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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 51 (47.485)
Città del Vaticano
venerdì 3 marzo 2017
.
Meditazione di Papa Francesco per i preti di Roma durante l’incontro per l’inizio della quaresima
La fede
nella vita del sacerdote
Una lunga e approfondita meditazione sul «progresso della fede nella
vita del sacerdote» e una pubblicazione sull’importanza del perdono:
sono i doni che Papa Francesco ha
lasciato al clero di Roma al termine
del tradizionale incontro d’inizio
quaresima, svoltosi stamane, giovedì
2 marzo, al Laterano.
All’uscita dalla basilica di San
Giovanni i preti romani hanno infatti trovato il testo stampato delle parole pronunciate poco prima dal
Pontefice e copie di un libro intervista a Luis Dri, cappuccino novantenne di Buenos Aires, dal titolo
Non avere paura di perdonare. Il “confessore” del Papa si racconta. «Si legge bene come un romanzo — ha detto Francesco congedandosi — ma è
la verità e forse ci aiuterà a crescere
nella fede».
Giunto verso le 11, mentre nella
cattedrale di Roma era in corso la liturgia penitenziale guidata dal vescovo ausiliare Angelo De Donatis —
incaricato del servizio per la formazione permanente dei sacerdoti — il
Papa ha confessato una dozzina di
presenti. Quindi ha pronunciato la
sua meditazione prendendo spunto
dalla richiesta dei discepoli, riportata
dall’evangelista Luca, «Signore, accresci in noi la fede!» (17, 5). Ne è
scaturita una riflessione incentrata su
tre punti fermi: memoria, speranza e
discernimento del momento. Perché
«è sempre importante ricordare la
promessa del Signore che mi ha posto in cammino; la speranza mi indica l’orizzonte, mi guida: e, nel momento specifico, ad ogni incrocio di
strade devo discernere un bene concreto, il passo avanti nell’amore che
posso fare, e il modo in cui il Signore vuole che lo faccia».
Ricorrendo, come di consueto nella sua predicazione, a immagini del
vivere quotidiano, Francesco ha detto che quando parla di punti fermi,
gli viene in mente il «giocatore di
basket, che inchioda il piede come
“perno” a terra... Per noi — ha chiarito — quel piede inchiodato al suolo, intorno al quale facciamo perno,
è la croce di Cristo». E ha ricordato
una frase scritta sul muro della cappella della casa di esercizi di San
Miguel nella capitale argentina che
riprendeva il motto di san Bruno e
L’omelia del mercoledì delle Ceneri
Spazio al bene
PAGINA 8
dei certosini: «Fissa sta la Croce,
mentre il mondo gira» (Stat crux
dum volvitur orbis).
Sviluppando soprattutto il terzo
punto, quello del discernimento, il
Papa ha offerto ai presenti l’icona di
Simon Pietro “passato al vaglio”,
perché — ha commentato — esprime
il «paradosso per cui colui che deve
confermarci nella fede è lo stesso al
quale spesso il Signore rimprovera la
sua “poca fede”».
In quest’ottica il Pontefice ha fatto notare che Dio di solito indica
«come esempi di grande fede altre
persone», addirittura quelle più
“semplici” — il riferimento è al centurione e alla donna siro-fenicia —
«mentre ai discepoli e a Simon Pietro in particolare rimprovera spesso
la loro “poca fede”». Ma, ha osservato il Papa, la fede di Simon Pietro
«progredisce e cresce nella tensione»
dei suoi due nomi: Simone, quello
«con cui Gesù lo chiama quando
parlano e si dicono le cose come
amici»; e Pietro, quello «con cui il
Signore lo presenta, lo giustifica, lo
difende e lo pone in risalto in maniera unica come suo uomo di totale
fiducia, davanti agli altri». Anche
perché «avere due nomi lo decentra» e l’icona di questo decentramento è quando Pietro «chiede a
Gesù di comandargli di andare verso
di lui sulle acque». Essa infatti, ha
affermato il Pontefice, riflette da un
lato la consapevolezza dell’apostolo
di avere “poca fede” e dall’altro «la
sua umiltà di lasciarsi aiutare da chi
sa e può farlo».
Quindi il Pontefice ha invitato a
soffermarsi sulle tentazioni che sono
sempre presenti nella vita di Pietro e
in quelle dei ministri di Cristo. «Pietro ha commesso il peggiore dei peccati — ha rimarcato Francesco — e
tuttavia lo hanno fatto Papa». Perciò
«è importante per un sacerdote saper inserire le proprie tentazioni e i
propri peccati» nella preghiera «perché non venga meno la fede, ma
maturi e serva a rafforzare a sua volta la fede di coloro che ci sono stati
affidati. Mi piace ripetere — ha confidato — che un sacerdote o un vescovo che non si sente peccatore,
che non si confessa, si chiude in sé,
non progredisce nella fede». Al termine il Pontefice ha voluto concludere la sua riflessione rievocando
l’esperienza concreta fatta da un giovane nella comunità di recupero di
padre Pepe a Buenos Aires. Infine, il
cardinale vicario Agostino Vallini ha
ringraziato il Pontefice a nome di
tutti i presenti.
PAGINE 4, 5
E
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Divergenze sull’agenda tra opposizione e governo
A rischio i colloqui sulla Siria
DAMASCO, 2. I colloqui di pace sulla Siria sotto l’egida dell’Onu a Ginevra rischiano di saltare. La delegazione dell’opposizione ha annunciato che non intende includere nei
colloqui il tema del terrorismo.
«Non ne parleremo e se l’inviato
dell’Onu Staffan de Mistura lo aggiungerà al programma in qualsiasi
momento non lo affronteremo» ha
riferito Yehya Kodmani del comitato che riunisce le diverse sigle dei
ribelli.
A chiedere di aggiungere il nodo
terrorismo sul tavolo dei colloqui —
i quarti a Ginevra dal 2011, anno di
inizio del conflitto siriano — è stata
la Russia, principale alleato di Damasco. «Il terrorismo è una priorità
e la lotta contro il terrorismo dovrebbe essere inclusa in agenda» ha
dichiarato il viceministro degli esteri
russo, Gennady Gatilov. I colloqui,
iniziati giovedì scorso, si stanno
concentrando su tre punti: il governo, la costituzione e la transizione
politica. Tutto dipende però —
sottolineano gli analisti — dalla tenuta della tregua in corso, concernente soltanto le aree del paese in
cui non sono presenti formazioni
terroristiche.
C’è poi un altro tema cruciale
che finora non è mai stato affrontato direttamente: il futuro politico
del presidente Assad. La linea statunitense è sempre stata quella di non
riconoscere la legittimità del leader
siriano, considerato invece da Mosca un alleato chiave nella lotta
contro i jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is). Non è detto che
con l’amministrazione Trump questa situazione non possa cambiare.
In ogni caso, le delegazioni di
governo e opposizione torneranno a
Ginevra il prossimo 20 marzo. Secondo quanto riferito all’agenzia di
Passi avanti per la pace in Colombia
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Iniziato il disarmo delle Farc
BO GOTÁ, 2. Passi avanti per la pace
in Colombia. Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc)
hanno cominciato ieri il disarmo secondo i termini dell’accordo di pace
con il governo, in una giornata che
il presidente, nonché premio Nobel
per la pace 2016, Juan Manuel Santos, ha definito storica. Questa — ha
scritto Santos in un post su Twitter
— «è una giornata storica per il paese: le Farc dicono addio alle armi,
per scambiare violenza con riconciliazione. La pace va avanti».
Secondo il cronogramma stabilito
dalla guerriglia e dal governo colombiano, nell’accordo sottoscritto da
entrambe le parti con la mediazione
delle Nazioni Unite, ieri segnava
l’inizio del disarmo. Questo comporta che il gruppo consegnerà subito il
trenta per cento delle sue armi (pistole, fucili, mitra, bombe ed esplosivi) ai delegati dell’Onu, che procederanno alla loro immediata distru-
zione. Il restante settanta per cento
sarà invece consegnato dai guerriglieri in altre due tappe nei prossimi
mesi, sempre sotto il controllo degli
ispettori dell’Onu, fino al disarmo
totale della guerriglia, che si trasformerà progressivamente in un partito
politico.
In oltre mezzo secolo, il conflitto
colombiano ha causato circa 220.000
morti. Nel dicembre scorso il parlamento di Bogotá ha votato l’amnistia per i ribelli. La legge è stata approvata con 69 voti a favore e nessun contrario al senato e a 121 a favore e nessun contrario. Il provvedimento sarà applicabile a tutti i membri delle Farc, eccetto per quelli che
abbiano commesso crimini di guerra
o violazione dei diritti umani nel
corso del conflitto armato. E sempre
nel dicembre scorso il parlamento
colombiano ha approvato la nuova
intesa con le Farc, dopo la bocciatura della prima intesa nel referendum.
Guerriglieri delle Farc nel villaggio di Pondores nel dipartimento di La Guajira (Epa)
stampa russa Sputnik, a breve si
terrà ad Astana, capitale del Kazakhstan, il terzo round di colloqui
tra il regime e l’opposizione armata.
«L’incontro avrà luogo il 14 e 15
marzo» riporta l’agenzia citando
una fonte anonima. I colloqui di
Astana, promossi da Russia, Iran e
Turchia, hanno finora portato a un
accordo sul monitoraggio del cessate il fuoco in territorio siriano.
Nel frattempo, al palazzo di Vetro si discute di crimini di guerra.
Secondo un recente rapporto, tanto
i governativi quanto i ribelli siriani
avrebbero commesso crimini di
guerra ad Aleppo, nel nord della
Siria. Il documento ha accertato
che l’accordo per l’evacuazione di
Aleppo è stato un «crimine di dislocamento forzato» dei civili dopo
la sconfitta dei ribelli nella seconda
città siriana. Secondo la Commissione, un bombardamento delle forze governative in cui rimasero uccisi
lo scorso 19 settembre almeno dieci
operatori umanitari a Urem Al Kubra fu «meticolosamente pianificato
e condotto in modo spietato». L’inchiesta ha permesso di documentare
diverse violazioni, inclusi attacchi
con armi chimiche (tra cui gas cloro) ed esecuzioni di civili ad Aleppo est durante cinque mesi di assedio, dal 21 luglio al 22 dicembre
dell’anno scorso, data quest’ultima
in cui le forze del regime hanno riconquistato la città.
Gli esperti non hanno invece trovato nessuna prova per documentare l’uso di armi chimiche in attacchi
effettuati dalla Russia, alleato del
regime di Damasco.
Secondo il Pentagono, le forze
dell’Is si stanno riducendo: in Iraq
e in Siria resterebbero tra 12.000 e
15.000 miliziani, la metà rispetto
all’inizio dello scorso anno. La
stima è del generale di corpo d’armata statunitense Stephen Townsend. Nel 2015 e nel 2016 il
Pentagono riteneva che i jihadisti
fossero tra 20.000 e 30.000. Incontrando la stampa, ieri, Townsend ha
sottolineato che «gli uomini più fidati» del sedicente califfo Abu Bakr
al Baghdadi «sono stati eliminati
negli ultimi sei mesi». A Mosul, in
Iraq, dove si combatte da mesi, restano ancora circa 2000 membri
dell’Is, rispetto ai 3000-5000 all’inizio dell’offensiva lo scorso ottobre.
Intanto, in Iraq prosegue l’assedio governativo a Mosul, considerata roccaforte dell’Is. Sono circa
26.000 gli iracheni fuggiti dalla parte occidentale della città da quando
le forze di sicurezza irachene hanno
lanciato il 19 febbraio una vasta offensiva contro i jihadisti dell’Is. I
dati diffusi dal ministro iracheno
per gli sfollati e le migrazioni, Jassim Mohammed Al Jaff, parlano infatti di «26.000 sfollati da Mosul
ovest nei primi dieci giorni dell’offensiva» lanciata lo scorso 17 ottobre. Prima dell’avvio dell’offensiva
contro l’Is, le organizzazioni per
l’assistenza umanitaria avevano lanciato l’allarme per oltre 750.000 civili che potrebbero restare intrappolati nella parte occidentale di Mosul
senza via di fuga dai combattimenti
e in pessime condizioni di vita.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia all’ufficio di Ausiliare
della Diocesi di RottenburgStuttgart (Repubblica Federale di Germania), presentata da
Sua Eccellenza Monsignor
Johannes Kreidler, Vescovo titolare di Edistiana.
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo Ausiliare della Diocesi di Rottenburg-Stuttgart
(Repubblica Federale di Germania) il Reverendo Matthäus
Karrer, del clero della medesima Diocesi, finora Direttore
dell’Ufficio Pastorale diocesano e Canonico del Capitolo
Cattedrale, assegnandogli la
Sede titolare vescovile di Tunnuna.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
venerdì 3 marzo 2017
Giovani migranti
in un centro di detenzione
in Libia (Reuters)
Juncker presenta il Libro bianco
Cinque idee
sull’Unione europea
BRUXELLES, 2. Cinque idee postBrexit per rilanciare l’Unione europea a 27. Le ha indicate ieri il presidente della commissione europea,
Jean-Claude Juncker, presentando
al parlamento di Bruxelles il Libro
bianco sul futuro dell’Ue.
Il documento elenca le diverse
possibilità che l’Unione europea si
trova davanti, con pro e contro per
ciascuna ipotesi. Nello specifico, la
prima via indicata è quella più attendista – “resta tutto così com’è”
—, che prevede di proseguire nella
direzione già tracciata, in linea con
gli orientamenti espressi dalla stessa commissione nel 2014 e con la
dichiarazione di Bratislava (2016).
Il secondo scenario è invece
quello del “solo mercato unico”,
che prevede una rifocalizzazione su
questo singolo aspetto e che Juncker ha introdotto con un eloquente «non è questa la mia soluzione».
La terza opzione, denominata “chi
vuole di più fa di più”, è quella
dell’Europa a più velocità. «Per un
piccolo numero di paesi questo approccio potrebbe comportare grandi vantaggi», ha spiegato, segnalando che «l’Europa, però, diventerebbe ancora meno leggibile di prima», ma anche riconoscendo che
molti dei passi avanti del blocco
sono passati dall’attività di alcuni
pionieri, come nel caso di Schengen e dell’adozione dell’euro.
La quarta possibilità è quella di
“fare meno in modo più efficiente”,
intervenendo in modo minore nei
settori per i quali non se ne percepisce un valore aggiunto. A riguardo, Juncker ha indicato come
esempi di settori ritenuti rilevanti
la sicurezza e la tutela dei consumatori, ipotizzando la creazione di
una agenzia europea per la lotta al
terrorismo e di una agenzia che
possa «imporre sanzioni e controllare che ci sia un indennizzo».
Quinto e ultimo scenario, quello
del “fare molto di più insieme”, in
cui gli Stati membri decidono di
condividere in maggiore misura
poteri, risorse e processi decisionali
in tutti gli ambiti. «È venuto il
momento di spiegare quello che
l’Ue può fare e non può fare», ha
detto Juncker nel presentare il Libro bianco. «Ttuttavia — ha aggiunto — non possiamo dire di potere muovere il sole e la luna,
quando l’unica cosa che possiamo
fare è dare un telescopio. Dovremmo concentrarci di più su quei settori su cui possiamo dare risultati».
