GLI INVENTARI FONETICI DAI 18 AI 27 MESI D`ETA`: UNO STUDIO

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GLI INVENTARI FONETICI DAI 18 AI 27 MESI D’ETA’: UNO STUDIO
LONGITUDINALE
Claudio Zmarich°, Serena Bonifacio*
°Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione - C.N.R., Sezione di Fonetica e
Dialettologia , Padova
*IRCCS Istituto per l'Infanzia “Burlo-Garofolo”, Servizio di Logopedia-O.R.L., Trieste
° [email protected]
* [email protected]
SOMMARIO
L’inventario fonetico di 13 bambini italiani, audio-registrati a 18, 21, 24 e 27 mesi
d’età in un contesto di interazione con il ricercatore e con la madre, è stato calcolato
applicando i criteri di Stoel-Gammon (1985): un fono consonantico o un nesso sono
attestati solo se presenti in almeno due diverse “parole”. Per ogni sessione di
registrazione di ciascun bambino, sono state selezionate le parole trascritte in simboli
IPA e ExtIPA (International Phonetic Association, 1999), che presentavano una chiara
associazione forma-significato, allo scopo di costituire un campione lessicale che
comprendeva un minimo di 10 ed un massimo di 50 parole diverse (types). Se uno
stesso target era prodotto in modo variabile, sono state considerate solo le prime due
produzioni (tokens). Gli inventari fonetici individuali sono stati calcolati separatamente
per la posizione iniziale e non iniziale di sillaba e di parola ed è stato determinato anche
l’inventario dei tipi sillabici. Infine, gli inventari di gruppo per i foni ed i tipi di sillabe
sono stati determinati in base a un criterio percentuale che ha distinto gli item come
attestati o non attestati a seconda del numero degli inventari individuali che li
contemplavano. I risultati finali vengono discussi in relazione ad altre ricerche
longitudinali sul primo sviluppo fonetico/fonologico di bambini che acquisiscono altre
lingue, agli studi sul babbling di soggetti italiani più piccoli (cfr. Zmarich e Miotti,
2003a e Zmarich & Miotti, 2003b), come anche alle frequenze di occorrenza delle
strutture foniche del lessico italiano.
1. INTRODUZIONE
Il bambino acquisisce schemi motori e controllo articolatorio da una singola base
motoria universale (filo- e ontogeneticamente derivata dall’attività neuromuscolare
legata alla nutrizione): la regolarità dell’alternanza ritmica tra mandibola aperta e
chiusa, che caratterizza il babbling canonico a partire dai 6 mesi d’età, e che coincide
con la comparsa di movimenti ripetitivi e ritmici in altri sistemi effettori di tipo motorio
(ad es. movimenti ritmici delle braccia, Thelen, 1991), genera un effetto acustico che
viene percepito dagli adulti come successione di sillabe, caratterizzate, come quelle
adulte, da transizioni rapide tra le due posizioni di chiusura totale o parziale del
condotto vocale per la consonante, e di apertura per la vocale (MacNeilage & Davis,
2000). Allo stesso tempo, alcune delle caratteristiche dello sviluppo fonetico
prelinguistico sembrano riflettere un modo di operare del sistema di controllo motorio
che è così basilare da ritrovarsi ampiamente diffuse nelle lingue esistenti. Infatti
secondo MacNeilage & Davis (2000), caratteristiche come l’oscillazione mandibolare,
le restrizioni sulle co-occorrenze consonante-vocale all’interno della sillaba CV e la
preferenza verso particolari stati articolatorii all’inizio e alla fine degli enunciati sono
universali e furono probabilmente presenti nel proto-linguaggio degli ominidi.
L’inventario dei foni del babbling è alquanto limitato, e Locke (1983) ha osservato
che i suoni di tipo consonantico si presentano nel babbling con almeno queste
caratteristiche principali:
• le consonanti singole sono molto più frequenti dei gruppi consonantici;
• le consonanti prevocaliche sono molto più frequenti delle postvocaliche;
• le consonanti occlusive, le nasali e i glides sono molto più frequenti delle fricative
affricate o liquide.
Queste caratteristiche possono da sole spiegare l’assoluta prevalenza iniziale della
sillaba CV. Questa sillaba inizialmente non è che una struttura vuota (pure frame), cioè
un prototipo precursore della sillaba adulta. Il suo contenuto è formato da un numero
limitato di combinazioni tra consonanti e vocali che condividono lo stesso luogo
articolatorio, e che sono dunque caratterizzate da un’accentuata coarticolazione, perchè
sono originate passivamente dal vincolo biomeccanico che lega il posizionamento di
labbra e lingua al movimento ritmico di tipo oscillatorio della mandibola. Infatti, studi
sperimentali di natura acustica e articolatoria hanno riscontrato come, agli inizi del
babbling, il bambino non esercita un controllo ottimale sugli articolatori diversi dalla
mandibola (Kent, 1992; MacNeilage, 1997; Davis et alii, 2000; per lo sviluppo neuroanatomo-fisiologico degli organi deputati alla produzione del linguaggio, cfr.
McKenzie-Beck, 1995; Kent & Vorperian, 1995; Kent 1999; 2001; per studi di tipo
cinematico sullo sviluppo dell’articolazione mandibolare e bilabiale , cfr. Green et alii,
2000; 2002; e per quelli di tipo acustico, cfr. Sussman et alii, 1999).
Gli elementi del contenuto (content), cioè i singoli foni, cominciano ad acquisire
autonomia quando il bambino, esposto alla lingua del suo ambiente, aumenta il
controllo sui singoli articolatori, soprattutto sugli aspetti temporali sottesi alla loro
reciproca coordinazione, per generare effetti acustici simili a quelli della lingua che
sente, esercitandosi attivamente sulla ripetizione e concatenazione delle configurazioni
articolatorie che li generano, e in questo modo affinando e automatizzando la sua skill
articolatoria (Stoel-Gammon, 1998a). Infatti, recenti modelli teorici dello sviluppo
fonetico, che possiamo chiamare neo-darwiniani perché sostengono che il linguaggio si
è evoluto nei millenni con uno sviluppo biologico lento e graduale a partire da capacità
cognitive e motorie pre-esistenti, spiegano l’emergere della fonologia nel bambino
facendo ricorso alle proprietà dei sistemi dinamici/autorganizzantesi. Per i sostenitori di
questo modelli, l’emergere della fonologia nel bambino sarebbe il risultato di una
complessa interazione tra il suo sistema di produzione vocale, quello di percezione e
quello di rappresentazione cognitiva, che elaborano stimoli interni ed esterni in presenza
di restrizioni di tipo neurofisiologico e biomeccanico, che a loro volta ne vengono
modificate (Lindblom, MacNeilage & Studdert-Kennedy, 1984, e le pubblicazioni
successive di ciascuno di questi tre autori). Questa spiegazione si contrappone a quella
della fonologia tradizionale di tipo generativo, che ipotizza il dispiegarsi di un
programma biologico innato conseguente all’esposizione del bambino alle strutture
linguistiche più frequenti presenti nella madre-lingua (cfr. Davis et alii, 2000). Come ha
sottolineato Locke (1999) il problema principale sotteso all’affermazione che, se il
linguaggio è un istinto, l’apprendimento del linguaggio è così intrinsecamente
gratificante da non lasciare spazio ad alcun altra spiegazione, è che una spiegazione di
questo tipo è teleologica, perché l’evoluzione del comportamento viene guidata e
motivata da uno stato finale. Secondo Lindblom (1999), per evitare la circolarità
intrinseca ad una spiegazione teleologica, non si dovrebbe postulare niente che origini
dai dati da spiegare, ma piuttosto invocare fatti e principi la cui motivazione empirica è
indipendente dai dati da spiegare. La Fonetica può invocare una conoscenza che è
rilevante per il linguaggio ma che è stata acquisita indipendentemente da esso, come
l’informazione relativa ai meccanismi generali dell’udito e del controllo motorio, una
circostanza che dà alla fonetica una situazione unica per studiare gli albori dello
sviluppo linguistico in confronto a quella di altri domini della Linguistica (ad es., la
sintassi). Ad es., le speculazioni sul linguaggio che “partono dalla fonetica” assumono
che il bambino che stà acquisendo il linguaggio riceve aiuto da ciò che trova
pronunciabile (restrizioni neuromotorie sulla produzione del parlato) e da ciò che appare
saliente e distintivo nello stimolo verbale (restrizioni uditive e percettive). Da qui una
prima differenza con coloro che speculano sul linguaggio “partendo dalla sintassi”, che
ritengono che le lingue siano costruite in modi arbitrari e innaturali. Una seconda
fondamentale differenza è che, al contrario di quanto asserito da chi specula sul
linguaggio partendo dalla sintassi, questi meccanismi fisiologici non sarebbero
modulari, cioè specifici del linguaggio dell’Homo Sapiens, poichè essi servono anche
altre funzioni fisiologiche, evolute per via naturale dai mammiferi nostri antenati.
