Viabilità, tante promesse ma pochi fatti concreti

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Transcript Viabilità, tante promesse ma pochi fatti concreti

38 venerdì 31 gennaio 2014
Valli Giudicarie e Rendena
l'Adige
LODRONE. Una lapide bianca scoperta
durante i lavori cambia la storia dei Lodron
Dal restauro spunta la figlia di Paride
La lapide
bianca
scoperta
durante il
restauro
aggiunge
un ulteriore
dettaglio
nella storia
della
famiglia
Lodron
LODRONE - La scoperta è di quelle che non cambieranno l’andamento della storia, ma certo lo
arricchiscono. A darne notizia è
Fabrizio Filippini, titolare della
«Effeffe restauri», azienda impegnata nel restauro della chiesa
di Lodrone, che abbisogna di interventi sugli intonaci interni ed
esterni, sulle strutture, sulle sottomurazioni e nei cunicoli. Mentre si stava lavorando allo scavo
interno ci si è trovati di fronte ad
una lapide bianca, di un metro e
trenta per ottanta centimetri, sotto la quale si intravvede una bara in legno.
La curiosità si è fatta avanti subito, ed è stata accontentata. Nel
1422 moriva in tenera età Maria,
figlia di Paride Lodron, detto Paride il Grande, vissuto fino al
1439, quando morì a seguito della battaglia di Castel Romano,
che provocò qualcosa come mille morti. Paride (alleato dei Veneziani) combatteva contro il Ducato di Milano, che aveva fra gli
alleati i conti D’Arco e il Vescovo di Trento. Tornando alla famiglia di Paride, finora si sapeva
che aveva avuto tre figli: Giorgio
(del ramo di Castel Lodron), Alberto e Pietro (ramo di Castel Romano). Ma nulla era emerso relativamente ad una figlia.
Filippini (esperto in restauri, data la molteplicità degli incarichi
che la «Effeffe» ha portato a termine negli ultimi anni) sta lavorando al restauro della chiesa di
Lodrone con la supervisione di
Nicoletta Pisu, dell’Ufficio Beni archeologici della Provincia, alla
quale ha comunicato la scoperta. «Ciò che colpisce - racconta
l’imprenditore - è che sotto la lapide si intravveda la cassa in legno. Se dopo quasi seicento anni si conserva ancora il legno significa che siamo di fronte ad un
microclima eccezionale». Ora la
scoperta andrà vagliata in tutti i
dettagli, e non è detto che salti
fuori qualche altra sorpresa. Intanto la notizia storica c’è. G. B.
Dalla tangenziale di Pieve di Bono a quella di Pinzolo tutto tace
GIUDICARIE
Viabilità, tante promesse
ma pochi fatti concreti
Decenni di attesa senza grandi risultati
GIULIANO BELTRAMI
GIUDICARIE - Val di Non: resta
solo Cles da attraversare.
Fiemme e Fassa: variante di
fondovalle da un paio di decenni. Valsugana: in buona parte a 4 corsie. Giudicarie e basso Sarca? Per arrivarci percorri ancora mulattiere, per dirla
con la frase provocatoria di un
camionista. In effetti fra Vez-
Unici interventi
significativi
alla piana
di Caderzone
e al Ponte dei Servi
zano e Cadine ci sono tratti facilmente allargabili per una
corsia dinamica. Oggi, se trovi un camion, da Sarche rimani in colonna fino al Bus de Vela.
Sarche. Hanno riempito (quasi sempre giustamente) le stra-
STORO
de di rotatorie, ma là dove servirebbe di più, il bivio di Sarche fra la Arco-Trento e l’uscita dalle Giudicarie, niente. In
compenso l’hanno realizzata
mezzo chilometro più a valle,
per entrare a Pergolese. Commenti?
Venendo alle Giudicarie, la viabilità è di gran lunga il tema
più chiacchierato e meno risolto. E’ vero, c’è la concorrenza dell’ospedale, ma della viabilità si parla da più tempo. Ci
sono nodi che attendono di essere sciolti da più di dieci anni (tangenziale di Pieve di Bono) e punti che sembrerebbero risolti da un momento all’altro (circonvallazioni di Pinzolo e Ponte Arche), ma il tempo passa... E quanto ne passerà?
