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Venerdì 17 Febbraio 2017
11
A un sacco di tempo dal crollo del Muro, troppi vivono come se ci fosse la Guerra fredda
Usa terrorizzati dalla Russia
L’ultima vittima di questa isteria è il generale Flynn
da Washington
ALBERTO PASOLINI ZANELLI
L’
ora dei conti è arrivata per la classe
politica americana
più presto di quanto
i più, non si sa perché, si attendessero. Come se gli scandali e scandaletti, le iniziative
troncate di colpo, i capogiri di
Donald Trump, dei suoi collaboratori e dei suoi avversari
avessero bisogno di settimane
o mesi per maturare. Il mondo d’oggi è veloce, l’America
è più di tutti gli altri Paesi,
nel cogliere i frutti dei successi ma anche, più sovente,
nel pagare le conseguenze
dei passi falsi. Non soltanto
dell’inesperto che siede da un
paio di settimane alla Casa
Bianca, che ha condotto una
campagna elettorale fuori
dalle consuetudini con una
vittoria tanto più brillante
in quanto meno attesa e che
ha creduto di poter continuare a quel ritmo di corsa
senza sedersi almeno un poco
a riflettere e a tastare le conseguenze e le difficoltà di un
ruolo che egli ha dimostrato
di saper conquistare ma non
ancora di saper gestire.
Ci sarebbe voluto, per
la verità, un altro miracolo,
anche perché non solo Trump
era praticamente obbligato
a inciampare e a sbagliare
nei primi pochissimi giorni
di Casa Bianca, ma anche
e soprattutto sono venuti
e continuano ad attirare i
costi di una campagna elettorale spregiudicata e non
poco di azzardo. Al di là delle
proporzioni, in quanto queste settimane, se non saranno mesi, saranno l’occasione
d’oro per l’opposizione, che
non è soltanto democratica
ma ha anche delle roccaforti repubblicane, che ha dalla
sua l’esperienza, il privilegio
di una ridotta responsabilità e la comodità
di dire no ad ogni occasione.
Figurarsi quando
l’occasione è buona
come è indubbiamente
oggi lo strascico delle
dimissioni (o forse
del licenziamento)
del generale Michael
Flynn che ha fatto le
sue buone esperienze
sui campi di battaglia
o negli Stati maggiori,
ma che non era preparato a una missione
politica così delicata
non in un Paese alleato, ma in una Superpotenza
rivale come la Russia, guidata da un uomo scomodo come
Vladimir Putin e apparentemente ansiosa da un lato
di liquidare le ultime conseguenze della Guerra fredda
e dall’altro di recuperare posizioni e prestigio nella sua
nuova orbita regionale.
Se il generale Flynn fosse
stato incaricato di condurre quelle sue esplorazioni a
Londra, a Berlino, a Tokio
o a Gerusalemme, avrebbe
potuto egualmente sbagliare
per il suo dimostrato eccesso
di zelo, ma senza essere confusamente buttato in un bidone in cui coabitano i sospetti
di spionaggio, salsa perenne
dell’immagine del Cremlino
in America.
Così se ne è dovuto andare
e di lui probabilmente non
sentiremo più parlare, ma le
ottenuti finora nella guerra
al terrorismo. Fra i Paesi oggi
meno tranquilli il primo è già,
inevitabilmente, la Siria, che
aveva appena cominciato a
respirare dopo cinque anni
di guerra civile e di pioggia
di sangue.
Trump non sa probabilmente come reagire a questo
sviluppo non desiderato e ha
Donald Trump e Michael Flynn
porte che lui era stato mandato a Mosca per chiudere sono
più spalancate che mai e le
conseguenze negative si infittiscono inevitabilmente.
Una delle proposte delle ultime ore è quella di sospendere ogni collaborazione
militare fra i due Paesi, che in
gran parte del mondo è tuttora una vuota formula, ma che
in Siria e in generale nell’area
di attività di Isis e Al Qaeda è
l’arma che ha portato ai soli
risultati veramente positivi
creduto di aver trovato l’occasione dei due incontri con
leader vecchi e solidi alleati
dell’America: il Giappone e
Israele. Il primo non era portatore di problemi urgenti
ed è anzi in questo momento
in una fase di ricucitura con
Washington a causa degli
interessi comuni suscitati
da un lato dal dissennato
riarmo nucleare nordcoreano e dall’altro dalle comuni
concrete preoccupazioni per
il graduale e accorto espan-
sionismo cinese nel Pacifico
meridionale.
Israele non ha una paragonabile ricchezza geografica e
neppure i suoi avversari, concorrenti o nemici, a cominciare dai palestinesi, che si vedono oggi ritirare il piatto della
più antica promessa, quella
di due Stati in Palestina.
Una vera svolta se Trump la
intende proprio così e un fatto
nuovo che forse potrà avere
conseguenze positive alla lunga ma sul momento complica
ulteriormente la partita.
Poi toccherà all’Europa.
L’inviato di Trump è già partito. Comincerà dalla Germania, come è ovvio. Ma dovrà
fermarsi un momentino a
riflettere su un curioso dato
non nuovo ma che riemerge.