Tra questi non sembra esserci il
tema della disoccupazione, su cui
Juncker
ammette
l’impotenza
dell’esecutivo europeo a fronte delle responsabilità nazionali. L’unica
cosa certa per la commissione è,
dunque, la volontà di sottrarsi «al
tiro al piccione», come hanno spiegato ieri nei corridoi del palazzo
Berlaymont. Presentarsi con una
proposta univoca avrebbe esposto
il fianco alle critiche di questo o
quel paese. E Juncker è stanco di
fare da bersaglio. «Il futuro
dell’Ue — ha precisato — non può
diventare ostaggio di periodi elettorali o di politiche di partito».
Storie di bambini migranti in Libia
Prime vittime dei trafficanti
di FRANCESCA MANNO CCHI
Sono i bambini le prime vittime dei
trafficanti di esseri umani. A sottolinearlo, ancora una volta, sono le
Nazioni Unite attraverso l’ultimo report dell’Unicef sulla condizione dei
migranti in Libia, pubblicato il 28
febbraio. Secondo il documento, nel
2016, anno che ha tristemente fatto
segnare il record di morti accertate
nel Mediterraneo, almeno 26.000
bambini (per la maggior parte non
accompagnati) hanno attraversato le
centosettanta miglia che separano la
Libia dall’Italia. Su barconi di legno
o più spesso gommoni strapieni di
uomini, donne e appunto bambini
disperati, in fuga da fame, guerra e
malattie.
L’Unicef sottolinea che la Libia è
diventata per i bambini e gli adolescenti un limbo di abusi e violenza,
da parte di contrabbandieri e traffi-
La Camera dei Lord approva un emendamento che chiede garanzie per i cittadini dell’Ue
Schiaffo alla Brexit
LONDRA, 2. Primo intoppo per il governo di Theresa
May nella corsa verso la Brexit, l’uscita del Regno
Unito dall’Unione europea.
La Camera dei Lord ha approvato ieri sera un
emendamento alla legge destinata ad autorizzare l’esecutivo ad avviare i negoziati per la separazione da
Bruxelles che chiede fin d’ora garanzie sul rispetto dei
diritti dei circa 3,3 milioni di cittadini europei già residenti nel paese. L’emendamento è passato con 358 voti favorevoli contro appena 256 contrari.
Decisivi sono stati i Lord laburisti, liberaldemocratici e indipendenti, ma anche qualche conservatore ha
votato sì a dispetto dell’appello lanciato in extremis
dal ministro dell’interno, Amber Rudd, a non intervenire sulla legge.
Il governo Tory — che intenderebbe far scattare entro fine marzo l’articolo 50 del Trattato di Lisbona,
premessa all’iter formale di recesso dall’Unione — assicura di voler a sua volta tutelare i cittadini europei
che vivono sull’isola. E tuttavia finora non c’è mai stata chiarezza e un negoziato su questo punto non è
mai partito. Secondo l’emendamento approvato dai
Lord, invece, l’esecutivo dovrà mettere al sicuro il futuro di coloro che si sono trasferiti in Gran Bretagna
da altri paesi Ue al massimo entro tre mesi dall’attivazione dell’articolo 50.
Blocco
commerciale
dei separatisti
ucraini
KIEV, 2. I leader separatisti dell’est
dell’Ucraina hanno anticipato nei
giorni scorsi la “nazionalizzazione”,
a partire da oggi, di imprese e miniere basate nel Donbass mentre il
ministro degli interni a Kiev, Arsen
Avakov, sollecita l’impiego della
forza per porre fine al blocco commerciale imposto da oltre un mese
dai separatisti.
Il leader dei separatisti della regione di Donetsk, Aleksandr Zakharchenko, ha reso noto che una
quarantina di imprese sono state
messe in quella che ha definito come “amministrazione controllata”.
La compagnia per le comunicazioni Ukrtelecom — controllata dal
miliardario Rinat Akhmetov — ha
denunciato di aver perso il controllo di equipaggiamenti cruciali e
ammesso che non è più in grado di
fornire servizi di telefonia e internet a 200.000 clienti della regione.
Il premier ucraino, Volodymyr
Hroysman, ha denunciato in parlamento che il blocco ha danneggiato l’economia del paese e anticipato che se non si troverà il modo di
assicurare il trasferimento di carbone dall’est, Kiev dovrà comperarlo
negli Stati Uniti, a costi più alti, o
dalla Russia. Nel frattempo, il governo di Kiev ha introdotto misure
per assicurare il trasporto di beni
essenziali nell’est dell’Ucraina.
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La City vista dal ponte di Waterloo (Afp)
Elezioni politiche
in Irlanda del Nord
LONDRA, 2. I nordirlandesi sono
chiamati oggi alle urne per rinnovare il parlamento. Le elezioni, anticipate, arrivano tre mesi dopo la
caduta dell’esecutivo a causa della
vicenda sui sussidi per le energie
alternative che ha visto coinvolto il
Partito democratico unionista che,
insieme ai nazionalisti dello Sinn
Féin, guidava il governo autonomo
di Belfast. Ora ci si appresta a un
importante test di tenuta per tutto
il Regno Unito, che vive le tensioni seguite alla Brexit. Al referendum di giugno la maggioranza dei
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
nordirlandesi ha infatti votato per
il remain. Dagli accordi di pace del
venerdì Santo a Stormont (1998),
che hanno messo fine a 30 anni di
conflitto, il governo autonomo di
Belfast è guidato da un esecutivo
di coalizione. Le consultazioni risultano di difficile previsione, anche se la coalizione tra Sinn Féin,
emanazione politica dell’ex gruppo
armato dell’Ira, e Partito democratico unionista, sembra favorita sugli Unionisti dell’Ulster, il Partito
socialdemocratico del lavoro e il
multiconfessionale Alleanza.
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caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
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Angela Merkel
al Cairo
e a Tunisi
IL CAIRO, 2. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, arriva oggi
al Cairo in visita ufficiale, prima
tappa di un viaggio che domani
la porterà in Tunisia. Nel corso
della visita, la sua prima in Egitto dal 2009, Merkel vedrà il presidente, Abdel Fattah Al Sisi. I
colloqui si concentreranno sul
tema dei flussi migratori e della
cooperazione tra Egitto e Germania nel settore dell’energia.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
canti pronti a tutto. «Un viaggio
mortale per i bambini», questo il titolo del rapporto, che vuole arrivare
dritto alle coscienze di chi legge e
ascolta le voci dei minori che coraggiosamente hanno deciso di parlare
e denunciare gli abusi subiti.
Il report fornisce uno sguardo approfondito delle difficoltà del viaggio dei minori, a partire dai paesi di
provenienza (spesso paesi dell’Africa
subsahariana), la pericolosa traversata del deserto fino ad arrivare alle
coste libiche in attesa di un posto su
un barcone.
Un numero altissimo, ben tre
quarti dei bambini intervistati
dall’Unicef, hanno dichiarato di aver
subito violenze durante il viaggio.
Molte donne e bambini sono rimasti
vittime di abusi sessuali. «Il Mediterraneo centrale dal Nord Africa
verso l’Europa è tra i più mortali e
più pericolosi percorsi compiuti dai
migranti di tutto il mondo» ha detto
Afshan Khan, direttore regionale
dell’Unicef e coordinatore speciale
per la crisi dei rifugiati e dei migranti in Europa. «Il percorso è in gran
parte controllato da contrabbandieri,
trafficanti e le altre persone che cercano di depredare i bambini e le
donne disperate che sono semplicemente alla ricerca di rifugio o una
vita migliore» ha spiegato Afshan
Khan. «Abbiamo bisogno di percorsi e di garanzie di sicurezza e legali
per proteggere la migrazione dei
bambini, che garantiscano loro la sicurezza».
Secondo l’Unicef, ci sarebbero al
momento 256 mila migranti in Libia,
tra cui 23.000 bambini. I dati reali
sarebbero tuttavia almeno tre volte
superiori.
I bambini intervistati raccontano
che nei centri di detenzione per migranti gestiti sia dal ministero
dell’interno libico sia illegalmente
dalle milizie armate, c’è una grave
mancanza di acqua, cibo e cure mediche. Le storie raccontate dai più
vulnerabili hanno lasciato gli stessi
operatori dell’Unicef senza parole.
Kamis, una bambina di nove anni
partita dalla Nigeria con la madre e
i fratelli, ha visto morire delle persone in mare durante il naufragio del
gommone su cui stavano tentando di
partire. Dopo il recupero da parte
della guardia costiera libica è stata
detenuta nella zona di Sabratha per
mesi. «Ci hanno picchiato ogni giorno, per giorni. Non c’era niente da
mangiare, da bere. Eravamo terrorizzati. Io pensavo solo che volevo arrivare in Europa, diventare grande,
studiare. Era l’unico pensiero che mi
dava forza» dice la piccola.
Il report dell’Unicef sottolinea che
molti bambini sono stati vittime di
abusi soprattutto nei luoghi di snodo, ai confini, ai posti di blocco e
che spesso queste terribili violenze
sono state perpetrate proprio da soldati e miliziani. «La violenza sessuale è sistematica ai posti di blocco»
sottolinea il rapporto. E questo spiega anche perché tantissime persone
abbiano paura di denunciare gli
abusi subiti, nel timore di ritorsioni.
«Molti centri di detenzione sono gestiti direttamente da milizie armate,
siamo molto preoccupati» dice Justin Forsyth, vicedirettore dell’Unicef. «In quei luoghi si consumano
abusi inenarrabili e purtroppo noi
abbiamo un accesso molto limitato».
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
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America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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Solo la settimana scorsa sulla
spiaggia di Zawya, cittadina ad ovest
della Libia, epicentro di traffico di
carburante e traffico di esseri umani,
sono stati recuperati i corpi di settantaquattro migranti. Avevano provato ad attraversare il mare. I trafficanti li hanno abbandonati; li hanno
lasciati annegare, ma hanno avuto il
tempo di portare via il motore del
gommone, per usarlo ancora. Per
mettere in pericolo altre persone.
Questo è uno dei tanti drammi
cui sono sottoposti i bambini in fuga che si trovano in Libia: la costante presenza della morte. «Avrei voluto attraversare il mare, avrei voluto
lavorare — dice Issa, un ragazzo di
14 anni, fuggito dal Niger da solo,
in cerca di fortuna e lavoro per potere aiutare la sua famiglia — per mandare i soldi ai miei cinque fratelli
più piccoli, la mia famiglia non sa
come sfamarli».
Suo padre ha raccolto i soldi per
pagare il suo viaggio verso l’Europa,
gli ha augurato buona fortuna e l’ha
lasciato andare. Issa ha lavorato per
due anni in una fattoria, per una
manciata di dollari al mese, è stato
abusato, sfruttato, così un giorno ha
deciso di scappare in cerca di un posto su un gommone, ma è stato arrestato dai soldati libici e da sette mesi
è detenuto in un centro con altre decine di ragazzi.
Molte volte — sottolinea ancora il
rapporto — le vittime sono sottoposte a un duplice strazio, non solo
devono affrontare il dolore di abbandonare la propria casa, rischiando la vita in cerca di un futuro migliore, ma spesso — non avendo i
soldi necessari per pagare tutto il
viaggio — vengono ricattati dai trafficanti che impongono loro di prostituirsi finché non hanno saldato
tutto il loro debito.
La Libia è anche un punto nodale
nella tratta di donne che arrivano in
Europa per essere sfruttate sessualmente — si legge ancora sul rapporto. Tanto più in Libia continua a regnare il caos politico e militare, tanto più sarà difficile garantire ai migranti il supporto necessario.
I paesi europei
dovranno effettuare
un milione
di rimpatri
BRUXELLES, 2. I paesi dell’Unione
europea «rischiano di dover rimpatriare oltre un milione di migranti». Lo riferiscono oggi fonti
europee. Il calcolo si basa sul fatto che «nel 2015 i migranti irregolari che hanno ricevuto l’espulsione sono stati 533.395, mentre nel
2014 470.080». Con circa 2,6 milioni di richieste d’asilo presentate
nel 2015-2016, e visto che nei primi tre trimestri del 2016 hanno ottenuto l’asilo solo il 57 per cento,
«gli stati europei potrebbero dover rimpatriare oltre un milione di
persone». Il paese che dovrebbe
effettuare il maggior numero di
rimpatri è la Germania. La Nigeria è invece la principale destinazione dei rimpatri.
Intanto, grazie a un accordo tra
la Conferenza episcopale italiana
(Cei) e il Governo italiano, dal 7
marzo arriveranno in Italia 41 persone, tra le quali molte con gravi
problemi di salute, provenienti dai
campi profughi della Giordania.
Si tratta — secondo quanto si legge in un comunicato della Cei —
di sette famiglie di cittadini siriani
il cui trasferimento è stato reso
possibile dall’ambasciata italiana
in Giordania e dalla Nunziatura
apostolica, che hanno lavorato in
stretta sinergia con Caritas Italiana, Unhcr e Oim.
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Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 3 marzo 2017
pagina 3
Agente afghano sul luogo dell’attentato
contro il commissariato a Kabul (Epa)
Nei raid uccisi quattro terroristi di Al Qaeda
Droni statunitensi
in azione nello Yemen
KABUL, 2. È aumentato ad almeno
22 il numero delle vittime degli attentati compiuti ieri dai talebani afghani a Kabul contro un commissariato di polizia, con annessa accademia militare, e un ufficio dei servizi
di intelligence (Nds). Lo riferisce
oggi Tolo Tv. Ma il bilancio delle
vittime potrebbe ulteriormente aggravarsi nelle prossime ore poiché,
come ha reso noto Wahidullah Majrooh, portavoce del ministero della
sanità afghano, almeno 20 dei 104
feriti del duplice attentato, «sono in
condizioni critiche».
Kabul è dunque ripiombata nel
terrore. I due attacchi hanno causato
decine di morti e feriti fra i membri
delle forze di sicurezza, polizia, soldati e agenti dei servizi, e sono stati
duramente condannati dal presidente afghano, Ashraf Ghani, dall’ambasciata statunitense a Kabul e dal
comandante delle forze Nato in Afghanistan, generale John Nicholson.
Sollecitato dai giornalisti a corto
di notizie per l’assenza di notizie da
fonti ufficiali, il viceportavoce del
ministero dell’interno, Najib Danish,
ha riferito che all’ora di pranzo
un’autobomba è esplosa nelle vicinanze del commissariato del sesto
distretto di polizia della capitale, che
si trova vicino a una accademia militare. Il responsabile ha reso noto che
un numero imprecisato di militanti
«sono riusciti a penetrare nell’edificio» impegnando le forze di sicurezza, secondo Tolo Tv, per sei ore.
È stata questa l’operazione più
cruenta degli insorti che, ha dichiarato il capo della polizia criminale
della capitale, Friadon Obaidi alla
televisione Ariana, ha causato 14
morti e 40 feriti. Quasi contemporaneamente, hanno segnalato fonti che
hanno chiesto di non essere identificate, un attentatore suicida si è fatto
esplodere all’ingresso dell’ufficio del
Nds nel quartiere di Arzat Qimat,
creando spazio per un compagno
che ha proseguito la sua azione, ma
che è stato ucciso 15 minuti dopo. In
questo secondo assalto la vittima è
stata una sola e i feriti una decina.
A
sottolineare
l’importanza
dell’accaduto, si deve infine segnalare che i talebani hanno annunciato
di aver conquistato dopo tre giorni
di combattimenti un altro distretto
afghano, quello di Tala Wa Barfak,
nella provincia settentrionale di Baghlan. Da parte sua il ministero della difesa afghano ha reso noto ieri
Sciopero
paralizza
le banche
indiane
NEW DELHI, 2. Circa un milione di
bancari hanno paralizzato ieri l’intero settore in India, con uno sciopero
generale per protestare contro il pesante impatto causato dal ritiro delle
banconote da 500 e mille rupie, deciso dal governo del premier Modi
lo scorso novembre.
