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Commentary , 9 febbraio 2017 L’ETIOPIA: IN SOMALIA PER RAGIONI INTERNE E OBIETTIVI REGIONALI

M ATTIA G RANDI L a narrazione delle relazioni tra Addis Abeba e Mogadiscio proposta dal governo etiope si è storicamente articolata lungo due direttrici principali: da un lato, la minaccia alla sicurezza (na zionale e regionale) derivante da una Somalia attraver sata da una constante instabilità, e dall’altro lato la vi sione che pone necessariamente l’Etiopia al centro dei processi regionali di integrazione (in termini economici quanto politici). Se la rappresentazione della Somalia come focolaio di violenza nel Corno d’Africa si ali menta dei controversi processi politici che hanno inte ressato il paese nella seconda metà del secolo scorso, l’immagine dell’Etiopia quale potenziale leader regio nale è venuta delineandosi con tinte più accese nel corso dell’ultimo ventennio. Il convergere di queste due nar razioni, congiuntamente alla disgregazione politica della Somalia post-Siad Barre, ha progressivamente ridefinito non solo il ruolo che l’Etiopia si è ritagliata nell’irrisolto processo di pacificazione del suo vicino, ma anche la strategia di Addis Abeba nell’ambito dell’integrazione regionale. L’Etiopia ha svolto un ruolo decisivo nel dipingere la Somalia come la minaccia principale alla stabilità re gionale, non soltanto cioè come terreno di scontro tra affiliazioni claniche in lotta per il controllo del territorio nazionale, ma soprattutto come base strategica per or ganizzazioni armate antagoniste al governo di Addis Abeba e, allo stesso tempo, espressione di organizza zioni terroristiche di natura transnazionale. Se il pro lungato periodo di guerra interna in Somalia rappresenta per l’Etiopia un fattore di rischio interno (per le ricadute negative in termini di opportunità economiche, di flusso di rifugiati, di controllo dei confini nazionali, ecc.), maggiore attenzione viene posta dal governo etiope sul timore che il territorio somalo possa servire da incuba tore per movimenti armati di opposizione (per es. l’Ogaden National Liberation Front o l’Oromo Libera tion Front) e sul pericolo di infiltrazioni di organizza zioni terroristiche (per es. al-Shabaab) nel paese. Di pingere in questa maniera la realtà somala di oggi ri sponde a due precisi obiettivi del governo di Addis Abeba: ne giustifica l’intervento militare – sia esso nella cornice di AMISOM o nell’ambito di accordi bilaterali – come manovra di natura difensiva contro il pericolo di espansione del conflitto oltre i confini nazionali e, in secondo luogo, costituisce un indiretto riconoscimento dell’influenza politica che l’Etiopia può esercitare nel processo di ricostruzione del paese. 1 Mattia Grandi è un ricercatore indipendente. Ha conseguito un Dottorato in Relazioni Internazionali presso la Scuola Sant'Anna di Pisa e vive attualmente ad Addis Abeba. Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.

