
dallo scrittore e viaggiatore,
con due gemelli molto diversi.
LE MOTO DI QUESTO NUMErO
BMW S 1000 RR (24 e 49) BMW R 80 GS Moto Sumisura (139) BSA 650 Lightning (95 e 97) Harley-Davidson 883 Forty-Eight bobber (47) Harley-Davidson Knucklehead Rat Bike Service (139
Honda CB500 Four (87) Honda CB750 Samoto (135) Honda NS125F (143) Honda XL125 (136) Honda Dominator Livio Suppo (22) Kawasaki W 650 PDF (139) MV Agusta One GP Design
(19) Moto Guzzi Elr Mille Anvil (da 84 a 88) Norton Commando 750 (95 e 96) Norton Dominator (97) Triumph T120 Bonneville 650 (77) Triumph T140 Trident 750 (94) Triumph Tiger 800
(107) Vespa 150 PX (105) Yamaha XS 650 An-Bu (28) Yamaha XT 550 (143) Yamaha XV 950 (da 90 a 93)
14
Riders
Sommario
SHOTS
UOMINI
Mitologica Medea
La moto di Suppo
Di corsa con ASICS
Maglia gialla in SBK
STILE
Carta neozelandese
John Lennon ed Elvis
Milano Film Festival
Gli occhiali di Lauda
PASSIONI
Serial killer in tv
The Bloody Beetroots
Il regista de L’esorcista a cura di
Le bacchette di Endo
Michele Bisceglia
Mv agusta officine gp design
UNA MELA SUL CRUSCOTTO
Courtesy Officine GP Design
di gianrico nai
Non ci aveva pensato ancora nessuno: installare un aggeggio, un device
direbbero i più tecnologici, come l’iPad su una moto. Non ci aveva pensato
nessuno finché non si è accesa una lampadina nella testa del torinese Luca
Pozzato, titolare di Officine GP Design. La One, questo il nome dell’italianissimo
progeto, è l’unione tra il tablet di Apple, la Mela più famosa al mondo, e
la MV Agusta Brutale 800, un’eccellenza tricolore. In sintesi: il cruscoùo
classico non esiste più e al suo posto c’è un iPad mini sganciabile rapidamente.
Per la prima volta non è il conducente a essere connesso, ma la moto stessa.
Come spiega Luca, «riuscire a far dialogare la semplice centralina di una
moto con uno strumento tecnologicamente avanzato come l’iPad è stato
il problema più grande ma, una volta risolto, ci ha aperto la strada per
infinite soluzioni». Le infinite soluzioni sono rappresentate da nuovi stili di
contagiri e contachilometri che non sono più montati in officina, bensì
scaricati dal web, come app per la misurazione della temperatura dell’acqua
o per la personalizzazione dei comandi. Ovviamente il navigatore è di serie.
Sulla One il tablet è impiegato in modo completamente diverso dall’uso per
cui è stato progeùato, basti pensare alla funzione Flag Me per localizzazioni
in caso di emergenze o alla possibilità di scaricare la telemetria, unidirezionale
con parametri del propulsore non modificabili, durante i track days. E quando
piove? L’iPad è proteùo da un deck-custodia impermeabile fino a seùe metri,
sperando di non arrivarci mai. Questa soùile scatola nera va a integrarsi nel
caccia made in Schiranna decisamente modificato rispeùo alla versione stock:
le modifiche prevedono un abbondante utilizzo dell’allumino per il serbatoio
e per il codone, detagli di Rizoma con vocazione hi tech e fanale con
tecnologia led. Ancora materiali nobili come il titanio e il carbonio per lo
scarico omologato prodoùo dalla HPCorse. Nemmeno i cerchi sono stati
risparmiati e, al posto degli originali a razze, questa Brutale sfoggia due ruote
a raggi. Deùaglio da supercar sono gli specchieùi, una coppia di iPod che
grazie a due telecamere trasmeùono tuùo quello che avviene alle spalle del
conducente. Per ora rimane solo una provocazione, ma è comunque una
finestra sul futuro (deve ancora essere omologata). La One è un’edizione
limitata: à9mila euro per taggarsi su uno dei 19 esemplari prodoti.
Uomini Stile Passioni
Shots
Riders
19
shots powered by pussypusher.tumblr.com
20 Riders Uomini Stile Passioni
medea
teixeira
Modella di nudo, musa di tutti i fotografi,
celebrity del sottobosco hardcore di Internet.
Si definisce «troia con sentimento» e racconta
a Riders tutti i suoi segreti, tariffe comprese
Per chi non si accontenta
Se volete saperne
e vederne di più:
medeateixeira.tumblr.com
e medeadoll.blogspot.it
Il suo account Twitter e
Instagram è @medeadoll
Courtesy archivio personale Medea Teixeira
testo Moreno Pisto
foto Max Bertoli
Ti aspetta alla Bodeguita del Medio,
viale Bligny a Milano; sorride,
ti strappa dalle mani il foglio
con le domande che vorresti farle,
prende una matita e comincia a
scriverti le risposte. Prima domanda: come ti definisci? Scrive: «Una troia
con sentimento». Ben arrivati.
Medea Teixeira è una celebrity.
Non è un’attrice, non canta, non
balla, non va in tv. È una celebrity nel
sottobosco di Internet. Fa la modella
di nudo. È la musa dei fotografi.
È hardcore, non porno. Su Facebook
scrive status tipo: «Pompini col culo
sempre» (domenica mattina, ore 7).
Su Instagram appare quasi nuda.
Sul suo blog ogni scatto fa deglutire.
La coppia seduta accanto a noi le
chiede di farsi una foto, lei risponde:
«Con le tette fuori o dentro?». Fuori,
ovviamente. Per la cronaca, sui
capezzoli ha due piercing. Olé.
