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Le nuove linee guida della British Society of Gastroenterology, pubblicate su Gut
(2014;63(1):7-42) ripercorrono la gestione dell'esofago di Barrett (EB) dalla diagnosi alla
sorveglianza, alla terapia e ci offrono importanti spunti di riflessione.
Innanzi tutto si propone una definizione di EB semplice e applicabile con buona
riproducibilità da tutti gli endoscopisti: EB è definito come un esofago in cui qualsiasi parte
del normale rivestimento epiteliale squamoso distale è stato sostituito da epitelio
colonnare metaplastico, che è chiaramente visibile endoscopicamente (≥1 cm) al di sopra
della giunzione gastro-esofagea e confermato istologicamente da biopsie esofagee.
Partendo dal presupposto che la giunzione gastro-esofagea è rappresentata dall'estremità
prossimale delle pliche gastriche a bassa insufflazione del lume, dobbiamo preoccuparci di
estensioni di mucosa metaplastica macroscopicamente visibili e chiaramente identificabili
(da un 1cm in su). Cosa implica questo? Cade il ruolo delle ESEM (endoscopically
suspected esophageal metaplasia). Si riduce cioè la necessità di eseguire biopsie sulla “zline frastagliata” , che spesso ci portava a trasformare i nostri pazienti in portatori di una
condizione precancerosa, con il conseguente bagaglio di preoccupazioni e la
moltiplicazione esponenziale dei follow-up endoscopici. E' chiaro che si impone una
valutazione endoscopica attenta delle giunzioni esofago-gastrica e squamo-colonnare e
dell'impronta dei pilastri diaframmatici: questo costituisce un requisito minimo che, insieme
all'applicazione della classificazione di Praga, deve essere garantito da ogni endoscopista
e non può essere delegato ad altri. E' il nostro “linguaggio di base”.
E' importante la conferma istologica e il corretto campionamento bioptico secondo il
protocollo di Seattle ( sempre 4 biopsie random - 1 per quadrante - ogni 2cm e biopsie su
aree sospette ) e questo ci porta al prossimo argomento.
Una volta stabilita la diagnosi ci troviamo a dover valutare la presenza o meno di displasia
per poter impostare un corretto iter diagnostico e terapeutico. Ci possiamo trovare in 4
diverse situazioni: assenza di displasia, alterazioni indefinite per displasia, displasia di
basso grado (LGD) e displasia di alto grado (HGD). Vediamo cosa ci suggeriscono le linee
guida della BSG in questi casi.
- In assenza di displasia devono essere considerati due fattori per stabilire la sorveglianza:
l'istologia (metaplasia gastrica o metaplasia intestinale) e l'estensione della metaplasia (<
o > di 3cm). Su questa base si stabilisce il timing delle endoscopie successive. In caso di
riscontro di metaplasia gastrica è utile ripetere le biopsie per riconfermare la diagnosi. Se
non ci sono sorprese il paziente esce dal protocollo di follow up. Per la metaplasia
intestinale sono indicati controllo ogni 2-3 anni nelle estensioni >3cm e ogni 3-5anni nelle
estensioni <3cm (tenendo conto dei fattori di rischio, dell'età e delle preferenze del
paziente). Vorrei comunque ricordare che la sorveglianza è indicata allo scopo di
intercettare le lesioni precancerose e cancerose iniziali: questo principio, benché condiviso
e accettato da tutte le linee guida non è suffragato da RCT. Attendiamo la fine dello studio
BOSS che è entrato nella fase di follow up e che potrà chiarire questo punto.
- Le alterazioni indefinite per displasia sono un'entità alquanto confusa e che crea qualche
problema. Se da un lato sembrano non avere un reale impatto clinico se si tratta di un
singolo riscontro bioptico, quando sono multifocali il rischio di progressione a neoplasia è
maggiore addirittura di quello dei pazienti con LGD. E' pertanto indicata una rivalutazione
bioptica a 6 mesi di questi pazienti.
