mercoledì 25 gennaio 2017

Download Report

Transcript mercoledì 25 gennaio 2017

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004
Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVII n. 19 (47.453)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
mercoledì 25 gennaio 2017
.
Nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali il Papa invita ad avere uno sguardo nuovo sulla realtà
Firmato l’ordine esecutivo per il ritiro dal Tpp
Con gli occhiali giusti
Trump cancella
l’accordo del Pacifico
Le buone notizie non fanno notizia:
in un sistema informativo globale
dove sembra vigere questo singolare
paradosso, occorre lavorare al servizio di «una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura
dell’incontro, grazie alla quale si
possa imparare a guardare la realtà
con consapevole fiducia». È quanto
raccomanda Papa Francesco nel
messaggio per la cinquantunesima
giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra il prossimo 28 maggio, solennità dell’Ascensione del Signore.
Presentato martedì 24 gennaio,
nella Sala stampa della Santa Sede,
il testo papale è un deciso appello a
«spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della
paura, frutto dell’abitudine a fissare
l’attenzione sulle “cattive notizie”»
come le guerre, il terrorismo, gli
scandali e ogni tipo di fallimento
nelle vicende umane. Certo — avverte il Pontefice — «non si tratta di
promuovere una disinformazione in
cui sarebbe ignorato il dramma della
sofferenza», né di «scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia
toccare dallo scandalo del male».
In cima alle preoccupazioni di
Francesco sta, in realtà, la volontà di
«oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia,
ingenerando paure o l’impressione
che al male non si possa porre limite». Contro la tentazione di «anestetizzare la coscienza» o di «scivolare
nella disperazione», spettacolariz-
Scattata
l’operazione
per la riconquista
finale di Mosul
y(7HA3J1*QSSKKM( +/!z!#!?!,!
«la realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco»: tutto dipende
infatti «dallo sguardo con cui viene
colta, dagli “occhiali” con cui scegliamo di guardarla: cambiando le
lenti, anche la realtà appare diversa». Da dove partire allora per leggere la quotidianità con gli «occhiali
giusti»? Per il Pontefice «l’occhiale
adeguato per decifrare la realtà non
può che essere quello della buona
notizia per eccellenza: il Vangelo di
Gesù».
Questa notizia — spiega Francesco
— «non è buona perché priva di sofferenza, ma perché anche la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio, parte integrante del suo amore
per il Padre e per l’umanità». Allo
stesso modo si può leggere «ogni
nuovo dramma che accade nella storia del mondo»: esso è anche «scenario di una possibile buona notizia,
dal momento che l’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di
commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire».
Per «scorgere e illuminare la buona notizia presente nella realtà di
ogni storia e nel volto di ogni persona» c’è bisogno, in definitiva, di
operatori della comunicazione capaci
di «discernere in ogni avvenimento
ciò che accade tra Dio e l’umanità».
E di riconoscere che, «nello scenario
drammatico di questo mondo», si
compone «la trama di una storia di
salvezza» il cui filo è la speranza.
Paul Klee, «Sguardo dal rosso» (1937)
PAGINA 7
Alla ricerca della pace in Siria
Digitalizzate migliaia di carte
Per Roncalli
un archivio 2.0
A PAGINA
bile nelle persone» alle quali si comunicano le notizie. «Vorrei invitare
tutti — scrive — a offrire agli uomini
e alle donne del nostro tempo narrazioni contrassegnate dalla logica della “buona notizia”».
Un impegno, questo, che va affrontato con la consapevolezza che
Ribelli e governo riuniti ad Astana intenzionati a prolungare la tregua
BAGHDAD, 24. È scattata questa mattina l’operazione militare per la riconquista di Mosul ovest, il settore
della città irachena ancora nelle mani dei jihadisti del cosiddetto stato
islamico (Is).
Le forze di sicurezza irachene
hanno preso ieri il totale controllo
della parte orientale della città di
Mosul, come ha annunciato sul suo
sito web il ministero della difesa. Le
forze irachene sono impegnate ora
in operazioni per la rimozione degli
esplosivi lasciati nella zona dai jihadisti dell’Is, per l’apertura di strade
e l’allestimento di checkpoint. Mosul, nel nord dell’Iraq, è finita nel
giugno 2014 nelle mani dei jihadisti
che l’hanno trasformata in uno snodo strategico delle loro attività in
tutta la regione. La campagna per la
liberazione di Mosul, con il sostegno della coalizione internazionale a
guida statunitense, è stata lanciata a
metà ottobre.
«Le forze armate sono riuscite a
liberare completamente la sponda
destra della città di Mosul dopo
aver inflitto pesanti perdite al nemico sia a livello di vite umane che a
livello di danni materiali» si legge
nel comunicato del ministero iracheno della difesa.
Intanto — come riferisce una nota
governativa — il premier iracheno
Haidar Al Abadi ha ordinato ieri la
creazione di un comitato d’inchiesta
per far luce sulle denunce di presunti rapimenti, abusi e maltrattamenti
attribuiti a forze governative contro
civili di Mosul e della regione di Ninive.
EZIO BOLIS
zando «il dramma del dolore e il
mistero del male», il Papa propone
perciò «uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da
protagonista, ma cerchi di mettere in
luce le possibili soluzioni, ispirando
un approccio propositivo e responsa-
4
ASTANA, 24. Secondo e ultimo giorno di colloqui sulla crisi siriana ad
Astana, in Kazakhstan, con l’obiettivo di porre fine a un conflitto che
dal 2011 a oggi ha fatto centinaia di
migliaia di vittime e milioni di profughi. I negoziati, promossi da
Russia, Turchia e Iran, dovrebbero
concludersi nel pomeriggio con una
conferenza stampa dell’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan
de Mistura, come annunciato dal
ministero degli esteri di Astana. Intanto, l’opposizione siriana ha detto
di rifiutarsi di «discutere di faccende politiche, ci interessa solo la tregua» come ha spiegato Osama Abu
Zeid, uno dei portavoce della delegazione dei ribelli siriani alle trattative. «Finché non cesserà il fuoco,
non ne parleremo, non abbiamo discusso nessuna faccenda politica e
non intendiamo discuterne» ha affermato l’esponente dell’opposizione moderata.
In effetti, al momento l’unico
punto d’incontro tra le delegazioni
presenti ad Astana sembra essere la
consapevolezza della necessità di
consolidare la tregua in vigore in
Siria dal 30 dicembre scorso (tregua
che esclude le formazioni terroristiche) per consentire la distribuzione
di aiuti umanitari. Oltre a delegazioni di Russia, Turchia, Iran e
Onu, ai colloqui partecipano anche
rappresentanti degli Stati Uniti, ovvero un team della nuova amministrazione Trump. I partecipanti —
scrive stamani l’agenzia di stampa
russa Tass — lavorano per concludere un documento per il consolidamento della tregua e la conferma
dell’impegno a trovare una soluzione politica alla crisi con la formazione di un governo ad interim. Secondo la Tass, l’inviato speciale de
Mistura si è detto ottimista riguardo agli sviluppi registrati nei colloqui di Astana, anche in previsione
del prossimo round di negoziati
previsto per febbraio a Ginevra.