Alcuni di questi meccanismi sono stati individuati da Locke (1999), e fanno parte di
una rete di cognizione sociale (cfr social cognition network, Locke 1999: 380), che è
responsabile dell’acquisizione lessicale, a cui si affianca successivamente un sistema
grammaticale (cfr. grammatical system, Locke 1999: 380) che esegue l’analisi
dell’enunciato (ai livelli corrispondenti alle unità linguistiche) e le necessarie
computazioni (basate su confronti ed estrazione di regolarità). La cognizione sociale è
una specializzazione neurale che comprende diverse operazioni individuali, che una
volta portate a termine forniscono i pre-requisiti all’acquisizione del linguaggio.
L’apprendimento vocale (cfr. vocal learning, Locke 1999: 380) è una di queste
operazioni: per suo tramite il bambino apprende le proprietà della voce umana e
risponde ad esse. L’apprendimento vocale comincia già durante la vita fetale e
predispone il bambino ai patterns fonetici e prosodici della lingua parlata dalla madre,
perché questi patterns gli forniscono informazioni necessarie alla sua sopravvivenza. Le
informazioni che esso riceve sono di duplice natura: indessicali (riconoscimento dei
suoi caretakers), e affettive (interpretazione del comportamento dei suoi caretakers; per
gli appropriati rimandi bibliografici, cfr. Locke, 1999).
Le complesse interazioni di tipo senso-motorio e cognitivo che portano all’emergere
della fonologia sono basate su circuiti di feedback di tipo interno ed esterno, che il
bambino sfrutta per apprendere associazioni di tipo sequenziale (per es. fonotattiche) e
simultaneo (per es. cross-modale, Menn & Stoel-Gammon, 1995).
I circuiti interni sono quelli che non richiedono risposte da parte di altre persone:
sono già stati attivati durante il babbling e servono per connettere i comandi motori
simultanei e sequenziali, i percetti che ha il bambino dei propri suoni, e le informazioni
cinestetiche e propiocettive entro e attraverso queste tre modalità (motoria, uditiva e
cinestetica). Il semplice ascolto della lingua parlata nell’ambiente del bambino genera
dei legami associativi di tipo uditivo: la compresenza delle stesse caratteristiche in foni
pronunciati in momenti diversi migliora la conoscenza dei foni della lingua, e la
cooccorrenza di alcune caratteristiche in foni che occorrono in sequenza migliora la
conoscenza delle sequenze fonotattiche. A partire dai primi giorni di vita e comunque
entro il terzo mese il bambino evidenzia una predisposizione, biologicamente fondata su
base empatica, all’imitazione delle espressioni facciali e vocali dei suoi caretakers,
(Meltzoff & Moore, 1997; Vihman & DePaoli, 2000). Ci sono prove che la
comprensione lessicale, che richiede la precedente memorizzazione di enunciati e
informazioni referenziali , è già attiva a partire dal sesto mese di vita (Locke 1999: 382).
Essa lega i patterns sonori con eventi o situazioni ricorrenti, creando in questo modo, e a
sua volta diventandone dipendente, dei legami tra la modalità uditiva e l’ampia varietà
di modalità sensoriali con cui il bambino fa esperienza del mondo (gusto, odorato, tatto,
visione ecc.). Legami associativi basati su precedenti esperienze di piacere si
stabiliscono tra alcune sequenze foniche ed alcune caratteristiche di tipo semantico ed
emotivo, e il bambino riproduce quelle sequenze come un mezzo per rivivere quelle
esperienze.
I circuiti di feedback di tipo esterno sono quelli che dipendono dalle risposte di
un’altra persona. Attraverso l’imitazione che l’adulto fa dei suoni infantili il bambino
riceve un feedback che lo informa sulla differenza tra la sua produzione e quella adulta.
E’ da sottolineare poi che un insuccesso communicativo può spingere il bambino ad un
maggior autocontrollo (Menn & Stoel-Gammon, 1995). La conferma che le sue
vocalizzazioni generano un effetto sul suo ambiente ed in particolare sui suoi
caretakers, permette al bambino di stabilire legami percetto-motori tra le categorie
percettive linguospecifiche che in lui si stanno consolidando e le articolazioni
richiedenti meno sforzo, che nel frattempo è andato scoprendo in modo fortuito.
Lo stesso principio del minimo sforzo favorirà nel bambino il riuso dei movimenti
appresi precedentemente, allo scopo di combinarli in nuovi gesti articolatori (Lindblom,
1998; 1999; 2000). Tuttavia, l’esistenza di una grandissima variabilità intra- e interindividuale non viene interamente spiegata dal principio tendenzialmente universale del
minimo sforzo e del riuso, e bisogna ammettere che aspetti legati alla creatività
individuale possano essere alla base del fenomeno della word avoidance e di quello
collegato della preferenza sillabica (cfr. Vihman, 1996). Col primo fenomeno si designa
di solito la tendenza di alcuni bambini ad evitare di produrre parole che contengano i
foni non ancora presenti nel loro inventario fonetico (Schwartz & Leonard, 1992),
mentre col secondo si designa il ricorso frequente da parte della maggioranza dei
bambini ad un certo numero di tipi sillabici, alcune volte del tutto idiosincratici, per la
costruzione delle loro parole (per questo concetto e per quello collegato di Vocal Motor
Scheme, o VMS, cfr. Vihman, 1996, inter alia). E’ solo però con la nascita di una
primitiva memoria fonologica a breve termine (Baddeley et alii, 1998) che la capacità
imitativa, unendosi alla perizia articolatoria e all’intenzione comunicativa, è in grado
attorno al 9° mese di creare le condizioni per la produzione delle prime pseudo-parole,
con valore di routine sociale e legate a particolari contesti (Stoel-Gammon, 1998b).
Alla fine, l’uso sistematico di sillabe canoniche (del tipo CV) nel periodo
prelinguistico fornisce al bambino una base in termini di pratica motoria orale, matching
vocale-uditivo, produzione di forme a cui assegnare un significato e infatti le prime
parole di un bambino di solito contengono gli stessi foni, nelle stesse combinazioni, che
si ritrovano nei suoi episodi di babbling (Oller et alii, 1976; Locke, 1983). Alle parole il
bambino arriva quando inizia a connettere in modo sistematico qualche particolare
configurazione articolatoria di babbling a qualche particolare concetto semantico, non
strettamente dipendente dal qui ed ora del contesto comunicativo. Inizialmente le parole
sono memorizzate dal bambino come interi di natura prosodica non ulteriormente
analizzati.
