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PRIMO PIANO
Giovedì 16 Febbraio 2017
Paolo Berdini, grande urbanista, come amministratore della capitale ha fatto buchi nell’acqua
Come assessore, un vero disastro
E a che titolo Di Maio dice che lo stadio si farà?
DI
DOMENICO CACOPARDO
«P
aolo Berdini, urbanista, è nato a
Roma e si è laureato presso la
facoltà di Ingegneria dell’università La Sapienza. È stato
segretario generale dell’Istituto nazionale di urbanistica
dal 1990 al 1992. Componente Italia Nostra e del Comitato per la Bellezza Antonio
Cederna, ha fatto parte del
Consiglio nazionale del Wwf
dal 2009 al 2012. Tra i più
profondi conoscitori dell’urbanistica romana, ha pubblicato
tra gli altri: Il giubileo senza
città (Editori Riuniti, 2000) e
i libri collettanei Esclusione e
comunità dedicato alla figura
di Don Luigi di Liegro (Edizioni Lavoro, 2004) e Modello Roma (Odradek, 2007). Ha
collaborato con Italo Insolera
alla edizione aggiornata dello
storico volume Roma moderna (Einaudi, 2011). Sul piano
dell’urbanistica nazionale, è
autore de: La città in vendita
(2008), Breve storia dell’abuso edilizio in Italia (2010) e Le
città fallite (2014) (Donzelli
editore). Assieme ad altri autori ha pubblicato di recente
Viaggio in Italia (Manifestolibri 2016). Scrive regolarmente su quotidiani e periodici.
Editorialista dal 2009 de
il manifesto, dal 2001 al
2008 è stato editorialista
dell’edizione romana del
Corriere della Sera (tratto
dal sito dell’Assessorato
all’urbanistica e alle infrastrutture del Comune di
Roma il 14 febbraio 2017,
h.20).
Che Berdini, un uomo
con una storia professionale importante, tutta
spesa sul fronte del rigore
urbanistico (quel fronte
che con le sue rigidità ha,
di fatto, indirettamente
contribuito allo sviluppo
edilizio abusivo dell’Italia),
si sia imbarcato nella compagnia di ventura - di cui
Virginia Raggi, sindaca
di Roma, è una specie di
portavoce, secondo lo stile
della casa - messa in piedi
dal Movimento 5Stelle, per
amministrare la capitale è
stupefacente più che le sue
recenti evoluzioni.
Nonostante la magniloquenza del curriculum,
Berdini s’è comportato come
il più sprovveduto dei principianti, non ai vertici del
Campidoglio, ma di un qualsiasi paesetto di provincia.
L’incontro con un giornalista de La Stampa non
solo è stato confermato, a
dispetto della sua incauta
smentita, ma ha avuto la
lampante riprova di una
videoregistrazione, postata
sul web in due fasi: nella
seconda, l’interessato Berdini pregava il giornalista
di attribuire l’affermazione
più stupida e sessista del
colloquio, che la «Raggi e
Romeo sono amanti», a un
ignoto informatore.Follia
pura non le dimissioni, ma
l’avere accettato che la sindaca le «respingesse con riserva», formula avvocatizia
ignota alla prassi amministrativa.
Follia pura avere aspettato alcuni giorni per trasformare le normali dimissioni - quelle pronunciate
per ottenere un rifiuto - in
irrevocabili. Follia avere attribuito la trasformazione
alla questione stadio della
Roma, quando il logoramento aveva già conseguito il suo fine: l’inesistenza
di Berdini come assessore
comunale.
Il sorcio in bocca al
gatto (alla sindaca e sodali di partito) è lo stadio. Intendiamoci sul merito: appoggiare il «Sistema calcio»
a trovare una sua strada
mediante la realizzazione
di impianti sportivi e accessori di proprietà è una
scelta meritevole. Sin qui
(penso alla proposta - bocciata dalle autorità sportive
e non - dell’ing. Dino Viola
di costruire lo stadio della
Roma fuori porta mettendolo a disposizione per Italia
’90) il Coni e la Federazione
calcio hanno ostacolato attivamente l’ipotesi con riferi-
mento a tutto il Paese, salvo
il caso Juventus, kombinat
troppo forte per subire un
fermo.
Atteggiamento comprensibile, visto che gli stadi sono
strumento
di potere dei
comuni, del
Coni e della
Federcalcio,
ben lieti, attraverso questo mezzo di
pesare sulle
società del
settore.
Così
a
Roma, la
«joint-venture» società sportivacostruttore
Parnasi,
presentando
un progetto
di costruzione nella zona
di Tor di Valle (in prossimità dell’antica autostrada
Roma-Ostia), ha guardato al
conto economico e ai profitti
immediati e a medio-lungo
termine che l’operazione
avrebbe dovuto assicurare.
Di norma, si apre un negoziato tra l’Amministrazione pubblica e il privato
per raggiungere un equo
compromesso tra profitti e
servizio pubblico.Sosteneva
Berdini che l’impianto pro-
gettato stravolgeva le previsioni del Piano regolatore,
rendendo necessaria una variante smisurata.Lasciando
la valutazione della misura
a quando potremo leggere le
Virginia Raggi e Luigi Di Maio
carte (l’ipotesi di intesa), sullo stadio della Roma ci sono
troppe cose che non tornano.