I bancari protestano anche contro
la temuta privatizzazione degli istituti di credito. Il leader del sindacato dei bancari, Aibea, C. H. Venkatachalam, ha riferito che «nessun
servizio è stato disponibile, né i versamenti né il prelievo e in molti luoghi i bancomat erano già vuoti dalla
mattinata». L’adesione allo sciopero
è stata massiccia, con la partecipazione degli iscritti a sette sigle sindacali e l’esclusione, soltanto, di due
organizzazioni minori affiliate al
Bjp, il partito di governo. La protesta ha interessato anche gli istituti
pubblici, incluse la Banca centrale,
le casse rurali regionali e i dipendenti presso le filiali di banche estere. A
novembre, con un provvedimento a
sorpresa, il governo ritirò dalla circolazione i biglietti da 500 e da 1000
rupie (dal valore corrispondente a
7,5 e 15 dollari), causando una grave
crisi di liquidità che si è prolungata
per settimane e ha originato enormi
file di clienti per prelevare contanti,
sia agli sportelli sia alle casse automatiche.
Decine di vittime per una serie di attacchi degli insorti talebani
Terrore a Kabul
che in un raid aereo sul distretto di
Khanshin della provincia meridionale di Helmand è stato distrutto un
campo di addestramento dei talebani e sono stati uccisi 20 militanti.
E, intanto, mentre con l’avvicinarsi della primavera gli insorti talebani
intensificano i loro attacchi, il tredicesimo vertice dell’O rganizzazione
di cooperazione economica (Eco) si
è concluso a Islamabad con un im-
Pechino
avvia
il piano di tagli
antismog
pegno a rafforzare la cooperazione
regionale e con l’auspicio di un lavoro comune per la «pace e la prosperità dell’Afghanistan». Fondata nel
1985 a Teheran da Iran, Pakistan e
Turchia, l’Eco, di cui fanno parte
dieci paesi, ha tra i suoi propositi
quello di facilitare gli scambi e la libera circolazione delle merci all’interno dell’area, sulla scia di quanto
fatto dall’Unione europea. Al termi-
ne dell’incontro i partecipanti hanno
sottoscritto una Dichiarazione (“Eco
Vision 2025”’) in cui riconoscono
l’importanza dell’Afghanistan per lo
sviluppo della regione e la necessità
di rafforzarne la pace e la stabilità,
attraverso anche una ricostruzione di
quanto decenni di guerra hanno distrutto. La prossima conferenza speciale Eco sull’Afghanistan si terrà a
Kabul il prossimo maggio.
SANA’A, 2. Almeno quattro membri
di Al Qaeda nella penisola arabica
(Aqpa) sono stati uccisi questa
mattina in due attacchi di droni
statunitensi nel sud dello Yemen,
secondo responsabili dei servizi di
sicurezza. Un drone ha colpito i
jihadisti di fronte alla casa di un
membro di Al Qaeda nella valle di
Yashbum, nella provincia di Chabwa, uccidendo quattro terroristi.
Nella vicina provincia di Abyane,
un altro drone ha colpito una posizione di Al Qaeda nella città costiera di Chaqra, sul golfo di Aden,
ma finora le autorità non hanno
fornito un bilancio di questo secondo attacco.
Gli Stati Uniti considerano Al
Qaeda nella penisola arabica come
la branca più pericolosa della rete
terroristica a livello globale. Le forze fedeli al presidente yemenita,
Abd Rabbo Mansour Hadi, sostenute dal marzo del 2015 da una
coalizione guidata da Riad, affrontano i ribelli huthi, che controllano
parte del territorio e la capitale Sana’a dal settembre del 2014.
Questo conflitto — che non è
sotto i riflettori dei media interna-
Al via le manovre militari tra Washington e Seoul
Tensione nella penisola coreana
PECHINO, 2. La Cina ha imposto
una riduzione della produzione di
acciaio e alluminio in 28 città nel
nord del Paese, in una mossa volta a ridurre l’inquinamento atmosferico nel corso dell’inverno. Lo
riferisce l’agenzia Bloomberg, citando persone informate dei fatti.
Stando alle indiscrezioni, i tagli
comprenderebbero il dimezzamento del lavoro delle acciaierie
in quattro grandi città settentrionali, inclusa Tangshan, nella provincia dello Hebei, leader nazionale della produzione del materiale, e nelle municipalità di Pechino e di Tianjin.
A questi si aggiungerebbe la riduzione di circa un terzo nella
produzione di alluminio, e del 30
per cento per quanto riguarda la
produzione di allumina.
L’ordine, indicano gli esperti,
sarebbe stato emanato dal ministero della protezione ambientale
e dalla commissione per lo Sviluppo, allo scopo di ridurre l’inquinamento dell’aria dovuto agli
impianti di riscaldamento a carbone usati nella stagione invernale, da novembre a marzo.
Si calcola che in Cina centinaia
di migliaia di persone muoiano
ogni anno per malattie respiratorie e cardiovascolari legate all’inquinamento atmosferico.
SEOUL, 2. Stati Uniti e Corea del
Sud hanno dato il via alle loro esercitazioni militari congiunte nel mezzo delle tensioni intercoreane alimentate dal test del missile fatto il
12 febbraio dal regime comunista di
Pyongyang — condannato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu che ha
approvato nuove sanzioni contro la
Corea del Nord — e dall’omicidio il
13 febbraio a Kuala Lumpur, in Malaysia, di Kim Jong-nam, fratellastro
del leader Kim Jong-un.
Foal Eagle, questo il nome della
prima fase delle manovre annuali, è
«una prova generale» sul campo
che coinvolge le forze di terra, aeree
e navali dei due paesi e che termineranno a fine aprile, mentre Key Resolve, la seconda fase, è una prova
di simulazione fatta coi computer
che avrà inizio il 13 marzo.
Si tratta di iniziative che il regime
di Pyongyang ha sempre denunciato
come preparativi di invasione ai
suoi danni. Anche oggi, infatti, ha
provveduto ad attaccare le manovre
con un portavoce del Korean AsiaPacific Peace Committee, che gestisce i rapporti con Seoul, secondo
cui lo sviluppo degli armamenti nucleari ai fini di auto-difesa andrà
avanti «salvo che Stati Uniti e Corea del Sud non decidano di abbandonare le loro ambizioni di aggressione con i giochi di guerra».
Dal canto suo, la Cina ha ribadito nei giorni scorsi la sua irritazione
per l’intesa sullo scambio di terreni
tra il ministero della difesa sudcoreano e il gruppo Lotte a Seongju
che permetterà di installare in un
campo da golf i sistemi statunitensi
antimissile Terminal Altitude Area
Defense (Thaad) come deterrenza o
difesa rispetto alle intemperanze balistiche della Corea del Nord.
Pechino, tra le altre cose, ha criticato la mossa ritenendo i sistemi
una minaccia ai suoi interessi e alla
sua sicurezza dato che i potenti radar potrebbero spiare le strutture
Ritrovati i corpi
di undici persone
torturate
nel Veracruz
CITTÀ DEL MESSICO, 2. I cadaveri di undici persone sono stati
ritrovati ieri dalla polizia federale messicana nello stato di Veracruz, nell’est del paese. Presentano tutti chiari segni di tortura.
Si tratta di nove uomini e due
donne. Sono stati scoperti a Boca del Rio, come ha indicato
parlando con una radio locale il
governatore del Veracruz, Miguel Ángel Yunes, martedì scorso, proprio in concomitanza con
i festeggiamenti per il carnevale,
che hanno coinvolto almeno
diecimila persone.
La pista più probabile — dicono gli inquirenti — è quella legata al narcotraffico, una piaga
estremamente radicata nel Veracruz. «È in corso una guerra tra
i cartelli» ha spiegato il governatore Yunes.
In particolare, i cartelli di Jalisco e di Zetas si battono da
tempo per controllare il mercato
della droga verso gli Stati Uniti.
E di recente, sempre a Boca del
Rio, ci sono stati anche scontri
tra polizia e bande di narcos. Il
bilancio è stato di tre morti: due
narcos e un agente. Il ministro
federale dell’interno, Miguel
Ángel Osorio Chong, si è riunito con Yunes per discutere
sull’aumento della violenza nello
stato e disporre rinforzi agli
agenti.
Sotto le attese
la crescita del pil
a stelle e strisce
Militari sudcoreani e marines statunitensi durante un’esercitazione congiunta (Ap)
Per rilanciare l’amicizia e la cooperazione
L’imperatore Akihito in Vietnam
L’imperatore Akihito dopo la visita alla Vietnam National University (Afp)
militari cinesi. La Cina ha per due
volte affidato a Seoul la “rimostranza solenne” per la questione dei
Thaad, ha detto il portavoce del ministero degli esteri Geng Shuang.
Ma il presidente sudcoreano ad
interim, Hwang Kyo-ahn ha ribadito ieri che il suo paese risponderà
con fermezza a tutte le provocazioni
del regime di Pyongyang e cercherà
un rafforzamento delle sanzioni
dell’Onu contro la Corea del Nord.
zionali — ha già causato, secondo
stime dell’Onu, almeno 7500 morti,
oltre 40.000 feriti e circa tre milioni di sfollati. Negli ultimi giorni almeno 48.000 civili sono stati costretti a fuggire dalla regione di
Mokha, nel sud-ovest del paese, a
causa dell’intensificarsi dei combattimenti. La cifra è stata data
dall’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr)
e dall’Organizzazione internazionale per i migranti (Oim).
HANOI, 2. L’imperatore del Giappone, Akihito, è ad Hanoi per una visita ufficiale, che prevede incontri con
le famiglie di soldati nipponici rimasti nel paese del sud est asiatico dopo la fine della seconda guerra mondiale. Akihito, che ha di recente annunciato l’intenzione di abdicare nel
2019, è il primo imperatore del
Giappone a visitare il Vietnam.
La visita, indicano gli analisti politici, è tesa a ricucire le ferite aperte
dall’ultimo conflitto mondiale. «La
speranza è che questa visita contribuisca all’ulteriore sviluppo della
comprensione reciproca e dell’amicizia tra i nostri paesi», ha detto.
Oggi il Giappone è tra i più importanti investitori del “nuovo” Vietnam, un paese in rapidissima industrializzazione. Tokyo e Hanoi si sono sensibilmente avvicinate negli ultimi anni alla luce delle rispettive dispute marittime con la Cina.
Il governo
giapponese
mantiene il controllo
della Tepco
TOKYO, 2. Il governo giapponese
manterrà il controllo della Tepco,
l’operatore che gestisce la centrale
nucleare di Fukushima, per un periodo più esteso del previsto a causa
delle ingenti spese derivanti dalla
catastrofe del marzo 2011. Tokyo ha
rilevato il 50,1 per cento del capitale
sociale della Tepco all’indomani
dell’incidente tramite un piano di
salvataggio, mettendo la società sotto il controllo statale. Il progetto
prevedeva una riduzione della partecipazione dal mese di aprile di quest’anno. Tuttavia, le stime per lo
smantellamento della centrale, i lavori di bonifica e gli indennizzi alla
popolazione colpita dal disastro, sono quasi raddoppiate rispetto alle
previsioni iniziali, superando la
quota di 188 miliardi di dollari.
WASHINGTON, 2. L’economia
americana continua la sua parabola di crescita lenta. Dopo il
più 3,5 per cento del terzo trimestre 2016, il pil (prodotto interno lordo) negli ultimi tre mesi dell’anno rallenta e sale
dell’1,9, una crescita invariata rispetto alla prima stima di gennaio (la terza e ultima stima è
attesa in marzo). Il dato è sotto
le attese, ma c’è da segnalare
l’impennata della fiducia dei
consumatori: negli ultimi tre
mesi dell’anno i consumi sono
saliti più di quanto inizialmente
previsto, avanzando del tre per
cento e bilanciando il rallentamento degli investimenti aziendali e delle spese del governo.
Intanto, la Fed, nel suo Beige
Book, ha parlato di crescita «a
un ritmo moderato» a gennaio e
febbraio. Le imprese — ha sottolineato la banca centrale statunitense — si dicono «preoccupate»
per le prospettive dell’imposizione di dazi e per la stretta sulle politiche dell’immigrazione
annunciate dal presidente Donald Trump. L’annunciata stretta sugli immigrati preoccupa soprattutto le aziende agricole perché la riforma prospettata dalla
nuova amministrazione può rendere più difficile assumere personale straniero.
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L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 3 marzo 2017
venerdì 3 marzo 2017
Papa Francesco ai preti di Roma
«Signore, accresci in noi la fede!» (Lc 17,
5). Questa domanda sorse spontanea nei
discepoli quando il Signore stava parlando loro della misericordia e disse che
dobbiamo perdonare settanta volte sette.
“Accresci in noi la fede”, chiediamo anche
noi, all’inizio di questa conversazione. Lo
chiediamo con la semplicità del Catechismo, che ci dice: «Per vivere, crescere e
perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio; dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla».
È una fede che «deve operare “per mezzo
della carità” (Gal 5, 6; cfr. Gc 2, 14-26),
essere sostenuta dalla speranza (cfr. Rm
15, 13) ed essere radicata nella fede della
Chiesa» (n. 162).
Mi aiuta appoggiarmi a tre punti fermi:
la memoria, la speranza e il discernimento
del momento. La memoria, come dice il
Catechismo, è radicata nella fede della
Chiesa, nella fede dei nostri padri; la speranza è ciò che ci sostiene nella fede; e il
discernimento del momento lo tengo presente al momento di agire, di mettere in
pratica quella “fede che opera per mezzo
della carità”.
Lo formulo in questo modo:
— Dispongo di una promessa — è sempre importante ricordare la promessa del
Signore che mi ha posto in cammino —.
— Sono in cammino — ho speranza —: la
speranza mi indica l’orizzonte, mi guida:
è la stella e anche ciò che mi sostiene, è
l’ancora, ancorata in Cristo.
— E, nel momento specifico, ad ogni
incrocio di strade devo discernere un bene
concreto, il passo avanti nell’amore che
posso fare, e anche il modo in cui il Signore vuole che lo faccia.
Fare memoria delle grazie passate conferisce alla nostra fede la solidità dell’incarnazione; la colloca all’interno di una storia, la storia della fede dei nostri padri,
che «morirono nella fede, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano» (Eb 11, 13)1.
Noi, «circondati da tale moltitudine di testimoni», guardando dove essi guardano,
teniamo lo sguardo «fisso su Gesù, colui
che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12, 2).
La speranza, da parte sua, è quella che
apre la fede alle sorprese di Dio. Il nostro
Dio è sempre più grande di tutto ciò che
possiamo pensare e immaginare di Lui, di
ciò che gli appartiene e del suo modo di
agire nella storia. L’apertura della speranza conferisce alla nostra fede freschezza e
orizzonte. Non è l’apertura di un’immaginazione velleitaria che proietterebbe fantasie e propri desideri, ma l’apertura che
provoca in noi il vedere la spogliazione di
Gesù, «il quale, di fronte alla gioia che
gli era posta dinanzi, si sottopose alla
croce, disprezzando il disonore, e siede
alla destra del trono di Dio» (Eb 12, 2).