Detto questo: fa tenerezza, molta, e
ti sbatte in faccia la sua insicurezza
provando a nasconderla già nel
modo in cui si presenta: vestitino
svolazzante, niente reggiseno,
micromutandina che mostra
abbondantemente (è seduta su uno
sgabello a gambe aperte). Brutta domanda da fare: quanti anni hai?
«29. Sono nata il 29 agosto. Vergine
ascendente gemelli. Teixeira è il
cognome di mia madre, Medea è il
secondo nome, il primo è Benedetta.
Pensa te». Altra brutta domanda: perché? «Perché mi faccio
fotografare nuda?». Nuda è dir poco, ci sono foto di te che bevi la tua urina... «Ah sì, buona la mia, annata
1984.... È che io vivo di fotografia,
mi piace farmi riprendere e sentirmi
figa. Il prodotto finale del lavoro
mi dà la stessa gioia di quando da
bambina scartavo i regali di natale».
E il tuo fidanzato che dice? «È bello
perché quando torno a casa dopo
tutte le cose che faccio c’è uno che
crede in me. Quando mi ha
conosciuta avevo appena iniziato
a fare queste cose». Per «queste cose» cosa intendi? «Le foto, i video
e poi, se vogliamo dirla tutta, ho
fatto la escort, la troia. L’unico
tatuaggio che ho è una “L” di libertà
che mi sono fatta da sola a 16 anni
con l’ago da cucito e la china.
La cosa fondamentale che ho
sempre pensato è che uno può far
quel cazzo che vuole, l’importante
è che quando ti alzi e ti guardi
allo specchio sei felice, ti senti libera.
Sono io che ho deciso di fare
la puttana e scoparmi gente di 60
anni. Io scopo solo gente vecchia».
Quanto costi? «Quattrocento o
cinquecento euro per tre ore. Ma
fate solo domande porche o anche
qualcosa di più profondo? Cosa intendi per profondo? «Quello che si
legge nei miei occhi, quello che mi fa
piangere, quello che… Boh, quando
dico: cazzo ho paura, cazzo non ce la
faccio, quando ho paura di essere
sola. Sono insicura. La mia armatura
è far vedere: aprire le gambe, non
chiuderle». E i tuoi genitori? «Mio
padre è friulano, mia madre
brasiliana di Brasilia. I primi a non
credere in me sono sempre stati loro,
tornavo a casa e c’era ansia,
tristezza, una tensione incredibile.
Mio padre litigava con mia mamma,
che era depressa: da un giorno
all’altro sclerava, mi pestava,
s’incazzava per stupidate. Non
potevo essere triste perché secondo
lei se sei triste devi per forza andare
dallo psicologo e prenderti un
farmaco. Il fatto è che non sono
riuscita a farmi ascoltare, a far capire
che non ero indiavolata, scema,
pazza, autolesionista; mi sentivo sola
e non avevo un cazzo di nessuno
che mi amava per come ero, che mi
rispettava e mi desse una cazzo di
attenzione. Capito? Tant’è che il mio
lavoro da puttana è iniziato così.
Guadagno soldi, ho una persona che
mi vuole, sta con me 20 minuti, io
avevo bisogno di tutto questo e ho
cominciato a fare la troia a 16 anni:
si parla di cinquemila lire, una
ricarica del cellulare, cose così. Sono
stata anche in comunità. Però rifarei
tutto. Sono nata in Brasile, sono
arrivata in Italia che avevo 6 mesi,
ho vissuto a Monza fino a 13 anni.
Mio padre ha salvato mia mamma e
ha salvato me. Mi ha portato qua e io
ho fatto esattamente le stesse cose
che faceva mia madre lì. Sono stata
fortunata perché poi ho conosciuto
persone splendide. Qualunque cosa
abbia fatto, la puttana, la modella, la
comunità, esser stata con un uomo
violento, aver litigato coi miei, essere
stata in ospedale, aver dormito in
macchina di amici e anche nei
parchi... Tutte queste cose nella mia
vita le difendo a spada tratta e guai
a chi me le tocca, più ci penso e più
sono orgogliosa di ogni mio aspetto
perché non potrei essere quello
che sono adesso se non avessi fatto
tutte queste cose qua. E alla fine
sai com’è? È fantastico».
Uomini Stile Passioni Riders 21
shots
sognando elsinore
Come ve la immaginate, la special del Team principal di HRC in MotoGP? Da paura,
minimo. Farcita di magnesio e di parti scartate da Pedrosa. Invece Livio Suppo
ha scelto una Honda Dominator 650, in omaggio ai suoi anni in fuoristrada. Con questa
enduro fu protagonista del primo Camel Trophy, anno 1988, nella Baja California
Quella
volta che
testo Guido Balti d’Altoè
foto Giuseppe Tarditi
Abbiamo incassato il doppio
e speso tutto al Sagittarius
di Carlo Pernat
Nel ì985 ero responsabile della
Cagiva ì25 che partecipava al
Mondiale motocross con il
finlandese Pekka Vekkonen.
Eravamo tuti supereccitati perché
si correva per la prima volta in
Brasile, a Belo Horizonte, e le
nostre aspetative erano
stratosferiche, anche per il
contorno extrasportivo.
Corremmo in un circuito
bellissimo davanti a quasi 90mila
paganti, il clima generale era
meraviglioso. Vincemmo il Gran
Premio con il finlandese e la festa
fu organizzata in un locale
chiamato Sagitarius. All’epoca
si andava a ritirare i premi gara
nell’ufficio dell’organizzatore,
che era un californiano molto
simpatico, amico di Pelé. Avrebbe
dovuto pagarci in franchi svizzeri,
ma ci diede l’equivalente in dollari
Usa che in quel momento
valevano il doppio. Feci finta di
niente e, d’accordo con le altre
squadre, facemmo buon viso a
otimo gioco. Spendemmo tuto al
Sagitarius, prendendo in giro
l’organizzatore, convinti che si
fosse sbagliato. Sbagliato un
corno: scappò negli Stati Uniti con
l’intero incasso, facendo perdere le
proprie tracce e godendosi i
milioni allegramente rubati. Fu la
più grossa truffa di sempre nel
giro dei Mondiali. Oltre a lui, ci
guadagnarono le squadre che
presero il doppio del dovuto. Cose
dell’altro mondo, in tuti i sensi.