Durante il periodo tra 18 mesi e i 30 mesi i bambini apprendono nuove parole ad una
velocità sbalorditiva, che ad esempio, nel periodo in cui hanno un vocabolario
espressivo di circa 70 parole, va dalle 4 alle 10 nuove parole al giorno (de BoyssonBardies, 1999). Questa periodo di accelerazione dell’acquisizione lessicale è conosciuto
col nome di “esplosione lessicale (cfr. lexical spurt), ed incomincia tipicamente tra i 18
e i 20 mesi, o quando i bambini hanno dalle 15 alle 100 parole nel loro lessico
espressivo. A questa età ci possono essere fino a 5 parole comprese per ogni parola
prodotta. Questa crescita esplosiva del lessico presto mette in crisi questo sistema
lessicale costituito da insiemi fonici non scomponibili. Diventa sempre più difficile
tenere separati tutti i “gesti” rilevanti che si riferiscono in modo olistico alle parole (se
questi items lessicali continuano ad accumularsi, il sistema si sovraccarica e incomincia
a rallentare). Un processo di autorganizzazione, basato sul principio del minimo sforzo,
volto a facilitare la memorizzazione lessicale e il successivo accesso alle parole,
raggruppa quindi insieme le parole che condividono gli stessi gesti articolatori, e le
contrappone ad altre (Lindblom, 1998; 1999; 2000). Alla fine il bambino forza il
sistema, smantellando i gesti olistici relativi alle parole attraverso un processo di
fonemizzazione, fondato sul principio biologico del “particolato” (Studdert-Kennedy,
1998; 2000), che ogni sistema dell’universo fisico sfrutta allorchè fa un uso infinito di
mezzi finiti. Le parole diventano rappresentate, in modo generativo, come
concatenazioni di segmenti fonologici che basano la loro natura su un dispositivo
organico già in sé strutturato in parti distinte, come il condotto vocale,
straordinariamente adatto a distribuire rapidamente azioni coerenti guidate da scopi
fonetici (“chiudi/restringi il condotto vocale nel punto X”) su parti anatomofisiologiche
più o meno indipendenti (labbra, apice lingua, dorso lingua, radice lingua, velo palatino,
glottide). La strutturazione di patterns di gesti sovrapposti a livello di sillaba rende
possibile la produzione/percezione di circa 10-15 unità segmentali al secondo: it is this
kind of parallel processing that makes it possible to get high speed performance with
low speed machinery (Liberman et alii, 1967:446).
Dal punto di vista fonetico, i succitati autori affermano che le produzioni articolatorie
infantili sono caratterizzate da maggiore, piuttosto che minore, coarticolazione
(Studdert-Kennedy & Goodell, 1995; cfr. anche i risultati sperimentali di Sussman et
alii, 1999; Green et alii, 2000; 2002). Questo punto di vista è coerente con la Fonologia
Articolatoria di Browman e Goldstein (1992, inter alia), che predice che la produzione
del parlato da parte dei bambini sia basata inizialmente su unità a livello della sillaba, se
non addirittura della parola, e solo gradualmente restringerebbe il suo dominio minimo
al gesto articolatorio relativo al segmento fonetico. Secondo questo modello, la
sovrapposizione spazio-temporale dei gesti articolatori sarebbe più prominente in età
precoce e diminuirebbe poi nel tempo attraverso un processo di differenziazione, con
diverse cronologie a seconda delle strutture fonologiche da realizzare (e quindi delle
manovre articolatorie da impiegare, cfr. Studdert-Kennedy & Goldstein, 2002).
Per riassumere quanto esposto, la produzione della parola emerge dall’unione di due
sistemi inizialmente indipendenti, un sistema concettuale e un sistema motorio di natura
articolatoria, e nel primo periodo dello sviluppo lessicale l’aspetto legato allo sviluppo
articolatorio può essere tanto impegnativo quanto, se non di più, quello cognitivo
(Stoel-Gammon, 1998b). Quindi imparare a pronunciare una parola è un compito
complesso condizionato da fattori di natura percettiva, cognitiva e articolatoria, che
vanno dalla sua complessità semantica, al suo significato sociale o emotivo per lo stesso
bambino, al numero di volte che il bambino ascolta la parola e alla sua complessità
articolatoria.
Abbiamo visto che c’è un ampio consenso sul fatto che le caratteristiche fonetiche
del primo babbling siano “universali” e non influenzate dalle caratteristiche proprie
della lingua nativa (Vihman, 1996). Il consenso svanisce però quando si passa a
precisare i tempi e le modalità di emergenza delle influenze linguo-specifiche.
MacNeilage & Davis (2000) affermano per es. che le summenzionate proprietà del
primo babbling si estendono fino al periodo delle 50 parole (attorno ai 18 mesi), e che le
influenze linguo-specifiche sono universalmente precedute e mediate da uno stadio in
cui lo schema ripetitivo tipico del babbling viene rotto a vantaggio di un’organizzazione
sequenziale CVCV…CVn che incomincia con una consonante labiale, seguita all’inizio
della seconda sillaba da una consonante coronale. Le motivazioni di questo
cambiamento sarebbero duplici e concatenate. Da una parte risiederebbero nella
necessità di evitare la reiterazione della stessa unità che, in considerazione di un
aumento della velocità di articolazione, potrebbe avere un effetto confondente per le
operazioni cognitive di analisi dell’input e organizzazione dell’output della nascente
memoria a breve termine. Dall’altra parte, la parola verrebbe iniziata con una
consonante labiale, perché quest’articolazione sarebbe più semplice e facile di quella
coronale. Altri studi recenti di tipo interlinguistico individuano un’influenza positiva
della lingua nativa già a 9-10 mesi, allorchè i suoni nativi aumentano, e un’influenza
negativa a partire dalla fine del primo anno, quando i foni non nativi diminuiscono
(Vihman & de Boysson-Bardies, 1994).
I dati di letteratura sui bambini di madre-lingua inglese rivelano che tra gli 8 e i 18
mesi il repertorio dei foni che costituiscono le produzioni vocali del bambino non
aumenta marcatamente (Robb & Bleile, 1994): la media è di 6 consonanti, selezionate
dal set [p t k th m n h w] e il numero maggiore di consonanti si trova in posizione
iniziale di sillaba (5-10 consonanti) rispetto alla posizione finale (2-4). Un’importante
differenza tra le consonanti usate nelle due posizioni risiede nel fatto che la posizione di
sillaba iniziale favorisce la presenza di consonanti sonore mentre quella finale favorisce
le sorde.
In questo studio ci occuperemo di inventari fonetici e sillabici. Un inventario
fonetico, è il tipico prodotto dell’analisi indipendente del corpus lessicale infantile
(Stoel-Gammon, 1991), cioè non condotta sui target della lingua adulta, ma sulle
produzioni lessicali effettive del bambino, e costituisce una classificazione, basata sulle
caratteristiche di luogo, di modo di articolazione e di sonorità, dei foni presenti in un
dato campione lessicale. L'inventario fonetico di un bambino ci fornisce, entro certi
limiti che verranno precisati più avanti, un indice delle sue abilità fonetiche, cioè i foni
che egli produce più frequentemente, quelli che produce meno frequentemente, e quelli
che sono invece del tutto assenti. Un altro tipo di analisi, che si propone di valutare un
aspetto fondamentale alla base delle potenzialità fonotattiche, che riguardano il
raggruppamento sequenziale dei foni in unità gerarchicamente superiori, è la
determinazione dei tipi sillabici prodotti dal bambino. In questo testo useremo le
combinazioni di simboli “C” per la consonante e “V” per la vocale.