Intendiamoci, negli ultimi lustri non è che si sia rimasti con
le mani in mano: il Corè, la piana di Caderzone, gli interventi alle curve nei pressi del Ponte dei Servi lo testimoniano.
Ma se ci è permesso il paragone, è come vedere gli spot pubblicitari nel bel mezzo di un
film. Spot belli, ma il film è assai brutto.
E pensare che si sono spreca-
ti (non viene un altro termine)
fiumi di inchiostro sui progetti per migliorare la viabilità,
anche perché i giudicariesi che
si recano a Trento (lavoro, burocrazia, ospedali) non sono
in diminuzione, come sarebbe
auspicabile con l’introduzione di nuove tecnologie, telelavoro e simili. Per capirlo basti
fermarsi nel parcheggio del
bar Ideal, a Sarche, al mattino
e alla sera.
Che si sia in ritardo rispetto
alle promesse è tanto chiaro
che non serve ribadirlo. Per
esemplificare prendiamo il
progetto del 2002 (12 anni fa)
presentato dall’ingegner Raffaele De Col agli amministratori, partendo da Breguzzo, il
cui attraversamento rimane
angusto. Previsioni 2002: rotatoria poco a nord del paese,
seguire il ciglio est della piana, sbucando a livello dei campi da tennis e da calcio; viadotto alto 26 e lungo 157 metri per
scavalcare l’Arnò e galleria sotto i boschi in destra orografica, sbucando presso il Fiana,
a est di Bondo, da superare
con un viadotto alto 11 e lungo 130 metri. Galleria artificiale lunga 100 metri per saltare
Pieve di Bono attende
da molti anni una
tangenziale per far
uscire il traffico dal
centro del paese
Dodici anni fa fu
presentato un progetto
Pra di Bondo. Al termine della piana tornare sull’attuale
tracciato fino alla rotatoria
prevista a nord di Roncone.
Da Roncone a Lardaro? Per dirla con termini moderni, un casino. Infatti fra lago e montagna, il progetto andava approfondito. Lardaro-Pieve di Bono: subito a valle dello svincolo dei forti, picchiata (pendenze 8 e 9%) verso la destra Adanà, seguita da un viadotto sul
torrente e dal tratto in sinistra
orografica fino ad imboccare
la galleria lunga 892 metri verso Cologna. Il tratto ritenuto
più urgente era quello di Pieve di Bono: e meno male che
era urgente.
Il punto. Il collegamento con Brescia è del 1915
Opere fatte ma quasi inutili
GIUDICARIE - Accanto al
«non fatto» c’è il «fatto» o
«in programma» inutile a
suscitare polemica. Due
esempi.
Primo: pista ciclabile al
Limarò: una valigetta di
milioni spesi per un tratto
che parte da un tornante
della statale e arriva al
Ponte dei Servi. E prima?
E dopo? Scavalca le
gallerie, ma a che prezzo?
Secondo: tunnel
Valvestino-Baitoni, una
canna di 4 chilometri
percorribile a senso unico
alternato. In programma
fra le opere dei Comuni
confinanti con il Trentino;
costo 32 milioni di euro. E
la via verso la pianura
resta fino a Vestone
quella percorsa
dall’esercito italiano il 24
maggio del 1915.
Da domani mattina la salma esposta alla casa di riposo Villa S. Lorenzo
Domenica l’ultimo saluto a Silvia
STORO - Sarà un fine
settimana di lutto, di
silenzio e preghiera quello
della comunità giudicariese.
Un week end che la neve
vuole rigorosamente
invernale, triste, freddo.
Come la fine di un’esistenza,
tantopiù se nel fiore degli
anni. E il tempo, quello
metereologico, ha capito.
Questa notte accompagnerà
mestamente la salma di
Silvia Romagnoli lungo tutta
la Penisola, da Roma a Storo.
Un viaggio tra pioggia e
neve, appunto, un viaggio di
dolore e di vuoto.
