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Venerdì 10 Marzo 2017
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In mostra a Palazzo Reale (Duomo) l’artista ponte fra l’eredità classica e l’impressionismo
Manet si esibisce a Milano
Ha descritto la quotidianità della Parigi borghese
DI
GIANFRANCO MORRA
U
na mostra di grande interesse è stata
inaugurata dal sindaco al Palazzo Reale di Milano: «Manet e la
Parigi Moderna» (sino al 22
agosto; ore 9,30-19,30; giov.
e sab. sino alle 22,30; lunedì
solo pomeriggio). Novantadue opere, 17 delle quali di
Edouard Manet, altre di
suoi contemporanei, soprattutto impressionisti, che hanno raffigurato e anche esaltato il mutamento radicale
prodotto dalla rivoluzione
urbanistica di Haussmann:
boulevard e promenades,
spazi verdi e parchi, arredo
urbano e passages.
Pochi pittori come Manet sono stati capaci di raffigurare i mutamenti di costume della Ville Lumière,
legati al predominio del ceto
borghese durante l’Impero di
Napoleone III, volutamente
edonista e consumista, tanto che non riuscì ad opporsi
alla invasione dei prussiani.
I vecchi riferimenti mitologici e religiosi sono ormai alle
spalle, la sua pittura descrive la quotidianità di Parigi in
tutti i suoi aspetti: le domeniche in barca sulla Senna, i
teatri e le «Folies-Bergères»,
i circhi e le corse, le brasserie e i caffè. E il mondo delle
escort, ch’egli conosceva bene
e da cui riceverà un lascito
che lo porterà alla morte a
soli 51 anni (dopo Baude-
laire e prima di ToulouseLautrec).
Ciò che emerge con tutta evidenza dalla mostra è
il paradosso di Manet: il suo
ruolo primario nell’innovazione della pittura francese,
che porterà all’impressionismo; ma anche la distanza
da lui sempre assunta nei
confronti di un’arte troppo
sensuale e immediata. Egli
ha frequentato e anche incoraggiato gli impressionisti,
ma non è mai stato presente
nelle loro esposizioni. Essi lo
stimolarono alla pittura en
plein air, ma era anche troppo legato alla classicità per
privilegiare l’impressione.
Ed era anche affascinato dalle tematiche realiste,
che apprezzava in Courbet
e realizzava nelle sue «fotografie» della Parigi moderna,
colta nell’attimo fuggente,
ma sempre sublimata e purificata nella perennità della poesia. In mostra si trova
quel «Bar aux Folies Bergéres», nel quale, sopra la scena
della gente che si diverte, si
stacca la «servante» Suzon,
apatica e distaccata dalla folla e dalle bottiglie che distribuisce, in una fantomatica e
allucinata apparizione.
Non è difficile scorgere nei suoi lavori l’eredità dei pittori classici, capiti
anzi vissuti nel profondo, ma
anche trasformati in visioni
moderne e innovative: impossibile guardare l’Olimpia, la
prostituta «olimpia», senza
Bar aux Folies Bergéres di Manet
pensare alla tizianesca Venere di Urbino; e la Colazione
sull’erba è coscientemente
un omaggio al Concerto campestre di Giorgione (entrambe rimaste a Parigi). Anche
le grandiose opere giunte
a Milano rivelano delle paternità classiche: il Balcone
appare collegato alle Majas
al balcone di Goya, lo stesso
Pifferaio, assunto come logos
della mostra, non nasconde
la suggestione del Buffone
Pablo di Velásquez.
Uomo di vasta cultura,
Manet fu in rapporto con
i letterati parigini del suo
tempo, che lo sollecitarono
a dipingere scene della vita
contemporanea: con Zola,
che lo difese dagli attacchi
del critici conservatori (esposto a Milano il suo ritratto,
che non piacque allo scrittore); con Mallarmé, al quale
fornì le illustrazioni per Il
pomeriggio di un fauno; con
Baudelaire, del quale Manet fece parlare nelle nature
morte «i fiori e le cose mute»
(le language des fleurs et des
choses muettes; stupendo in
mostra il Ramo di peonie e
cesoie).
Lo accompagnò per
tutta la vita la fama di sovvertitore e provocatore. Non
riconobbe mai come figli suoi
gli impressionisti, che pur
lo consideravano come un
padre. Con il suo pennello
«scandaloso» tagliò i ponti
con la pittura tradizionale: i
colori piatti e disarmonici, la
mancanza di passaggi chiaroscurali, l’appiattimento dei
volumi e il disinteresse per la
terza dimensione. Ma stentò
ad essere compreso anche dai
pittori delle avanguardie moderniste. Sarà Picasso il suo
grande scopritore: già nelle
«Demoiselles d’Avignon» egli
si ispira a Manet, del quale
ammirava soprattutto la
«Colazione sull’erba», che
reinventò sei volte.
La mostra rievoca l’unica donna che partecipò al
movimento impressionista.
Si chiamava Berthe Morisot, una ragazza di buona
famiglia, che stava copiando
Rubens al Louvre quando
conobbe Manet, del quale
si innamorò, forse non solo
dell’artista.
Per stargli vicino, sposò suo fratello Eugène. Le
sue pitture esprimono sobria dolcezza e tenerezza,
sono soprattutto dedicate
alle mamme e ai bambini.