Quando si presenta la necessità di mettere a confronto gli inventari fonetici di
bambini di diverse fasce d'età oppure di bambini con sviluppo tipico con gruppi che
presentano caratteristiche di sviluppo o ambientali diverse, è necessario basarsi su un
campione lessicale omogeneo e rappresentativo dello sviluppo fonetico tipico. Spesso
nella pratica clinica c'è l'esigenza di confrontare l'inventario fonetico di un singolo
soggetto o di gruppi di soggetti con i dati di bambini con sviluppo tipico della stessa
fascia d'età, anche per poter stabilire quali suoni è lecito attendersi che i bambini con
caratteristiche extralinguistiche diverse da quelli tipici possono produrre, al fine di
studiare le possibili correlazioni tra queste caratteristiche e la loro abilità fonetica.
Molti fattori possono influenzare l'articolazione, e fra questi anzitutto il tipo di
produzione linguistica esaminata che può essere spontanea, elicitata o ripetuta; oppure
la posizione che il fono occupa nella parola a seconda che sia iniziale o mediana; oppure
se è nell’onset sillabico o nella coda; o se il fono è singolo o appartenente ad un nesso
consonantico. Inoltre, la grande variabilità fonetica inter- e infraindividuale nella
produzione della stessa parola costringe a fare delle scelte metodologiche nella
compilazione dell'inventario, i cui estremi possono portare all’enfatizzazione massima
della variabilità o alla sua riduzione estrema. Infine, anche i criteri seguiti per
considerare acquisito un suono influiscono sull’inventario fonetico del soggetto.
Lo sviluppo lessicale dei bambini italiani è stato studiato da Caselli e Casadio
(1995), con il questionario familiare Il primo Vocabolario del Bambino (PVB) che
rappresenta l'adattamento italiano del MacArthur Communicative Development (CDI di
Fenson et alii, 1993). Questo strumento permette di rilevare la produzione di parole e
gesti e la comprensione di parole a partire dagli 8 fino ai 17 con la forma "Gesti e
Parole"; dai 18 ai 30 mesi il numero di parole prodotte e le prime strutture sintattiche
con la forma "Parole e Frasi". Gli autori hanno dimostrato che i bambini italiani a 24
mesi possiedono un vocabolario già abbastanza ampio, producono in media 300 parole
differenti, con una variabilità nei singoli bambini che va da un minimo di 80 parole ad
un massimo di 500, ed inoltre sono in grado di combinare più parole in una frase.
Secondo Coplan & Gleason (1988) a questa età sono già ben consolidate alcune forme
sillabiche e classi di suoni, e, benchè il sistema fonologico sia ancora incompleto, circa
il 50% di ciò che i bambini producono può essere compreso da un estraneo.
Lo sviluppo fonetico di bambini italiani nella fase del linguaggio emergente
compresa tra 10 e 50 parole e in quella del linguaggio che si sta sviluppando dalle 50
parole in poi (Paul, 2001) è invece poco conosciuto. Bortolini (1995:22) riporta quelli
che l'autore descrive come "dati articolatori normativi" a partire dai 24 mesi, ma non
esplicita come sono stati raccolti e su quanti soggetti. Nello studio di Bortolini,
Bonifacio, Zmarich, Fior (1996) vengono presentati gli inventari fonetici di 4 bambini
con sviluppo tipico nelle tappe dei 18, 21 e 27 mesi, e inoltre gli autori descrivono le
procedure di raccolta del campione linguistico e i criteri di identificazione delle parole.
Dalla tab. 5 (p. 38) si ricava che gli inventari fonetici generali (cioè non distinti per
posizione del fono nella parola) dei soggetti normali (T-AGA nella terminologia
adottata dagli autori) progrediscono nell’intervallo temporale considerato, passando, a
18 mesi, da un inventario costituito quasi esclusivamente (fatta ecc. per il fono /l/) dalle
sole consonanti occlusive, nasali e orali (queste ultime prevalentemente sorde), al
completamento del repertorio delle occlusive a 21 mesi, con l’aggiunta della serie
sonora e l’inserimento delle prime fricative, affricate ed approssimanti, per giungere a
27 mesi ad un inventario fonetico quasi completo (mancano /dz, ¥, r, S/). In questo
studio verranno descritti gli inventari fonetici individuali di un campione di 13 bambini
con sviluppo tipico, calcolati separatamente per posizione iniziale e non iniziale di
sillaba e di parola e l’inventario dei tipi sillabici. Nel commentare i risultati di questo
studio, ci riferiremo principalmente alla frequenza dell’input e alla facilità articolatoria.
2. Procedura Sperimentale
2.1 Soggetti
I dati qui esposti si riferiscono a 13 bambini, 6 maschi e 7 femmine di cui 4
appartenenti allo studio di Bortolini et al. (1996), e cioè i cosiddetti bambini nati a
termine di peso appropriato (T-AGA).
Soggetti
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
media
dev.st
range
18 mesi
32
74
55
44
28
51
49
27
84
72
*
269
106
74
65.82
27-269
21 mesi
99
346
170
200
86
214
69
124
195
319
363
515
250
227
129.61
69-515
24 mesi
*
395
302
337
181
263
255
290
273
409
415
585
448
346
109.35
181-585
Tab. 1. Dimensioni del lessico individuale secondo il PVB (Caselli e Casadio, 1995).
Tutti i bambini di questo campione, nel primo anno di vita, hanno avuto uno sviluppo
psicomotorio regolare documentato dal pediatra. A 18 mesi ciascun soggetto, prima di
essere inserito in questo studio, è stato sottoposto ad una visita O.R.L. e ad un esame
della funzionalità uditiva che ha escluso deficit uditivi importanti. Inoltre, ogni bambino
ha eseguito una valutazione logopedica basata sull’osservazione dell’interazione di
gioco della coppia madre-bambino e sulla compilazione da parte dei genitori del
questionario PVB (Caselli & Casadio, 1995). Tale valutazione era stata programmata
per escludere bambini che potevano presentare inibizione alla comunicazione in
ambiente non familiare ed un livello di vocabolario espressivo e ricettivo inferiore al
10° percentile. Nella tabella 1 sono esposti i valori della dimensione del vocabolario
espressivo di ciascun bambino rilevato a 18, 21 e 24 mesi. A 18 e 24 mesi i bambini
registrano un valore medio di parole prodotte che è simile a quello dei bambini con
sviluppo tipico del campione di Caselli & Casadio (1995), mentre invece a 21 mesi il
valore è nettamente superiore: 227 versus 130. I valori dei percentili risultano così
distribuiti:
- a 18 mesi il 42% dei bambini si colloca sul 25°, il 50% sul 50°, l'8% sul 75°;
- a 21 mesi il 46% dei bambini si colloca sul 50°, il 31% sul 75° e il 23% sul 90°;
- a 24 mesi il 25% dei bambini si colloca sul 25°, il 67% sul 50° e l'8% sul 90°.
Tutti i bambini selezionati avevano dimostrato buone capacità di adattamento al
setting clinico non familiare e di interazione con il ricercatore.
La classe sociale stabilita in base al titolo di studio e alla professione di entrambi i
genitori era generalmente di tipo medio.