Intanto ieri è stata diffusa la notizia, da parte del ministero degli
esteri di Mosca, della prima operazione congiunta russo-statunitense
contro i jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is).
I caccia — secondo la versione
russa — avrebbero bombardato Al
Bab, nel governatorato di Aleppo.
«Il 22 gennaio, il commando
dell’unità delle forze aeree russe
nella base di Hmeimim ha ricevuto
dagli Stati Uniti coordinate riferite
a obiettivi dell’Is nei pressi dell’area
abitata di Al Bab.
Due aerei da guerra russi e due
della coalizione internazionale hanno effettuato raid aerei contro installazioni dei terroristi, distruggendo diversi depositi di munizioni,
carburanti, lubrificanti e colpendo
militanti e apparecchiature militari»
si legge nel comunicato del ministero.
Tuttavia, oggi la notizia è stata
smentita da fonti del Pentagono.
«Un coinvolgimento o partecipazione americana a sostegno di raid
aerei russi ad Al Bab, nel nord della Siria, è falso al cento per cento»
ha precisato il portavoce, Adrian
Rankine-Galloway. Il portavoce
della Casa Bianca, Sean Spicer, ha
detto che, in ogni caso, il presidente Trump «intende lavorare con
ogni paese che vuole sconfiggere
l’Is», come già annunciato durante
la campagna elettorale.
WASHINGTON, 24. «Proteggiamoci
da chi ci ruba il lavoro»: con queste parole il presidente statunitense
Donald Trump ha firmato ieri l’ordine esecutivo che sancisce il ritiro
degli Stati Uniti dal Tpp, ovvero il
Trans Pacific Partnership, l’accordo
di libero scambio con undici paesi
affacciati sul Pacifico. Un accordo
che il suo predecessore, Barack
Obama, aveva fortemente voluto e
che gli era costato due anni di
grossi sforzi diplomatici. Trump ha
così adempiuto alle promesse fatte
in campagna elettorale, quando
aveva definito l’accordo «pericoloso per l’industria statunitense» e
quindi da cancellare.
«Stiamo facendo grandi cose per
i lavoratori americani» ha spiegato
il vincitore delle elezioni dello scorso 8 novembre. L’obiettivo della
Casa Bianca, ora, è siglare accordi
bilaterali con le nazioni asiatiche.
Trump ha comunicato anche che
intende rinegoziare il Nafta (North
American Free Trade Agreement).
«Dobbiamo proteggere i nostri
confini dal saccheggio degli altri
paesi che fanno i nostri prodotti,
rubando le nostre aziende e distruggendo posti di lavoro» ha
spiegato il presidente. La tesi di
Trump è che il Tpp avrebbe penalizzato l’economia americana. Il
mercato sarebbe stato invaso dal
dumping dei paesi asiatici, ovvero
prodotti a basso prezzo, capaci di
mettere in difficoltà le aziende locali. Trump ha poi firmato l’ordine
che congela le assunzioni del governo federale «fatta eccezione per
i militari». Anche questa, una promessa elettorale.
Il Tpp era stato fortemente voluto da Obama e firmato il 15 ottobre
del 2015 da 15 paesi tra cui Australia, Canada, Cile, Giappone, Messico, Singapore e Vietnam. Il protocollo, in realtà, non era mai entrato in vigore: il Congresso, controllato dai repubblicani, lo aveva
bloccato fin dall’inizio e anche altri
paesi non lo avevano mai ratificato.
Ora bisognerà capire — dicono gli
analisti — se il ritiro dal Tpp significherà anche l’azzeramento della
strategia politica costruita negli ultimi due anni dall’amministrazione
Obama, in particolare per quanto
riguarda i rapporti con Giappone e
Cina. Non è un mistero che il Tpp
fosse stato concepito per arginare
l’espansionismo della Cina, esclusa
dall’intesa, formando un blocco
economico che poteva coprire il
quaranta per cento del pil globale
(prodotto interno lordo), controllando il cosiddetto “corridoio asiatico” dell’Oceano Pacifico, punto
da cui transita il cinquanta per
cento del flusso commerciale mondiale.
Tra cattolici, anglicani e metodisti
Sulla stessa strada
ANTHONY CURRER
A PAGINA
5
Diverse le reazioni agli annunci
di Trump. Il ritiro dal Tpp rappresenta una straordinaria opportunità
per la Cina: questa la tesi del politologo Ian Bremmer, condivisa da
molti altri esperti. «Non è isolazionismo: Trump continuerà a tessere
rapporti, ma lo farà sul piano bilaterale» ha spiegato Bremmer. «Lo
considera più conveniente in termini di forza negoziale, ma in questo
modo non solo getta nel caos l’attuale sistema di scambi commerciali, ma rende precari i rapporti politici degli Stati Uniti con molti paesi in Asia e in America latina».
Il governo australiano ha espresso oggi la volontà di condurre negoziati per portare avanti il Tpp
anche senza il sostegno degli Stati
Uniti. Canberra ha ipotizzato la
possibile partecipazione della Cina
all’intesa. A dimostrazione della
volontà di rilanciare con forza l’industria statunitense, ieri il presidente ha incontrato alla Casa Bianca alcuni leader di grandi compagnie. Nel corso dell’incontro,
Trump ha minacciato pesantissimi
dazi a quelle aziende che sposteranno la produzione fuori dagli
Stati Uniti per poi esportare in
America.
La Mexico City Policy
Per i vescovi
un passo positivo
per la vita
WASHINGTON, 24. Un «passo
positivo». Così l’arcivescovo di
New York, cardinale Timothy
Michael Dolan, presidente della
commissione per le attività prolife dell’episcopato statunitense,
ha accolto l’ordine esecutivo
della Casa Bianca che ieri ha ristabilito la cosiddetta Mexico
City Policy, cioè il blocco dei
fondi federali alle ong internazionali che praticano o promuovono aborti. Per Dolan, la cui
dichiarazione è stata diffusa dal
sito in rete dell’episcopato, il
provvedimento firmato dal presidente Donald Trump rappresenta un primo passo verso «il
ripristino e il rafforzamento di
importanti politiche federali che
rispettino il più fondamentale
diritto umano, il diritto alla vita». La Mexico City Policy (così
chiamata perché annunciata in
occasione
della
Conferenza
mondiale delle Nazioni Unite
sulla popolazione che si tenne
nel 1984 a Città del Messico)
impone alle ong con sede
all’estero che ricevono aiuti degli Stati Uniti di certificare che
tra le proprie attività non vi sia
la promozione dell’aborto come
metodo di pianificazione familiare nei paesi in via di sviluppo.