E parliamo di politica e di
costume.
Primo: nel programma
elettorale dei 5Stelle lo
stadio era considerato opera
del diavolo. A esser sinceri,
dire «Sì» allo stadio è in evidente contraddizione con la
candidatura alle Olimpiadi,
di servizio alla città, al set-
PUNTURE DI SPILLO
I grillini non se la prendono con chi
rende possibile la macchina del fango
DI
I
GIULIANO CAZZOLA
pentastellati (che è la formula elegante
per indicare i «grillini») a Roma stanno facendo diverse esperienze che, mi
auguro, dovrebbero farli crescere e maturare. Non si stanno soltanto cimentando
con un tentativo di (s)governo, ma stanno
provando anche gli effetti della «macchina
del fango», un meccanismo a combustibile
mediatico-giudiziario che si serve di diversi
stratagemmi, tra i quali l’estrapolazione,
dal contesto di una conversazione o di un
ragionamento, di una frase che, resa pubblica e sbandierata in prima pagina, possa mettere nei guai la persona a cui viene
attribuita.
Il giovane di balde speranze Antonio
Di Maio, in un discorso un po’ più ampio,
si è lasciato scappare un riconoscimento
«politicamente scorretto», definendo Raffaele Marra «un servitore dello Stato» in
un sms inviato a Virginia Raggi. Come i
«Magnifici Quattro» che hanno pubblicato
la notizia, ne siano venuti in possesso, resta
un mistero. Nel testo della conversazione,
reso noto dai pentastellati (ecco un altro
gesto di riguardo) quella frase compare e
dà prova di un certo riguardo nei confronti
di Marra (che a mio avviso sta marcendo
in carcere allo scopo di mettere in difficoltà
Virginia Raggi), ma nulla di più.
Dove sta l’errore dei «grillini»? Se la
prendono con alcuni giornalisti, quando ci
sarebbe da denunciare un sistema. Ma non
possono e non vogliono farlo perché quel
sistema ha consentiti loro di entrare a
gamba tesa nello scenario politico di questo
povero Paese. Servirsi di frasi sconnesse,
intercettate a tradimento ed inserite in un
teorema giudiziario, è diventata la regola
delle indagini e del ricorso alla carcerazione preventiva.
***
«Matrimoni per amore, matrimoni per forza/ ne ho visti di ogni tipo tra gente di ogni
sorta...». È l’incipit di una bella canzone di
Fabrizio De Andrè. Alla mia veneranda
età potrei sostituire la parola «scissioni»
a «matrimoni». Infatti di scissioni «ne ho
viste di ogni tipo e tra gente di ogni sorta»:
le scissioni socialiste, quelle sindacali, poi,
dopo la Caduta del Muro di Berlino sono
cominciate quelle del Pci. Per buon gusto
non faccio cenno a quelle avvenute nell’ambito del centro destra. I motivi di queste
operazioni politiche un tempo erano nobili
e riguardavano i grandi valori che hanno
interessato e diviso il secolo scorso. Oggi
si annuncia una scissione del Pd. Nessuna
meraviglia: è da tempo che sono in pratica
due partiti in solo contenitore. Ci sarebbero quindi dei motivi più seri per dividersi
anziché una data del Congresso.
tore sportivo, all’economia
turistico-alberghiera, al commercio. Oltre alla possibilità
di ottenere un importante
stock di posti di lavoro cosa
che, nella situazione attuale,
avrebbe dovuto trovare un
significativo
gradimento.
Secondo:
da qualche
settimana,
l’operazione
è stata sottratta alle
valutazioni di
Berdini e presa in mano
dalla Raggi
e dal partito. Anzi, di
recente, proprio Luigi Di
Maio (colui
che, insieme a
Beppe Grillo, vorrebbe
imbavagliare
l’informazione) ha dichiarato che «Lo
stadio si farà».
Nessuno ha ritenuto di notare - e stigmatizzare- che,
con quelle parole, Di Maio
compiva una illegittima invasione di campo nell’area
di competenza istituzionale
della sindaca Raggi, anticipandone le decisioni. Quelle decisioni che sono di sua
esclusiva pertinenza politica
e amministrativa. Insomma,
il partitismo più becero, quello da cui ci siamo liberati da
un paio di decenni torna a
operare come se nulla fosse
accaduto.
Terzo: poiché sono in
corso trattative, sarebbe
doveroso che fosse specificata la delegazione e la posizione non rinunciabile del
comune, nonché le questioni
poste all’ordine del giorno
del gruppo di lavoro costituito in vista della conferenza
dei servizi organizzata dalla
Regione Lazio. Si dice che
Roma sia rappresentata da
un avvocato genovese senza
mandato: un esterno, quando
esiste un’Avvocatura comunale sin troppo ricca di professionisti.
Invece no. Il partito
della trasparenza e dello
«streaming» intende tenere
coperte le sue mosse, salvo
innalzare la solita bandiera
della demagogia bugiarda
per rivendicare risultati mirabolanti di cui nessuno si
accorge.
Lo stadio a questo punto
si farà. Ma non sarà una vittoria della Roma, di Roma e
dell’amministrazione Raggi.
Sarà l’ennesima operazione
fatta a spese della città. Il
lucro politico di Grillo e dei
suoi seguaci? Effimero, si ritorcerà contro di loro.
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