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PRIMO PIANO
Venerdì 10 Febbraio 2017
9
Il primo cittadino arancione non si ricandida, M5S in difficoltà: ci prova il centrodestra
Toti s’è mangiato Doria e il Pd
Il governatore dietro la dèbâcle del sindaco di Genova
DI
GIOVANNI BUCCHI
C’
è anche la presenza ingombrante
di Giovanni Toti
dietro la figuraccia rimediata l’altro giorno in
consiglio comunale a Genova
dal sindaco ormai al capolinea Marco Doria, che si è
visto bocciare una delibera
strategica sull’ingresso della
multiutiliy Iren nell’azienda
municipale dei rifiuti Amiu.
È stato infatti il governatore ligure, con tanto di invito ufficiale annunciato ai
quattro venti, a chiedere ai
consiglieri comunali di centrodestra di non astenersi nel
voto che apriva le porte della
società pubblica ad azionisti
privati, bensì di votare contro così da sommare i propri
no a quelli degli elementi in
uscita dalla maggioranza di
centrosinistra e delle altre
opposizioni.
E così è stato. La contrarietà all’operazione di alcuni esponenti di Lista Doria
e Federazione della Sinistra e
di alcuni ex Pd era cosa nota,
ma a Tursi si faceva affidamento su una benevolenza da
parte del centrodestra che –
non essendo pregiudizialmente contrario alle privatizzazioni, anzi - astenendosi
avrebbe evitato il patatrac.
Come peraltro già successo
altre volte, quando il sindaco
arancione espressione di Sel
non si è fatto molti problemi
a sfruttare la compiacenza
dell’opposto schieramento o il
sostegno di qualche stampella centrista pur
di stare in piedi.
Toti invece ha
voluto buttare
giù Doria dalla
rupe, sapendo di
mettere in estrema difficoltà un
Pd genovese già
di per sé indebolito, che fino a
ieri ancora se ne
stava lì ad attendere che il sindaco svelasse le sue
intenzioni future.
Ossia, se si ricandida o meno.
Il tormentone
che va avanti
da mesi e ha già
logorato i dem,
contro il quale a
nulla è valso l’impegno del commissario regionale renziano David Ermini,
è finito dopo il pasticcio sulla
fusione Amiu-Iren sonoramente bocciata in aula; Doria
ha chiarito che in primavera
non si ripresenterà alle urne
per il secondo turno, e dal Pd
gli mandano a dire che se solo
lo avesse detto un po’ prima,
sarebbe stato tutto un po’
più semplice. Toti se la ride,
mentre la sua avversaria in
Regione Raffaella Paita lo
accusa di aver strumentalizzato questa vicenda per mero
Marco Doria e Giovanni Toti
calcolo politico.
Lo sanno anche i muri, il
governatore ha una voglia
matta di prendersi un pezzo
di leadership nel centrodestra nazionale, soprattutto
in Forza Italia.
Il suo asse con Matteo Salvini e l’universo leghista, che
lo ha condotto alla guida della Regione e con il quale ha
conquistato anche Savona,
lo vuole replicare anche alle
amministrative di Genova e
La Spezia che si terranno in
primavera. È sotto alla Lanterna che Toti
vuole vincere
a tutti i costi,
perché sa che
se riuscirà a
piazzare un
suo uomo (o
una sua donna, visto che
si è parlato
di Anna Pettene, moglie
di Edoardo
Garrone) nella sesta città
d’Italia, il suo
peso politico
tra i berlusconiani e non
solo aumenterà in maniera
considerevole.
La vittoria del centrodestra però è tutt’altro
che scontata in una città di
sinistra come Genova. Tuttavia, sono proprio le divisioni
della sinistra genovese che
potrebbero regalare un nuovo successo al governatore.
Si ricorderà quanto accaduto
in Regione due anni fa: Ser-
gio Cofferati non accetta la
sconfitta alle primarie contro
la renziana Paita, se ne rimane in ritiro a Bruxelles
a fare l’eurodeputato protestando contro tutto e tutti,
un pezzo del Pd (civatiani
in testa) si stacca e candida
Luca Pastorino coagulando i consensi di movimenti
e associazioni di quell’area;
Toti supera anche i 5 Stelle
e passa all’incasso andando
a vincere. Il quadro potrebbe ripetersi alle comunali di
Genova, con il Pd in panne
che fa pressing sul presidente della Fondazione Palazzo
Ducale Luca Borzani per
trovare un candidato condiviso con la sinistra, anche
se i renziani spingono per le
primarie e l’assessore Emanuele Piazza cerca consensi
nel mondo delle imprese per
una sua corsa.