Ogni mese un aneddoto di Carlo Pernat,
da 30 anni nel motociclismo, adesso
manager di alcuni piloti della MotoGP.
22 Riders Uomini Stile Passioni
La usa poco...
...ma quando la usa si
diverte davvero. Livio
Suppo sulla Dominator al
crossodromo di Baldissero.
In alto. Se la gode sotto al
casco; il fregio sul serbatoio;
insieme al bike designer
Angel Lussiana; lo stile
Elsinore anni Settanta.
Ecco perché ci avevi dato appuntamento a un mercatino d’epoca
due anni fa (era per Riders 48).
«Volevo celebrare il titolo 2011 con
Casey e stavo cercando di capire i
vari pezzi, fanali, strumenti. La base
era già decisa, con la Dominator ho
un legame affettivo».
Ricorda lo stile anni Settanta della CR250M Elsinore.
«L’ispirazione arriva da lì, vedi anche
la scritta sul serbatoio, così tanti
pensano che sia d’epoca. La moto
l’ha costruita un amico di Torino,
Christian Serri. Il serbatoio l’ho fatto fare su misura, per la linea mi ha
aiutato molto il designer Angel Lussiana. Senza di lui, non ce l’avrei mai
fatta per l’estetica».
Quanto tempo ci avete messo?
«Abbiamo passato un anno divertente, mi accompagnava anche mio
papà a vederla, è mancato di recente e mi fa piacere conservare quei
ricordi con lui, che mi attaccò la
passione per i motori».
Qual era la sua prima moto che
ricordi a casa vostra?
«Una Montesa Cota 248, io avevo 12
anni. A 11 papà, che era del 35, mi
aveva regalato un Guzzi Dingo che
avevamo straelaborato tipo fuoristrada, una cosa che non ti dico. Dopo
un anno arrivò una Montesa 348».
Riesci a guidarla, o l’hai costruita
solo per farla vedere sulle riviste?
«Tra modifiche e campionato, la uso
pochissimo. Mi riesce più facile andare in mountain bike».
shots
la bici elettrica
è regolarità
dalla maglia rosa
alla superbike
Vincitore di una tappa dell’ultimo Giro d’Italia, Luca Paolini
preferirebbe una stagione da ultimo in SBK piuttosto che
il podio al Tour de France. Siamo stati con lui a Imola, dove
si è divertito in pista con le moto di Davies e Melandri
testo Fiammetta Doniselli
foto Matteo Cavadini
«Faccio un altro giro, poi basta. Promesso!».
Luca Paolini ha gli occhi di un bambino alle
giostre. 36 anni, due figli, ciclista professionista
dal 2000, ha l’occasione di provare quatro supersportive al BMW Motorsport Track Day a Imola,
tra cui le moto di Marco Melandri e Chaz Davies:
«Non pensavo fosse così faticoso guidare certe
belve. Ho iniziato da piccolo con una motoreta
da cross, poi mio papà mi ha regalato uno Shadow
600, roba troppo tranquilla per me. E allora ho
preso una CBR 600, la mia prima, vera moto».
Maglia Rosa alla terza tappa dell’ultimo Giro d’Italia, è abituato a correre su due ruote, ma di tut’altro tipo. «I miei mi han messo in bicicleta e siccome avevo le potenzialità per emergere nel
ciclismo non sono neanche stato tentato di percorrere un’altra strada». Ora, se dovesse scegliere tra vincere il Tour De France o un Mondiale
in SBK non avrebbe dubbi: «Nel ciclismo le mie
soddisfazioni me le sono tolte, ma una stagione
in SBK... Anche ultimo in classifica! Sono cresciuto con Freddie Spencer ed Eddie Lawson, e se mi
24 Riders Uomini Stile Passioni
Riders
Bike
vol. 1
chiedessero “che sport vuoi che faccia tuo figlio?”
risponderei moto, macchine, kart». Se invece gli
chiediamo quale sia la migliore preparazione per
una gara, torna ai figli: «Se riesco a stare a casa
con loro affronto le corse con serenità. E se sei a
posto con la testa sei al top anche in gara. Vita
sana, cene in famiglia, un po’ di moto». Sempre
la moto: «Sono amico di Alberto Colombo, il meccanico di Chaz Davies. Lo conosco da quando era
in Ducati con Troy Bayliss. E grazie a lui sono
entrato in contato con altri piloti come Marco
Melandri (nella foto con Paolini), che è un giocherellone. Gli piace la bici, come a tanti altri.
Ricordo Bayliss: era pignolo, si allenava quasi
più di me e nei box preferiva parlare di bici».
Sguardo timido, poche parole. Ma quando gira in
pista, altro che timidezza: Paolini esce dalla Tosa
di Imola come una molla e, sceso dalla moto, ha
l’adrenalina negli occhi. Dai box lo spingono a
salire su un’altra moto e lui non se lo fa ripetere
due volte: «Penso che per un appassionato sia il
sogno per eccellenza, no? Negli ultimi giorni ero
teso, non vedevo l’ora». E adesso non vede l’ora
di farsi un ultimo giro.
Né moto né semplice e-bike. Ricordate
la Stealth che avevamo provato in
Arizona? Ora ce n’è una anche in Italia.