La speranza che attrae, paradossalmente,
non la genera l’immagine del Signore trasfigurato, ma la sua immagine ignominiosa. «Attirerò
tutti a me» (Gv 12, 32). È il
donarsi totale del Signore
sulla croce quello che ci attrae, perché rivela la possibi-
Il progresso della fede
nella vita del sacerdote
lità di essere più autentica. È la spogliazione di colui che non si impadronisce
della promesse di Dio, ma, come vero testatore, passa la fiaccola dell’eredità ai
suoi figli: «Dove c’è un testamento, è necessario che la morte del testatore sia dichiarata» (Eb 9, 16).
Il discernimento, infine, è ciò che concretizza la fede, ciò che la rende «operosa
per mezzo della carità» (Gal 5, 6), ciò che
ci permette di dare una testimonianza
credibile: «Con le mie opere ti mostrerò
la mia fede» (Gc 2, 18). Il discernimento
guarda in primo luogo ciò che piace al
nostro Padre, «che vede nel segreto» (Mt
6, 4.6), non guarda i modelli di perfezione dei paradigmi culturali. Il discernimento è “del momento” perché è attento,
come la Madonna a Cana, al bene del
prossimo che può fare in modo che il Signore anticipi “la sua ora”, o che “salti”
un sabato per rimettere in piedi colui che
stava paralizzato. Il discernimento del
momento opportuno (kairos) è fondamentalmente ricco di memoria e di speranza:
ricordando con amore, punta lo sguardo
con lucidità a ciò che meglio guida alla
Promessa.
E ciò che meglio guida è sempre in relazione con la croce. Con quello spossessarmi della mia volontà, con quel dramma interiore del «non come voglio io, ma
come vuoi tu» (Mt 26, 39) che mi pone
nelle mani del Padre e fa in modo che sia
Lui a guidare la mia vita.
Crescere nella fede
Torno per un momento al tema del
“crescere”. Se rileggete con attenzione
Evangelii gaudium — che è un documento
programmatico — vedrete che parla sempre di “crescita” e di “maturazione”, sia
nella fede sia nell’amore, nella solidarietà
come nella comprensione della Parola2.
Evangelii gaudium ha una prospettiva dinamica. «Il mandato missionario del Signore comprende l’appello alla crescita
della fede quando indica: “insegnando loro
a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 20). Così appare chiaro che il
primo annuncio deve dar luogo anche ad
un cammino di formazione e di maturazione» (n. 160).
Sottolineo questo: cammino di formazione e di maturazione nella fede. E
prendere questo sul serio implica che
«non sarebbe corretto interpretare
questo appello alla crescita esclusivamente o prioritariamente come formazione (meramente) dottrinale» (n.
161). La crescita nella fede avviene attraverso gli incontri
con il Signore nel corso
della vita. Questi incontri si custodiscono come un
tesoro
nella
memoria
e
sono la nostra fede viva, in una
storia
di
salvezza
personale.
In questi incontri l’esperienza è quella
di una incompiuta
pienezza. Incompiuta, perché dobbiamo
continuare a camminare; pienezza,
perché, come in
Ricorrendo come di consueto a immagini del vivere quotidiano, Francesco ha paragonato la croce, “punto fermo” nella vita del sacerdote
a quel movimento, tipico dei giocatori di basket, definito “perno”
tutte le cose umane e divine, in ogni parte si trova il tutto3.Questa maturazione
costante vale per il discepolo come per il
missionario, per il seminarista come per il
sacerdote e il vescovo. In fondo è quel
circolo virtuoso a cui si riferisce il Documento di Aparecida che ha coniato la formula “discepoli missionari”.
Il punto fermo della croce
Quando parlo di punti fermi o di “fare
perno”, l’immagine che ho presente è
quella del giocatore di basket o pallacanestro, che inchioda il piede come “perno”
a terra e compie movimenti per proteggere la palla, o per trovare uno spazio per
passarla, o per prendere la rincorsa e andare a canestro. Per noi quel piede inchiodato al suolo, intorno al quale facciamo perno, è la croce di Cristo. Una frase
scritta sul muro della cappella della Casa
di Esercizi di San Miguel (Buenos Aires)
diceva: “Fissa sta la Croce, mentre il
mondo gira” [“Stat crux dum volvitur orbis”, motto di san Bruno e dei Certosini].
Poi uno si muove, proteggendo la palla,
con la speranza di fare canestro e cercando di capire a chi passarla.
La fede — il progresso e la crescita nella fede — si fonda sempre sulla Croce: «È
piaciuto a Dio salvare i credenti con la
stoltezza della predicazione» di «Cristo
crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1, 21.23). Tenendo
dunque, come dice la Lettera agli Ebrei,
«fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà
origine alla fede e la porta a compimento», noi ci muoviamo e ci esercitiamo nella memoria — ricordando la «moltitudine
di testimoni» — e corriamo con speranza
«nella corsa che ci sta davanti», discernendo le tentazioni contro la fede, «senza
stancarci né perderci d’animo» (cfr. Eb 12,
1-3).
Memoria deuteronomica
In Evangelii gaudium ho voluto porre
in rilievo quella dimensione della fede
che chiamo deuteronomica, in analogia
con la memoria di Israele:
«La gioia evangelizzatrice brilla sempre
sullo sfondo della memoria grata: è una
grazia che abbiamo bisogno di chiedere.
Gli Apostoli mai dimenticarono il momento in cui Gesù toccò loro il cuore:
“Erano circa le quattro del pomeriggio”
(Gv 1, 39)» (n. 13).
Nella «“moltitudine di testimoni” [...]
si distinguono alcune persone che hanno
inciso in modo speciale per far germogliare la nostra gioia credente: “Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la Parola di Dio” (Eb 13, 7). A
volte si tratta di persone semplici e vicine
che ci hanno iniziato alla vita della fede:
“Mi ricordo della tua schietta fede, che
ebbero anche tua nonna Loide e tua madre Eunice” (2 Tm 1, 5). Il credente è fondamentalmente “uno che fa memoria”»
(ibid.).
La fede si alimenta e si nutre della memoria. La memoria dell’Alleanza che il
Signore ha fatto con noi: Egli è il Dio dei
nostri padri e nonni. Non è Dio dell’ultimo momento, un Dio senza storia di
famiglia, un Dio che per rispondere ad
ogni nuovo paradigma dovrebbe scartare
come vecchi e ridicoli i precedenti. La
storia di famiglia non “passa mai di
moda”. Appariranno vecchi i vestiti e i
cappelli dei nonni, le foto avranno color
seppia, ma l’affetto e l’audacia dei nostri
padri, che si spesero perché noi potessimo essere qui e avere quello che abbiamo,
sono una fiamma accesa in ogni cuore
nobile.
Teniamo ben presente che progredire
nella fede non è soltanto un proposito
volontaristico di credere di più d’ora innanzi: è anche esercizio di ritornare con
la memoria alle grazie fondamentali. Si
può “progredire all’indietro”, andando a
cercare nuovamente tesori ed esperienze
che erano dimenticati e che molte volte
contengono le chiavi per comprendere il
presente. Questa è la cosa veramente “rivoluzionaria”: andare alle radici. Quanto
più lucida è la memoria del passato, tanto
più chiaro si apre il futuro, perché si può
vedere la strada realmente nuova e distinguerla dalle strade già percorse che non
hanno portato da nessuna parte. La fede
cresce ricordando, collegando le cose con
la storia reale vissuta dai nostri padri e da
tutto il popolo di Dio, da tutta la Chiesa.
Perciò l’Eucaristia è il Memoriale della
nostra fede, ciò che ci situa sempre di
nuovo, quotidianamente, nell’avvenimento fondamentale della nostra salvezza,
nella Passione, Morte e Risurrezione del
Signore, centro e perno della storia. Ritornare sempre a questo Memoriale — attualizzarlo in un Sacramento che si prolunga nella vita — questo è progredire
nella fede. Come diceva sant’Alberto
Hurtado: «La Messa è la mia vita e la
mia vita è una Messa prolungata»4.
Per risalire alle sorgenti della memoria,
mi aiuta sempre rileggere un passo del
profeta Geremia e un altro del profeta
Osea, nei quali essi ci parlano di ciò che
il Signore ricorda del suo Popolo. Per
passato e in tutta l’ampiezza del momento presente. Possiamo intendere così la
frase di Paolo ai Galati, quando dice che
ciò che vale è «la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (5, 6): una
carità che, quando fa memoria, si attiva
confessando, nella lode e nella gioia, che
l’amore le è stato già dato; una carità che
quando guarda in avanti e verso l’alto,
confessa il suo desiderio di dilatare il
cuore nella pienezza del Bene più grande;
queste due confessioni di una fede ricca
di gratitudine e di speranza, si traducono
nell’azione presente: la fede si confessa
nella pratica, uscendo da sé stessi,
trascendendosi nell’adorazione e nel
servizio.
Discernimento del momento
Vediamo così come la fede, dinamizzata dalla speranza di scoprire Cristo nello
spessore del presente,
è legata al discernimento.
È proprio del discernimento fare prima un passo indietro,
come chi retrocede
Nella mattina di giovedì 2 marzo, Papa Francesco si è
un po’ per vedere
recato al Laterano per incontrare il clero della diocesi di
meglio il panorama.
Roma nel tradizionale appuntamento di inizio
C’è sempre una tenquaresima. Pubblichiamo di seguito la meditazione
tazione nel primo imtenuta dal Pontefice nella basilica papale di San
pulso, che porta a
Giovanni.
voler risolvere qualcosa immediatamente. In questo senso
credo che ci sia un
Geremia, il ricordo del Signore è quello
primo discernimento, grande e fondante,
della sposa amata della giovinezza, che
cioè quello che non si lascia ingannare
poi gli è stata infedele. «Mi ricordo di te
dalla forza del male, ma che sa vedere la
— dice a Israele —, dell’affetto della tua
vittoria della Croce di Cristo in ogni sigiovinezza, dell’amore al tempo del tuo
tuazione umana. A questo punto mi piafidanzamento, quando mi seguivi nel decerebbe rileggere con voi un intero brano
serto, [...]. Israele era sacro al Signore»
di Evangelii gaudium, perché aiuta a di(2, 2-3).
scernere quella insidiosa tentazione che
chiamo pessimismo sterile:
Il Signore rimprovera al suo popolo la
sua infedeltà, che si è rivelata una cattiva
scelta: «Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato
me, sorgente di acqua viva, e si è scavato
cisterne, cisterne piene di crepe, che non
trattengono l’acqua. [...] Ma tu rispondi:
“No, è inutile, perché io amo gli stranieri,
voglio andare con loro» (2, 13.25).
Per Osea, il ricordo del Signore è quello del figlio coccolato e ingrato: «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e
dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma
più li chiamavo, più si allontanavano da
me; [...] agli idoli bruciavano incensi. A
Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero
che avevo cura di loro. Io li traevo con
legami di bontà, con vincoli d’amore, ero
per loro come chi solleva un bimbo alla
sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. [...] Il mio popolo è duro a convertirsi» (11, 1-4.7). Oggi come allora, l’infedeltà e l’ingratitudine dei pastori si ripercuote sui più poveri del popolo
fedele, che restano in balia degli estranei
«Una delle tentazioni più serie che sofe degli idolatri.
focano il fervore e l’audacia è il senso di
sconfitta, che ci trasforma in pessimisti
scontenti e disincantati dalla faccia scura.
Nessuno può intraprendere una battaglia
Speranza non solo nel futuro
se in anticipo non confida pienamente nel
La fede si sostiene e progredisce grazie
trionfo. Chi comincia senza fiducia ha
alla speranza. La speranza è l’ancora anperso in anticipo metà della battaglia e
corata nel Cielo, nel futuro trascendente,
sotterra i propri talenti. Anche se con la
di cui il futuro temporale — considerato
dolorosa consapevolezza delle proprie frain forma lineare — è solo una espressione.
gilità, bisogna andare avanti senza darsi
La speranza è ciò che dinamizza lo
per vinti, e ricordare quello che disse il
sguardo all’indietro della fede, che conSignore a san Paolo: «Ti basta la mia graduce a trovare cose nuove nel passato —
zia; la forza infatti si manifesta pienamennei tesori della memoria — perché si inte nella debolezza» (2 Cor 12, 9). Il trioncontra con lo stesso Dio che spera di vefo
cristiano è sempre una croce, ma una
dere nel futuro. La speranza inoltre si
croce
che al tempo stesso è vessillo di
estende fino ai limiti, in tutta la larghezza
vittoria,
che si porta con una tenerezza
e in tutto lo spessore del presente quoticombattiva
contro gli assalti del male. Il
diano e immediato, e vede possibilità
cattivo spirito della sconfitta è fratello
nuove nel prossimo e in ciò che si può fadella tentazione di separare prima del
re qui, oggi. La speranza è saper vedere,
tempo il grano dalla zizzania, prodotto di
nel volto dei poveri che incontro oggi, lo
una sfiducia ansiosa ed egocentrica. [...]
stesso Signore che verrà un giorno a giuIn ogni caso, in quelle circostanze siamo
dicarci secondo il protocollo di Matteo
25: «Tutto quello che avete fatto a uno
chiamati ad essere persone-anfore per dasolo di questi miei fratelli più piccoli,
re da bere agli altri. A volte l’anfora si
l’avete fatto a me» (v. 40).
trasforma in una pesante croce, ma è proprio sulla Croce dove, trafitto, il Signore
Così la fede progredisce esistenzialmensi è consegnato a noi come fonte di acqua
te credendo in questo “impulso” trascenviva. Non lasciamoci rubare la speranza!»
dente che si muove — che è attivo e ope(85-86).
rante — verso il futuro, ma anche verso il
In cattedrale
Queste formulazioni «non lasciamoci
rubare...», mi vengono dalle regole di discernimento di sant’Ignazio, che è solito
rappresentare il demonio come un ladro.
Si comporta come un capitano — dice
Ignazio — che per vincere e rubare ciò
che desidera ci combatte nella nostra parte più debole (cfr. Esercizi Spirituali, 327).
E nel nostro caso, nell’attualità, credo che
cerchi di rubarci la gioia — che è come
rubarci il presente5 — e la speranza —
l’uscire, il camminare —, che sono le grazie che più chiedo e faccio chiedere per la
Chiesa in questo tempo.
È importante a questo punto fare un
passo avanti e dire che la fede progredisce
quando, nel momento presente, discerniamo come concretizzare l’amore nel bene
possibile, commisurato al bene dell’altro.
Il primo bene dell’altro è poter crescere
nella fede. La supplica comunitaria dei
discepoli «Accresci in noi la fede!» (Lc 17,
6) sottende la consapevolezza che la fede
è un bene comunitario. Bisogna considerare, inoltre, che cercare il bene dell’altro
ci fa rischiare. Come dice Evangelii gaudium:
«Un cuore missionario è consapevole
[...] che egli stesso deve crescere nella
comprensione del Vangelo e nel discernimento dei sentieri dello Spirito, e allora
non rinuncia al bene possibile, benché
corra il rischio di sporcarsi con il fango
della strada» (45).
In questo discernimento è implicito
l’atto di fede in Cristo presente nel più
povero, nel più piccolo, nella pecora perduta, nell’amico insistente. Cristo presente in chi ci viene incontro — facendosi vedere, come Zaccheo o la peccatrice che
entra con il suo vaso di profumo, o quasi
senza farsi notare, come l’emorroissa —; o
Cristo presente in chi noi stessi accostiamo, sentendo compassione quando lo vediamo da lontano, disteso sul bordo della
strada. Credere che lì c’è Cristo, discernere il modo migliore per fare un piccolo
passo verso di Lui, per il bene di quella
persona, è progresso nella fede. Come
pure lodare è progresso nella fede, e desiderare di più è progresso nella fede.