NOSTRE INFORMAZIONI
Dalle Chiese
O rientali
Il Sinodo dei Vescovi della
Chiesa Arcivescovile Maggiore
Siro-Malankarese ha accolto la
rinuncia al governo pastorale
dell’Eparchia di Puthur, presentata da Sua Eccellenza Monsignor Geevarghese Mar Divannasios Ottathengil.
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Civili siriani tra le macerie causate dai bombardamenti nella città vecchia di Aleppo (Afp)
Il Santo Padre ha nominato
Ausiliare dell’Arcidiocesi di Ba-
menda (Camerun) il Reverendo
Michael Miabesue Bibi, Segretario Cancelliere della medesima Arcidiocesi, assegnandogli
la Sede titolare vescovile di
Amudarsa.
Il Santo Padre, confermando
l’avvenuta elezione canonica a
norma del n. 130 degli Statuti,
ha nominato Prelato della Prelatura Personale della Santa
Croce e Opus Dei il Reverendissimo Monsignor Fernando
Ocáriz, finora Vicario Ausiliare
della stessa Prelatura.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
mercoledì 25 gennaio 2017
Il presidente della Corte suprema di Londra
legge il verdetto (Ap)
Il presidente eletto del Gambia nomina una donna suo vice
Adama Barrow
rientra a Banjul
LONDRA, 24. Sulla Brexit il parlamento britannico voterà. È quanto
stabilito oggi dalla Corte suprema di
Londra. Il governo prende atto della
decisione, che respinge il suo appello, e annuncia che sarà presentata alle camere la legge ad hoc. La Corte
ha inoltre respinto l’istanza di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, che
chiedevano di potersi esprimere sulle
decisioni in materia di uscita del Regno Unito dall’Ue prese a Londra.
La Corte suprema ha disposto
dunque in via definitiva che la notifica dell’articolo 50 del trattato di
Lisbona per l’avvio dei negoziati con
l’Unione europea dovrà essere autorizzata da un voto di Westminster. Il
verdetto conferma quello di primo
grado emesso lo scorso novembre
dall’Alta corte e, dunque, respinge il
ricorso presentato a dicembre dal
premier britannico Theresa May, che
invocava il diritto ad attivare l’articolo 50 d’autorità, senza il passaggio
al parlamento britannico.
In sostanza, la Corte ha stabilito
che il governo ha diritto, in nome
della cosiddetta Royal Prerogative,
di avviare autonomamente l’uscita
da un trattato internazionale, ma deve avere il via libera del parlamento
La Corte suprema respinge il ricorso del governo sulla Brexit
Westminster voterà
nel caso in cui questo comporti un
cambiamento della legislazione in
Gran Bretagna. E questo è il caso
dell’uscita dall’Unione europea.
Il governo si è detto «deluso»
dell’esito della controversia legale,
ma «lo rispetta e attuerà quanto richiesto dal verdetto» come ha
affermato l’alto funzionario, Jeremy
Wright, notando peraltro che questo
verdetto non mette in discussione il
referendum. Come detto, oggi sarà
presentata alle camere una legge ad
hoc per l’avvio alle procedure di
uscita dall’Ue.
Il presidente della Corte suprema,
Lord Neuberger, ha spiegato che il
verdetto che impone il voto del par-
I corpi di altre sette vittime rinvenuti nell’albergo travolto dalla slavina
Emergenza maltempo
in Italia centrale e meridionale
ROMA, 24. Tra emergenza terremoto ed emergenza maltempo, sono
13.668 le persone assistite in Italia
dal servizio nazionale della protezione civile. E forse proprio per le
condizioni meteorologiche avverse è
precipitato questa mattina l’elicottero del 118 impegnato nel soccorso
di uno sciatore su Campo Felice, in
Abruzzo.
In Italia centrale continuano gli
interventi straordinari, con l’ausilio
anche delle forze armate, in Abruzzo, nelle Marche ma anche nella
provincia di Rieti. Restano frazioni
ancora da raggiungere e tratti stradali da riaprire, anche se moltissimo è stato fatto nelle ultime ore.
Entro oggi dovrebbero essere ripristinate molte delle 3000 utenze ancora interrotte.
Per quanto riguarda la tragedia
dell’hotel Rigopiano, a Farindola,
in provincia di Pescara, travolto e
distrutto da una slavina, al momento undici persone sono state salvate, mentre sono stati ritrovati altre
sette corpi senza vita che fanno salire a quindici il numero delle vittime finora accertate. Vacillano le
speranze di poter salvare qualcuna
delle persone che restano disperse.
Ma l’emergenza maltempo ha
toccato pesantemente anche le regioni meridionali della penisola.
In Calabria, la pioggia caduta
per oltre trenta ore ha causato danni per la viabilità dovuti a frane e
alla piena dei fiumi. Particolarmente colpita è la provincia di Catanzaro. Diverse strade sono chiuse o
percorribili solo in parte a causa di
frane, smottamenti e allagamenti.
Quasi tutti i corsi d’acqua hanno
raggiunto il limite massimo e la
piena sta creando non pochi problemi nelle frazioni di diversi centri. Considerata la portata del fiume
Tacina, tra le province di Catanzaro
e Crotone, sono state evacuate tutte
le famiglie che vivono nei rioni Votapozzo e Foce Tacina. Sempre in
provincia di Catanzaro, le strade interne della Presila sono percorribili
solo in parte. Chiusa la strada provinciale 25 che collega Catanzaro
con i comuni presilani. Verifiche e
controlli si svolgono a Girifalco,
dove ieri è crollata la circonvallazione che si trova vicino al liceo scien-
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
[email protected]
www.osservatoreromano.va
zionale (Cpi) e quindi l’ex presidente non rischia di essere estradato per le violazioni dei diritti umani di cui viene accusato da oppositori e organizzazioni umanitarie.
Secondo Mai Ahmad Fatty, uno
stretto collaboratore di Barrow, «il
Gambia è di fatto in bancarotta. Le
casse sono praticamente vuote. Ce
lo hanno confermato i tecnici del
ministero delle finanze e la Banca
centrale».
Sono 236 i morti
in Nigeria
per le bombe
sui profughi
ABUJA, 24. È salito a 236 morti
il bilancio delle vittime del
bombardamento di un campo
profughi compiuto per errore
nel nord-est della Nigeria da un
jet dell’aeronautica militare nigeriana lo scorso 17 gennaio. Lo
hanno reso noto le autorità locali aggiungendo che quasi tutte
le vittime sono morte sul posto,
a Rann. A ucciderle le bombe
sganciate da un caccia che — secondo fonti ufficiali — credeva
di attaccare un accampamento
di Boko Haram.