E chi ce l’ha se la gode in fuoristrada
«Ho appena finito di
fare 50 chilometri di su
e giù con una moto da
55 chili, una cosa che
non esiste al mondo.
Questo è il futuro». Ce
l’eravamo chiesto su
Riders 59: la moto del
domani sarà una bici, o
la bici del futuro sarà una
moto? Paolo Gotarelli
è stato il primo in Italia
a comprare la Hurricane,
la e-bike che avevamo
messo alla prova in Arizona, incrocio tra una
piccola moto da enduro,
senza motore a scoppio,
e una bici da downhill,
senza pedali. «Per fare
fuoristrada è ottima»
spiega Gottarelli, chirurgo sessantenne che abita sull’Appennino tosco-
emiliano: «Sono un
motociclista, ho anche
una Montesa Cota che
però pesa più di 80 chili. E vivo in un parco di
divertimenti naturale
con percorsi tipici da
regolarità: con questa
bici elettrica mi diverto,
faccio movimento, al
massimo della potenza
arrivo a novanta all’ora,
ma non faccio rumore
e non rovino i sentieri».
La differenza tra la Hurricane Stealth importata in Italia da Next
(nextsportshop.com) e
le altre bici elettriche
simili, spiega lo stesso
Gottarelli, «è l’autonomia della batteria e le
prestazioni paragonabili a una 125 cattiva».
l’uomo che
non si vede
Ritratto di Julià,
padre di Alex e Marc
di Nereo Balanzin
E se non ci si riesce, almeno
non rovesciare le difficoltà
addosso agli altri». Forse
anche per questo marc sorride
sempre. «non c’è ragione
perché sia diversamente. Ha
raggiunto il primo obiettivo: la
motoGP. moto2 e moto3 non
sono stati traguardi, per lui, ma
solo tappe intermedie. Ha
sempre puntato al bersaglio
grosso. Il prossimo è vincere il
titolo. Più avanti, la vita gliene
fornirà altri: una donna; una
famiglia». dice Julià: «mi piace
stare con marc. Però non mi va
di stargli addosso. non voglio
togliergli autonomia. È un uomo
che fa il proprio lavoro. mi
diverte guardarlo da lontano; mi
piace parlare con lui cinque
minuti, se ha tempo, dopo una
sessione. A volte non lo ha;
allora, quando mi passa
accanto, strizza l’occhio. Ci
sono giornate in cui la
comunicazione padre-figlio è
staccava venti metri dopo». In un colpo solo ha
soddisfato il giornalista, ha deto che l’errore lo
aveva commesso Lorenzo e ha lisciato il compagno
di squadra. «Sì» ride. «Ma le risposte mi escono
così, al volo. Se durante un meeting mi suggeriscono cosa rispondere a un’eventuale domanda
faccio subito di no con la testa». La familiarità
con i giornalisti (e pure con i meccanici) la deve
alla bravura che ha nel parlare perfetamente
l’italiano e l’inglese: «Ho un professore d’inglese
dal 200ò, nei box se non lo sai sei tagliato fuori.
Adesso sto cercando di imparare anche le parole
che non si usano solo nel paddock, perché se dovessi parlare di politica mi troverei in difficoltà».
Perché te ne intendi? «Un poco sì». Ah, sì? Da
catalano sei per la Catalunya indipendente? «Non
saprei dirlo. Quello che penso è che c’è troppa
gente in Parlamento. Dovrebbero essere di meno
e lavorare senza perdere tempo in sciocchezze».
Pro o contro i matrimoni gay? «Io penso che se
58
Riders
Cover Story
tutta qui». esistono due marc:
il marc da paddock, e quello
formato famiglia. «Quello da
paddock è estremamente
riservato. Racconta pochissimo.
Quasi niente. Come è giusto.
Quello formato famiglia è
espansivo, affettuoso». Tra l’uno
e l’altro, scarso travaso:
«Quando apre la porta di casa,
tornando dalla pista, ha già
elaborato tutto, e archiviato
ogni cosa». uno dei tifosi
principali di casa è il nonno.
«Tifare per i nipoti è diventato,
per lui, un lavoro a tempo pieno.
Ha conquistato una sua
postazione sul sofà davanti al
televisore. Giorno o notte, a
qualunque ora i ragazzi corrano,
lui è lì. e appena la bandiera a
scacchi s’abbassa, s’addormenta sul posto». Julià preferisce
non portare divise. «Come farei?
I figli sono due. In team diversi.
entro da uno e mi cambio la
casacca, vado dall’altro, mi
spoglio e mi rivesto? Sai la cosa
più bella? Quando Alex e Marc,
d’inverno, se ne vanno fuori
con la moto da cross. Quando
rientrano, e li sento ridere
sotto il casco, capisco che
sono fortunato, e che questa è
la vita». marc possiede un’auto
grande. «Perché l’ha ricevuta
dallo sponsor. l’avesse
comperata lui, sarebbe stata di
sicuro piccola. non gli piace
scialare. Quando era bambino,
gli obiettivi economici della
famiglia erano due: pagare il
mutuo, farlo correre. Così, le
sue moto sono sempre state di
seconda mano. Quando un
amico ci diceva: “andiamo a
cena fuori, stasera?”. Io e Roser,
sua mamma, facevamo i conti:
“domenica marc corre?”. e se ci
invitavano: “dai, una settimana
in Francia”, ci chiedevamo: “ma
ne abbiamo davvero voglia?”
marc ha sempre ascoltato tutto.
e ha sempre capito tutto.
Padre e figli
Julià fotografato nei box
e (a sinistra) i fratelli
marquez in coppia: alex,
tre anni più piccolo, e marc.
Se potessi fargli un regalo,
gli regalerei un teletrasporto.