Può farci bene soffermarci ora un po’
su questo progresso nella fede che avviene grazie al discernimento del momento.
Il progresso della fede nella memoria e
nella speranza è più sviluppato. Invece,
questo punto fermo del discernimento,
forse non tanto. Può persino sembrare
che dove c’è fede non dovrebbe esserci
bisogno di discernimento: si crede e basta. Ma questo è pericoloso, soprattutto
se si sostituiscono i rinnovati atti di fede
in una Persona — in Cristo nostro Signore
—, che hanno tutto il dinamismo che abbiamo appena visto, con atti di fede meramente intellettuali, il cui dinamismo si
esaurisce nel fare riflessioni ed elaborare
formulazioni astratte. La formulazione
concettuale è un momento necessario del
pensiero, come scegliere un mezzo di trasporto è necessario per giungere a una
meta. Ma la fede non si esaurisce in una
formulazione astratta né la carità in un
bene particolare, ma il proprio della fede
e della carità è crescere e progredire
aprendosi a una maggiore fiducia e a un
bene comune più grande. Il proprio della
fede è essere “operante”, attiva, e così per
la carità. E la pietra di paragone è il discernimento. Infatti la fede può fossilizzarsi, nel conservare l’amore ricevuto, trasformandolo in un oggetto da chiudere in
un museo; e la fede può anche volatilizzarsi, nella proiezione dell’amore desiderato, trasformandolo in un oggetto virtuale che esiste solo nell’isola delle utopie. Il
discernimento dell’amore reale, concreto e
possibile nel momento presente, in favore
del prossimo più drammaticamente bisognoso, fa sì che la fede diventi attiva,
creativa ed efficace.
L’icona di Simon Pietro
“passato al vaglio”
Per concretizzare questa riflessione riguardo a una fede che cresce con il discernimento del momento, contempliamo
l’icona di Simon Pietro “passato al vaglio” (cfr. Lc 22, 31), che il Signore ha
preparato in maniera paradigmatica, perché con la sua fede provata confermasse
tutti noi che “amiamo Cristo senza averlo
visto” (cfr. 1 Pt 1, 8).
Entriamo in pieno nel paradosso per
cui colui che deve confermarci nella fede
è lo stesso al quale spesso il Signore rimprovera la sua “poca fede”. Il Signore di
solito indica come esempi di grande fede
altre persone. Con notevole enfasi loda
molte volte la fede di persone semplici e
di altre che non appartengono al popolo
d’Israele — pensiamo al centurione (cfr.
Lc 7, 9) e alla donna siro-fenicia (cfr. 15,
28) —, mentre ai discepoli — e a Simon
Pietro in particolare — rimprovera spesso
la loro «poca fede» (Mt 14, 31).
Tenendo presente che le riflessioni del
Signore riguardo alla grande fede e alla
poca fede hanno un intento pedagogico e
sono uno stimolo ad incrementare il desiderio di crescere nella fede, ci concentriamo su un passaggio centrale nella vita di
Simon Pietro, quello in cui Gesù gli dice
che “ha pregato” per la sua fede. È il momento che precede la passione; gli apostoli hanno appena discusso su chi tra loro sia il traditore e chi sia il più grande, e
Gesù dice a Simone:
«Simone, Simone, ecco: Satana vi ha
cercati per vagliarvi come il grano; ma io
ho pregato per te, perché la tua fede non
venga meno. E tu, una volta convertito,
conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 31-32).
Precisiamo i termini, poiché le richieste
del Signore al Padre sono cose di cui far
tesoro nel cuore. Consideriamo che il Signore “prega”6 per Simone ma pensando
a noi. “Venir meno” traduce ekleipo — da
cui “eclissarsi” — ed è molto plastica l’immagine di una fede eclissata dallo scandalo della passione. È quell’esperienza che
chiamiamo desolazione: qualcosa copre la
luce.
Tornare indietro (epistrepsas) esprime
qui il senso di “convertirsi”, di ritornare
alla
consolazione
precedente
dopo
un’esperienza di desolazione e di essere
passati al vaglio da parte demonio.
“Confermare” (sterizon) si dice nel senso di “consolidare” (histemi) la fede affinché d’ora in avanti sia “determinata” (cfr.
Lc 9, 51). Una fede che nessun vento di
dottrina possa smuovere (cfr. Ef 4, 14).
Più avanti ci soffermeremo ancora su questo “passare al vaglio”. Possiamo rileggere
così le parole del Signore:
“Simone, Simone, [...] io ho pregato il
Padre per te, perché la tua fede non rimanga eclissata (dal mio volto sfigurato,
in te che lo hai visto trasfigurato); e tu,
una volta che sarai uscito da questa esperienza di desolazione di cui il demonio ha
approfittato per passarti al vaglio, conferma (con questa tua fede provata) la fede
dei tuoi fratelli”.
Così, vediamo che la fede di Simon
Pietro ha un carattere speciale: è una fede
provata, e con essa egli ha la missione di
confermare e consolidare la fede dei suoi
fratelli, la nostra fede. La fede di Simon
Pietro è minore di quella di tanti piccoli
del popolo fedele di Dio. Ci sono persino
dei pagani, come il centurione, che hanno
una fede più grande nel momento di implorare la guarigione di un malato della
loro famiglia. La fede di Simone è più
lenta di quella di Maria Maddalena e di
Giovanni. Giovanni crede al solo vedere
il segno del sudario e riconosce il Signore
sulla riva del lago al solo ascoltare le sue
parole. La fede di Simon Pietro ha momenti di grandezza, come quando confessa che Gesù è il Messia, ma a questi mo-
menti ne seguono quasi immediatamente
altri di grande errore, di estrema fragilità
e totale sconcerto, come quando vuole allontanare il Signore dalla croce, o quando
affonda senza rimedio nel lago o quando
vuole difendere il Signore con la spada.
Per non parlare del momento vergognoso
dei tre rinnegamenti davanti ai servi.
Possiamo distinguere tre tipi di pensieri, carichi di affetti7, che interagiscono
nelle prove di fede di Simon Pietro:
alcuni sono i pensieri che gli vengono dal
suo stesso modo di essere; altri pensieri li
provoca direttamente il demonio (dallo
spirito malvagio); e un terzo tipo di pensieri sono quelli che vengono direttamente dal Signore o dal Padre (dallo spirito
buono).
sulle acque. Lì Simon Pietro mostra il suo
carattere, il suo sogno, la sua attrazione
per l’imitazione di Gesù. Quando affonda, perché smette di guardare il Signore e
guarda l’agitarsi delle onde, mostra le sue
paure e i suoi fantasmi. E quando lo prega di salvarlo e il Signore gli tende la mano, mostra di sapere bene chi è Gesù per
lui: il suo Salvatore. E il Signore gli rafforza la fede, concedendogli quello che
desidera, dandogli una mano e chiudendo
la questione con quella frase affettuosa e
rassicurante: «Uomo di poca fede, perché
hai dubitato?» (Mt 14, 31).
Simon Pietro in tutte le situazioni “limite” in cui potrà mettersi, guidato dalla
sua fede in Gesù discernerà sempre qual è
la mano che lo salva. Con quella certezza
che, anche quando non capisce bene
quello che Gesù dice o fa, gli farà dire:
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole
di vita eterna» (Gv 6, 68). Umanamente,
questa consapevolezza di avere “poca fede”, insieme con l’umiltà di lasciarsi aiutare da chi sa e può farlo, è il punto di
sana autostima in cui si radica il seme di
quella fede “per confermare gli altri”, per
“edificare sopra di essa”, che è quella che
Gesù vuole da Simon Pietro e da noi che
partecipiamo del ministero. Direi che è
una fede condivisibile, forse perché non è
tanto ammirevole. La fede di uno che
avesse imparato a camminare senza tribolazioni sulle acque sarebbe affascinante,
ma ci allontanerebbe. Invece, questa fede
da buon amico, consapevole della sua pochezza e che confida pienamente in Gesù,
introduce nella parte più debole. In questo tipo di prove, che Dio non manda direttamente ma non impedisce, Paolo ci
dice che il Signore ha cura che non siamo
tentati al di sopra delle nostre forze (cfr. 1
Cor 10, 13).
Il fatto che il Signore dica espressamente che prega per Simone è estremamente importante, perché la tentazione
più insidiosa del demonio è che, insieme
a una certa prova particolare, ci fa sentire
che Gesù ci ha abbandonato, che in qualche modo ci ha lasciato soli e non ci ha
aiutato come avrebbe dovuto. Il Signore
stesso ha sperimentato e vinto questa tentazione, prima nell’orto e poi sulla croce,
affidandosi nelle mani del Padre quando
si sentì abbandonato. È in questo punto
della fede che abbiamo bisogno di essere
in modo speciale e con cura rafforzati e
confermati. Nel fatto che il Signore prevenga ciò che succederà a Simon Pietro e
gli assicuri di avere già pregato perché la
sua fede non venga meno, troviamo la
forza di cui abbiamo bisogno.
Questa “eclisse” della fede davanti allo
scandalo della passione è una delle cose
per cui il Signore prega in modo particolare. Il Signore ci chiede di pregare sempre, con insistenza; ci associa alla sua preghiera, ci fa domandare di “non cadere in
tentazione e di essere liberati dal male”,
perché la nostra carne è debole; ci rivela
anche che ci sono demoni che non si vincono se non con la preghiera e la penitenza e, in certe cose, ci rivela che Egli
a) I due nomi e il desiderio
di camminare verso Gesù sulle acque
Vediamo, in primo luogo, come si relaziona il Signore con l’aspetto più umano
della fede di Simon Pietro. Parlo di quella sana autostima con cui uno crede in sé
stesso e nell’altro, nella capacità di essere
degno di fiducia, sincero e fedele, su cui
si basa ogni amicizia umana. Ci sono due
episodi nella vita di Simon Pietro nei
quali si può vedere una crescita nella fede
che si potrebbe chiamare sincera. Sincera
nel senso di senza complicazioni, nella
quale un’amicizia cresce approfondendo
chi è ciascuno senza che vi siano ombre.
Uno è l’episodio dei due nomi; l’altro,
quando Simon Pietro chiede al Signore di
comandargli di andare verso di Lui camminando sulle acque.
Simone appare sulla scena quando suo
fratello Andrea lo va a cercare e gli dice:
«Abbiamo trovato il Messia» (Gv 1, 41); e
lui segue suo fratello che lo porta da Gesù. E lì avviene immediatamente il cambio di nome. Si tratta di una scelta che fa
il Signore in vista di una missione, quella
di essere Pietra, fondamento solido di fede su cui edificherà la sua Chiesa. Notiamo che, più che cambiargli il nome di Simone, di fatto, ciò che il Signore fa è aggiungere quello di Pietro.
Questo fatto è già in sé motivo di tensione e di crescita. Pietro si muoverà sempre intorno al perno che è il Signore, girando e sentendo il peso e il movimento
dei suoi due nomi: quello di Simone — il
pescatore, il peccatore, l’amico... — e
quello di Pietro — la Roccia su cui si costruisce, colui che ha le chiavi, che dice
l’ultima parola, che cura e pasce le pecore
—. Mi fa bene pensare che Simone è il
nome con cui Gesù lo chiama quando
parlano e si dicono le cose come amici, e
Pietro è il nome con cui il Signore lo presenta, lo giustifica, lo difende e lo pone
in risalto in maniera unica come suo uomo di totale fiducia, davanti agli altri.
Anche se è lui che gli dà il nome di “Pietra”, Gesù lo chiama Simone.
La fede di Simon Pietro progredisce e
cresce nella tensione tra questi due nomi,
il cui punto fisso — il perno — è centrato
in Gesù.
Avere due nomi lo decentra. Non può
centrarsi in nessuno di essi. Se volesse
che Simone fosse il suo punto fisso, dovrebbe sempre dire: «Signore, allontanati
da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,
8). Se pretendesse di centrarsi esclusivamente sull’essere Pietro e dimenticasse o
coprisse tutto ciò che è di Simone, diventerebbe una pietra di scandalo, come gli
accadde quando “non si comportava rettamente secondo la verità del Vangelo”,
come gli disse Paolo perché aveva nascosto il fatto di essere andato a mangiare
con i pagani (cfr. Gal 2, 11-14). Mantenersi Simone (pescatore e peccatore) e Pietro
(Pietra e chiave per gli altri) lo obbligherà a decentrarsi costantemente per ruotare
solo intorno a Cristo, l’unico centro.
L’icona di questo decentramento, la
sua messa in atto, è quando chiede a Gesù di comandargli di andare verso di Lui
Sadao Watanabe, «Gesù salva Pietro dalle acque»
ci suscita simpatia e — questa è la sua
grazia — ci conferma!
b) La preghiera di Gesù
e il vaglio del demonio
Nel passo centrale di Luca che abbiamo preso come guida, possiamo vedere
ciò che produce il vaglio del demonio
nella personalità di Simon Pietro e come
Gesù prega affinché la debolezza, e perfino il peccato, si trasformino in grazia e
grazia comunitaria.
Ci concentriamo sulla parola “vaglio”
(siniazo: setacciare il grano), che evoca il
movimento di spiriti, grazie al quale, alla
fine, si discerne ciò che viene dallo spirito
buono da ciò che viene da quello cattivo.
In questo caso colui che vaglia — colui
che rivendica il potere di vagliare — è lo
spirito maligno. E il Signore non lo impedisce, ma, approfittando della prova, rivolge la sua preghiera al Padre perché
rafforzi il cuore di Simon Pietro. Gesù
prega affinché Simon Pietro “non cada
nella tentazione”. Il Signore ha fatto tutto
il possibile per custodire i suoi nella sua
Passione. Tuttavia non può evitare che
ognuno sia tentato dal demonio, che si
prega in modo speciale. Questa è una di
quelle. Come si è riservato l’umile compito di lavare i piedi ai suoi, come una volta risorto si è occupato personalmente di
consolare i suoi amici, allo stesso modo
questa preghiera con la quale, rafforzando
la fede di Simon Pietro, rafforza quella di
tutti gli altri, è una cosa di cui il Signore
si fa carico personalmente. E bisogna tenerne conto: è a questa preghiera, che il
Signore ha fatto una volta e continua a
fare — «sta alla destra di Dio e intercede
per noi» (Rm 8, 34) — che dobbiamo ricorrere per rafforzare la nostra fede.
Se la lezione data a Simon Pietro di lasciarsi lavare i piedi ha confermato
l’atteggiamento di servizio del Signore e
lo ha fissato nella memoria della Chiesa
come un fatto fondamentale, questa lezione, data nello stesso contesto, deve porsi
anch’essa come icona della fede tentata e
vagliata per la quale il Signore prega. Come sacerdoti che prendiamo parte al ministero petrino, in ciò che sta a noi, partecipiamo della stessa missione: non solo
dobbiamo lavare i piedi ai nostri fratelli,
come facciamo il Giovedì Santo, ma dobCONTINUA A PAGINA 6
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L’OSSERVATORE ROMANO
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venerdì 3 marzo 2017
Ai preti di Roma
CONTINUAZIONE DALLA PAGINA 4
biamo confermarli nella loro fede, testimoniando come il Signore ha pregato per la nostra.