Le vittime, secondo le prime
informazioni arrivate nei giorni
scorsi, erano in gran parte sfollati sopravvissuti agli attacchi di
Boko Haram. Tra i morti, secondo fonti locali, figurerebbero
anche medici, infermieri e operatori umanitari di Medici senza
frontiere e della Croce rossa internazionale.
Ucciso
il più ricercato
terrorista
tunisino
A Malta vertice dei ministri degli esteri europei
Soccorsi
centinaia di migranti
Una fattoria distrutta dalla neve in Abruzzo (Ap)
tifico della cittadina. La scuola è
chiusa. In Sicilia sono state avviate
le procedure per la verifica dello
stato di calamità naturale, all’indomani dell’ennesima ondata di maltempo che ha ulteriormente peggiorato la già precaria situazione delle
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
lamento è stato deciso a maggioranza: otto giudici contro tre. Ha quindi sottolineato che i giudici non
hanno messo in discussione l’esito
del referendum del 23 giugno
sull’uscita dall’Ue, ma si sono limitati a interpretare un principio costituzionale sulla base del ricorso presentato a suo tempo da un comitato di
cittadini. Alla guida del comitato
c’era l’imprenditrice Gina Miller.
Ma il tribunale supremo britannico si è pronunciato anche su un secondo quesito: a proposito del ruolo
degli altri membri del Regno Unito.
La Corte ha escluso qualunque potere di veto da parte delle assemblee
di Scozia, Galles e Irlanda del Nord
sulla Brexit, respingendo così il tentativo di far valere in questo caso il
potere della devolution. Il ricorso è
stato respinto dagli undici giudici
«all’unanimità».
Alla pubblicazione del verdetto, la
sterlina è scesa, la Borsa di Londra
ha segnato un rialzo, le altre piazze
europee sono rimaste sostanzialmente invariate.
BANJUL, 24. Tornerà oggi a Banjul
dal Senegal il presidente del Gambia Adama Barrow, dopo la partenza del suo predecessore Yahya Jammeh, in esilio nella Guinea Equatoriale. Lo ha anticipato il suo portavoce Halifa Sallah, precisando che
la decisione è stata assunta dopo
che le forze militari della Comunità
dei paesi dell’Africa occidentale
(Ecowas) hanno messo il paese in
sicurezza. Come primo atto Barrow
ha nominato suo vice una donna,
Aja Fatoumata Tambajang, militante dell’opposizione che ha portato
al potere il nuovo leader del paese
africano. A breve saranno resi noti
i nomi della compagine governativa.
A più di un mese e mezzo dalle
elezioni presidenziali che lo hanno
visto sconfitto, Jammeh si è dunque deciso ad abbandonare il
Gambia che governava da 22 anni.
L’ex presidente ha raggiunto la
Guinea Equatoriale a bordo di un
aereo cargo appositamente arrivato
dal Ciad e da alcuni giorni fermo
su una pista dell’aeroporto di Banjul. Prima di partire avrebbe imbarcato oltre undici milioni di dollari. A denunciarlo, la notte scorsa,
è stato un collaboratore di Barrow,
attualmente ancora in Senegal dove era riparato a seguito dell’iniziale rifiuto di Jammeh di ammettere
la sconfitta elettorale.
Poche ore prima della sua partenza, le Nazioni Unite, l’Unione
Africana (Ua) e l’Ecowas avevano
garantito a Jammeh che avrebbe
potuto tornare in patria quando
voleva e che non ci sarebbero state
rappresaglie nei confronti dei suoi
familiari e dei suoi collaboratori.
Ora però la situazione potrebbe
cambiare. Inoltre Jammeh non
sembra avere scelto casualmente il
paese dove andare in esilio. La
Guinea Equatoriale infatti non
aderisce alla Corte penale interna-
infrastrutture e di molte colture. In
Sardegna a causa delle eccezionali
nevicate, del vento forte e della
pioggia incessante si registrano gravi danni alle coltivazioni e un bilancio di centinaia e centinaia di
animali morti.
Accordo energetico
tra Bulgaria e Serbia
SOFIA, 24. I ministri dell’energia
di Bulgaria e Serbia hanno firmato un memorandum d’intesa per
la costruzione di un gasdotto di
interconnessione fra i due paesi.
Come hanno spiegato i media internazionali, Sofia e Belgrado
hanno fissato l’inizio della costruzione delle rispettive parti entro il
maggio 2019, con l’intenzione di
rendere operativa l’infrastruttura
entro la fine del 2020. Il progetto
è un elemento chiave degli sforzi
di Sofia per contribuire agli obiettivi della strategia energetica
dell’Unione europea, che mira a
garantire trasporto sicuro e diversificazione di fonti e tracciati. Nel
2018 la Serbia dovrebbe ricevere
fondi europei per la costruzione
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
della sua parte di connessione (60
milioni, secondo il direttore della
compagnia serba del gas), mentre
la Bulgaria ha assegnato 45 milioni di euro per la sua parte.
Il gasdotto sarà lungo 62 chilometri e collegherà Sofia a Niš,
nella Serbia meridionale. Costruire connessioni con i paesi vicini è
una parte basilare della strategia
energetica che vede la Bulgaria
puntare a diventare un hub regionale del gas per l’area balcanica.
Sofia ha già completato i lavori
per la connessione con la Romania e una futura linea di collegamento con la Grecia rappresenta
un altro elemento cardine nella
strategia bulgara di diversificazione delle fonti energetiche.
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
BRUXELLES, 24. Sono circa 400 i migranti tratti in salvo ieri nel Mediterraneo centrale. I migranti salvati si
trovavano a bordo di un barcone e di
una piccola unità di legno e sono stati soccorsi dalla nave norvegese Siem
Pilot, inserita nel dispositivo Frontex,
e da un rimorchiatore italiano. Dunque, nonostante le difficili condizioni
meteomarine, continuano i viaggi in
mare su imbarcazioni del tutto inappropriate. Intanto, a Malta si svolge
oggi il consiglio dei ministri degli
esteri degli stati dell’Unione europea,
anche se a livello informale. Tra le
priorità da affrontare, c’è appunto la
questione migrazioni e l’emergenza
gelo sulla rotta balcanica. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio
italiano per le politiche europee, Sandro Gozi, nel suo intervento, ha ribadito che «si deve costruire un unico
sistema europeo di asilo». I programmi di aiuto in cambio di cooperazione nella gestione dei flussi migratori
sono stati preparati da Bruxelles. Deve essere seguito da vicino il processo
di realizzazione sul territorio di tali
programmi. Nel frattempo, Vienna
ha annunciato che se dovesse verificarsi un incremento del numero di
arrivi di migranti al Brennero, potrebbero essere avviati controlli di
confine più rigidi rispetto a quelli già
predisposti. Lo ha detto il ministro
dell’interno austriaco, Wolfgang Sobotka, che ieri ha incontrato a
Innsbruck il presidente del Tirolo,
Günther Platter. Sobotka non ha precisato quale sarebbe il limite oltre il
quale scatterebbero i controlli rinforzati che, nei mesi scorsi, hanno fatto
parlare di «chiusura del confine del
Brennero».
