Ma quale pensione! A noi magistrati piace il potere…

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Transcript Ma quale pensione! A noi magistrati piace il potere…

“Ma quale pensione! A noi
magistrati piace il potere…”
di Giovanni M. Jacobazzi
Abbiamo chiesto al dottor Guido Salvini, attualmente giudice del
Tribunale di Milano, la sua opinione su alcuni temi che in questi
giorni stanno facendo molto discutere. Non ultima, la rinnovata
polemica sulla modifica delle prescrizione del reato.
Consigliere, l’Associazione nazionale magistrati ha disertato
l’inaugurazione dell’Anno giudiziario per protesta contro il governo
che non ha portato a 72 anni il pensionamento dei magistrati. Cosa
pensa di questa scelta?
Anche a me il pensionamento a 72 anni sembra una via di mezzo
ragionevole tra i 70 e i 75, ma da qui sino a minacciare anche uno
sciopero contro il governo ne passa. Giudico l’enfasi di questa
protesta un caso di falsa coscienza, di quelli in cui non si vuole
riconoscere nemmeno dinanzi a sé stessi le ragioni di un comportamento
e lo si riempie con qualcosa di non vero.
Si spieghi meglio.
La magistratura è l’unica categoria di lavoratori che chiede con
insistenza di lavorare più a lungo. E la strenua opposizione dei
magistrati all’abbassamento dell’età della pensione mi convince poco,
forse non riguarda che marginalmente l’attenzione per i cittadini. Più
semplicemente esprime lo sgomento per l’accorciarsi del tempo del
proprio prestigio e potere personale. Negli anni il potere della
magistratura si è molto espanso, tocca tutti i campi della società,
come ha ricordato anche il ministro Orlando, e le aspettative dei
singoli sono la conseguenza di questa espansione. In questo senso
parlo di falsa coscienza.
Lei partecipa di solito all’inaugurazione dell’Anno giudiziario?
No, l’inaugurazione dell’Anno giudiziario mi sembra una cerimonia
ormai superata, anche sul piano estetico: quelle toghe d’ermellino
rosse credo suscitino più che interesse un senso di lontananza, sembra
un anti- co conclave, qualcosa che per il cittadino assomiglia più ad
un rito che a un momento di servizio in suo favore.
Andrebbe abolita la cerimonia?
Basterebbe un incontro meno paludato e più asciutto, solo con qualche
relazione, magari in una sala del Consiglio comunale o in un altro
luogo più aperto alla città.
Tornando alle pensioni quindi per lei la mancata posticipazione non è
una catastrofe per la giustizia?
Non credo, anche perché quando si parla di giudici che mancano si
evita sempre di considerare le decine e decine di magistrati che,
anche da moltissimi anni, non svolgono le funzioni giurisdizionali,
perché sono collocati fuori ruolo in incarichi ministeriali, politici,
internazionali spesso superflui e per i quali basterebbe di norma un
buon funzionario.
Come spiega questa corsa al “fuori ruolo”?
Questo avviene perché incarichi di questo genere sono un prestigio per
i prescelti e, per la categoria, una delle porte girevoli tra politica
e giustizia, porte che non dovrebbero esistere o essere ridotte al
minimo.
In effetti ci sono magistrati che svolgono compiti che nulla hanno a
che vedere con la giurisdizione…
Infatti. Non si parla mai, quasi nessuno lo sa, delle centinaia di
magistrati che svolgono funzioni giurisdizionali ridotte perché fanno
parte delle numerose strutture di supporto che il Csm ha voluto: è il
caso dei magistrati segretari del Consiglio, di coloro che fanno parte
delle Commissioni organizzative, delle Commissioni per l’informatica,
delle Commissioni scientifiche. Anche qui basterebbe a seconda dei
casi un buon tecnico, un funzionario o uno studioso e negli altri gli
incarichi non dovrebbero ridurre le presenze in udienza.
Possiamo dire che far parte di questo mondo parallelo alla
giurisdizione serva a far carriera?
La partecipazione a queste strutture, in cui si entra per cooptazione,
è quasi sempre un passaggio obbligato per ottenere poi dallo stesso
Csm gli agognati posti direttivi.
Cambiamo argomento. Diritto all’informazione e processo mediatico, un
valore e un disvalore che secondo lei dovrebbero essere meglio
bilanciati?
La giustizia spettacolo e gli show in televisione che partono già
all’inizio dell’indagine e rischiano di condizionarne gli sviluppi
sono un problema tutto italiano. Non credo che negli altri Paesi
europei dopo ogni delitto eclatante si assista in televisione a
processi paralleli con opinioni senza alcun freno. Chi vi partecipa è
complice di questa stortura. A parte questo, un problema ormai
irrisolvibile, si dibatte da anni sui limiti reciproci tra giustizia e
informazione.
È pessimista, a riguardo?
Il problema è complesso ma
nessuno, grande o piccolo,
notizia per la prima volta
registro notizie di reato,
credo che vi sia un punto essenziale:
antipatico o simpatico che sia, deve avere
dalla stampa di una sua iscrizione nel
di una proroga indagini, di una
intercettazione, di un atto che lo riguarda.
Come si potrebbe fare?
Non dovrebbe esserne consentita la pubblicazione sino ad un momento
preciso, non troppo avanti rispetto alla notizia, ma ben definito.
Quello in cui l’interessato, indagato o testimone, abbia avuto la
possibilità davanti a un magistrato di dare la sua versione su ciò di
cui è accusato o su quanto stanno dicendo di lui. Una soluzione civile
che dovrebbe essere studiata anche con l’aiuto dell’Ordine dei
giornalisti, il quale non credo debba essere contento che i suoi
scritti funzionano da semplici ‘ postini’.
Un’ultima domanda. Cosa ne pensa del dibattito sulla prescrizione?
Non bisogna dimenticare che vi sono due piani e che anche se si
allunga la prescrizione rimane il problema della ragionevole durata
dei processi, questione spesso offuscata dalla prima. Si può allungare
la prescrizione per certi reati anche a 15 anni, ma se il processo di
primo grado si celebra dopo 7 o 8 anni chi viene condannato e
soprattutto chi viene assolto è sottoposto ad un meccanismo che non
può riconoscere come una giustizia accettabile. L’esigenza non è solo
quella di allungare la prescrizione ma anche di avvicinare i processi,
altrimenti il processo stesso diventa una pena aggiuntiva anche per
l’innocente.
*intervista tratta dal quotidiano ILDUBBIO