Accordo Libia-Italia efficace? Tutto dipende da Haftar

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Accordo Libia-Italia efficace? Tutto dipende da Haftar | 1
venerdì 03 febbraio 2017, 16:30
Migranti
Accordo Libia-Italia efficace? Tutto dipende da Haftar
Intervista a Roger Bou Chahine, direttore dell'Osservatorio Geopolitico Medio Orientale
di Gisella Governi
Ieri, a Palazzo Chigi, è stato siglato il 'memorandum' tra Italia e Libia, firmato dal Presidente del Consiglio Paolo
Gentiloni e il Primo Ministro libico Al-Serraj. È importante capire cosa prevede tale accordo, per comprendere le
ripercussioni che avrà all'interno della questione migratoria italiana ed europea. Ma, per entrare nel merito della questione,
dobbiamo fare un passo indietro: l’ultimo accordo vincolante tra Libia e Italia è il trattato siglato, nel 2008, da
Silvio Berlusconi e Mu'ammar Gheddafi, in cui entrambi i Paesi s’impegnavano nel pattugliamento congiunto
delle coste libiche. Inoltre, l’Italia doveva garantire a Gheddafi una somma di 200 milioni di dollari all'anno per 20 anni,
sotto forma di investimenti e infrastrutture in Libia. Dal 2008 sono cambiate molte cose nel Paese africano: innanzitutto il
regime di Gheddafi è crollato nel 2011; dalla caduta della dittatura in Libia si sono susseguite continue guerre interne per
accaparrarsi il potere, che hanno reso il Governo libico sempre molto fragile e incapace di gestire i flussi migratori che
partivano dalle sue coste. Ieri, in vista della preoccupazione crescente che riguarda l’immigrazione, i due Paesi hanno deciso
di provare a siglare un nuovo accordo, per delineare una strategia comune contro lo sbarco sulle coste italiane. La linea
d’azione è stata suddivisa in 8 articoli, in cui entrambe le parti s’impegnano nella gestione del problema. Per prima cosa,
com'è scritto nel documento, «la parte italiana fornisce sostegno e finanziamento a programmi di crescita nelle
regioni colpite dal fenomeno dell'immigrazione illegale, in settori diversi, quali le energie rinnovabili, le infrastrutture,
la sanità […] La parte italiana si impegna a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati
della lotta contro l'immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia
costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell'Interno». Inoltre «le Parti
collaborano per proporre, entro tre mesi dalla firma di questo memorandum, una visione di cooperazione euroafricana più completa e ampia, per eliminare le cause dell'immigrazione clandestina, al fine di sostenere i paesi d'origine
dell'immigrazione nell'attuazione di progetti strategici di sviluppo». Un altro punto importante, che tocca gli interessi delle
organizzazioni umanitarie, è contenuto nell’Articolo 2, in cui si spiega che entrambi i Paesi s’impegneranno a sostenere «le
organizzazioni internazionali presenti, e che operano in Libia nel campo delle migrazioni, a proseguire gli
sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei propri paesi d'origine, compreso il rientro volontario». Per la questione
economica, invece, è rilevante l’Articolo 4, in cui lo Stato italiano garantisce «il finanziamento delle iniziative
menzionate in questo Memorandum o di quelle proposte dal comitato misto indicato nell'articolo precedente senza
oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato italiano rispetto agli stanziamenti già previsti, nonché avvalendosi di fondi
disponibili dall'Unione Europea, nel rispetto delle leggi in vigore nei due Paesi». Per comprendere quali effetti produrrà
questo ̔memorandum ̓, sia in Italia che in Libia, abbiamo intervistato Roger Bou Chahine, Direttore di OGMO (Osservatorio
Geopolitico Medio Orientale). Bou Chahine, dal 2008 ad oggi come sono cambiati i rapporti fra Libia e Italia? Ci
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sono stati diversi patti fra Libia e Italia, ma la cosa importante è che, dal momento della caduta di Gheddafi, non ci sono stati
accordi applicabili al cento per cento sul territorio libico. Il motivo è che, dal momento in cui è caduto il regime di Gheddafi, il
territorio del Paese non è mai stato sotto il controllo di un solo Governo o di un solo potere: la Libia, dopo la caduta della
dittatura, fu subito divisa e ogni frazione controllava una del parte il territorio. Partendo dal trattato del Governo Berlusconi
tutti gli accordi successivi hanno cercato di mantenere il controllo sulla questione migratoria, sia a livello militare,
addestrando le guardie costiere libiche, sia a livello di mezzi. Nel 2013 il Governo Letta s’impegnò in un grande programma
di addestramento delle forze libiche per sostenere il primo ministro Ali Zeidan, affinché riuscisse a gestire in maniere
efficace le partenze dalle coste libiche. Grazie a questo intervento ci fu una riduzione ingente del flusso migratorio ma, con
la caduta del Primo Ministro Zaidan, il successivo Governo Al-Thani non riuscì a garantire la stessa efficacia, anche perché,
nel frattempo, il Governo Letta era caduto. Inoltre, durante il Governo Zaidan, l’allora Ministero della Difesa Khalifa Belqasim
Haftar si oppose molto alle decisioni del Primo Ministro. Dunque, questa scissione interna rese ancora più difficile il tentativo
di trovare gli accordi con l’Italia. In sintesi, da quando è caduto il Governo di Gheddafi le forze che avrebbero voluto
prendere il potere in Libia non hanno mai smesso di farsi guerra: da una parte c’è l'IS, che aveva preso il comando di Sirte,
una delle città più importanti della Libia; dall’altra c’è lo scontro tra il Governo di Al-Serraj e le milizie del generale Khalifa
Haftar, che controlla ancora buona parte dei territori orientali della Libia, e che ha rifiutato più volte l’accordo di Skhirat.