Se nelle prove che hanno origine
nella nostra carne il Signore ci incoraggia e ci rafforza, operando molte
volte miracoli di guarigione, in queste
tentazioni che vengono direttamente
dal demonio, il Signore adopera una
strategia più complessa. Vediamo che
ci sono alcuni demoni che espelle direttamente e senza riguardi; altri li
neutralizza, mettendoli a tacere; altri li
fa parlare, chiede il loro nome, come
quello che era “Legione”; ad altri risponde ampiamente con la Scrittura,
sopportando un lungo procedimento,
come nel caso delle tentazioni nel deserto. Questo demonio, che tenta il
suo amico all’inizio della sua passione,
lo sconfigge pregando, non perché lo
lasci in pace, ma perché il suo vaglio
diventi motivo di forza a beneficio degli altri.
Abbiamo qui alcuni grandi insegnamenti sulla crescita nella fede. Uno riguarda lo scandalo della sofferenza
dell’Innocente e degli innocenti. Questo ci tocca più di quanto crediamo,
tocca persino quelli che lo provocano e
quelli che fingono di non vederlo. Fa
bene ascoltare dalla bocca del Signore,
nel momento preciso in cui sta per
prendere su di sé questo scandalo nella
passione, che Egli prega perché non
venga meno la fede di colui che lascia
in vece propria, e perché sia lui a confermare noialtri. L’eclisse della fede
provocata dalla passione non è qualcosa che ognuno possa risolvere e superare individualmente.
Un’altra lezione importante è che
quando il Signore ci mette alla prova,
non lo fa mai basandosi sulla nostra
parte più debole. Questo è tipico del
demonio, che sfrutta le nostre debolezze, che cerca la nostra parte più debole
e che si accanisce ferocemente contro i
più deboli di questo mondo. Perciò
l’infinita e incondizionata misericordia
del Padre per i più piccoli e peccatori,
e la compassione e il perdono infinito
che Gesù esercita fino al punto di dare
la vita per i peccatori, non è solo perché Dio è buono, ma è anche frutto
del discernimento ultimo di Dio sul
male per sradicarlo dalla sua relazione
con la fragilità della carne. In ultima
istanza, il male non è legato con la fragilità e il limite della carne. Per questo
il Verbo si fa carne senza alcun timore
e dà testimonianza che può vivere perfettamente in seno alla Santa Famiglia
e crescere custodito da due umili creature quali san Giuseppe e la Vergine
Maria sua madre.
Il male ha la sua origine in un atto
di orgoglio spirituale e nasce dalla superbia di una creatura perfetta, Lucifero. Poi si contagia ad Adamo ed Eva,
ma trovando appoggio nel loro “desiderio di essere come dei”, non nella loro fragilità. Nel caso di Simon Pietro,
il Signore non teme la sua fragilità di
uomo peccatore né la sua paura di
camminare sulle acque in mezzo a una
tempesta. Teme, piuttosto, la discussione su chi sia il più grande.
È in questo contesto che dice a Simon Pietro che il demonio ha chiesto
il permesso di vagliarlo. E possiamo
pensare che il vaglio è iniziato lì, nella
discussione su chi fosse colui che lo
avrebbe tradito, sfociata poi nella di-
Eugène Burnand, «Pietro e Giovanni corrono al sepolcro la mattina della risurrezione» (1898)
scussione su chi fosse il più grande.
Tutto il passo di Luca che segue immediatamente l’istituzione dell’Eucaristia è un vaglio: discussioni, predizione
del rinnegamento, offerta della spada
(cfr. 22, 23-38). La fede di Simon Pietro è vagliata nella tensione tra il desiderio di essere leale, di difendere Gesù
e quello di essere il più grande e il rinnegamento, la vigliaccheria e il sentirsi
il peggiore di tutti. Il Signore prega
affinché Satana non oscuri la fede di
Simone in questo momento, in cui
guarda a sé stesso per farsi grande, per
disprezzarsi o rimanere sconcertato e
perplesso.
Se vi è una formulazione elaborata
da Pietro circa queste cose, è quella di
una “fede provata”, come ci mostra la
sua Prima Lettera, in cui Pietro avverte
che non c’è da meravigliarsi delle prove, come se fossero qualcosa di strano
(cfr. 4, 12), ma si deve resistere al demonio «saldi nella fede» (5, 9). Pietro
definisce sé stesso «testimone delle sofferenze di Cristo» (5, 1) e scrive le sue
lettere al fine di «ridestare [...] il giusto modo di pensare» (2 Pt 3, 1) (eilikrine dianoian: giudizio illuminato da
un raggio di sole), che sarebbe la grazia contraria all’“eclisse” della fede.
Il progresso della fede, quindi, avviene grazie a questo vaglio, a questo
passare attraverso tentazioni e prove.
Tutta la vita di Simon Pietro può essere vista come un progresso nella fede
grazie all’accompagnamento del Signore, che gli insegna a discernere, nel
proprio cuore, ciò che viene dal Padre
e ciò viene dal demonio.
c) Il Signore che mette alla prova
facendo crescere la fede
dal bene al meglio
e la tentazione sempre presente
Infine, l’incontro presso il lago di
Tiberiade. Un ulteriore passo in cui il
Signore mette alla prova Simon Pietro
facendolo crescere dal bene al meglio.
L’amore di amicizia personale si
consolida come ciò che “alimenta” il
gregge e lo rafforza nella fede (cfr. Gv
21, 15-19).
Letta in questo contesto delle prove
di fede di Simon Pietro che servono a
rafforzare la nostra, possiamo vedere
qui come si tratta di una prova molto
speciale del Signore. In genere si dice
che il Signore lo ha interrogato tre volte perché Simon Pietro lo aveva rinnegato tre volte. Può essere che questa
debolezza fosse presente nell’animo di
Simon Pietro (o in quello di chi legge
la sua storia) e che il dialogo sia servito a curarla. Ma possiamo anche pensare che il Signore guarì quel rinnegamento con lo sguardo che fece piangere amaramente Simon Pietro (cfr. Lc
22, 62). In questo interrogatorio possiamo vedere un modo di procedere
del Signore, cioè partire da una cosa
buona — che tutti riconoscevano e di
cui Simon Pietro poteva essere contento —: «Mi ami più di costoro?» (v. 15);
confermarlo semplificandolo in un
semplice «mi ami?» (v. 16), che toglie
ogni desiderio di grandezza e rivalità
dall’anima di Simone; per finire in
quel «mi vuoi bene come amico?» (v.
17), che è ciò che più desiderava Simon
Pietro ed evidentemente è ciò che più
sta a cuore a Gesù. Se veramente è
amore di amicizia, non c’entra per
niente alcun tipo di rimprovero o correzione in questo amore: l’amicizia è
amicizia ed è il valore più alto che corregge e migliora tutto il resto, senza
bisogno di parlare del motivo.
Forse la più grande tentazione del
demonio era questa: insinuare in Simon Pietro l’idea di non ritenersi degno di essere amico di Gesù perché lo
aveva tradito. Ma il Signore è fedele.
Sempre. E rinnova di volta in volta la
sua fedeltà. «Se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare
se stesso» (2 Tm 2, 13), come dice Paolo al suo figlio nella fede Timoteo.
L’amicizia possiede questa grazia: che
un amico che è più fedele può, con la
sua fedeltà, rendere fedele l’altro che
non lo è tanto. E se si tratta di Gesù,
Lui più di chiunque altro ha il potere
di rendere fedeli i suoi amici. È in questa fede — la fede in un Gesù amico fedele — che Simon Pietro viene confermato e inviato a confermarci tutti
quanti. In questo preciso senso si può
leggere la triplice missione di pascere
le pecore e gli agnelli. Considerando
tutto ciò che la cura pastorale comporta, quello di rafforzare gli altri nella fede in Gesù, che ci ama come amici, è
un elemento essenziale. A questo
amore si riferisce Pietro nella sua Prima Lettera: è una fede in Gesù Cristo
che — dice — «amate, pur senza averlo
visto, e ora, senza vederlo, credete in
lui», e questa fede ci fa esultare «di
gioia indicibile e gloriosa», sicuri di
raggiungere «la meta della (nostra) fede: la salvezza delle anime» (cfr. 1 Pt
1, 7-9).
Tuttavia, sorge una nuova tentazione. Questa volta contro il suo migliore
amico. La tentazione di voler indagare
sul rapporto di Gesù con Giovanni, il
discepolo amato. Il Signore lo corregge severamente su questo punto: «A te
che importa? Tu seguimi» (Gv 21, 22).
***
All’inizio dell’incontro il Papa ha confessato una dozzina di sacerdoti
Vediamo come la tentazione è sempre presente nella vita di Simon Pietro.
Egli ci mostra in prima persona come
progredisce la fede confessando e lasciandosi mettere alla prova. E mostrando altresì che anche il peccato
stesso entra nel progresso della fede.
Pietro ha commesso il peggiore dei
peccati — rinnegare il Signore — e tuttavia lo hanno fatto Papa. È importante per un sacerdote saper inserire le
proprie tentazioni e i propri peccati
nell’ambito di questa preghiera di Gesù perché non venga meno la nostra
fede, ma maturi e serva a rafforzare a
sua volta la fede di coloro che ci sono
stati affidati.
Mi piace ripetere che un sacerdote o
un vescovo che non si sente peccatore,
che non si confessa, si chiude in sé,
non progredisce nella fede. Ma bisogna stare attenti a che la confessione e
il discernimento delle proprie tentazioni includano e tengano conto di questa
intenzione pastorale che il Signore
vuole dare loro.
Raccontava un giovane uomo che si
stava recuperando nell’Hogar de Cristo
di padre Pepe a Buenos Aires, che la
mente gli giocava contro e gli diceva
che non doveva stare lì, e che lui lottava contro quel sentimento. E diceva
che padre Pepe lo aveva aiutato molto.
Che un giorno gli aveva detto che non
ce la faceva più, che sentiva molto la
mancanza della sua famiglia, di sua
moglie e dei due figli, e che se ne voleva andare. «E il prete mi disse: “E prima, quando andavi in giro a drogarti e
a vendere droga, ti mancavano i tuoi?
Pensavi a loro?”. Io feci segno di no
con la testa, in silenzio — disse l’uomo
— e il prete, senza dirmi nient’altro, mi
diede una pacca sulla spalla e mi disse:
“Vai, basta così”. Come per dirmi: renditi conto di quello che ti succede e di
quello che dici. “Ringrazia il cielo che
adesso senti la mancanza”.
Quell’uomo diceva che il prete era
un grande. Che gli diceva le cose in
faccia. E questo lo aiutava a combattere, perché era lui che doveva metterci
la sua volontà.
Racconto questo per far vedere che
quello che aiuta nella crescita della fede è tenere insieme il proprio peccato,
sua pedagogia, non perde occasione
per discernere, in ogni momento, quale
atto di fede può fare nel suo Signore.
E in questo non si sbaglia. Quando
Gesù agisce come suo padrone, dandogli il nome di Pietro, Simone lo lascia
fare. Il suo “così sia” è silenzioso, come quello di san Giuseppe, e si dimostrerà reale nel corso della sua vita.
Quando il Signore lo esalta e lo umilia, Simon Pietro non guarda a sé stesso, ma sta attento a imparare la lezione
di ciò che viene dal Padre è ciò che
viene dal diavolo. Quando il Signore
lo rimprovera perché si è fatto grande,
si lascia correggere. Quando il Signore
gli fa vedere in modo spiritoso che
non deve fingere davanti agli esattori
delle tasse, va a pescare il pesce con la
moneta. Quando il Signore lo umilia e
gli preannuncia che lo rinnegherà, è
sincero nel dire ciò che sente, come lo
sarà nel piangere amaramente e nel lasciarsi perdonare. Tanti momenti così
diversi nella sua vita eppure un’unica
lezione: quella del Signore che conferma la sua fede perché lui confermi
quella del suo popolo. Chiediamo anche noi a Pietro di confermarci nella
fede, perché noi possiamo confermare
quella dei nostri fratelli.
L’«Hogar de Cristo Nazareth» a Gualeguaychú (Argentina)
il desiderio del bene degli altri, l’aiuto
che riceviamo e quello che dobbiamo
dare noi. Non serve dividere: non vale
sentirci perfetti quando svolgiamo il
ministero e, quando pecchiamo, giustificarci per il fatto che siamo come tutti
gli altri. Bisogna unire le cose: se rafforziamo la fede degli altri, lo facciamo
come peccatori. E quando pecchiamo,
ci confessiamo per quel che siamo, sacerdoti, sottolineando che abbiamo
una responsabilità verso le persone,
non siamo come tutti. Queste due cose
si uniscono bene se mettiamo davanti
la gente, le nostre pecore, i più poveri
specialmente. È quello che fa Gesù
quando chiede a Simon Pietro se lo
ama, ma non gli dice nulla né del dolore né della gioia che questo amore
gli provoca, lo fa guardare ai suoi fratelli in questo modo: pasci le mie pecore, conferma la fede dei tuoi fratelli.
Quasi a dirgli, come a quel giovane
uomo dell’Hogar de Cristo: “Ringrazia
se adesso senti la mancanza”.
“Ringrazia se senti di avere poca fede”, vuol dire che stai amando i tuoi
fratelli. “Ringrazia se ti senti peccatore
e indegno del ministero”, vuol dire che
ti accorgi che se fai qualcosa è perché
Gesù prega per te, e senza di Lui non
puoi fare nulla (cfr. Gv 15, 5).
Dicevano i nostri anziani che la fede
cresce facendo atti di fede. Simon Pietro è l’icona dell’uomo a cui il Signore
Gesù fa fare in ogni momento atti di
fede. Quando Simon Pietro capisce
questa “dinamica” del Signore, questa
1
Cfr. Discorso ai Rappresentanti Pontifici, 21 giugno 2013.
Cfr. nn. 160, 161, 164, 190.
3 Cfr. J. M. BERGO GLIO, Messaggio nella Messa per l’Educazione, Pasqua 2008.
4 Un fuego que enciende otros fuegos,
Santiago de Chile, 2004, 69-70; cfr.
Doc. de Aparecida 191.
5 Si veda anche ES 333: «Quinta regola. Dobbiamo fare molta attenzione al
corso dei nostri pensieri. Se nei pensieri tutto è buono il principio, il mezzo
e la fine e se tutto è orientato verso il
bene, questo è un segno dell’angelo
buono. Può darsi invece che nel corso
dei pensieri si presenti qualche cosa
cattiva o distrattiva o meno buona di
quella che l’anima prima si era proposta di fare, oppure qualche cosa che indebolisce l’anima, la rende inquieta, la
mette in agitazione e le toglie la pace,
la tranquillità e la calma che aveva prima: questo allora è un chiaro segno
che quei pensieri provengono dallo
spirito cattivo, nemico del nostro bene
e della nostra salvezza eterna».
6 Cfr. Omelia a Santa Marta, 3 giugno
2014. Ricordiamo che il Signore prega
perché siamo uno, perché il Padre ci
custodisca dal demonio e dal mondo,
perché ci perdoni quando “non sappiamo quello che facciamo”.
7 Si tratta di pensieri che il Signore discerne nei suoi discepoli quando, risorto, dice loro: «Perché siate turbati, e
perché sorgono dubbi nel vostro cuore?» (Lc 24, 38).