Manet la raffigurò in almeno 13 ritratti, due dei quali
esposti a Milano (ma Berthe
è anche nel Balcone). Emerge
soprattutto quello stupendo
con il bouquet di violette, del
quale Paul Valery, nel catalogo della esposizione parigina per il centenario della nascita di Manet (1932),
scrisse: «Non vi metto nulla
sopra: mi ha colpito il nero,
il nero assoluto, e quel viso
dagli occhi grandi, la cui
vaga fissità dà un senso di
distrazione profonda e offre,
in qualche modo, una presenza di assenza».
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FORTE: LA NUOVA STRATEGIA VIENE ATTUATA ANCHE PER DIFENDERSI MEGLIO DALL’AGGRESSIVITÀ DI TRUMP
Il falco tedesco Schaeuble è diventato adesso più comprensivo
e dice che Mario Draghi, con il Qe, ha fatto un buon lavoro
DI
I
LORENZO TORRISI
n maniera quasi inaspettata, un
falco del rigorismo come Wolfgang Schaeuble ha detto che
Mario Draghi sta facendo un
buon lavoro, soprattutto perché deve
tener conto di 19 economie. Parole
che sono arrivate alla vigilia del
board della Banca centrale europea
di oggi, appuntamento importante
per capire se il Quantitative easing
subirà uno stop, e che sono state
accompagnate da apprezzamenti
sull’operato del Governo italiano.
Come spiegarsi queste dichiarazioni
del ministro delle Finanze tedesco?
Lo abbiamo chiesto all’economista
Francesco Forte.
Domanda. Professore, non trova strano che Schaeuble difenda
l’operato di Draghi?
Risposta. Secondo me si è reso
conto che la politica monetaria della Bce ha funzionato. Il Qe, seppur
con uno sfasamento temporale, è
efficace. E in Germania, tra l’altro,
ha portato dei vantaggi. Schaeuble
è poi costretto a difendere l’operato
di Draghi perché gli Usa hanno attaccato ancora la Germania. Dal suo
punto di vista, sposare la causa della
Bce vuol dire mostrare che Berlino
contribuisce in modo intelligente
all’operato dell’Eurotower, la quale
applica una politica che per prima è
stata usata dagli americani.
D. Le parole del ministro tedesco avranno un peso importante
rispetto alle decisioni del board
della Bce…
R. Schaeuble di fatto ha voluto
dare una mano a Draghi per portare avanti il Qe. In questo modo se il
Presidente della Bce riterrà opportuno proseguire nella politica di acquisto dei titoli di stato potrà trovare
nelle parole del ministro tedesco una
sorta di scudo di fronte a eventuali
altri falchi che volessero dirgli di no.
Quindi, il Qe andrà avanti almeno
fino alla fine dell’anno.
D. Cosa ne pensa invece delle
parole di elogio per il Governo
italiano?
R. Mi sembrano fondate sul fatto
che il Premier non ha finora agito
come Renzi, che rispettava certo
le regole europee, ma con una certa
arroganza, contestandole. Gentiloni
fa trattative di tipo tradizionale, diplomatico. Monti sbagliava, perché
faceva tutto quello che gli dicevano,
sembrando quasi un Commissario
europeo messo in Italia, Renzi, invece, ha speso soldi derivanti dalla
riduzione dei tassi di interesse a
livello europeo per i suoi bonus. Il
Governo Gentiloni, agli occhi dei
partner Ue, rappresenta quindi un
cambio di passo. E sta affrontando
anche abbastanza bene la «frantumazione» del Pd. E poi Schaeuble
ha elogiato l’Italia per difendere la
Germania dagli Usa.
D. In che modo?
R. Di fronte all’attacco degli Stati
Uniti, Schaeuble ha capito che se la
Germania stesse da sola, si troverebbe nei guai. Quindi, il fatto che
l’America mostri le unghie lo induce
a pensare che bisogna compattare
l’Europa. Le discordie interne tendono a sopirsi quando c’è il problema di
fronteggiare una politica economica
Usa che potrebbe portare a dei dazi
doganali.
D. Ieri è iniziato un Consiglio europeo e l’altro giorno ha
Versailles c’è stato un vertice a
quattro in cui si è parlato del futuro dell’Ue. Cosa ne pensa?
R. Mi sembra sia stata semplicemente una riunione priva di contenuto, fatta forse più per serrare i
ranghi francesi e avere un po’ più
di potere contrattuale. Non mi pare
che i temi concreti sul tappeto siano stati realmente discussi. Resta il
fatto che la Francia ha una politica
divergente dagli Usa, ma anche da
noi, su questioni come la Libia, che è
di fondamentale importanza.
D. Ha senso parlare di Europa unita se si prospettano più
velocità?
R. A me pare evidente che se anche avesse più velocità le avrebbe
nell’euro. Il vero problema è migliorare i conti pubblici e avere la ripresa economica. Il punto è che pensare
a due monete o all’uscita dell’euro
per fare più deficit è stupido, perché si diventa certo più liberi, ma
anche più responsabili e si dovrebbe
rispondere ai mercati anziché all’Ue.
Dunque la sostanza non cambierebbe.
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