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Da ormai due decenni, Addis Abeba si auto-rappresenta come l’unico paese della regione in grado di guidare in maniera efficace le diverse iniziative multilaterali che hanno interessato il Corno d’Africa. In particolar modo, la leadership acquisita all’interno dell’IGAD (Intergo vernamental Authority on Development, la principale organizzazione sub-regionale) e l’influenza esercitata all’interno dell’Unione Africana (la cui sede è proprio ad Addis Abeba) pongono l’Etiopia al centro dei pro cessi inter-statali nella regione. Inoltre, il proliferare di accordi bilaterali di cooperazione tra l’Etiopia e i paesi confinanti (non solo nell’ambito della sicurezza, ma anche in termini di cooperazione commerciale, energe tica, industriale ed infrastrutturale) testimoniano un’accurata attività diplomatica che aspira al ricono scimento dell’Etiopia quale potere egemonico nel Corno. In quest’ottica, non sorprende che il paese degli altipiani abbia rivolto grande attenzione al processo elettorale appena conclusosi in Somalia, certamente tra gli eventi politici più importanti per l’intera regione non solo per l’esito immediato ma soprattutto per le ricadu te, positive o negative, che provocherà nelle relazioni tra i paesi dell’area. L'accusa di ingerenze esterne nel processo elettorale è stata un tema ricorrente nei discorsi dei politici somali di questi ultimi mesi. Gli analisti stessi hanno rimarcato l'influenza esercitata non solo da paesi limitrofi quali l'Etiopia e il Kenya, ma anche da altri stati della regione come Sudan e Uganda, così come da governi con inte ressi economici e politici nell'area, inclusi gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia, i paesi europei e gli Stati Uniti. Il ruolo che l’Etiopia ricopre nell’evoluzione politica e nella risoluzione della crisi somala va dunque inteso all'interno di un mosaico di fattori e attori con interessi, aspirazioni e visioni divergenti sul futuro della Somalia e della regione in generale. In questo caleidoscopio po litico, le alleanze regionali hanno giocato e giocano un ruolo decisivo nella conformazione del sostegno poli tico non solo a fazioni contrapposte, ma più specifica tamente a diversi contendenti scesi in campo nella sfida elettorale. Per esempio, mentre l'Etiopia sostiene il raf forzamento del decentramento amministrativo nell'ot tica di un federalismo su base clanica (mutuato dal fe deralismo etnico istituzionalizzato in casa propria dopo la caduta del regime di Menghistu), altri paesi (come Gibuti e Kenya) temono che senza un accentramento di poteri a Mogadiscio il processo di stabilizzazione poli tica nel paese sia destinato a rimanere inefficace. L’Etiopia, dunque, è stata accusata da analisti e giorna listi somali di appoggiare apertamente la rielezione del presidente Hassan Sheikh Mohamud, risultato poi sconfitto. In assenza di dichiarazioni ufficiali da parte del governo etiope, tale accusa si fonda principalmente sulle analisi pubblicate da un think tank etiopico con siderato molto vicino agli apparati governativi, in cui si suggeriva che un candidato presidenziale daarood (leggi il Primo Ministro uscente, Omar Abdirashid Ali Shar marke) non potesse governare la Somalia. Tale tesi si basa a sua volta sul cosiddetto “Fattore Mogadiscio”, secondo il quale solo un hawiye (leggi il presidente Sheikh Mohamud) sarebbe in grado di guidare il paese con il riconoscimento dei maggiori clan somali. Questa prospettiva presentava dunque il mantenimento dello status quo come l’unica garanzia per il rafforzamento delle neonate e fragilissime istituzioni somale, e allo stesso tempo come unica barriera contro il riaffermarsi di al-Shabaab nel territorio somalo. Il vero o presunto avvicinamento dell'Etiopia a Sheikh Mohamud rappre sentava peraltro un deciso cambiamento di rotta rispetto al 2004, quando il clan hawiye veniva additato da Addis Abeba come l’origine dei mali della Somalia. Per altri paesi invece, come per esempio gli Emirati Arabi, un cambiamento dello status quo risulterebbe necessario per rilanciare il processo di stabilizzazione istituzionale. In conclusione, se la presenza militare di Addis Abeba in Somalia è un fatto assodato, tanto con la partecipa zione di truppe etiopi all'interno di AMISOM, quanto con un numero indefinito di truppe sul territorio somalo che agiscono in maniera autonoma rispetto alla mis sione dell’Unione Africana, l’ingerenza sulle dinamiche politico-elettorali è molto più difficile da tracciare, per due ragioni principali. In primo luogo, la natura degli 2

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equilibri politici nel Corno d'Africa devia l'attenzione dal caso specifico somalo verso una complessa rete di interessi, alleanze e giochi di potere regionali che ap partengono a un percorso istituzionale molto più ampio rispetto alla contingenza delle elezioni presidenziali. In secondo luogo, nonostante le dichiarazioni ufficiali, non è di immediata comprensione la questione se Addis Abeba trarrebbe maggior vantaggio da una Somalia stabile o da un territorio in guerra perenne dove le forze armate etiopi possano assumere un ruolo preponderante. Non a caso, una delle accuse più comuni tra gli analisti somali è quella che l'intervento etiope in Somalia non sia che una strategia per spostare l’attenzione dai cre scenti problemi interni di natura sociopolitica ed eco nomica. Certamente, al di là dell'esito dell’elezione appena conclusa, il focus sulla Somalia rimarrà priori tario nella strategia regionale del governo di Addis Abeba. La proiezione regionale del potere etiopico di penderà per gli anni a venire sia dai processi politici ed economici interni che dall’evoluzione delle relazioni con gli altri attori del Corno d'Africa o ad esso interes sati, come i paesi del Golfo, gli Stati Uniti e l’UE. Ma il processo di consolidamento politico in Somalia resterà un banco di prova cruciale per le ambizioni, presenti e future, di Addis Abeba nel Corno d'Africa. 3