Migranti al momento del soccorso in mare (Ap)
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
TUNISI, 24. Il leader dell’organizzazione terroristica Ansar Al
Sharia Tunisia, Seifallah Ben
Hassine, conosciuto come Abou
Iyadh, è stato ucciso dall’esercito
durante
scontri
armati
avvenuti nella città di Gandoufa, a ovest di Bengasi. Lo riferisce il canale televisivo Libya Al
Hadath, che ha anche pubblicato delle foto e un video a sostegno di questa informazione.
Tuttavia, l’uccisione del più ricercato terrorista tunisino, inseguito dalla giustizia del suo paese e dato per morto più volte, al
momento è in attesa di conferme da fonti ufficiali.
Intanto il comitato esecutivo
del partito tunisino modernista
di maggioranza relativa, Nidaa
Tounes, ha deciso di espellere il
direttore esecutivo Hafedh Caid
Essebsi, figlio del presidente
della Repubblica. Attraverso la
pubblicazione di un comunicato, il comitato ha reso noto che
la decisione è stata assunta a
causa di «gravi violazioni» commesse da Hafedh Caid Essebsi,
il quale «continua illegalmente a
rappresentare il partito».
L’operato di Hafedh Caid Essebsi è da tempo causa di tensioni e divergenze all’interno del
partito, che lo scorso anno ha
subito la scissione del gruppo
che fa capo all’ex segretario
Mohsen Marzouk che ha fondato il suo nuovo soggetto politico, Progetto Tunisia (Machrou
Tounes).
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
[email protected]
Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 25 gennaio 2017
pagina 3
L’insediamento di Male Adumim
a Gerusalemme est (Apf)
Dramma senza fine nel Myanmar
Violenze contro i bambini rohingya
Fa discutere la proposta di spostare l’ambasciata statunitense
Israele annuncia
nuovi insediamenti
TEL AVIV, 24. A poche ore dalla fine
del primo incontro tra il presidente
statunitense eletto, Donald Trump, e
il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, Israele accelera sugli insediamenti. Netanyahu ha annunciato ieri
nuovi piani di espansione per insediamenti già esistenti.
Con una prima mossa ieri è stata
scongelata la scelta di procedere con
i piani di costruzione di 566 case nei
sobborghi ebraici di Ramot, Ramat
Shlomo e Pisgat Zeev a Gerusalemme est. Lo scorso dicembre il voto
favorevole della relativa commissione
edilizia del Comune di Gerusalemme fu bloccato su richiesta di Netanyahu per evitare attriti con l’Amministrazione Obama. L’odierno via libera definitivo ha scatenato l’ira palestinese: «È una decisione che sfida
il Consiglio di sicurezza dell’O nu,
soprattutto dopo la recente risoluzione 2334, che ha confermato l’illegalità degli insediamenti» ha detto il
portavoce del presidente palestinese,
Mahmoud Abbas, che ha chiesto un
immediato intervento delle Nazioni
Unite.
Successivamente, con una seconda
mossa, il governo israeliano ha invece deciso all’unanimità di rinviare
l’esame di una proposta di legge per
l’annessione di Male Adumim, un
grande insediamento a sud est di
Gerusalemme: un’area nella quale vivono oltre 37.000 persone e che è
considerata da parte palestinese di
vitale importanza per la continuità
territoriale tra sud e nord di un possibile futuro stato palestinese. La
proposta di legge era stata presentato dal ministro dell’educazione, Naftali Bennett, vicino al movimento
dei coloni e non aveva ricevuto l’appoggio di Netanyahu. Nell’ultima
seduta del governo, il premier ha ricordato che il suo esecutivo è quello
che «ha fatto di più per gli insediamenti ebraici» e che «continuerà ad
agire su questo fronte in modo intelligente e appropriato nell’ottica appunto di creare uno “stato ridotto”
per i palestinesi».
Intanto, ieri, il portavoce della
Casa Bianca, Sean Spicer, è intervenuto sulla spinosa questione del possibile
spostamento
della
sede
dell’ambasciata statunitense da Tel
Aviv a Gerusalemme, affermando
che ancora nulla è stato deciso in
merito. Il segretario dell’Olp (orga-
nizzazione per la liberazione della
Palestina), Saeb Erekat, ha preannunciato conseguenze se gli Stati
Uniti decideranno di spostare la sede dell’ambasciata. Tra queste, il ritiro del riconoscimento di Israele da
parte dell’organizzazione, uno dei
punti cruciali degli accordi di Oslo.
Anche Hamas ha promesso reazioni
violente nel caso in cui la sede
dell’ambasciata venga spostata.
NAYPYIDAW, 24. Non conosce fine il
dramma della minoranza etnica dei
rohingya, discriminata in Myanmar
perché non riconosciuta come parte
della nazione. E sono soprattutto i
bambini a pagarne le conseguenze.
La vita di centinaia di migliaia di
piccoli rohingya — denuncia l’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia
— sta diventando sempre più difficile e, soprattutto, con sempre meno
speranze.
I rohingya sono considerati dalle
Nazioni Unite una delle minoranze
più perseguitate al mondo. Si tratta
di un gruppo etnico musulmano
che vive principalmente nel nordovest del Myanmar, nello stato del
Rakhine, al confine con il Bangladesh, uno dei più poveri della regione. Il Rakhine conta circa un
milione di abitanti rohingya su una
popolazione di almeno tre milioni
di persone, a maggioranza buddista. Più di 140.000 rohingya vivono
in campi profughi, che non possono
lasciare senza il permesso del governo locale.
Ai rohingya vengono inoltre negati i diritti di movimento, l’accesso
all’istruzione e, soprattutto, ai servizi sanitari di base. I numeri di questo dramma sono impressionanti.
L’83 per cento degli sfollati racconta di essere stato vittima di violenza
e tortura e il sessanta per cento di
loro sono donne e bambini.
Nei campi i minori arrivano in
condizioni allucinanti: il 33 per cento di quelli sotto i 5 anni è gravemente malnutrito, mentre oltre
20.000 necessitano di immediata assistenza umanitaria.
«Non è possibile che i bambini
rohingya continuino a vivere questo
incubo — sottolinea l’Unicef nel
rapporto — ed è davvero inaccettabile che nessuno prenda posizione
sugli abusi inflitti a questa intera
popolazione». Per sfuggire alle
violenze, migliaia di rohingya hanno oltrepassato il confine col Bangladesh in cerca di salvezza.
Bimbo rohingya in un campo profughi
Sulle riforme volute dal presidente Erdoğan e approvate dal parlamento
Dopo minacce terroristiche
L’opposizione turca
ricorre alla corte costituzionale
New Delhi rafforza
la sicurezza
ANKARA, 24. Non diminuiscono le
tensioni in Turchia dopo l’approvazione da parte del parlamento delle
riforme costituzionali volute dal
partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) del capo dello stato, Recep Tayyip Erdoğan.