Perché Marc non ama
l’aereo. È l’unica cosa, nel
mestiere che fa, a dargli
fastidio». Il carattere di
marc? «Precisino, fin da
piccolo. Tutto doveva essere
a posto. un po’ ne sono
responsabile. Quando era
bambino la moto gliela lavavo
io, ma lui doveva occuparsi
degli stivali e fare le cose
come si deve. Possiede una
determinazione formidabile.
a volte, lo devo prendere per
le briglie: calmo, marc. Suave,
niño. Suave...».
innamorato una volta sola, di non essere fidanzato,
che la prima volta che ha fato l’amore aveva 17
anni e l’ultima è stata una setimana prima di
questa intervista e che fra la libidine di vincere
in MotoGP e quella di un orgasmo preferisce la
prima. Però subito dopo spara la frase a effeto,
una di quelle che piacciono tanto ai giornalisti:
«Ma io penso che se non fai l’amore non puoi
vincere il campionato del mondo eh!». Si ferma
solo quando gli mostro due foto. In una avrà dieci
anni, sta alzando un trofeo. Nell’altra festeggia
una delle ultime vitorie. Chiedo: davvero ti senti
sempre un bambino? «Come dicevo, sono matuuno è gay e desidera sposarsi perché non do- rato e cresciuto grazie alla famiglia, a Emilio, alla
vrebbe farlo?». Sei religioso? «Non tanto. La mia gente che mi vuole bene e con cui ho lavorato. Ma
nonna e mio padre lo sono, mia mamma meno. alla fine sono lo stesso. Quando cambierò se ne
Diciamo che sono religioso nel senso che quando accorgeranno tuti». Perché? «Perché smeterò
dovrò sposarmi andrò in chiesa». Ti piacerebbe di ridere». E continua a ridere.
ricreare una famiglia come la tua? «In futuro
sicuramente sì, adesso no». Dice di essere stato Ha collaborato Monica Martini
«La regola dei rookie tolta
per me? Meglio. Che senso ha
penalizzare un giovane pilota
solo perché è giovane?»
© Gigi Soldano
l’uomo Invisibile increspa
l’ombra. Per mesi, anni,
Julià è riuscito a mantenersi
ai margini della scena.
non veste la divisa del team;
non frequenta particolarmente
il box; è un signore gentile, alla
mano, spontaneo che ha scelto
(molto, molto tempo fa) di
essere una presenza importante
nella vita dei figli, ma non
appariscente. Però, da quando
il maggiore è diventato una
stella di prima grandezza,
mantenere un profilo basso
gli riesce sempre più difficile.
Quando li si vede assieme
(Julià, marc e alex) colpisce
quanto si assomiglino i maschi
della famiglia marquez. Julià
porta i capelli tagliati corti,
scuri e fitti come il pelo di un
gatto. niente anti age, per il
viso. Scarpe da ginnastica,
jeans, T-shirt. magro. Tonicità
da lavoro (macchine movimento
terra), non palestra. a testa alta.
Sguardo espressivo: se non
lo convinci, non ne fa mistero.
Se è contento, gli occhi ridono
come quelli di un bambino.
Triste, mai: «Abbiamo una
regola, in casa: mettercela
tutta per essere felici.
La sCaLata
di Marquez
2008
marc esordisce in 125,
team Repsol KTm 125.
arriva tredicesimo.
2009
Passa al team Red Bull
KTm moto Sport. Termina
la stagione all’ottavo posto.
2010
Sale sulla derbi RSa 125
con il team Red Bull ajo
motorsport. ottiene le sue
prime vittorie, due terzi
posti e 12 pole. Vince
il titolo con 310 punti.
2011
Passa in moto2, team
CatalunyaCaixa Repsol
con una Suter. Zero punti
nelle prime tre gare,
ma termina secondo.
2012
ancora in moto2. Vince
nove gare e il titolo.
2013
Prima stagione in motoGP
col team ufficiale Repsol
Honda HRC, compagno
di Pedrosa. Vince (spesso)
e straconvince. Comunque
andrà, è lui l’uomo dell’anno.
In tutto il servizio marc
marquez indossa GAS.
Cover Story
Riders
59
riders inchiesta
school ricambio generazionale
piccoli campioni
non crescono
60 Riders Inchiesta
I piloti italiani non vincono più e di fuoriclasse all’orizzonte nemmeno l’ombra. Perché? E perché gli spagnoli dominano? Di chi è la colpa? Cosa sta facendo la Federazione? Tra quanti anni torneremo a essere competitivi? Ecco tutte le risposte
testo Paolo Gozzi
fotografie Diego Drudi
p
erché dopo Lorenzo
e Pedrosa gli spagnoli
hanno lanciato Marquez
e noi siamo ancora fermi a Valentino Rossi? I
risultati parlano chiaro,
gli italiani non vincono più e di fuoriclasse
all’orizzonte non si vede
l’ombra. Nella categoria
d’accesso del Motomondiale l’ultimo iridato è
stato Andrea Dovizioso nel 2004. Erano i tempi
della ù25, adesso si chiama Moto3 ed è un affare
tra spagnoli. Nella Moto2 siamo non pervenuti e
quando la classe di mezzo si chiamava 250 l’ultimo
sigillo è di Marco Simoncelli. Parliamo del 2008 e
di un talento che purtroppo non c’è più. Il Valentino nazionale non sbanca la MotoGP dal 2009 e
sarà difficile che possa prendere in contropiede i
magnifici tre di Spagna. Da quando Rossi ha perso
l’ispirazione gli unici due Mondiali tricolore li
ha vinti (in Superbike) un signore di mezza età,
Massimiliano Biaggi. Che, a 4ù anni, ha smesso.
