Visualizza in PDF

Download Report

Transcript Visualizza in PDF

6
PRIMO PIANO
Martedì 28 Febbraio 2017
Così va la realta M5s. Inseguirla è un errore, capirla è necessario, batterla è un’impresa
Grillo, peggio va, meglio va
I disastri combinati a Roma non intaccano i suoi voti
I
DI
MARIO SECHI
l teatro a 5Stelle. Poi c’è
la terra incognita, il Movimento 5Stelle, che nelle
terre dell’impero di Roma
dà una catastrofica prova di governo, ma per una larghissima
parte di elettorato continua ad
essere un magnete irresistibile.
Lo spettacolo di Beppe Grillo
su Netflix invece di innescare
colte critiche di filosofia estetica, dovrebbe suggerire qualche
analisi politica con i piedi per
terra. Quando Grillo dice «noi
siamo i Napster di oggi», evoca
la rivoluzione del peer-to-peer
di massa applicato alla politica; quando dice che «la politica
è sentire voci», amplifica l’idea
dell’ascolto (anche in assenza di valida risposta); quando
dice che «il no è la più grande
espressione della politica», ribadisce una strategia che ha avuto la sua prova nel referendum
costituzionale del 4 dicembre;
quando dice che «la scuola serve
a darti il senso critico», non dice
un’eresia ma una cosa che resta
dentro gli spettatori bombardati dall’idiozia tele-morente;
quando chiude lo spettacolo con
un liberatorio e più che soddisfatto «vaffanculo» del pubblico
pagante mette a nudo il vuoto
degli altri.
La lettura di Massa e Potere di Elias Canetti sul movimento della folla, della massa,
appunto, spiega perché i 5Stelle
sono, allo stato attuale, un’offer-
ta senza concorrenza.
Cosa dice Canetti?
1. La massa vuol sempre crescere.
2. All’interno della massa domina l’eguaglianza.
3. La massa ama la concentrazione.
4. La massa ha bisogno di
una direzione. L’uno vale uno
di Grillo è in queste righe
sull’eguaglianza: «Essa è assoluta e indiscutibile, e non è mai
posta in questione dalla massa
stessa.
La sua importanza è talmente fondamentale che
lo stato della massa potrebbe
essere addirittura definito uno
stato di assoluta eguaglianza.
Una testa è una testa, un braccio è un braccio: non sussistono
differenze tra loro. Per questa
eguaglianza si diventa massa.
Si ignora qualunque cosa che
potrebbe distrarre da ciò. Tutte le pretese di giustizia, tutte
le teorie egualitarie, traggono
energia in fin dei conti da questa esperienza di eguaglianza
che ognuno deriva dalla sua
conoscenza della massa».
Il vero spettacolo da osservare su Netflix è il pubblico, la sua
reazione, il suo comportamento
mimetico che giunge al punto
simbolico - e pratico - di assimilare lo stesso pasto del capo:
mangiare un grillo. È il teatro,
ma non è una finzione di Fernando Pessoa, è la realtà a
5Stelle. Inseguirla è un errore,
capirla è necessario, batterla è
un’impresa.
Ultime dall’Italia. Scende
dalla scaletta dell’aereo dopo
esser stato in California e va
in tv da Fazio non prima di
aver parlato dall’America con
un paio di giornali senza aver
mai detto nulla di importante,
a meno che non si immagini che
il «lavoro di cittadinanza» sia
una cosa concreta che non disavanza. Il momento di Matteo
Renzi è questo, un dribblomane che, alla fine, perde la palla.
Ha fatto la scissione, ma dire
che adesso controlla il partito
è temerario.
Così, mentre il Pd si divide
nel suo inverso (da Pd a Dp) e
il suo ex segretario dice al bravo presentatore che D’Alema è
uno che trama (grande novità)
e che sarà il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni a decidere la data delle elezioni (qui
base lunare Alpha), il centrodestra prova a rimettere insieme
la baracca di un’unità che si
spacca sull’euro ma nella prova
della realtà governa in Lombardia, in Veneto e prepara nuove
alleanze per le amministrative
a Genova e in altre città.
D’altronde i voti sono là,
non li ha presi il Pd renziano,
gli elettori sono con i sacchi di
sabbia davanti alla finestra.
Cosa possa aggregare il Pd è
oggi avvolto in un banco di nebbia, cosa possa mettere insieme
Berlusconi invece è un arcipelago visibile, anche se galleggia
su mari in burrasca.
Le rivoluzioni dell’euroretorica. In Romania un
gruppo di manifestanti contro
il governo ha formato in piazza una bandiera dell’Unione
europea. Giubilo dei cronisti,
applausi dei politici. È il progresso! Il titolare di List ricorda sommessamente qualche
lezione del recente passato: la
Polonia, per qualche anno, ha
partecipato con forza al gioco
senza frontiere dell’Europa,
quello del mercato unico e della liberazione circolazione delle persone, ma è lo stesso Stato
che oggi ha sviluppato la forma
di nazionalismo più profonda
che c’è nel Vecchio Continente,
senza più alcuna intenzione
di agganciare l’Euro.
In Ungheria proiettano lo
stesso film, in una forma ancora più dura sotto la guida
di Viktor Orban (e anche
loro niente moneta unica).
L’Ucraina, un tempo granaio di Mosca, ha consumato
la sua rivoluzione, celebrato
la sua indipendenza e oggi è
attaccata alla canna del gas
degli aiuti del Fondo monetario internazionale, dipende
dal sostegno degli Stati Uniti,
ha perso la Crimea (non era
mai stata davvero sua) e la