I bambini sono monolingui, cresciuti in un ambiente dove si parla un italiano di tipo
regionale (giuliano per 11 soggetti, veneto per due soggetti). Riferendoci qui solamente
agli aspetti fonetici di tipo segmentale e più specificamente consonantico, si può
sottolineare che la variante regionale giuliana è caratterizzata rispetto all'italiano
standard principalmente dalle assenze di // intervocalico (realizzato come /nj/) e /¥/
(realizzato come /lj/, cfr. Canepari, 1980).
2.2 Raccolta del campione
In letteratura, molti degli studi sugli inventari fonetici nei bambini piccoli vengono
condotti nei loro setting naturali, cioè a casa mentre la madre gioca con il bambino con
un set di giocattoli standard, uguale in tutte le sedute e per tutti i bambini. Questo
contesto viene definito semistrutturato, oppure non strutturato quando si utilizzano i
giocattoli che sono a portata di mano (Nelson & Bauer, 1991; McCune & Vihman,
2001). Altri registrano i bambini nel loro ambiente sempre con un set di giocattoli
standard in cui però è il ricercatore ad interagire con il bambino (Anderson & Smith,
1986). Anche negli studi di Dyson (1988) e di Preisser et alii (1988) il campione
linguistico è raccolto da un ricercatore che gioca con il bambino chiedendo il nome di
una serie di giocattoli e di oggetti standard, ma questa raccolta avviene nel setting
clinico. Lo studio di Stoel-Gammon (1985) utilizza un contesto di gioco con la madre
all’interno di un setting di tipo clinico.
Il problema metodologico su come raccogliere un campione di linguaggio impone
scelte che possono influenzare la produttività verbale del bambino, soprattutto se
piccolo, in quanto il contesto e la persona estranea che relaziona con il bambino
possono incidere in modo più o meno marginale ma possono anche rappresentare un
vero e proprio limite rispetto ai setting che offrono più validità ecologica. Da un lato le
madri sono in grado di offrire stimoli e opportunità durante la conversazione per
promuovere il linguaggio nel bambino, dall'altro l'adulto non familiare potrebbe
influenzare la reazione di risposta del bambino e ciò potrebbe dipendere da quanto il
ricercatore è in grado di prestare attenzione, supportare e stimolare il linguaggio del
bambino. Nello studio che presentiamo abbiamo voluto tener conto di questi aspetti
metodologici conciliando la presenza della madre con quella del ricercatore nel setting
clinico mettendo a punto le procedure che seguono.
Tutti i bambini sono stati registrati ogni tre mesi a partire dal compimento del 18°
mese a 21, 24 e 27 mesi. La seduta era organizzata in modo che il bambino interagiva
con il ricercatore, tuttavia alla madre era consentito di interagire con il figlio qualora lui
lo richiedesse. Prima e durante la registrazione il ricercatore consultava la lista delle
parole prodotte segnate dal genitore sul questionario PVB per procedere poi alla
selezione dei target finalizzati alla raccolta dei dati dell’inventario fonetico. La
produzione verbale della parola veniva sollecitata su presentazione di un oggetto –
giocattolo rappresentante il target, procedendo in modo ordinato in base alla categoria
lessicale. Per esempio gli oggetti della categoria “animali” erano contenuti tutti in uno
stesso sacchetto, così quelli del “cibo” ed altre ancora in modo da facilitare la selezione
del target tenendo in vista la lista del questionario. Gli oggetti venivano presentati uno
alla volta e per gruppi di quattro o cinque, venivano lasciati a disposizione del bambino
per giocare, poi venivano riposti nel sacchetto per la presentazione di altri. Questa
procedura risultava più economica perché permetteva un minor dispendio di tempo
rispetto al presentare oggetti di parole sconosciute in quanto permetteva al bambino di
prestare maggiore attenzione su oggetti-parole per lui già note. Ogni parola prodotta
veniva segnata sulla lista del questionario così, una volta conclusa la seduta, il
ricercatore poteva verificare se il campione del linguaggio raccolto era sufficientemente
rappresentativo. Avendo stabilito in anticipo che, per considerare valido il campione di
linguaggio raccolto ai fini delle analisi linguistiche, esso doveva contenere almeno il
50% delle parole segnate nella lista lessicale compilata dal genitore, abbiamo potuto
verificare che ciò era stato ottenuto per tutti i bambini.
Per quanto riguarda la strumentazione, la registrazione dei quattro bambini dello
studio di Bortolini et al. (1996) è stata effettuata con un registratore a bobina UHER
4200. La produzione linguistica degli altri bambini di area triestina è stata registrata
con un registratore DAT Teach e con un microfono AKG MARK II. I due bambini di
area veneta sono stati registrati con un registratore analogico AIWA, mod. TP-850 e un
microfono Sony, mod. ECM-T7. I microfoni in tutti i casi erano posizionati ad una
distanza di circa 60 cm. dal bambino. La durata di ogni registrazione è stata di circa 4560 minuti.
2.3 Criteri di analisi
Gli enunciati infantili sono stati trascritti da trascrittori esperti di linguaggio infantile
usando l'Alfabeto Fonetico Internazionale (1996), integrato con la serie di simboli e
diacritici raccomandati per la trascrizione del linguaggio patologico pubblicata col
nome di Ext IPA nell’Handbook IPA (1999). L’affidabilità delle trascrizioni è stata
valutata calcolando l’indice di accordo point by point (Shriberg & Lof, 1991) sui foni
consonantici tra due esperti che avevano trascritto indipendentemente una registrazione
a 21 mesi e un’altra a 27. L’indice di accordo del 77% è stato giudicato soddisfacente.
Come è già stato detto, nel periodo delle 50 parole, soprattutto nei primi mesi, parole
e babbling coesistono (Zmarich & Miotti, 2003 a; b). In questa analisi sono stati però
considerati solo i foni prodotti nelle parole identificate come tali sulla base dei criteri
esposti in Vihman & McCune (1994), e che considerano:
• la somiglianza fonetica con la forma adulta, cioè la presenza di almeno due suoni in
comune tra la forma adulta e quella infantile (preferibilmente consonantici);
• il contesto d'uso e quindi la funzione comunicativa;
• l'identificazione da parte del genitore.
Poiché stili diversi di produzione possono influire sulle caratteristiche fonetiche delle
produzioni del bambino, abbiamo distinto le produzioni ottenute su:
• denominazione sollecitata, quando il bambino nominava gli oggetti che gli venivano
presentati in risposta alla domanda “chi è”, "cos'è" o "come si chiama";
• produzione spontanea, quando il bambino parlava senza alcuna sollecitazione
specifica da parte dell'adulto e questo accadeva più frequentemente nei momenti di
gioco con gli oggetti;
• ripetizione, quando il bambino produceva la forma lessicale solo dopo la produzione
adulta.
Alla fine abbiamo considerato solamente le denominazioni e produzioni spontanee.
Sono state escluse le onomatopee se prodotte in risposta alla domanda: “come fa x? “.
Esistono almeno due diverse metodologie per gli inventari fonetici, l'una proposta da
Stoel-Gammon (1985) e l'altra da Ingram (1981). Per entrambi, prima di costruire un
inventario fonetico bisogna cercare di ridurre la variabilità fonetica di natura più
accidentale e marginale, eliminando dalla trascrizione fonetica i segni diacritici e
pervenendo ad una trascrizione cosiddetta 'larga'. La procedura di analisi impiegata da
Stoel-Gammon (1985), che qui seguiremo, si applica ad un lessico individuale di
almeno 10 parole diverse (type). Oltre ad aver fissato un termine minimo, StoelGammon ne fissa anche uno massimo, analizzando solo le prime 50 parole se la
produzione lessicale di un bambino è più ampia, rendendo così possibile il confronto
diretto tra inventari fonetici a prescindere dalla dimensione totale del lessico prodotto
durante la seduta di registrazione.