2
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 3 marzo 2017
pagina 7
Corsi di formazione promossi dalla Chiesa in India
IL CAIRO, 2. Condannare l’uso della
violenza in nome della religione ed
esortare le persone di fedi differenti
a vivere insieme in armonia e nel reciproco rispetto: è uno degli obiettivi contenuti nell’Al Azhar Declaration
for Muslim-Christian Coexistence diffusa al termine della due giorni di
lavori ospitata martedì e mercoledì
scorsi dalla prestigiosa istituzione
sunnita con sede al Cairo. La conferenza, alla quale hanno partecipato
numerosi rappresentanti religiosi, si
è svolta proprio mentre decine di
abitanti cristiani venivano costretti a
fuggire dal nord della penisola del
Sinai sotto gli attacchi dei miliziani
del cosiddetto stato islamico. Il
grande imam dell’al Azhar, Ahmad
al Tayyib — riporta l’agenzia Fides —
condannando quella come ogni altra
azione terroristica, ha invitato a non
collegare l’estremismo alla religione
musulmana e alle altre fedi: «Giudicare l’islam a partire dall’azione di
alcuni apre la strada al concetto che
tutte le religioni possono essere vicine al terrorismo», ha sottolineato,
aggiungendo però che «distanziare
le religioni dal terrorismo non è più
sufficiente davanti alle sfide della
barbarie che abbiamo davanti». Richiamando la responsabilità dei leader religiosi, l’imam ha fatto notare
che le diffidenze reciproche «non
hanno alcuna ragion d’essere» e che
«se la pace non si realizza tra coloro
che la predicano essa non potrà
neanche essere trasmessa agli altri
individui».
Alla conferenza su «Libertà, cittadinanza, diversità e integrazione» è
intervenuto fra gli altri Tawadros II,
patriarca della Chiesa ortodossa
La dignità
non fa differenze
Dichiarazione di Al Azhar sulla coesistenza fra musulmani e cristiani
Nessuna disuguaglianza fra cittadini
fondata sull’islam
copta, per il quale l’ideologia estremista deve essere affrontata e combattuta da «un’ideologia illuminata». La religione, ha detto, «dovrebbe essere parte della soluzione e non
parte del problema. L’ignoranza degli insegnamenti religiosi è il motivo
principale dietro l’adozione di visioni estremiste e radicali». Il mondo
«è affamato di amore e di pace vera», ha aggiunto, soffermandosi sulle sofferenze patite dalla sua comunità: «Come ben sapete, l’Egitto in
particolare e il Medio oriente in generale hanno sofferto e continuano a
soffrire di varie forme di violenza
che culminano in manifestazioni di
estremismo e reiterati atti di terrorismo. Tutto ciò a causa di una sbagliata comprensione e di una cattiva
interpretazione della religione» che
stanno mettendo a serio rischio la
«sfida della convivenza». Nel suo
intervento — ripreso dal Sir — Tawadros ha delineato varie forme di terrorismo: c’è «il terrorismo fisico rappresentato da uno stillicidio di omicidi, attentati, esplosioni»; c’è «il
terrorismo intellettuale che si presenta come imposizione con la forza
di un pensiero e un’opinione»; c’è
anche «il terrorismo morale che
punta a cancellare l’esistenza dell’altro, diverso da me». Infine ci sono
l’ignoranza e i pregiudizi che «deformano l’immagine dell’altro rendendolo diverso da sé e contribuiscono a creare un mondo di nemici
costruiti da una fantasia malata».
Fra i partecipanti alla conferenza
figuravano il cardinale patriarca di
Antiochia dei maroniti, Béchara
Dal cuore delle donne filippine
Giornata ecumenica mondiale di preghiera
di D ONATELLA COALOVA
Creare orizzonti di pace fondati
sulla giustizia, sul dialogo, sulla
solidarietà,
rifuggendo
sempre
dall’odio e dalla violenza, e affermando costantemente la dignità di
ogni essere umano: la giornata ecumenica mondiale di preghiera che
si celebra il 3 marzo suggerisce
queste piste di riflessione, proponendo come tema un forte interrogativo: sono ingiusto con voi? (cfr.
Matteo, 20, 13).
La giornata rappresenta una delle più antiche iniziative ecumeniche, fiorita in America nelle associazioni femminili protestanti sul
finire dell’Ottocento e ben presto
allargatasi a macchia d’olio, coinvolgendo via via anche credenti
cattoliche e ortodosse, tanto che
oggi è organizzata in forma interconfessionale in più di 170 paesi
dei cinque continenti. Fin dagli inizi, ebbe come obiettivo quello di
creare legami di fraternità fra donne provenienti da diversi contesti,
spingendole a unirsi insieme per
servire gli ultimi, con un impegno
che scaturisce dalla contemplazione
appassionata del volto di Dio, nella
fedeltà al motto: «Informarsi per
pregare, pregare per agire».
Di anno in anno viene diffuso
l’invito ad abbracciare con l’intercessione orante e con qualche gesto
concreto di solidarietà il paese in
cui il comitato femminile nazionale
interconfessionale ha preparato il
sussidio. Questo è anche un modo
bellissimo per creare ponti di conoscenza e affetto fra donne che geograficamente vivono in posti molto
distanti.
Il testo per il 2017 è stato redatto
dalle donne filippine, che in esso
hanno riversato le loro speranze, la
loro esperienza, la loro fede, le loro
sofferenze. Soprattutto hanno voluto dare voce a chi usualmente purtroppo non ha voce; conosce solo
la solitudine, l’umiliazione, il dolore.
Ecco il racconto di Merlyn, una
giovane di Mindanao: «La mia
mamma è stata a lungo vittima di
violenza domestica. Quando avevo
sette anni morì di cancro. Un mese
più tardi sono stata testimone oculare della morte di mio padre, ucci-
so in seguito a una disputa per dei
terreni. Qualche anno dopo sono
stata costretta a cercare un impiego
per permettere ai miei fratelli e alle
mie sorelle più giovani di andare a
scuola. Mentendo sulla mia età, ho
detto di avere diciotto anni per ottenere l’impiego».
Così, all’età di quindici anni,
Merlyn seguì un agente di collocamento su una nave diretta verso la
capitale. Aveva tanta speranza nel
cuore, ma l’aspettava solo un lavoro massacrante come tuttofare in
una casa: «Dopo essere stata in
quella famiglia per tre mesi senza
ricevere alcuna paga — aggiunge
Merlyn — ho lasciato il lavoro. La
mia ex padrona mi ha denunciata
per furto, accusandomi di aver rubato gli orecchini di sua figlia. Sono stata arrestata e rinchiusa per
tre giorni e due notti in una cella
di detenzione preventiva nella prigione municipale. Grazie all’aiuto
di un avvocato cristiano, che offriva il suo servizio gratuitamente, ho
potuto vincere la causa contro la
mia ex padrona». La storia di Merlyn è emblematica delle durezze affrontate da quanti lavorano come
collaboratori domestici. È la situazione di più di due milioni di filippini e filippine, di tante ragazze
costrette a lasciare la campagna e il
luogo natio per emigrare verso i
centri urbani e l’estero.
Il testo inoltre presenta la testimonianza di una bracciante agrico-
la nelle piantagioni di canna da
zucchero e di una vedova, colpita
dal tifone Haiyan. Struggenti le
parole della piccola Maria, pubblicate nel sussidio per i bambini:
«Ho dieci anni. Vivo in una zona
povera, chiamata Baseco, vicino alla baia di Manila. Ho quattro sorelle e fratelli più piccoli. Non vado a scuola perché mi prendo cura
dei gemelli. Ogni giorno mio padre raccoglie spazzatura da vendere
per comprare cibo, mentre mia madre vende ogni sorta di merce usata. Quel che guadagnano non basta per una vita decente. Ci sono
molti bambini e ragazzi come noi,
a Baseco».
Dal cuore delle donne filippine
sgorga allora questa preghiera: «O
Dio, non riusciamo più a trovare
pretesti; è giunto il momento di affrontare i nostri errori. Siamo responsabili di non aver agito, pur
udendo le grida del tuo popolo. È
giunto il momento di rispondere
alla tua richiesta di giustizia. Perdonaci, o Dio, e rendici liberi. Ispiraci e guidaci all’azione». Poi esse
parlano di una consuetudine delle
loro campagne: «Nelle Filippine, i
coltivatori di riso sono soliti chiamare i vicini per dare una mano
quando è tempo di piantare e raccogliere. Nessuno è pagato ma il
raccolto è diviso fra tutti. Questa
usanza è chiamata dagyaw. Il dagyaw è una buona usanza per costruire e sostenere una comunità».
Boutros Raï, l’arcivescovo di Beirut
dei maroniti, Paul Youssef Matar, il
cardinale patriarca di Babilonia dei
caldei, Louis Raphaël I Sako, il vescovo della Chiesa luterana evangelica in Giordania e Terra santa, Munib Younan, presidente della Federazione luterana mondiale: un dato
esemplificativo della volontà del
grande imam di riconoscere la ricchezza e la legittimità di questa diversità sia all’interno delle diverse
Chiese sia nello stesso mondo arabo. «Chi disconosce il contributo
dei cristiani alla civilizzazione araba
ignora completamente la storia», è
stato sottolineato durante la conferenza nella quale si è affrontata la
questione della “dhimmitudine”,
concetto che pretende di fondare su
basi religiose una presunta disuguaglianza civica fra musulmani e non
musulmani. Concetto che lo stesso
Ahmad al Tayyib ha riconosciuto essere anacronistico e non scientifico.
Di qui lo sforzo, alla base del confronto all’al Azhar, di rifondare la
nozione di cittadinanza e di appartenenza civica su basi razionali.
«Tutti i cittadini sono uguali e i cristiani non possono essere considerati
come una minoranza, termine caratterizzato da connotazioni negative»,
ha detto il grande imam, il quale secondo quanto riferisce AsiaNews, ha
osservato inoltre che «la volontà
congiunta di una nazione si basa
sulla cittadinanza, sull’uguaglianza e
sullo stato di diritto, pena il fallimento di ogni progresso umano».
Aspetto affrontato anche da Raï nel
suo discorso incentrato sui vantaggi
di una cittadinanza comune «capace
di generare il senso di appartenenza
e di assicurare il vivere insieme».
Alla conferenza era presente (unico rappresentante americano) il reverendo Jim Winkler, segretario generale del Consiglio nazionale delle
Chiese negli Stati Uniti, il quale, facendo riferimento al coinvolgimento
degli Usa in Iraq, ha detto che i cristiani statunitensi «hanno una responsabilità particolare nel contribuire a riparare alcune fratture sociali e religiose nella regione mediorientale e a costruire la comprensione e la pace con i musulmani».
CALCUTTA, 2. «Servire i poveri
vuol dire accoglierli tutti, a prescindere dalle loro convinzioni
religiose». Ne è fermamente
convinta suor Mary Mukta
Kindo, dell’ordine delle suore
del Carmelo apostolico che dal
2001 si occupa della formazione delle donne indiane presso
il Mother Veronica Social Center for Women di Barrackpure,
vicino a Calcutta (West Bengala) per aiutarle a inserirsi nel
mondo del lavoro.
La Chiesa in India è al fianco delle
donne per il rispetto dei loro diritti e
della loro dignità e
con molteplici iniziative programmate
in diversi stati della
nazione, sostiene le
comunità religiose
locali, favorendo la
piena integrazione
delle donne nella
società, a tutti i livelli, inclusi quelli
governativi. Fra l’altro, da diversi anni,
è stata approvata
una legge che riserva alle donne il 30
per cento dei seggi
nel Lokh Saba, la
camera
bassa
dell’assemblea legislativa federale indiana e nei parlamenti dei vari
stati. Soprattutto nelle zone rurali si registra un alto tasso di
analfabetizzazione, mentre il
proseguimento degli studi è
ostacolato dalle difficili condizioni economiche delle famiglie. Per questo motivo, l’apostolato di suor Mary è rivolto
in particolare alle donne bisognose: «Lavorare con e per i
poveri — sottolinea la religiosa
carmelitana — mi permette di
diffondere l’amore di Gesù.
Nel nostro centro tutti sono
benvenuti. Non facciamo differenze riguardo la religione. Lavoriamo solo per il bene dei
poveri». Suor Mary da più di
quindici anni collabora con il
centro che produce capi di abbigliamento come uniformi e
tuniche e confeziona biancheria
e paramenti per le chiese. Nello
specifico, la suora impartisce
lezioni di cucito, sartoria, lavoro a maglia e ricamo, che consentono alle donne povere di
acquisire più fiducia in loro
stesse ed essere indipendenti
dal punto di vista economico.
Da quando è stato aperto — riferisce AsiaNews — il centro ha
formato più di duecento donne; al momento frequentano le
varie attività formative una
quarantina di ragazze, tutte appartenenti a comunità religiose
differenti.
«Il nostro obiettivo — sottolinea suor Mary — è formare
queste donne a essere agenti
sociali di cambiamento nelle
proprie famiglie e nella società,
attraverso i valori del vangelo e
rafforzando il loro carattere.
Esse imparano a comprendere
il valore del proprio ruolo
all’interno della famiglia e a
guadagnare sapendo sfruttare
al meglio i propri talenti e abilità». A tal fine, la Chiesa in
India provvede, con le proprie
risorse, a fornire aiuto per
l’istruzione, la sanità e le condizioni sociali di queste donne,
per eliminare le discriminazioni
e per consentire loro di accedere alle migliori opportunità sociali. Inoltre, i vescovi sono impegnati in prima linea a dare
spazio e a far emergere le
potenzialità e i carismi delle
donne.
Nomina episcopale
in Germania
La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Germania.
Matthäus Karrer
ausiliare di RottenburgStuttgart
Nato il 2 agosto 1968 a Ravensburg, in diocesi di RottenburgStuttgart, ha compiuto gli studi filosofici-teologici a Tübingen e München. Ordinato sacerdote il 15 luglio
1995 per il clero di Rottenburg-Stuttgart, è stato viceparroco a Herrenberg e Ulm-Söfingen. Nel 1999 è stato nominato responsabile della pastorale giovanile di Ravensburg. Nel
2002 gli è stata affidata la parrocchia
Sankt Georg und Jakobus a Isny e
quella di Sankt Maria a Neutrauchburg. Dal 2008 al 2011 è stato decano della zona pastorale AllgäuOberschwaben. Nel 2011, infine, è
stato nominato canonico del capitolo
cattedrale di Rottenburg e direttore
dell’ufficio pastorale diocesano.
Lutto nell’episcopato
Monsignor Antônio Ribeiro de Oliveira, arcivescovo emerito di Goiânia,
padre conciliare, è morto martedì 28
febbraio in Brasile, all’età di novant’anni.
Il compianto presule era infatti nato il 10 giugno 1926 a Orizona, in
diocesi di Ipameri. Ordinato sacerdote il 2 aprile 1949, era stato eletto
alla Chiesa titolare di Arindela e nel
contempo nominato ausiliare di
Goiânia il 25 agosto 1961. Aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 29 ottobre. Aveva partecipato
alla quarta sessione del concilio Vaticano II e il 19 dicembre 1975 era stato
trasferito alla sede residenziale di
Ipameri. Infine il 23 ottobre 1985 era
stato promosso all’arcidiocesi di
Goiânia, governandola fino all’8
maggio 2002.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 3 marzo 2017
A capo chino
Con il capo scoperto e chino davanti all’anziano
cardinale Tomko, titolare della basilica romana
di Santa Sabina, Papa Francesco ha per primo
ricevuto l’imposizione delle ceneri, quindi ha
ripetuto l’antico rito penitenziale sui cardinali
presenti, su alcuni frati, monaci e fedeli laici. Ha
così fatto proprio, nel segno liturgico, l’invito
proposto pochi minuti prima nell’omelia a
riconoscersi come «polvere nelle mani amorose
di Dio». È stato questo uno dei momenti salienti
della solenne e austera celebrazione del
mercoledì delle ceneri che il Pontefice, nella
tradizionale forma della statio quaresimale, ha
presieduto nel pomeriggio del 1° marzo
all’Aventino.