pace con le popolazioni russofone è impossibile finché
Kiev coltiva la sua volontà di
annichilimento. Si fa presto a
dire Europa, poi bisogna provare a farla senza disfarla.
Trump e Wall Street. La
Borsa americana è schizzata
talmente in alto che in molti profetizzano: andrà giù di
botto. Può darsi, gli indici
salgono e scendono, ma in
realtà nessuno può dire con
certezza quando accadrà. Il
mercato attende il discorso
di Donald Trump oggi di
fronte al Congresso: le indiscrezioni sul budget parlano
di un aumento della spesa
nella difesa, il taglio dei fondi
alle agenzie che nell’era obamiana avevano bypassato il
parlamento (leggere alla voce
Epa, agenzia per l’ambiente) e
il mantenimento dell’attuale
spesa sociale.
Basterà per tranquillizzare
i trader? Forse no, perché sta
cambiando la politica monetaria delle banche centrali e tutti attendono un piano fiscale
e gli investimenti nelle infrastrutture. Scrivere norme
nuove, approvarle e renderle
esecutive richiede tempo. Senza questi provvedimenti, Wall
Street potrebbe correggere la
curva in maniera decisa dopo
aver polverizzato tutti i record. Paura? Warren Buffett
nella sua lettera annuale agli
azionisti ha scritto: «La paura è il nostro miglior alleato».
Comprare basso, tenere i nervi
saldi, guadagnare nel medio
lungo periodo. Sembra facile,
è la differenza che passa tra
i vincenti e i perdenti. Anche
nella vita.
Il Foglio.it - List
IL CUGINO DI MATTEO, MARIO, SEGRETARIO DELLA UIL TOSCANA, SEGUE ENRICO ROSSI FUORI DAL PD
La scissione si fa sentire anche in casa di Renzi
Il divorzio in famiglia è dovuto ai rapporti tesi tra l’ex premier e i sindacati
DI
S
FILIPPO MERLI
cissione in casa Renzi. Il cugino di Matteo, Mario, ha
deciso di appoggiare la nuova
avventura politica del governatore della Toscana, Enrico Rossi,
appena uscito dal Pd. Mario Renzi è il
cugino di primo grado del padre dell’ex
presidente del Consiglio. Di professione sindacalista, è segretario regionale
della Uil, e non ha mai risparmiato
critiche a Matteo.
La scorsa settimana, Rossi ha
presentato il suo nuovo libro, Rivoluzione socialista, a Calcinaia, in
provincia di Pisa. Ed è proprio quella
parola, socialista, che ha spinto Mario Renzi, moderatore dell’incontro, ad
appoggiare il governatore e a voltare
definitivamente le spalle a Matteo.
«Sono sempre stato socialista e lo sono
ancora», sono le parole di Mario Renzi
riprese dal sito toscano Gonews. «Non
ho mai votato Partito democratico alle
politiche, semmai ho sostenuto qualche candidato localmente, come nel
caso di Rossi, al quale, ora, guardo con
interesse per questa iniziativa politica
che sta portando avanti». «Finalmente
torna protagonista nel dibattito politico italiano il termine socialista», ha
proseguito il cugino dell’ex capo del
governo, «e non poteva che destare
interesse nell’unica, grande area laica
e socialista rimasta nel Paese,
la Uil appunto, come dimostra anche la folta presenza
di pubblico».
La presentazione del libro di Rossi è stata organizzata proprio in collaborazione
con la Uil. Che, però, ha smentito di sostenere il governatore. «La Uil della Toscana non
ha mai assunto alcuna decisione tesa ad appoggiare le
scelte politiche del governatore Enrico Rossi», ha precisato
il sindacato in una nota. «Non
sappiamo se qualche singola
categoria del nostro sindacato
abbia deciso in tal senso, o se
Rossi abbia voluto approfittare dell’evento relativo alla
presentazione di un suo libro
per pubblicizzare la sua scelta politica». «Riteniamo che l’iniziativa svolta a Calcinaia appartenga a chi l’ha
lanciata, ma non certo alla Uil, che è
sempre stata paladina dell’autonomia
dalla politica e la rivendica nei confronti di tutti i partiti, figuriamoci di
quelli che devono ancora nascere. Da
sempre giudichiamo la politica per gli
atti concreti a favore delle lavoratrici
e dei lavoratori, e non per le posizioni
Vignetta di Claudio Cadei
espresse».
Mario Renzi, però, ha ribadito la
sua presa di posizione alla trasmissione Tagadà, su La7. «Il carattere di
Matteo e il suo recente comportamento non sono stati il miglior viatico per
tenere insieme il partito», ha sottolineato il sindacalista. «Rossi ha fatto delle
scelte, era un personaggio politico che
m’interessava molto e col quale condividevo già principi e valori».
Da esponente della
Uil, Mario Renzi non
ha apprezzato la politica
di Matteo nei confronti
dei sindacati, «una cosa
da rottamare, un orpello, un ostacolo, qualcosa
che dà fastidio». Con l’ex
presidente del Consiglio,
però, il confronto non è
mai stato diretto. «Già da
quando faceva il sindaco
di Firenze era inavvicinabile». Nell’estate del
2014, dopo i primi mesi
di Renzi a Palazzo Chigi,
il cugino aveva criticato
il suo operato. «Matteo
avrebbe potuto invertire
la rotta, ma, appena è arrivato, s’è adeguato allo
spoils system e ha spartito incarichi
come tutti i suoi predecessori. La riforma della pubblica amministrazione
è un’opera scenica. Gli effetti concreti
sono zero». Tre anni dopo, Mario ha
lasciato definitivamente Matteo per
seguire Rossi. La scissione, in casa
Renzi, è cosa fatta.