Il partito socialdemocratico Chp,
principale forza di opposizione, ha
reso noto che ricorrerà alla Corte
costituzionale di Ankara per fermare il provvedimento approvato in
via definitiva lo scorso fine settimana dal parlamento. Ad annunciarlo
è stato il vice capogruppo del Chp,
Özgür Özel. Il partito socialdemocratico si è detto anche pronto a
lanciare una vasta campagna in vista del referendum confermativo,
che dirà l’ultima parola sulla riforma, previsto a inizio aprile.
La riforma modifica la Costituzione in senso presidenzialista (prevede il trasferimento del potere esecutivo nelle mani del capo dello
stato), così come voluto dallo stesso Erdoğan. Per ottenere il definitivo via libera è sufficiente che al referendum il fronte del sì alla riforma ottenga la maggioranza semplice. La data precisa della consultazione popolare verrà fissata nei
prossimi giorni, dopo che il testo
approvato dal parlamento verrà firmato dal presidente.
É intanto iniziato ieri a Istanbul
il primo processo contro 62 militari
turchi accusati di aver preso parte
al fallito tentativo di colpo di stato
del 15 luglio scorso. Alla sbarra, riportano media locali, ci sono 28
ufficiali e 34 soldati semplici, che
ora rischiano l’ergastolo per il loro
presunto ruolo nell’occupazione, la
notte del golpe, del secondo aeroporto cittadino, il Sabiha Gökçen.
Alcuni degli imputati hanno negato
le accuse, sostenendo di avere creduto che si trattasse di un’esercitazione militare. Le autorità di Ankara accusano l’ex imam Fethullah
Gülen, in esilio negli Stati Uniti, di
essere stato l’ispiratore del fallito
colpo di stato. Dallo scorso luglio,
sono circa 43.000 le persone arrestate in Turchia in relazione alla vicenda.
ze quel che potrebbe accadere al clima nel prossimo futuro».
I ghiacciai — hanno aggiunto —
«sono un pozzo di informazioni inesauribile; ad esempio dalla loro stratigrafia si può ricostruire l’evoluzione
del clima terrestre e studiare i fenomeni che lo modificano, comprese le
eruzioni vulcaniche che hanno segnato la storia dell’uomo».
La spedizione consentirà di ricostruire il record climatico di 1,5 milioni di anni, l’investigazione dei laghi
subglaciali e gli ambienti estremi ostili, immersi nell’oscurità sotto la spessa coltre della calotta di ghiaccio antartica.
L’Antartide comprende le terre e i
mari che circondano il Polo sud. Con
una superficie complessiva di circa 14
milioni di chilometri quadrati è il
quarto continente in ordine di grandezza, dopo Asia, Africa e America.
NEW DELHI, 24. Il movimento separatista musulmano Hizbul Mujahideen, attivo nello stato indiano
di Jammu & Kashmir, ha annunciato di avere stabilito che il prossimo
26 gennaio, festa della repubblica
in India, sarà un “black day”, avvertendo che chiunque parteciperà
alle celebrazioni «sarà punito». In
L’esercito yemenita riconquista il porto di Mokha occupato dai ribelli huthi
Battaglia sulle coste del Mar Rosso
SANA’A, 24. Il porto di Mokha,
città strategica sul mar Rosso, è
stato riconquistato ieri dalle forze
del governo yemenita del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi,
appoggiate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita. La città era
stata sotto il controllo dei ribelli e
dei loro alleati, i miliziani dell’ex
presidente yemenita Ali Abdullah
Saleh, per oltre due anni. Le truppe lealiste sono entrate a Mokha
dove hanno proceduto a eliminare
le ultime sacche di resistenza, come ha reso noto un giornalista
dell’agenzia Afp che accompagna i
militari nell’offensiva. Operazioni
di sminamento sono in corso per
permettere ai blindati e ai carri armati di dislocarsi intorno al porto
Spedizione
tra i ghiacci
LONDRA, 24. Affrontare meglio le
emergenze provocate dai cambiamenti climatici, le sfide sociali e ambientali poste dal global warming. È questo l’obiettivo della spedizione in Antartide di un pool di esperti mondiali
per individuare il punto della calotta
del continente bianco dal quale
estrarre la “carota di ghiaccio” — risalente a un milione e mezzo di anni fa
— depositaria della storia più antica
della Terra: un modo per decifrare i
processi del sistema climatico ed elaborare proiezioni future più precise.
«Stiamo vivendo sulla nostra pelle
quelli che appaiono essere i segnali
del cambiamento climatico indotto
dall’uomo, con fenomeni meteorologici estremi sempre più frequenti e
violenti — hanno spiegato gli esperti
— e riuscire a comprendere a fondo
quanto è avvenuto al clima del nostro
pianeta milioni di anni fa ci permetterà di prevedere con minori incertez-
Sono bambini estremamente vulnerabili — riporta l'Unicef — che
hanno bisogno di cibo, assistenza
psicologica, ma soprattutto di protezione: basti pensare che molti di
loro sono senza genitori o parenti e
rischiano di incorrere in matrimoni
forzati, o di rimanere invischiati nel
giro della prostituzione o dello
sfruttamento.
Militari yemeniti nei pressi del porto di Mokha (Reuters)
e preparare l’ingresso dei soldati
verso il centro della città. Il capo
di stato maggiore dell’esercito, generale Ahmed Al Yafei, citato
dall’agenzia ufficiale Saba, ha assicurato che le sue truppe avevano
«liberato totalmente Mokha dopo
violenti combattimenti» con i ribelli huthi.
Tuttavia, fonti militari sul posto,
contattate dall’Afp, hanno riferito
che le forze lealiste sono penetrate
soltanto nella periferia sud di Mokha e che al momento si registrano ancora scontri armati con i ribelli, mentre proseguono intensi
raid aerei della coalizione guidata
da Riad. Secondo il governo del
presidente Hadi, il porto di Mokha era utilizzato dai ribelli huthi
per procurarsi armamenti malgrado il blocco marittimo e aereo
messo in opera dalla coalizione.
Il conflitto yemenita, spesso dimenticato da parte dei media internazionali, ha già causato almeno 10.000 morti tra i civili, oltre
40.000 feriti e non meno di tre
milioni di sfollati, secondo Jamie
McGoldrick dell’ufficio per il
coordinamento degli affari umanitari dell’Onu. Le drammatiche cifre reali, in effetti, sono probabilmente più alte, dal momento che
la stima delle Nazioni Unite si basa soltanto su informazioni provenienti da devastati centri sanitari
regionali che non sono presenti in
tutte le aree del paese. Inoltre, i
parenti spesso seppelliscono i loro
cari senza informare della loro
morte le autorità locali.