L’organizzazione c’è (da poco)
Di chi è la colpa della crisi? C’è una filiera di accesso,
promozione e sviluppo in grado di scoprire nuovi
talenti? Primo elemento, l’organizzazione c’è, eccome. Da alcuni anni la Federmoto ha tracciato un
percorso di formazione che parte dalle minimoto
e arriva alle soglie del Mondiale. Con l’impiego di
osservatori, tecnici, preparatori, mental trainer:
una strutura che fa invidia al mondo intero. Tra
l’altro da quest’anno c’è pure un grosso sponsor
(San Carlo) che copre parte del budget da diversi
milioni di euro. E allora cos’è che non funziona?
L’anello debole sono le minimoto, il bacino che
ha allevato tuti i campioni degli ultimi vent’anni,
da Valentino in poi. È riservata a bambini da oto a
dieci anni compiuti. Sapete quanti sono in Italia?
Appena 60. Facendo un parallelo un po’ maldestro,
è come se nel calcio sperassero di trovare un nuovo
Roberto Baggio in una sola scuola calcio. Invece ci
sono decine di migliaia di bambini che giocano al
pallone, quindi dalla massa qualcosa verrà fuori.
Nelle minimoto invece sono appena sei decine: se
ne uscirà la risposta italiana a Marc Marquez sarà
solo questione di fortuna. Una grande fortuna. E
poi: il motociclismo è uno sport molto popolare, la
MotoGP in tv fa sete milioni di spetatori, Rossi
è da oltre ù5 anni fra i due, tre sportivi più noti
(e pagati) del Paese. È possibile che appena 60
Inchiesta Riders 61
bambini di oto anni sognino di diventare come
lui? Per dirla tuta, bisogna anche precisare che
la FMI organizza corsi per ragazzini dai sete ai
ù3 anni, delle scuole itineranti (e spesso curate
dai comitati regionali) non solo di velocità ma
anche di fuoristrada, cross, quad, trial e flat track.
E solo da quest’anno la Federazione ha iniziato un
progeto di certificazione delle tante scuole moto
per bambini sparse nel nostro Paese. Oto hanno
già aderito. Quindi: alla fine i piccoli appassionati
ci sono, ma manca una gestione complessiva della
cosa, come la Dorna fa in Spagna.
I problemi, la soluzione e la trafila
Lo scoglio, manco a dirlo, sono i soldi. Disputare il
campionato minimoto (sei prove nazionali titolate)
costa almeno sei-setemila euro. Per le famiglie
ricche sono due spiccioli, per quelle normali bei
soldi. La Federmoto l’ha capito e dal prossimo
anno lancerà un programma che si chiama Primi
Passi: chi vuole, potrà provare e correre gratis.
Moto, abbigliamento, istrutori, pagherà tuto
mamma FMI. Verranno organizzati campus nelle
regioni principali: sicuramente in Lazio, Emilia,
Toscana e Lombardia. Si spera di allargare la
base e metere alla prova anche bambini meno
abbienti che invece sarebbero persi. Segnatevi
i nomi di Davide Cangelosi, Marco Gaggi, Elia
Bartolini: tra sei, sete anni speriamo di ritrovarli
alla soglia del Mondiale. Dopo le minimoto c’è la
MiniGP, riservata a chi ha dieci, ù2 anni. Anche
qui ci sono sei gare nazionali e si può correre con
moto due tempi 50cc oppure quatro tempi ù00cc.
Una stagione costa sui ù5mila euro. I bambini del
momento sono Celestino Vieti e Kevin Zanoni.
Intanto speriamo che non crescano troppo: qualche anno fa Alessandro Nocco, talento emergente
della Stock, si fermò per una stagione perché a ùù
anni era già troppo alto per questa categoria. Lo
scalino successivo sono moto vere, le PreGP. È per
i ragazzi fra i ù2 e i ù4 anni e come nella MiniGP
ci sono due diverse possibilità tecniche: ù25 2T
oppure 250 4T con motori derivati dal cross. La
potenza è limitata a 35 cavalli, peso limite 80 chili.
Nella 4T soto i rifletori c’è Niccolò Bulega, figlio
d’arte che ha già avuto ampia ribalta sui media. Ma
per sbarcare in Moto3 da campione dovrà avere
ragione di Axel Bassani e Axel Gabelli: la gaveta
è dura anche per i predestinati. Il campionato
nazionale si articola in sei round e vi prendono
parte circa 35 piloti. Nel 20ù4 la PreGP sarà inserita
nel programma del CIV, il palcoscenico più impor-
62 Riders Inchiesta
I piloti che corrono in
minimoto sono appena 60.
È come se nel calcio si
sperasse di trovare
il nuovo Baggio in una
sola scuola calcio
tante dell’atività nazionale. Problema: anche qui
una stagione costa almeno 1à mila euro ma se
vuoi vincere ne servono almeno il doppio. Ma il
prossimo anno, con l’aiuto dello sponsor, la FMI
pensa di ridurre le spese necessarie per licenze
e iscrizioni del 30 per cento. Ai piloti d’interesse
nazionale la Federazione assegna una borsa di
studio. Per i piloti del Team Italia significa avere
moto e squadra pagate: Romano Fenati e Francesco
Bagnaia nel Mondiale Moto3, Franco Morbidelli e
Alessandro Nocco nell’Europeo Superstock. Altri
prendono un contributo da girare al team.
Soldi, status e genitori
Ecco un altro problema italico: non esistono più i
mecenati che investono per allevarsi il campione,
oggi se non paghi stai a casa. In Spagna è diverso:
le speranze che escono dalle serie d’accesso finiscono subito in mano ai top team del Mondiale
che li fanno crescere nel CEV. Moto, sponsor,
organizzazione e la benedizione della Dorna, il
promoter di tuti i Mondiali. Ai ragazzini spagnoli
non manca niente, per i nostri è tuta un’incognita.