La selezione delle parole procede in ordine strettamente progressivo. Ogni fono che
ricorra nella posizione iniziale e mediana in almeno due parole diverse viene incluso
nell'inventario fonetico del bambino per quella data posizione. Se ci sono piu' forme
variabili (per le consonanti) in corrispondenza di una certa parola, vengono considerate
per l'analisi solo le prime due in ordine di occorrenza. Noi abbiamo parzialmente
derogato a queste restrizioni per poter rappresentare adeguatamente la maggior
ricchezza fonetica della tappa dei 27 mesi che d’altronde Stoel-Gammon (1985) non
analizza. Nei lessici individuali che eccedevano i 50 type lessicali, pur conducendo la
selezione dei type in ordine progressivo, abbiamo trascurato quelle parole costituite dai
foni già attestati nelle parole precedenti, andando alla ricerca dei foni ancora mancanti,
fino al raggiungimento dei 50 type lessicali.
Non sono state considerate le parole costituite da sole vocali. Ogni parola è stata
suddivisa in sillabe, sulla base della gerarchia di sonorità e dei principi di
sillabificazione (Nespor, 1993). I foni [j w] sono stati codificati come consonanti in base
alla considerazione che non costituiscono apice di sillaba. Il fono [s] in posizione
iniziale di nesso consonantico intervocalico è stato attribuito alla sillaba successiva (per
es.: ‘a.sta’ e non ‘as.ta’). Alla fine i foni di ciascuna sillaba sono stati codificati in
simboli SAMPA (esteso) ed inseriti come casi in una matrice di Systat per le successive
manipolazioni
3. RISULTATI
La tabella 2 presenta per ogni tappa d’età la media e il range del numero di parole
prodotte dai soggetti, che sono 13 eccetto che al 18 mese in cui sono 11 (2 soggetti non
raggiungevano il numero minimo di 10 parole).
MESI
18*
21
24
27
MEDIA
32.7
45.2
50
50
RANGE
14-50
21-50
50-50
50-50
Tab. 2. Type lessicali rilevati a 18, 21, 24 e 27 mesi (* 11 soggetti).
La tab. 3 mostra gli inventari fonetici calcolati per ogni tappa d’età su due distinte
posizioni di parola, e cioè in sede iniziale, quando i foni sono rilevati solo in posizione
iniziale di parola, e in sede non iniziale, quando i foni sono rilevati in posizioni diverse
da quella iniziale. Sono state rilevate anche le occorrenze dei gruppi consonantici
omosillabici, cioè che appartengono alla stessa sillaba.
Dalla tabella si può osservare che a 18 mesi la dimensione media del lessico
analizzato era di 32,7 parole. A 21 mesi era di 45,2 parole e alle tappe successive dei 24
mesi tutti i soggetti avevano un lessico individuale di 50 parole.
Gli inventari fonetici a 18 mesi presentano solo occlusive, orali e nasali. Quasi tutti i
foni sono sordi (fatta ecc. per la sonorante nasale), e indicano una preferenza per il
luogo di articolazione anteriore.
A 21 mesi l'inventario fonetico aumenta considerevolmente, di più in posizione non
iniziale rispetto a quella iniziale: alle sorde già presenti si affiancano le omorganiche
sonore e vengono aggiunti foni che implicano modi e luoghi di produzione diversi, che
richiedono più controllo articolatorio (come nel caso dell’affricata palatale).
18 MESI (campione di 11 soggetti)
SEDE
INIZ.
SEDE
NON IN.
p*
b
p
t*
k
m
t
k
m
21 MESI
SEDE
INIZ.
SEDE
NON IN.
p*
b
t*
p*
b
t*
d
k
m
n
k*
m
n*
tS
l*
24 MESI
SEDE
INIZ.
SEDE
NON IN.
p*
b*
t*
d
k
m* n
f
p*
b*
t*
d*
k*
m* n*
f
v
s
tS
SEDE
INIZ.
SEDE
NON IN.
p*
b*
t*
d*
k*
g
m
n
f
v
s
p*
b
t*
d*
k*
g
m* n*
v
s
l
l*
27 MESI
l*
tS
kw
l*
Tab. 3. Inventari Fonetici in sede iniziale e mediana di parola a 18, 21, 24 e 27 mesi attestati in almeno il
50% dei bambini. Con il simbolo (*) sono contrassegnati i foni attestati in oltre il 90% degli inventari
individuali (10/11 bambini a 18 mesi, 12/13 per i restanti mesi)
A 24 mesi vengono acquisite alcune fricative, per lo più in posizione non iniziale.
A 27 mesi si assiste a un ulteriore crescita degli inventari, con l'estensione della
sonorità ad altri foni, il consolidamento delle fricative e la comparsa del primo nesso
consonantico omosillabico [kw] in posizione iniziale.
E’ poi da notare come ci siano foni come [b] o [m] che pur risultando attestati perché
presenti nella metà più uno dei soggetti sin dai 18 mesi, diventano consolidati solo a 24
mesi, quando compaiono negli inventari di 12 soggetti su 13. Il caso di [k] iniziale è poi
ancor più emblematico perché, attestato nell’inventario fonetico a 18 mesi, risulta
consolidato solo a 27.
Dalla tab. 4, focalizzata sulla sillaba, si può osservare come la lunghezza
dell’enunciato, calcolata come numero di sillabe che lo costituiscono, non vari
sostanzialmente tra il 18° e il 27° mese, attestandosi attorno alle due sillabe e mezza per
ogni enunciato. Gli inventari sillabici sono stati qui costruiti applicando gli stessi criteri
di soglia degli inventari fonetici, per cui un tipo sillabico risulta attestato quando sono
state prodotti almeno due type sillabici con quella configurazione dalla metà più uno dei
bambini (6/11 a 18 mesi, 7/13 alle tappe successive), mentre i tipi sillabici consolidati
richiedono di essere stati prodotti in due parole diverse da almeno la totalità dei bambini
meno uno (11/12 a 18 mesi, 12/13 alle tappe successive). Il tipo sillabico più frequente
è il CV, ma alla tappa iniziale sono presenti anche i tipi basici CVC e V, mentre il tipo
con nesso consonantico omosillabico CCV compare a 21 mesi e la sillaba VC a 24.
Tipi
sillabici
CCV
CV
CVC
V
VC
SI
SI
SI
SI*
SI*
SI*
SI*
SI*
SI
SI*
SI*
SI
SI*
SI*
SI*
SI
SI
N.Sil. N.Par Sil/Par
18
21
24
27
733
1026
1570
1482
340
560
583
621
2,15
1,83
2,69
2,38
Tab.4. Inventari dei tipi sillabici sillabici a 18, 21, 24 e 27 mesi attestati in almeno il 50% dei bambini.
Con il simbolo (*) sono contrassegnati i tipi sillabici attestati in oltre il 90% degli inventari individuali
(10/11 bambini a 18 mesi, 12/13 per i restanti mesi)
Una rilevazione dei foni in base alla posizione occupata nella sillaba, inizio (onset) o
coda, evidenzia come a 18 e a 21 mesi i foni si presentino esclusivamente sull’onset e
solo a partire dai 24 mesi alcuni (le sonoranti nasali e laterale) vadano ad occupare la
posizione di coda (tab.5).