Ovviamente, difronte a questa confusione interna, è impossibile varare un’intesa funzionale con i Paesi europei. Cosa
dovrebbe fare la Libia per uscire da questa condizione d’immobilità e divisione? Bisognerebbe che la Libia
seguisse l’iter tunisino: fare un Governo che unisca tutte le parti contrapposte, ovviamente impedendo all’Islam radicale di
partecipare al Governo, escludendolo dalla vita politica. Sicuramente, in Libia, cacciare gli uomini dell’IS sarà più difficile
perché il Paese è più vicino al focolaio islamico, ma comunque sia, la situazione libica rispecchia molto quella tunisina, che si
è risolta con meno spargimenti di sangue e con un Governo abbastanza solido. Secondo lei questo accordo tra Libia e
Italia riuscirà a fermare il flusso emigratorio? Non vedo questo accordo come un risultato efficace a lungo termine,
perché il Primo Ministro Serraj non controlla tutte le coste libiche, gran parte delle quali sono in mano ad Haftar: questa
intesa, dunque, riacquista solo in parte il controllo delle rotte migratorie. Ovviamente, dando soldi a un Governo instabile è
difficile pensare che ci saranno dei grandi risultati; in più, controllando solo parte delle rotte in questione, se chiuderemo
queste se ne creeranno altre, non diminuendo affatto il flusso di immigrati. Un piano risolutivo per la questione migratoria
potrebbe essere attuato solo se il Governo libico riuscisse a rafforzare il suo potere sul territorio, ad oggi troppo
frammentato. I fondi italiani, dunque, saranno usati in modo appropriato? Sicuramente l’Italia metterà a disposizione
dei fondi, ma tutte le infrastrutture che verranno create saranno sotto il controllo italiano e, se vi saranno fatte delle opere
pubbliche, verranno usate ditte italiane, che appunto potranno guadagnare su tali lavori. Sicuramente ci sarà un grande
sparpagliamento di denaro e risorse: è difficile pensare che, in un Paese diviso politicamente, ci sia un uso approprio dei
fondi stanziati contro il flusso migratorio. Inoltre, un altro punto importante, riguarda la posizione dell’Ambasciata italiana
che, ufficiosamente, appoggia Haftar nella lotta al terrorismo islamico. Come può lo Stato italiano sostenere da una parte il
Governo di Al-Serraj per la questione migratoria, e dall’altra le forze di Haftar per la lotta contro l’Is? In più c’è da
considerare la questione del petrolio: l’Italia stanzierà dei fondi per la soluzione dei flussi migratori, ma sicuramente avrà
tanti vantaggi sulle risorse petrolifere libiche. Dunque, dal punto di vista economico, penso che per l’Italia potrebbe essere
un piccolo affare, ma sicuramente questo piano non rallenterà in modo strategico i flussi migratori. Alcune organizzazioni
per i diritti umani hanno protestato per questo accordo. Da dove deriva tale dissenso? La Libia continua ad
andare in malora perché Al-Serraj deve spartire i fondi che gli vengono dati dall’Italia con tutte le parte politiche in ballo, per
mantenere in piedi il suo Governo. Dunque, i soldi stanziati per la risoluzione dei flussi migratori non verranno utilizzati per
mantenere i migranti in condizioni sanitarie e umanitarie idonee. Se in Italia, con tutto il benessere che c’è, non si riesce a
gestire la situazione dei migranti, come possiamo pretendere che un Paese come la Libia possa garantire i diritti umani?
Quando arriveranno al confine libico tutte le persone che sperano di raggiungere l’Italia, o in generale l’Europa, verranno
uccise, 'sparate' o rispedite nel deserto. Quando il flusso migratorio giungerà al punto di smistamento, tra Sudan, Ciad, Libia
ed Egitto, gli immigrati verranno respinti indietro con le armi, nella speranza che passino per altri Paesi come Egitto o
Algeria. Quali altre rotte migratorie potrebbero aprirsi? Non so quale rotte potrebbero aprirsi, tutto dipende se Haftar
verrà incluso o meno nell’accordo: Haftar impedirebbe con la forza il flusso anche nella parte orientale e, dunque, quasi
l’intero flusso migratorio si sposterebbe verso Tunisi. Ovviamente le mie sono solo ipotesi di uno scenario che deve ancora
realizzarsi. Però, se a Tunisi hanno attivato dei sistemi di controllo e repressione, il flusso si sposterà ulteriormente, verso
l’Algeria. Il trafficante stesso contrasterà questi provvedimenti cercando altre soluzioni e altre vie, che sono ancora tutte
aperte.
di Gisella Governi
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