Dalle minimoto fino alla soglia del professioni-
smo senza soldi non si va da nessuna parte. Ma
non è solo per questo che così pochi bambini
cominciano a correre. È che la moto non è più
oggeto del desiderio come una volta. Negli anni
Setanta-Otanta non c’era adolescente per cui il
motorino non fosse la massima aspirazione. Le
due ruote erano uno status, un modo di essere e
un modo di vivere. In ogni paesino c’erano decine
di quatordicenni fulminati per la velocità. Se un
ragazzino di oggi si presentasse davanti ai suoi
coetanei in sella a un Minarelli assetato racing,
ricoperto di adesivi da corsa come usava allora,
lo prenderebbero per un disadatato. Trent’anni
fa era uno strafigo. I campionissimi di quella generazione erano quasi tuti sbocciati dalla strada.
Fausto Gresini partì senza neanche un soldo
in tasca. Fece l’Europeo ùà82 dormendo in una
canadese montata nel paddock. Tre anni dopo
conquistò il Mondiale della ù25. Adesso i ragazzini
della PreGP arrivano in circuito con il motorhome
di papà, come se il Mondiale l’avessero già vinto.
Infine, i piloti di oggi hanno tuti cominciato a
correre non per desiderio loro, ma perché sono
stati trascinati dai genitori o da qualche parente
appassionato al posto loro. Prima era l’opposto, i
piloti cominciavano a correre di nascosto perché
i genitori erano contrari. C’era perfino chi faceva
metere lo pseudonimo sulle classifiche, perché a
casa non sapessero. Tra i ragazzini di oggi non
ce n’è uno che non abbia papà alle spalle, dal
punto di vista economico e spesso anche come
gestione. Si sa come sono i genitori, se il bambino
non va è sempre colpa della moto, del team o di
qualche congiura internazionale. Ce ne fosse uno
che ammete che suo figlio proprio non è tagliato.
I genitori invadenti sono uno scoglio così grosso
al processo di crescita dei baby piloti che la FMI
vorrebbe aprire un campus: moto e scuola tuto
l’anno, a distanza di sicurezza dalla famiglia.
Ma allora, qual è la conclusione? Come si esce
da questo circolo vizioso? La soluzione è l’uovo di
Colombo: è necessario allargare la base e avvicinare
a uno sport così costoso anche i bambini che non
se lo potrebbero permetere. Poi, alla fine della
filiera, occorrerebbe una Federazione capace di
piazzare i talenti più interessanti nei team che
contano, nel Motomondiale e nelle categorie
d’accesso della Superbike. Più facile a dirsi che a
realizzarsi, perché la FMI non ha grossi sponsor
alle spalle, né la spinta politica della Dorna. La
Spagna ha un vantaggio che sarà difficile colmare.
Almeno in tempi brevi.
Piccole schegge
In queste pagine. i piccoli
campioni di domani si
allenano (anche) nel
Kartodromo San mauro
a mare (Fc) e al motor Park
cattolica dell’omonima
località romagnola, dove
sono state scattate le
foto di questo servizio.
il nostro vivaio
La nostra FMI
investe più di ogni
altra federazione
al mondo. Ergo: il
problema è altrove
ù,5 milioni di euro all’anno:
nessuno al mondo investe
quanto la Federazione
Motociclistica Italiana
nella promozione di
giovani piloti. Un terzo
del budget arriva dalle
casse federali, il resto da
un pool di dieci sponsor,
il maggiore è San Carlo,
azienda alimentare
impegnata fino all’anno
scorso in MotoGP con
Gresini Honda. Per offrire
un’immagine unitaria (e
vendibile) è stato rispolverato il Team Italia, che
portò alla conquista della
ù25 Luca Cadalora e
Fausto Gresini rivelando
tutti i migliori talenti degli
anni Ottanta e Novanta.
Il Team Italia ha schierato
tre squadre impegnate in
Moto3, Mondiale Supersport ed Europeo Superstock. A coordinare
il tutto sei tecnici federali
che si occupano
di monitorare le serie
minori, oltre che della
gestione e formazione dei
piloti: Roberto Locatelli
(Moto3), Max Sabbatani
(CIV), Cristiano Migliorati (STK 600), Doriano
Romboni (Supersport),
Roberto Sassone e
Matteo Baiocco (minimoto e MiniGP). Lo staff
annovera anche due
preparatori fisici e un
mental coach che insegna
ai ragazzi a gestire le
pressioni dell’ambiente.
Inchiesta Riders 63
piccoli campioni crescono
(ma siamo in spagna)
L’expLoit spagnoLo non È un caso. iL merito È anche deLLa monLau, una
scuoLa da cui sono usciti moLti taLenti deL presente e deL futuro
(vedi marquez). che insegna come comportarsi. in pista e fuori
testo monica martini
«Il talento, per diventare un campione, è
indispensabile. Ma non basta. Noi qui non
creiamo dei campioni dal nulla, li formiamo
ed evitiamo che si perdano senza avere una
chance» dice Jaime Serrano, vicediretore di
Monlau Competición, la scuola nata nel è983
a Barcellona, per la formazione professionale
di meccanici auto e moto. È nel è998 che il
suo fondatore, Pio Ventura, pensò a Monlau
Competición. «In MotoGP non c’erano
meccanici spagnoli, ma solo italiani, inglesi
o giapponesi. Da qui l’idea di formare dei
professionisti, appassionati, che volessero
e fossero in grado di lavorare in quel
mondo. Con l’aiuto di Emilio Alzamora, che
nel è997 era pilota Honda in è25, il progeto
si concretizzò». Prima meccanici per il
Mondiale di moto, poi per la Fè e solo in
seguito l’idea di formare piloti professionisti.