Trump comprensibilmente si
lamenta che gli alleati europei spendono per la Nato non
solo meno dell’America, che
sarebbe ovvio, ma anche
proporzionalmente meno, a
cominciare proprio da Berlino.
La statistica che il nuovo
Segretario di Stato Tillerson non potrà interamente
ignorare mostra quattro
Paesi generosi nell’Alleanza atlantica.
Uno è la solita Gran Bretagna. Due, sono Paesi baltici. Ma il quarto è il più
generoso di tutti ed è la
Grecia. Atene spende per
la difesa più di Berlino.
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© Riproduzione riservata
IL PRELATO DELLA CHIESA ORTODOSSA GEORGIANA IN UNA RETE DI INTERESSI RELIGIOSI E POLITICI
Dietro il mancato avvelenamento del patriarca
È sospettato don Malamadze, amministratore della chiesa ortodossa
DI
S
ANTONINO D’ANNA
iamo a metà tra i Borgia
e 007: il tentativo di avvelenamento del patriarca della Chiesa ortodossa
georgiana Elia II, sventato per
un soffio all’aeroporto di Tbilisi
nei giorni scorsi, mostra come in
questo Paese visitato da Papa
Francesco dal 30 settembre al 2
ottobre scorso la religione possa
influenzare non poco la politica.
Parola dei funzionari d’ambasciata americana a Tblisi contenuta nei
cablo di Wikileaks. Sospetto attentatore è il capo del servizio di gestione
delle proprietà del Patriarcato della
Chiesa Ortodossa Georgiana, don
Georgy Mamaladze, arrestato
all’aeroporto di Tblisi con una dose
di cianuro pochi giorni fa. Se ritenuto
colpevole di aver attentato alla vita
di Elia, potrebbe scontare fino a 15
anni di carcere.
Elia II, che Jorge Mario Bergoglio ha abbracciato nel corso
della sua visita apostolica, ha 84
anni e regge la Chiesa ortodossa
georgiana dal 1977. Al momento
è in Germania per un’operazione
alla cistifellea, e ha avuto frequenti contatti con don Mamaladze.
Grazie al Patriarca, dopo la caduta
dell’Urss la Georgia ha ritrovato la
fede: la Chiesa locale ha acquisito
un ruolo sempre più importante
nella vita georgiana, fino al Concordato del 2005 che le ha riconosciuto un potere consultivo verso
il Governo.
E questo non è sfuggito agli
americani: l’8 dicembre 2008 il
cablo 08TBLISI2269_a osserva:
«Molti cittadini, pur non essendo
praticanti, non contraddirebbero
mai apertamente la Chiesa». Elia
viene descritto come: «Un astuto
diplomatico che ha un interesse
attivo nella politica interna».
Elia è sempre stato un elemento moderato, scrivono gli
americani. È rispettato dall’allora
presidente georgiano Mikheil Saakashvili e spesso è intervenuto a
mantenere pace e calma nel Paese
durante momenti di tensione.
Quando si è ipotizzato di revocare il Concordato, l’allora Nunzio
(ambasciatore) papale Claudio
Gugerotti ha avvertito gli americani: Rrevocare il Concordato
causerebbe una protesta pubblica
che metterebbe in crisi la stabilità del governo». Tanto che: «Se la
gente dovesse scegliere tra Chiesa e Governo, sceglierebbe per la
Chiesa e considererebbero gli Usa
mandanti di questa revoca».
In una situazione del genere
c’è chi ha interesse a destabilizzare. Chi?Cablo 09TBLISI2106_a del
3 dicembre 2009: «I gruppi fondamentalisti radicali ortodossi (…).
Si dice che il Patriarca, generalmente moderato, stia cercando di
calmare una fazione nazionalista
radicale (…) che vuole aumentare
la sua influenza nella Chiesa ortodossa georgiana».
Dall’altra parte, però, il Governo
è insofferente: «per la retorica conservativa e a volte antioccidentale
della Chiesa, per cui sembra che
qualcuno dentro l’esecutivo voglia
ridurre l’influenza della Chiesa,
ma senza criticarla pubblicamente».
I fondamentalisti sono divisi
in: «Due gruppi, la ‘Società di San
Davide costruttore’ e l’Unione dei
genitori ortodossi’, divenuti più
attivi di recente». In che modo?
«Hanno bloccato la costruzione
di una moschea (…) distribuito
libelli sulla pedofilia nella Chiesa
cattolica».
Il loro rapporto con la Chiesa ortodossa georgiana? Secondo i diplomatici yankee: «Sono affiliati alla
Chiesa, ma non ricevono direttive
da essa né vengono direttamente
finanziati. Tuttavia, tra i membri
di questi gruppi ci sono sacerdoti
della Chiesa ortodossa».
Elia II ha fatto sapere di non
credere alla tesi dell’attentato.
Ma gli americani, nel 2008, avevano scritto: «Al momento, la Chiesa è favorevole all’ingresso della
Georgia nella Nato e nell’Unione
europea, ma se le cose dovessero cambiare, specie quando sarà
necessario sostituire Elia II, diverrebbe una formidabile forza
d’opposizione per i governanti e
avrebbe un maggior peso sulla
politica estera georgiana». Per
adesso non è accaduto.
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