Per tentare di trovare un accordo per una tregua e iniziare una
Road Map per mettere fine alla
guerra, l’inviato dell’Onu per lo
Yemen, Ismail Ould Cheikh
Ahmed, si trova da ieri a Sana’a
per colloqui con i ribelli huthi.
un video di una decina di minuti
circolato nei social media, un comandante di nome Yaseen Yatoo,
che si riteneva fosse morto un anno
fa, e due suoi aiutanti hanno lanciato critiche contro la governatrice
dello stato, Mehbooba Mufti, e
contro la polizia locale.
«Il nostro appello — ha sostenuto
Yatoo — è che il 26 gennaio i cittadini evitino di partecipare a qualsiasi programma organizzato dal governo, dall’esercito o dalla polizia.
Chiunque prenderà parte a tali programmi sarà considerato traditore e
sarà punito».
Ogni anno, l’India intensifica la
sicurezza in occasione della giornata di festa nazionale, che prevede,
fra l’altro, una parata militare nel
centro della città. Quest’anno i
meccanismi di sicurezza saranno
particolarmente rafforzati, dopo che
il primo ministro, Narendra Modi,
ha fatto della lotta al terrorismo
una delle priorità dell’esecutivo.
Alluvioni
nel sud
della Thailandia
BANGKOK, 24. Peggiorano, con il
passare dei giorni, le conseguenze
delle piogge monsoniche fuori stagione che hanno colpito con violenza il sud della Thailandia, causando
devastanti alluvioni.
Fonti del dipartimento governativo per la prevenzione dei disastri
naturali, riprese dalle agenzie di
stampa internazionali, hanno confermato ieri sera che è salito a 85 il
numero delle vittime dell’ondata di
maltempo. Le province più colpite
sono quelle di Nakhon Si Thammarat e di Surat.
Secondo il responsabile del dipartimento, Chatchai Promlert, le
piogge torrenziali hanno causato
danni o disagi a più di un milione
700.000 persone, colpendo 580.000
case in dodici province meridionali,
oltre a 2300 scuole. Nelle zone più
colpite le autorità hanno inviato
numerose squadre di soccorritori.
Mentre in alcune zone la situazione sta lentamente tornando alla
normalità, sette province rimangono
ancora in gran parte sott’acqua, e in
cinque di queste sono previste ulteriori precipitazioni nei prossimi
giorni. Migliaia di persone hanno
abbandonato le abitazioni.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 25 gennaio 2017
Giacomo Manzù, «La porta della morte»
(1952-1964) Giovanni XXIII, particolare
di EZIO BOLIS*
egli ultimi anni la Fondazione Papa Giovanni XXIII si è
impegnata in un accurato
lavoro di inventariazione e
di catalogazione dell’ampio
materiale archivistico. Si tratta di migliaia
di carte che comprendono diari spirituali,
quaderni con discorsi e omelie, agende di
lavoro, note varie e corrispondenza. Solo i
N
Giornalismo e rispetto dei valori etici
Informare
senza ferire
Sotto la data «20 gennaio 1959, martedì»
un’agenda registra eventi memorabili
Tra questi figura la reazione
del segretario di Stato
alla proposta di un concilio ecumenico
manoscritti originali di Angelo Giuseppe
Roncalli sono 11.448.
Tutto ciò costituisce una documentazione fondamentale non solo per conoscere
la vita e l’opera di Roncalli, ma anche
una parte significativa della Chiesa e della
società del Novecento. La digitalizzazione
di questo patrimonio, oltre a salvaguardare documenti preziosi e fragili, consentirà
di valorizzarlo e di renderlo più facilmente fruibile al pubblico. La trasformazione
di testi, immagini, audio e video in formato digitale si prospetta complessa e onerosa, ma al termine del lavoro studenti, studiosi e appassionati potranno consultare
documenti originali, spesso di difficile reperimento, anche da casa o dal luogo di
studio e di lavoro. Questo potrà inoltre
favorire l’elaborazione di progetti di ricerca da parte di istituzioni accademiche,
scientifiche e culturali interessate ai temi
roncalliani.
La preparazione dell’archivio online
procederà per tappe: i primi documenti
digitalizzati e subito consultabili online
saranno i manoscritti dei due quaderni Ad
omnia, che raccolgono importanti appunti
di Roncalli ancora studente. Poi sarà la
volta delle centinaia di pagine che costituiscono il Giornale dell’anima, capolavoro spirituale di Papa Roncalli conosciuto
in tutto il mondo.
Lungo tutta la sua vita, Papa Giovanni
ha affidato pensieri, riflessioni, brevi note
a vari diari e quaderni. Sotto la data «20
gennaio 1959, martedì», un’agenda registra una serie di eventi memorabili. Tra
Qui sopra e a destra: testi manoscritti di Papa Roncalli
questi figura la reazione positiva del suo
segretario di Stato, cardinale Domenico
Tardini, alla proposta di un concilio ecumenico. Si trattava di un’iniziativa totalmente personale, adottata dal Papa a meno di cento giorni dall’elezione e comunicata solo a pochi intimi.
L’adesione del suo principale collaboratore era essenziale: una reazione negativa
avrebbe messo in seria difficoltà il Papa.
Per questo Papa Giovanni, dopo aver ottenuto il consenso, annotava con somma
soddisfazione che quel 20 gennaio era da
considerarsi un giorno memorabile, albo
signanda lapillo, come dicevano gli antichi
pubblica non sarebbe esistita
e senza di essa la democrazia
«Un soneto me manda hacer avrebbe perso un elemento esViolante / Que en mi vida me senziale. Lo stesso si può dire
he visto en tanto aprieto» in riferimento alla Chiesa:
(“Un sonetto mi ordina di fa- senza comunicazione non ci
re Violante, e mai in vita mia può essere comunione.
Purtroppo alcuni non la
mi son trovato in tanta stretta”). Parafrasando questi versi pensano così e fanno del giorimmortali di Lope
de Vega vi confesso
che anch’io questa
mattina mi trovo in
grande difficoltà.
È in effetti difficile esprimere in
così poco tempo
tanta
gratitudine.
Sono stati consegnati a Madrid il 24 gennaio,
In primo luogo alla
festa di san Francesco di Sales, i premi
giuria che mi ha
¡Bravo! assegnati dalla Conferenza episcopale
conferito
questo
spagnola a giornalisti e testate. Un
premio, anche a
riconoscimento speciale alla carriera
nome degli altri
giornalistica è andato a don Antonio Pelayo,
premiati, certamendi cui pubblichiamo il ringraziamento a
te con più meriti
nome di tutti i vincitori.
dei miei.
In secondo luogo
voglio ringraziare
tutti voi per la vostra presenza: familiari, amici, colleghi, compagni di
cammino.