«Il nostro è un metodo a 360 gradi, il
pilota è certamente un atleta, ma anche un
professionista. Deve essere tecnicamente
preparato, conoscere il regolamento e
sapersi rapportare con i media. In parallelo
avviene la preparazione fisica e in pista,
non solo con le moto da velocità, ma anche
da motocross e supermotard per migliorare
forma, equilibrio, padronanza del mezzo e
gestione dell’imprevisto». Questa scuola ha
dato i suoi fruti. Col tempo però. Dal 1998
al 2002 nessun campione del Mondo è stato
di nazionalità spagnola, ma dal 2003 hanno
saltato solo il 2008. Quindi dal 2003 al 2013
la Monlau ha portato a casa 13 Mondiali,
due in MotoGP (con Jorge Lorenzo), sei in
Moto 2 o 250 (due Pedrosa, due Lorenzo,
uno Elias e uno Marquez) e cinque in 125
(Terol, Marquez, Simon, Bautista e sempre
Pedrosa). «I piloti qui vengono seguiti in
tuto il loro percorso di crescita agonistica.
Li accompagniamo iniziando dai campionati
minori fino ad arrivare alle massime
categorie». In un Mondiale che negli ultimi
anni parla sempre più spagnolo, viene da
chiedersi se il merito di Monlau sia quello di
riconoscere i talenti da seguire o fare di bravi
piloti dei campioni.«Buoni piloti spagnoli
esistevano anche in passato: Nieto, Pons,
Crivillé, Gibernau. Credo che la nostra
fortuna sia avere il CEV (Campeonato
de España de Velocidad), un eccellente
trampolino per i giovani piloti. Il calendario
del CEV prevede seée gare di cui quaéro in
circuiti mondiali. L’organizzatore del trofeo,
64
Riders
Inchiesta
La manetta non basta
In senso orario.
La sede di Munlao; la stanza
delle telemetrie; si impara
a «leggere» un circuito;
per poi passare alla pratica.
Dorna, è lo stesso del Mondiale e quindi si
respira un clima di grande professionalità.
Il livello dei piloti è molto alto, si corre dai
è5 anni e chiunque vuole emergere passa da
qui. Noi insomma vediamo potenzialità e
coltiviamo talenti». Come Marc Marquez.
«Sì, Marc è con noi da quando aveva
12 anni, nel campionato di Catalunya.
Sapevamo che sarebbe arrivato dov’è
ora, ma ce lo abbiamo condoto passo a
passo, facendo tuti i gradini della piramide
anche se molto alla svelta. Saltare le
tappe spesso significa non essere maturi,
professionalmente ma anche di testa, per
affrontare sfide e pressioni enormi come
quelle di un Mondiale. E poi è indispensabile
avere otime competenze tecniche, saper
capire la propria moto e comunicare con
il box. Ora lui è maturato, per certi versi
dimostra molti più anni di quelli che ha, ma
mantiene la spensieratezza e il buonumore
tipici suoi e della sua età. È un campione
anche in quello». Una riflessione tuta
questa storia ce la stimola. E cioè se in Italia,
patria di grandi campioni, esistono ancora
le condizioni giuste per crescere i talenti.
«Credo di sì, il CIV è un’oéima vetrina e poi
c’è la coppa di promozione San Carlo. Avete
campioni immensi in Italia, dovete solo
tenerveli streéi». E in Spagna? «Il futuro
ha tanti nomi diversi. Alex Marquez e Alex
Rins, in Motoè, e tra i più giovani Michael
Parra e Alessio Castelli». Quanto a chi
vincerà il prossimo campionato di MotoGP le
idee sono chiare a metà. «Non so chi vincerà,
ma sicuramente sarà uno spagnolo».
riders tre lezioni
school how to
tre pagine
da staccare
e conservare
illustrazioni Giacomo Gambineri
1. come costruire la tua special
Una delle cose che fa godere di più è far saltare con una martellata il bloccasterzo.
Ed è sempre una bella emozione tagliare il telaio. Per costruirsi la propria moto
ci vogliono tempo e pazienza. Ma, tanto per cominciare, guardati allo specchio
testo Dino Romano
Costruirsi una moto
da soli è un’impresa che
può portare a momenti
di esaltazione e fallimenti
epici, emorragie di denaro
e prestigio sociale. Quindi,
se proprio dovete, ecco
una lezione in 14 punti
tenuta da Dino Romano,
docente assolutamente
titolato. Nato a Mendoza,
in Argentina, 54 anni fa,
Romano è titolare di
triumph Grosseto e del
progetto Moto dal Cuore.
➑
➓
11
➊
13
➊
66
Riders
How To
In vent’anni è diventato
uno dei customizzatori
italiani più rispettati
a livello internazionale
grazie alle special,
soprattutto harleyDavidson e triumph,
realizzate nella sua officina
Drags and Racing.
chi siete e cosa volete.
E valutate i vostri limiti:
di guida, di tempo
a disposizione, di capacità
manuali, di pazienza
e soprattutto di budget.
Definirli sarà essenziale
per capire che genere
di moto potete permettervi.
1 Guardatevi allo specchio.
Sembra banale, ma una
special è prima di tutto
l’espressione di se stessi.
Dunque, cercate di capire
2 Prendetevi tutto
il tempo necessario,
i garage italiani sono pieni
di special abbandonate
a metà strada.
3 Dove trovare la moto
giusta? Vale tutto,
da eBay e Subito.it
ai magazzini sovraffollati
dei concessionari.
Anche se la base può
non sembrare troppo
cara, aggiungete
mentalmente gli euro
da spendere più tardi
nel ricostruirla.
Dentro non c’è più niente.
Prima di voi sono già
passati i furbetti.
Dagli sfasciacarrozze
qualche bella sorpresa
si trova ancora, ma state
attenti che ci siano
i documenti minimi per
una reimmatricolazione
non troppo lunga
e dolorosa.
4 Scordatevi la cantina
dello zio Rocco, il garage
abbandonato, il fienile.
5 Un graffio sul serbatoio,
le ammaccature, un po’ di
ruggine non sono gravi.