Domani mattina la salma
della giovane tragicamente
scomparsa nella notte tra
lunedì e martedì in una
clinica romana sarà
ricomposta nella camera
mortuaria della casa di
riposo Villa San Lorenzo. E i
parenti, gli amici, i
tantissimi conoscenti
potranno renderle omaggio,
salutarla ognuno a modo
proprio, chi una preghiera,
chi con una lacrima, chi con
una carezza alla bara. Un
addio intimo, come il dolore
che si può provare in
momenti drammatici come
questi. La sera alle 20, poi,
sarà recitato il Rosario, un
saluto collettivo che la fede
riserva proprio per unire le
anime in un’orazione
comune.
Domenica pomeriggio alle
15, infine, sarà la chiesa
parrocchiale di San Floriano
ad accogliere la comunità
per i funerali concelebrati
dal decano di Storo don
Andrea Fava e dal parroco di
Condino don Vincenzo
Lupoli.
Il corteo funebre partirà
dall’abitazione dei genitori
di Silvia (la casa dove è
cresciuta e ha vissuto fino al
matrimonio) al civico 7 di
via Trento per raggiungere il
tempio religioso e, quindi, il
cimitero del centro della
valle del Chiese per l’ultimo
saluto prima del riposo
eterno.
Dopo giorni di attesa,
insomma, si sta per
concludere la presenza
terrena di Silvia Romagnoli,
29 anni, stroncata da una
setticemia dopo
un’operazione chirurgica
ritenuta di routine in una
clinica privata della capitale.
E fino a ieri sono stati in
tanti a stringersi attorno alle
due famiglie, la sua e quella
del marito, a cercare di
portare conforto.
Soprattutto don Andrea, che
si è diviso tra genitori e
nonni, fratelli e cugini, amici
e colleghi.
«Si prova a sostenere
assieme questa bordata che
ci è venuta addosso. - diceva
ieri - Sembra un brutto
incubo, ancora dobbiamo
renderci conto che sia tutto
vero, è accaduto troppo
velocemente».
Anche trovare le parole
giuste, di fronte a una
sofferenza così grande, è
estremamente difficile. «Le
parole non servono, a livello
umano basta essere molto
vicini e semplici. Ma vedo
che assieme a me ci sono
tanti altri parenti che
suonano il campanello per
non lasciarli soli, c’è un bel
calore attorno a chi è
rimasto in paese. Roma è
così lontana da noi ed è lì
che si vivono i momenti più
intensi. Ed è questa la
rabbia: si muore per cose
ben più gravi, morire così
lascia tantissimo amaro in
bocca».
Silvia, come detto, era
andata in una clinica romana
per sottoporsi a un
Silvia Romagnoli con il marito Corrado Bianchini il giorno delle nozze
intervento considerato
tutt’altro che complicato,
invece pochi giorni dopo è
morta. La giovane di Storo,
che da tre anni abitava a
Condino con il marito
Corrado Bianchini, è
deceduta per una gravissima
infezione dovuta a una
perforazione intestinale.
La ragazza, che lavorava alla
Cassa rurale di Saone, era
stata operata giovedì
scorso, venerdì sono
subentrate delle
complicazioni e sabato è
stata riportata in sala
operatoria. Da lì è
cominciato un calvario che,
come detto, nella notte tra
lunedì e martedì si è portato
via Silvia per sempre. N. G.
STREMBO
Revolution, ricorso respinto
Niente musica dalle 22
STREMBO - Ricorso respinto: il Tar di Trento ha dato
ragione al Comune che lo scorso anno aveva imposto al
Bar Revolution di Strembo di spegnere la musica alle 22.
Il ricorso era stato presentato dalla Rubinelli Gestioni
Srl per ottenere la revoca del provvedimento del
sindaco. Nella sentenza il tribunale amministrativo
specifica che il ricorrente dovrà pagare anche 2.500
euro di spese. Secondo il Tar, era «pacifico che il
sindaco avesse il dovere di tutelare l’interesse
collettivo e il diritto soggettivo alla salute, valore
primario attinente alla persona e protetto
dall’ordinamento, il cui rispetto è il limite insuperabile
di ogni attività economica. In altri termini, nella specie
ricorrevano i presupposti per l’adozione di
un’ordinanza contingibile e urgente».