18 MESI (campione di 11 soggetti)
ONSET
CODA
p*
b
t*
k*
m
ONSET
CODA
p*
b*
t*
d
k*
ONSET
CODA
p*
b*
t*
d*
k*
21 MESI
m
n*
tS
l
f
v
s
tS
l*
l
f
v
s
tS
24 MESI
m* n*
n
27 MESI
ONSET
CODA
p*
b*
t*
d*
k*
g
m* n*
m n
l*
l
Tab.5: . Inventari Fonetici relativi alla posizione di onset e coda sillabici a 18, 21, 24 e 27 mesi attestati in
almeno il 50% dei bambini. Con il simbolo (*) sono contrassegnati i foni attestati in oltre il 90% degli
inventari individuali (10/11 bambini a 18 mesi, 12/13 per i restanti mesi)
Abbiamo voluto confrontare le caratteristiche fonetiche delle parole dei 13 bambini
di questo studio con quelle dello sviluppo prelinguistico e del primo linguaggio in 4
bambini dai 10 ai 16 mesi, di cui 2 sono i soggetti veneti del presente studio, cfr.
Zmarich & Miotti, 2003 a, b, Fig.1 e Fig.2). Lo stadio prelinguistico è rappresentato
dagli episodi di babbling tra il 10° e il 14° mese (BAB-1), e tra il 16° e il 18° (BAB-2),
mentre quello relativo al primo vocabolario è rappresentato dalle parole prodotte
effettivamente dai 4 bambini tra il 16° e il 18° (WORD-2), quelle del lessico adulto che
costituivano il target dei 4 bambini (TARG), e tutte le parole dell’appendice E di Caselli
e Casadio (1995) che elenca le forme lessicali potenzialmente comprensibili e
producibili dai bambini tra i 18 e i 30 mesi (PVB). I valori percentuali delle frequenze
tratti da questi database non esprimono più il numero dei soggetti in cui il fono è
attestato, ma le frequenze cumulative di occorrenza dei foni componenti le classi
articolatorie, espresse sul totale di tutte le occorrenze. La classe designata dal nome
“altri foni” raggruppa la frequenza cumulativa di tutti i foni la cui presenza incideva in
misura minore dell’1% sul totale delle occorrenze.
Il confronto evidenzia come ci sia una continuità in termini di tipo di foni prodotti tra
stadio prelinguistico e stadio linguistico: in entrambi gli stadi i foni consonantici più
frequenti e più stabili sono le occlusive orali e nasali e le approssimanti. E’ possibile
tuttavia far emergere alcune tendenze evolutive mettendo a confronto i database infantili
appena nominati con i dati sulle frequenze di occorrenza nell’italiano parlato (Bortolini
et alii, 1978) e dell’italiano scritto (Batinti, 1993). Esse riguardano sia le variazioni
nelle proporzioni rispetto al totale per le classi più frequenti, sia la comparsa di nuove
classi. Per quanto riguarda il modo di articolazione, le nasali incrementano la loro
presenza nello stadio delle prime parole (WORD-2), mentre trilli, fricative e affricate
incominciano ad essere rappresentati in modo consistente solo nei target (cfr. TARG e
PVB). Per quanto riguarda il luogo d’articolazione, bilabiali e labiodentali incrementano
la loro presenza nel primo vocabolario (cfr. WORD-2 e TARG).
100%
90%
80%
Trilli
70%
Occlusive
60%
Nasali
Laterali
50%
Glides
Fricative
40%
Altri Foni <1%
30%
Affricate
20%
10%
0%
BAB-1
BAB-2
WORD-2
TARG
PVB
Bortolini
et al.,
1978
Batinti,
1993
Figura 1: Frequenze percentuali di occorrenza delle classi fonetiche di modo di articolazione in alcuni
database per l’italiano. BAB-1: babbling a 10-14 mesi; BAB-2: babbling a 16-18 mesi; WORD-2: parole
prodotte a 16-18 mesi; TARG: parole adulte bersaglio a 16-18 mesi (cfr. Zmarich & Miotti, 2003b); PVB:
parole potenziali a 18-30 mesi (cfr. Zmarich & Miotti, 2003b, da Caselli & Casadio, 1995); Bortolini et
alii (1978): frequenze di occorrenza dell’italiano parlato; Batinti (1993): frequenze di occorrenza
dell’italiano scritto.
100%
90%
80%
70%
Velari
Palatali
60%
Labiodentali
Glottali
50%
Coronali
40%
Bilabiali
Altri Foni <1%
30%
20%
10%
0%
BAB-1
BAB-2
WORD-2
TARG
PVB
Bortolini
et al.,
1978
Batinti,
1993
Figura 2: Frequenze percentuali di occorrenza delle classi fonetiche di luogo di articolazione in alcuni
database per l’italiano. BAB-1: babbling a 10-14 mesi; BAB-2: babbling a 16-18 mesi; WORD-2: parole
prodotte a 16-18 mesi; TARG: parole adulte bersaglio a 16-18 mesi (cfr. Zmarich & Miotti, 2003b); PVB:
parole potenziali a 18-30 mesi (cfr. Zmarich & Miotti, 2003b, da Caselli & Casadio, 1995); Bortolini et
alii (1978): frequenze di occorrenza dell’italiano parlato; Batinti (1993) : frequenze di occorrenza
dell’italiano scritto.
Un altro confronto eseguito sui dati di letteratura relativi allo sviluppo fonetico di
bambini americani che acquisiscono l’inglese, evidenzia come i foni degli inventari
fonetici iniziali siano quasi gli stessi dei bambini italiani dai 18 ai 27 mesi (StoelGammon, 1985, per i bambini dai 18 ai 24 mesi e Dyson, 1987 per quelli di 27 mesi,
cfr. tab. 6), con una prevalenza di occlusive sorde (anche se le occlusive pronunciate dai
bambini americani a 18 mesi sono trascritte come sonore, il loro VOT è simile a quello
delle sorde italiane) e nasali, fatta eccezione per la velare e l’approssimante laterale [l]
(presenti dall’inizio negli italiani, tardivamente negli americani), per la fricativa glottale
sorda [h] (assente negli italiani, presente negli americani). Per quanto riguarda la
posizione finale di parola il confronto nemmeno si pone, poiché gli inventari finali di
parola dei bambini italiani non raggiungono nemmeno il criterio per essere
rappresentati.
Età
18 mesi (Stoel-Gammon)
21 mesi (Stoel-Gammon)
24 mesi (Stoel-Gammon)
29 mesi (Dyson)
b* d* m n h w
b* t d m n h
b* t d* k g m n h w f s
pbtdkgmnhwfsh jl
Tab. 6: Inventari fonetici in posizione iniziale di parola per la lingua inglese (cfr. Stoel-Gammon, 1985;
Dyson, 1987)
Il confronto tra le frequenze dei tipi sillabici nelle parole dei 13 bambini del presente
studio con le frequenze nel babbling (BAB-1 e BAB-2) e nelle prime parole (WORD-2)
di 4 bambini italiani (cfr. Zmarich & Miotti, in press a) da una parte, e con i 3 database
del lessico ben formato (TARGET, PVB, Bortolini et al. 1976) evidenzia come la
produzione di sillabe CV raggiunga il suo massimo, attorno all’80%, proprio a 18 e a 21
mesi, mentre il tipo sillabico V decade con l’età, e il tipo CVC aumenta.
90
80
70
60
CCV
50
CCVC
VC
40
CVC
30
V
20
CV
10
0
CVC
CCV
Figura 3: Frequenze percentuali di occorrenza dei tipi sillabici in alcuni database per l’italiano. BAB-1:
babbling a 10-14 mesi; BAB-2: babbling a 16-18 mesi; WORD-2: parole prodotte a 16-18 mesi; TARG:
parole adulte bersaglio a 16-18 mesi (cfr. Zmarich & Miotti, 2003b); PVB: parole potenziali a 18-30 mesi
(cfr. Zmarich & Miotti, 2003b, da Caselli e Casadio, 1995); Bortolini et alii (1976); Batinti (1993):
frequenze di occorrenza dell’italiano scritto.