Giunto in automobile nel chiostro di
Sant’Anselmo, il Papa è stato accolto dal
cardinale vicario Vallini, dal primate dei
benedettini Gregory Poland, dal priore della
comunità Mauritius Wilde e dal reggente della
prefettura, monsignor Sapienza. Indossato il
piviale viola, Francesco dall’interno dell’antica
basilica ha dato inizio alla processione
penitenziale diretta alla vicina Santa Sabina dove
ha celebrato la messa e ha benedetto le ceneri.
Accompagnati dal canto in gregoriano delle
litanie dei santi, tra i fedeli che sostavano ai lati
della strada e che poi hanno seguito la
celebrazione grazie a un maxischermo, hanno
aperto la processione sei monaci benedettini di
Sant’Anselmo e sei padri domenicani di Santa
Sabina, che durante la messa hanno imposto le
ceneri e distribuito l’Eucarestia. Quindi, insieme
ad altri religiosi delle due comunità, guidati dal
primate Poland e dal maestro generale dei frati
predicatori, Bruno Cadoré, seguivano tredici
presuli — tra i quali gli arcivescovi Becciu,
sostituto della Segreteria di Stato, Gallagher,
segretario per i rapporti con gli Stati, Pawłowski,
delegato per le rappresentanze pontificie,
Gänswein, prefetto della Casa Pontificia,
Krajewski, elemosiniere — e diciassette cardinali,
tra i quali il segretario di Stato Parolin e il
titolare di Sant’Anselmo, Baldisseri. Tra i prelati
della Segreteria di Stato, i monsignori Camilleri,
sottosegretario per i rapporti con gli Stati,
Borgia, assessore, e Bettencourt, capo del
Protocollo.
Il rito è stato diretto dal maestro delle
celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor
Marini. Durante la messa la preghiera è stata
sostenuta dal coro della Cappella Sistina diretto
da monsignor Palombella. Significative,
nell’ambito della liturgia penitenziale, le
preghiere dei fedeli, improntate alle tre virtù
teologali: la fede, che illumini i passi della
Chiesa, la speranza, che promuova l’agire dei
governanti, e la carità, che orienti le scelte dei
vescovi e dei sacerdoti; e alle quattro virtù
cardinali: la prudenza, che trattenga dalla ferocia
dei giudizi, la giustizia, che regoli le relazioni tra
gli uomini, la fortezza che sostenga i cristiani
perseguitati, e la temperanza, che ispiri uno stile
di vita sobrio e vigilante.
Nell’omelia del mercoledì delle Ceneri il Pontefice parla del soffio di vita con cui Dio salva l’uomo
Spazio al bene
«Quaresima è il tempo per dire
no. No all’asfissia dello spirito per
l’inquinamento causato
dall’indifferenza; per ogni tentativo
di banalizzare la vita». Lo ha
sottolineato Papa Francesco
all’omelia della messa celebrata nel
pomeriggio del 1° marzo, mercoledì
delle Ceneri, nella basilica romana
di Santa Sabina all’Aventino.
«Ritornate a me con tutto il
cuore, [...] ritornate al Signore»
(Gl 2, 12.13): è il grido con cui il
profeta Gioele si rivolge al popolo a nome del Signore; nessuno poteva sentirsi escluso:
«Chiamate i vecchi, riunite i
fanciulli, i bambini lattanti; [...]
lo sposo [...] e la sposa» (v. 16).
Tutto il Popolo fedele è convocato per mettersi in cammino e
adorare il suo Dio, «perché egli
è misericordioso e pietoso, lento
all’ira, di grande amore» (v. 13).
Anche noi vogliamo farci eco
di questo appello, vogliamo ritornare al cuore misericordioso
del Padre. In questo tempo di
grazia che oggi iniziamo, fissiamo ancora una volta il nostro
sguardo sulla sua misericordia.
La Quaresima è una via: ci conduce alla vittoria della misericordia su tutto ciò che cerca di
schiacciarci o ridurci a qualunque cosa che non sia secondo la
dignità di figli di Dio. La Quaresima è la strada dalla schiavitù
alla libertà, dalla sofferenza alla
gioia, dalla morte alla vita. Il ge-
sto delle ceneri, con cui ci mettiamo in cammino, ci ricorda la
nostra condizione originaria: siamo stati tratti dalla terra, siamo
fatti di polvere. Sì, ma polvere
nelle mani amorose di Dio che
soffiò il suo spirito di vita sopra
ognuno di noi e vuole continuare a farlo; vuole continuare a
darci quel soffio di vita che ci salva da altri tipi di soffio: l’asfissia
soffocante provocata dai nostri
egoismi, asfissia soffocante generata da meschine ambizioni e silenziose indifferenze; asfissia che
soffoca lo spirito, restringe
l’orizzonte e anestetizza il palpito del cuore. Il soffio della vita
di Dio ci salva da questa asfissia
che spegne la nostra fede, raffredda la nostra carità e cancella
la nostra speranza. Vivere la
Quaresima è anelare a questo
soffio di vita che il nostro Padre
non cessa di offrirci nel fango
della nostra storia.
Il soffio della vita di Dio ci libera da quella asfissia di cui tante volte non siamo consapevoli e
che, perfino, ci siamo abituati a
“normalizzare”, anche se i suoi
effetti si fanno sentire; ci sembra
normale perché ci siamo abituati
a respirare un’aria in cui è rarefatta la speranza, aria di tristezza e di rassegnazione, aria soffocante di panico e di ostilità.
Quaresima è il tempo per dire
no. No all’asfissia dello spirito
per
l’inquinamento
causato
dall’indifferenza, dalla trascuratezza di pensare che la vita
dell’altro non mi riguarda; per
ogni tentativo di banalizzare la
vita, specialmente quella di coloro che portano nella propria carne il peso di tanta superficialità.
La Quaresima vuole dire no
all’inquinamento
intossicante
delle parole vuote e senza senso,
della critica rozza e veloce, delle
analisi semplicistiche che non
riescono ad abbracciare la complessità dei problemi umani,
specialmente i problemi di quanti maggiormente soffrono. La
Quaresima è il tempo di dire no;
no all’asfissia di una preghiera
che ci tranquillizzi la coscienza,
di un’elemosina che ci lasci soddisfatti, di un digiuno che ci faccia sentire a posto. Quaresima è
il tempo di dire no all’asfissia
che nasce da intimismi che
escludono, che vogliono arrivare
a Dio scansando le piaghe di
Cristo presenti nelle piaghe dei
suoi fratelli: quelle spiritualità
che riducono la fede a culture di
ghetto e di esclusione.
Quaresima è tempo di memoria, è il tempo per pensare e domandarci: che sarebbe di noi se
Dio ci avesse chiuso le porte?;
che sarebbe di noi senza la sua
misericordia che non si è stancata di perdonarci e ci ha dato
sempre un’opportunità per ricominciare di nuovo? Quaresima è
il tempo per domandarci: dove
saremmo senza l’aiuto di tanti
volti silenziosi che in mille modi
ci hanno teso la mano e con
azioni molto concrete ci hanno
ridato speranza e ci hanno aiutato a ricominciare?
Quaresima è il tempo per tornare a respirare, è il tempo per
aprire il cuore al soffio dell’Unico capace di trasformare la nostra polvere in umanità. Non è il
tempo di stracciarsi le vesti davanti al male che ci circonda, ma
piuttosto di fare spazio nella no-
stra vita a tutto il bene che possiamo operare, spogliandoci di
ciò che ci isola, ci chiude e ci
paralizza. Quaresima è il tempo
della compassione per dire con
il salmista: «Rendici [,Signore,]
la gioia della tua salvezza, sostienici con uno spirito generoso», affinché con la nostra vita
proclamiamo la tua lode (cfr. Sal
51, 14), e la nostra polvere — per
la forza del tuo soffio di vita —
si trasformi in “polvere innamorata”.
Messa a Santa Marta
La «bussola del cristiano è seguire Cristo
crocifisso»: non un falso Dio «disincarnato e astratto», ma Dio che si è fatto carne
e che porta su di sé «le piaghe dei nostri
fratelli». È un forte richiamo alla conversione e alla concretezza della realtà il suggerimento di Papa Francesco per la Quaresima, proposto nella meditazione della
messa celebrata giovedì mattina, 2 marzo,
nella cappella di Casa Santa Marta.
«La parola, l’esortazione della Chiesa
proprio dall’inizio della Quaresima è
“convertitevi”» e «l’abbiamo detto prima
del Vangelo: “Convertitevi, dice il Signore”» ha fatto subito notare Francesco, citando il canto al Vangelo, tratto da Matteo (4, 17). Così «oggi — ha spiegato — la
liturgia della parola ci fa riflettere su tre
realtà da avere davanti per questa conversione: la realtà dell’uomo — la realtà della
vita — la realtà di Dio e la realtà del cammino». Queste «sono realtà dell’esperienza umana, tutte e tre, ma che la Chiesa, e
anche noi, abbiamo davanti per questa
conversione».
La prima realtà, dunque, è «la realtà
dell’uomo: tu sei davanti a una scelta» ha
affermato Francesco facendo riferimento al
passo del Deuteronomio (30, 15-20) proposto dalla liturgia: «Vedi, io pongo oggi
davanti a te la vita e il bene, la morte e il
male». Noi uomini siamo davanti a questa
realtà: o è il bene, o è il male (...). Ma se
il tuo cuore si volge indietro e se tu non
ascolti e ti lasci trascinare a prostrarsi davanti ad altri dèi» andrai sulla strada del
male. E «questo — ha spiegato il Papa —
noi lo percepiamo nella nostra vita: sempre possiamo prendere o il bene o il male,
c’è la realtà umana della libertà. Dio ci ha
fatti liberi, la scelta è nostra». Ma il Signore «non ci lascia soli, ci insegna, ci
ammonisce: stai attento, c’è il bene e il
male; adorare Dio, compiere i comandamenti è la strada del bene; andare dall’altra parte, la strada degli idoli, dei falsi dèi
— tanti falsi dèi — che fanno sbagliare la
La bussola del credente
Maggis Art, «Bussola astratta»
vita». E «questa è una realtà: la realtà
dell’uomo è che tutti noi siamo davanti al
bene e al male».
Poi, ha proseguito il Pontefice, «c’è
un’altra realtà, la seconda realtà forte: la
realtà di Dio». Sì, ha affermato, «c’è Dio,
ma come c’è, Dio? Dio si è fatto Cristo:
questa è la realtà e per i discepoli era difficile capire questo». A questo proposito
Francesco ha riproposto il passo evangelico odierno di Luca (9, 22-25): «Gesù disse
ai suoi discepoli: “Il Figlio dell’uomo deve
soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”».
Così «Dio ha preso tutta la realtà umana,
meno il peccato: non c’è Dio senza Cristo,
un Dio senza Cristo, “disincarnato”, è un Dio non reale». Infatti, ha spiegato il Papa, «la realtà di Dio è Dio
fatto Cristo per noi, per salvarci, e quando ci allontaniamo da questo, da questa realtà e ci allontaniamo dalla croce di Cristo, dalla verità delle
piaghe del Signore, ci allontaniamo anche dall’amore,
dalla carità di Dio, dalla salvezza e andiamo su una strada ideologica di Dio, lontana: non è Dio che venne a
noi e si è fatto vicino per salvarci ed è morto per noi».
«Questa — ha insistito
Francesco — è la realtà di
Dio. Dio rivelato in Cristo:
non c’è un Dio senza Cristo». A questo proposito, ha
confidato, «mi viene in mente un dialogo di uno scrittore
francese del secolo scorso, un
dialogo tra un agnostico e un credente.
L’agnostico di buona volontà domandava
al credente: “Ma, come posso... per me, il
problema è come Cristo è Dio: non posso
capire questo, come Cristo è Dio?”. E il
credente rispose: “Per me questo non è un
problema, il problema sarebbe stato se
Dio non si fosse fatto Cristo”».
Dunque, ha rilanciato il Pontefice,
«questa è la realtà di Dio: Dio fatto Cristo, Dio fatto carne e questo è il fondamento delle opere di misericordia», perché «le piaghe dei nostri fratelli sono le
piaghe di Cristo, sono le piaghe di Dio,
perché Dio si è fatto Cristo». E, ha avvertito Francesco, «non possiamo vivere la
Quaresima senza questa seconda realtà:
noi dobbiamo convertirci non a un Dio
astratto, ma al Dio concreto che si è fatto
Cristo».
Ecco, allora, «la realtà dell’uomo — siamo davanti al bene e al male — la realtà di
Dio — Dio si è fatto Cristo — e la terza
realtà umana: la realtà del cammino». La
domanda è «come andiamo, quale strada
prendiamo?». Il Papa ha riproposto la forza delle parole di Gesù: «Se qualcuno
vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi
segua». Perché «la realtà del cammino è
quella di Cristo: seguire Cristo, fare la volontà del Padre, come Lui, prendere le
croci di ogni giorno e rinnegare se stesso
per seguire Cristo». Questo significa «non
fare quello che io voglio, ma quello che
vuole Gesù, seguire Gesù». E Lui dice
«che su questa strada noi perdiamo la vita
per guadagnarla dopo; è un continuo perdere la vita, perdere di fare quello che io
voglio, perdere le comodità, essere sempre
sulla strada di Gesù che era al servizio degli altri, all’adorazione di Dio: quella è la
strada giusta».
«Tre realtà» dunque: «La realtà umana,
dell’uomo, della vita, dell’uomo davanti al
bene e al male; la realtà di Dio: Dio si è
fatto Cristo e non possiamo adorare un
Dio che non sia Cristo, perché questa è la
realtà». E poi «la realtà del cammino:
l’unico cammino sicuro è seguire Cristo
crocifisso, lo scandalo della Croce». E
«queste tre realtà umane sono la bussola
del cristiano, con questi tre segnali, che
sono realtà, noi non sbaglieremo strada».
Da qui anche il suggerimento all’inizio
della Quaresima: «“Convertitevi” dice il
Signore, cioè prendete sul serio queste
realtà dell’esperienza umana: la realtà della vita, la realtà di Dio e la realtà del cammino».
Per i cristiani perseguitati
«Vi faccio una domanda: quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati?». Ecco
la questione che, con schiettezza, Francesco ha
posto nel videomessaggio per l’intenzione del
mese di marzo, diffuso sul sito internet —
www.apmej.org — della rete mondiale di preghiera del Papa (Apostolato della preghiera).
«Vi incoraggio a farlo con me» ha chiesto il
Pontefice, perché i cristiani perseguitati «sperimentino il sostegno di tutte le Chiese e comunità nella preghiera e attraverso l’aiuto materiale». Il tema è di scottante attualità.
«Quante persone — spiega il Papa — sono perseguitate a motivo della loro fede, costrette ad
abbandonare le loro case, i loro luoghi di culto, le loro terre, i loro affetti!».
Il Pontefice rimarca che queste persone
«vengono perseguitate e uccise perché cristiane, senza fare distinzione, da parte dei persecutori, tra le confessioni a cui appartengono»
siano esse dunque cattoliche, ortodosse o protestanti.
L’appello di Francesco alla preghiera è accompagnato da immagini che raccontano storie di persecuzione, mostrano chiese distrutte.
Ma invitano anche alla speranza, attraverso
l’attenzione ai più piccoli e il sostegno ai poveri.