- LGD, trattare o sorvegliare? Qui si complicano nuovamente le cose, perché se da un lato
sappiamo che il paziente con LGD ha un aumentato rischio di cancro, dall'altro non è
facile porre una corretta diagnosi di LGD. Le linee guida della BSG suggeriscono di fare
rivalutare da due anatomopatologi indipendenti le biopsie. Inoltre si suggerisce un follow
up semestrale, perché , se da un lato è ben dimostrato che è possibile eradicare la LGD
sia con la terapia fotodinamica, sia con l'ablazione con radiofrequenza (RFA), dall'altro
mancano RCT a sostegno di questa strategia. In realtà è stato pubblicato un RCT su
questo argomento, il SURF, non ancora disponibile durante la stesura delle linee guida. In
questo studio è stato dimostrato che il trattamento con RFA della LGD riduce
significativamente il rischio di progressione neoplastica a 3 anni e personalmente penso
che il futuro dovrà andare in questa direzione.
Per quanto concerne la HGD le linee guida della BSG ci indicano una chiara direzione:
occhio esperto e mano esperta. La necessità di fare riferimento a centri ad alta
specializzazione in questo settore deriva da diverse considerazioni.
In primo luogo è dimostrato che lesioni macroscopicamente visibili, compatibili con
neoplasia superficiale nel contesto di un EB con HGD, sono identificate più
frequentemente da un endoscopista esperto in EB, anche in presenza di un precedente
esame negativo (l'80% ha almeno una lesione visibile!). Una lesione visibile va
considerata maligna fino a prova contraria! Anche in questo caso la diagnosi istologica va
confermata da due anatomopatologi indipendenti. Attenzione a non cadere in tentazione:
ripetere le biopsie in un paziente con HGD può essere utile per stabilire meglio
l'estensione dell'area displastica nel contesto dell'EB, ma non ci permette di effettuare un
downstaging del paziente se le nuove biopsie risultano negative. La gestione terapeutica
di questi pazienti deve passare attraverso una valutazione multidisciplinare (endoscopista,
chirurgo, anatomoatologo, radiologo, tutti esperti nel settore) e, se indicato, deve poter
offrire al paziente l'opzione del trattamento endoscopico di resezione/ablazione dell'EB.
Infatti se da un lato il cardine del trattamento dell'EB con HGD è stato la chirurgia per molti
anni, i trattamenti endoscopici hanno dimostrato degli outcome sovrapponibili alla chirurgia
ma con una ridotta morbidità e mortalità, inoltre sono risultati cost-effective.
Quali trattamenti e in quali situazioni? In breve le tecniche resettive (non ci sono evidenze
che una sia migliore dell'altra) devono essere impiegate per il trattamento di lesioni visibili,
mentre l'ablazione con radiofrequenza per l'eradicazione di tutto il tessuto metaplastico.
Nel caso di lesioni visibili, l'asportazione endoscopica non ha solo un ruolo terapeutico, ma
ha un intrinseco valore nella stadiazione della lesione stessa. Se la lesione è intramucosa
(neoplasia T1a) il paziente è stato curato, altrimenti il nostro iter diagnostico-terapeutico
deve procedere oltre. Ovviamente se il paziente non è candidabile alla chirurgia è
possibile estendere il ruolo curativo della resezione agli stadi a basso rischio di metastasi
linfonodale (alcuni T1b – sm1). Ma il concetto fondamentale è che a scopo di stadiazione,
l'informazione fornita dal pezzo operatorio ha priorità rispetto a quella ottenuta con TC ed
EUS, le quali entrano eventualmente in gioco successivamente.
Un recente update delle linee guida NICE specifica meglio il ruolo dei diversi trattamenti
endoscopici, ma sostanzialmente conferma il ruolo della RFA e delle tecniche resettive
nelle condizioni sopra descritte. Un ultimo commento: chi sono gli esperti? Le linee guida
della BSG identifica in un volume di almeno 30 procedure di resezione endoscopica e/o di
RFA il bagaglio tecnico dell'esperto. E' evidente che nel contesto di una patologia a
gestione multidisciplinare, un centro di riferimento per EB deve offrire expertise in tutti i
settori coinvolti nella gestione della patologia.
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Andrea Parodi
Dirigente medico S.C. Gastroenterologia
Ente Ospedaliero Ospedali Galliera, Genova
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Massimo Conio
Direttore S.C. Gastroenterologia Endoscopia Digestiva
Asl1 Imperiese