4. DISCUSSIONE
Anche se le prime parole possono comparire, e di fatto compaiono, prima dei 18
mesi, è solo a partire da questa età che i bambini possiedono un vocabolario espressivo
attorno alle 50 parole, che è sufficiente a innescare le prime opposizioni fonologiche,
che funge da propellente per la cosiddetta esplosione lessicale e che manifesta le prime
tendenze linguospecifiche. Considerando anche il fatto che solo a partire da circa 18
mesi è possibile sollecitare con successo i bambini verso la produzione lessicale, è
giusto considerare questa età come critica per iniziare la compilazione degli inventari
fonetici. Dai risultati di questo studio emerge che il sistema fonetico dei bambini italiani
cresce stabilmente dai 18 ai 27 mesi.
A 18 mesi è composto solo da occlusive, orali e nasali. Questi foni sono sordi (fatta
ecc. per la sonorante nasale), probabilmente perché la produzione della sonorità in
italiano implica l'inizio della vibrazione delle corde vocali prima del rilascio
dell'occlusione, e questa manovra articolatoria supplementare può rendere le sonore
italiane più complesse e "difficili" da realizzare rispetto alle omorganiche sorde (che
non richiedono alcuna azione laringale per la consonante, cfr. Bortolini, Zmarich, Fior
& Bonifacio, 1995). Anche la preferenza per il luogo anteriore è spiegabile con ragioni
di tipo articolatorio: le labiali non richiedono manovre supplementari oltre l’azione della
mandibola, e le alveolari sono le consonanti linguali preferite perché più semplici da
produrre rispetto alle dorsali, essendo l’apice della lingua più mobile e più rapido del
dorso e più fornito di recettori propiocettivi e cinestetici (Kohler, 2000). L’occlusiva
nasale può essere prodotta con un range di sovrapposizione temporale molto ampio tra
le due azioni di abbassamento del velo e di effettuazione di una costrizione orale.
Queste consonanti sono proprio quelle che ci aspetteremmo se i bambini stessero
producendo gesti malamente controllati e scoordinati degli “organi” del condotto
vocale. Anche la preferenza per il tipo sillabico CV manifesta una propensione verso la
facilità articolatoria, poichè può essere prodotta da un singolo organo che forma una
costrizione ed una apertura senza una precisa coordinazione tra i gesti della consonante
e della vocale.
A 21 mesi l’inventario più completo è quello in posizione mediana, che incomincia
ad affermarsi come il contesto più facilitante (non è così per i bambini americani di
Stoel-Gammon, 2002, i cui inventari in posizione intervocalica sono essenzialmente
equivalenti a quelli in posizione iniziale). L’affermazione del contrasto di sonorità a 21
mesi manifesta il raggiungimento dell’abilità a coordinare i gesti in modo stabile: la
produzione delle occlusive sonore richiede che un gesto di adduzione glottale preceda il
rilascio della costrizione (oltre a richiedere l’abbassamento della glottide e
l’allargamento attivo delle pareti faringali per poter sostenere per un periodo critico il
differenziale di pressione transglottica). I foni [l] e [tS], introducono altre abilità
fonetiche, come l’abilità a prolungare un fono ([l]) o una sua fase ([tS]), coordinandola
alla fase precedente e mantenendo un grado di costrizione adeguato alla generazione
della turbolenza. Poiché questi foni non sono presenti nell’inventario dei coetanei
americani (cfr. Tab. 6), probabilmente manifestano l’influsso della lingua nativa, come
sembrano indicare alcuni dati (cfr. Zmarich & Miotti, 2003 b).
A 24 mesi si assiste al consolidamento di tutti i foni occlusivi e all’ingresso
massiccio delle fricative, differenziate per modo e luogo di costrizione. Il progresso
relativo ai 27 mesi è soprattutto visibile nella frequenza dei tipi sillabici, che vedono
aumentare i tipi complessi come CVC e CCV, e la comparsa del primo nesso
consonantico omosillabico [kw]. Diversamente dagli inventari dei bambini americani, i
glides [j] e [w] non compaiono mai negli inventari dei bambini italiani, stante forse la
diversa incidenza percentuale nelle rispettive lingue.
Un altro dato interessante che emerge dal confronto interlinguistico è che le prime
parole dei bambini italiani non hanno consonanti in posizione finale, diversamente da
quello che accade alle parole dei coetanei americani, che in posizione finale hanno
spesso una consonante (la dimensione degli inventari fonetici finali di parola è circa la
metà di quelli in posizione iniziale, cfr. Stoel-Gammon, 1985; 2002).
Un confronto diverso, e cioè di tipo longitudinale e intralinguistico, ci viene offerto
verso il basso con i dati fonetici di alcuni database infantili di altri soggetti che si
riferiscono al babbling (BAB-1 e BAB-2, cfr. Zmarich & Miotti, 2003 b), alle prime
parole fino ai 18 mesi (WORD-2, cfr. Zmarich & Miotti, 2003 b), ai target lessicali
adulti tentati (TARG, cfr. Zmarich & Miotti, 2003 b), e ad un corpus lessicale adulto
relativo al primo vocabolario dei bambini fino ai 30 mesi (PVB, Caselli e Casadio,
1995), e verso l’alto con i dati fonetici relativi all’italiano scritto (Batinti, 1993) e
parlato (Bortolini et alii, 1978). Il confronto non potrà essere che generico e grossolano
perché i dati a confronto si riferiscono a soggetti diversi, che producono oggetti diversi
(foni vs classi fonologiche), che vengono misurati in modo diverso (vedi sopra).
Per quanto riguarda il modo di produzione, i dati dei bambini del presente studio a 18
mesi sono simili ai dati del babbling e dei target adulti del vocabolario infantile
nell’esibire un’assoluta prevalenza dei tipi occlusivo e nasale. E’ interessante notare
come il confronto tra il database TARG e i due relativi alla lingua italiana evidenzi
probabilmente un comportamento selettivo dei bambini nella scelta dei target da
pronunciare (cfr. i concetti di preferenza sillabica e word avoidance, Vihman, 1996),
che sembrano dover contenere meno affricate, fricative e trilli (che infatti sono tra i foni
più difficili dal punto di vista articolatorio).
Per quanto riguarda il luogo di produzione, il dato più interessante è relativo
all’incremento percentuale delle bilabiali nello stadio delle prime parole (cfr. gli
inventari dei 18 mesi e il dato parallelo offerto dai database infantili WORD-2 e TARG)
rispetto sia alle fasi precedenti del babbling che ai pattern successivi della lingua parlata
dagli adulti.
In conclusione, è nostra speranza di essere riusciti a dimostrare che le consonanti
attestate nelle prime parole prodotte da questo gruppo di bambini italiani all'età di 18
mesi sono molto simili alle consonanti prodotte nel babbling, e che già a partire da
questa età, e poi più decisamente dai 21 mesi, è possibile cogliere qualche influenza
della lingua nativa. Abbiamo inoltre cercato di spiegare la configurazione degli
inventari, soprattutto quelli relativi ai 18 e ai 21 mesi, con considerazioni di natura
prevalentemente articolatoria, evitando il ricorso al concetto di "marcatezza" che può
essere usato in modo circolare (e dunque non esplicativo, cfr. Davis et alii, 2000).
La quantificazione più precisa di queste ed altre tendenze richiederà l'applicazione di
analisi statistiche e l'uniformizzazione dei dati di confronto che in questa sede avevamo
escluso di poter svolgere.
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