I 5 Stelle dal canto loro
sono alle prese con la dolorosa uscita di scena di tre
consiglieri comunali storici,
guidati dall’ex capogruppo
Paolo Putti, che in lite con
la capogruppo regionale Alice Salvatore, fedelissimo di
Grillo e Casaleggio, se ne
sono andanti creando una
spaccatura tra gli attivisti.
Insomma, l’occasione per Toti
è particolarmente ghiotta.
© Riproduzione riservata
IN CONTROLUCE
Con un cigarillo in bocca, un cappellaccio come Eastwood nei panni
del cacciatore di taglie, Di Maio può dare la caccia ai giornalisti
DI
N
DIEGO GABUTTI
ervosette, le mezze pippe
mettono sotto accusa la
stampa, escluso giusto
il Fatto quotidiano, per
aver raccontato l’Affaire Polizze
come da noi è normale raccontare
ogni caso analogo, nessuno escluso.
Cioè secondo il principio che non ci
sono innocenti ma soltanto colpevoli ancora a piede libero, come insegna il presidente dell’Associazione
nazionale magistrati Piercamillo
Davigo (e com’è sempre piaciuto
credere ai mozzorecchi del blog).
E fin qui passi: le pagine giudiziarie, invece d’alimentare il
gossip, per esempio intervistando
assessori all’urbanistica col dente avvelenato, devono difendere a
spada tratta le sindache indagate
e chi accende polizze assicurative
a loro favore. In nome della libertà
d’informazione, la stampa è tenuta a minimizzare il fatto, o meglio
ancora a tacerlo. (Ma si potrà almeno allibire un po’ di fronte a
storie che non saranno reati, va
bene, ma che fanno dubitare della
sanità mentale dei «quattro amici
al bar»? No, non si può).
Perciò nessuno osi contestare il diritto dei gerarchi pentastelluti decisi a portare in tribu-
nale i cronisti che hanno osato
chiosare con un «ohibò» o con un
«ma guarda un po’ la santerellina»
l’interrogatorio di otto ore (otto
ore) toccato a Virginia Raggi in
Procura.
Un altro sindaco – un sindaco
«zombie», accusato come lei d’abuso d’ufficio, anzi indagato due volte per due distinti abusi d’ufficio –
meriterebbe non soltanto di finire
in prima pagina ma sarebbe anche
tenuto a dare immediatamente le
dimissioni e ad eclissarsi sotto
una nuvola di sputi.
Non lei, però. Non la sindaca
della capitale. Non una Vera Credente. «Virginia» – che ha tutta
la solidarietà di «Beppe» – è una
Perfetta della Chiesa antipolitica.
Ergo come si permettono i giornali?
È certissimamente vittima
d’un complotto (come con i rifiuti, lo ricorderete, quando l’opposizione aveva scaricato, nottetempo,
tutti quei frigoriferi scassati accanto ai cassonetti della capitale
per mettere in cattiva luce l’amministrazione modello).
Dietro tutto ciò che impedisce
l’angelicazione di Donna Virginia
Raggi ci sono i poteri forti (versione aggiornata delle «oscure forze
della reazione in agguato» e della
Cia, come ai vecchi tempi, quando cappellaccio in testa, praticamenl’antipolitica non era il partito- te identico a Clint Eastwood nei
azienda di Beppe Grillo ma il panni del cacciatore di taglie di
partito «queSergio Lestionmoralione, solo un
sta» d’Enrico
po’ più basso
Berlinguer).
e un po’ meno
In quanvirile, Luigi
to gazzetDi Maio potieri, siamo
trebbe dare
professionalla caccia ai
mente tenuti
giornalisti
a sapere che
felloni e prei Sindaci ½
sentare diPippa sono
rettamente
per definizioall’incasso i
ne al di sopra
bandi di rid’ogni sospetcerca.
to come la
Ma tutto
moglie di Ceè bene quel
che finisce
sare (Giulio,
bene. Comnon Previti)
mossa e più
e che la loro
Luigi
Di
Maio
sorridente
opera è salviche mai, «Virfica perché…
be’, perché è così e basta. Volendo, ginia» ha postato su Facebook un
si potrebbe dare forma giuridica a video in cui appare circondata da
mazzi, vasi, trionfi e forse persino
questa pretesa.
Che ne dite d’una multa di corone funebri di fiori. Fiori che
250.000 euro ai giornalisti che non piovono da ogni parte d’Italia, ha
ignorano ma raccontano i casi giu- spiegato la sindaca. Riceverli, ha
diziari dei dipendenti del partito- detto, «mi riempie il cuore». Grazie
dei fior. Papaveri e papere. Sanreazienda?
Con un cigarillo stretto tra i mo è Sanremo.
denti, la barba di due giorni e un
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