Mi è difficile non
ricordare perlomeno alcune persone
senza la cui amicizia e il cui insegnamento ora non sarei qui. Mi riferisco
a quattro sacerdoti
e giornalisti ai quali
mi sono sentito
sempre molto legato: monsignor Antonio Montero, cui
sono succeduto come redattore sulle
pagine di «Ya», José Luis Martín Descalzo, che mi ha
indirizzato verso il
giornalismo religioAntonio Pelayo
so, Jesús Irribarren,
insigne maestro di
vita e di onestà
professionale, e Joaquín Luis nalismo una sorta di catapulta
Ortega, per anni caro compa- per attaccare, screditare, diffagno di tante fatiche. Dovrei mare o infangare persone e
citare molte altre persone di istituzioni. Non sono mai sta«Ya», «Vida Nueva», Cope, to d’accordo con questa per«La Razón», «Política Exte- versione del lavoro informatirior» e Antena3 Televisión, vo: si può esercitare il giornacon cui ho lavorato e condivi- lismo senza ferire, senza piegarsi ai propri pregiudizi, senso preoccupazioni.
Per chiudere questo capito- za cercare tornaconti di alcun
lo, porgo il mio più sincero tipo, senza mettersi al servizio
ringraziamento agli arcivesco- di volgari interessi, senza travi della mia diocesi di Valla- dire il rigore e la serietà, sendolid, che hanno dimostrato za rinunciare mai alla ricerca
tanta pazienza e comprensio- della verità. Non è una chimera ma un’ardua lotta quanne verso questo sacerdote.
Un premio come quello che do ogni giorno ci si mette dami viene conferito oggi biso- vanti a un computer, un migna saperlo amministrare con crofono o una telecamera.
saggezza. Non c’è posto per
I premi annuali “Bravo!”
la futile vanità e deve essere dimostrano che più di uno ha
interpretato solo come uno vinto questa battaglia e sono
stimolo a continuare ciò che lieto che si sappia riconoscersi sta facendo migliorandolo.
ne il merito. Ripercorrendo
Nei miei quarant’anni di la- l’elenco dei premiati in questi
voro ho fatto un po’ di tutto anni trovo nomi di personagma, senza dubbio, la mia spe- gi illustri, maestri, professionicialità è stata il giornalismo sti integerrimi, che hanno lareligioso, rara e scomoda spe- sciato un’impronta nella storia
cie non sempre apprezzata dai della Chiesa e della società
colleghi e non troppo amata spagnola.
dalle gerarchie ecclesiastiche.
Vi chiedo, per favore, di
Vi risparmio gli aneddoti che non equipararmi a loro perché
confermerebbero ciò che ho morirei dalla vergogna. Consiappena detto.
deratemi solo un sacerdote e
E tuttavia ritengo che, svol- un giornalista che ha cercato
to con la serietà e la profes- di fare del suo meglio senza
sionalità che si merita, è un riuscirci sempre, ma che peresercizio indispensabile per il lomeno ci ha provato e, con
bene della Chiesa e della so- l’aiuto di Dio, continuerò a
farlo per tutti gli anni di vita
cietà.
Già Pio XII riconobbe che professionale e sacerdotale
senza informazione l’opinione che mi restano.
di ANTONIO PELAYO
Saranno digitalizzate le migliaia di carte conservate a Bergamo
Per Roncalli
un archivio 2.0
romani, da segnare con un sassolino bianco. Papa Roncalli aveva pronunciato di
fronte al segretario di Stato una parola:
concilio. Tardini sbiancò, ma subito si riprese; nonostante l’enormità della notizia,
esclamò con semplicità che il concilio era
«una grande idea».
Da allora, e fino alla morte, avvenuta il
30 luglio 1961, il segretario di Stato sarà al
fianco di Papa Giovanni nella preparazione del concilio ecumenico Vaticano II. Ecco il testo dell’appunto roncalliano:
«Giornata albo signanda lapillo. Nella
udienza col Segret. di Stato Tardini, per
la prima volta, e, direi, come a caso mi
accadde di pronunciare il nome di Concilio, come a dire che cosa il nuovo Papa
potrebbe proporre come invito a un movimento vasto di spiritualità per la S. Chiesa e per il mondo intero. Temevo proprio
una smorfia sorridente e sconfortante come risposta. Invece al semplice tocco il
Cardinale — bianco in viso, e smorto —
scattò con una esclamazione indimenticabile e un lampo di entusiasmo: “Oh! oh?
Questa è un’idea, questa è una grande
idea”. Devo dire che viscera mea exultaverunt in Domino: e tutto fu chiaro e semplice nel mio spirito: e non credetti di dover
aggiungere parola. Come se l’idea di un
Concilio mi sorgesse in cuore con la naturalezza delle riflessioni più spontanee e
più sicure. Veramente a Domino factum est
istud, et est mirabile oculis meis».
L’11 settembre 1962, in una nota autografa, Papa Giovanni ricordava di nuovo
la prima intuizione del concilio come
semplice e immediata: «Senza averci pensato prima, metter fuori in un primo colloquio col mio Segretario di Stato il 20
gennaio 1959, la parola di Concilio Ecumenico, di Sinodo Diocesano, e di ricomposizione del Codice di Diritto Canonico,
senza aver prima mai pensato, e contrariamente a ogni mia supposizione o immaginazione su questo punto. Il primo a essere sorpreso di questa mia proposta fui io
stesso, senza che alcuno mai me ne desse
indicazione. E dire che tutto poi mi parve
così naturale nel suo immediato e continuato svolgimento. Dopo tre anni di preparazione, laboriosa certo, ma anche felice
e tranquilla, eccoci ormai alle falde della
santa montagna. Che il Signore ci sorregga a condurre tutto a buon termine».
Sotto la data «luglio 1959 mercoledì 4»,
l’agenda di Giovanni XXIII registra il proposito di dare un nome al concilio. Sarà
una continuazione e la chiusura di ciò che
era avvenuto prima (il concilio Vaticano I
del 1870) o l’annuncio di qualcosa di nuovo? Le riflessioni del Papa sono racchiuse
in una nota, dove la brevità è inversamente proporzionale all’importanza del contenuto del frammento.
La scelta del nome è presentata come
un’intuizione: il concilio ecumenico non
sarà la continuazione dell’incompiuto Vaticano I; il nuovo nome indicherà chiaramente un cambio di prospettiva: «Nel pomeriggio, visitai nei giardini la torre più
alta, rotonda e antica 134 gradini. Di là
uno spettacolo bellissimo. In casa trovai
che il Concilio Ecumenico in preparazione merita d’essere chiamato Concilio Vaticano Secondo, perché l’ultimo celebrato nel
1870 da Papa Pio IX portò il nome di
Concilio Vaticano I. – Vatican le premier».
*Direttore
della Fondazione Papa Giovanni
XXIII
Giorno storico
Il 25 gennaio 1959, al termine di una
celebrazione nella basilica romana di San
Paolo fuori le mura, Papa Giovanni
annunciava pubblicamente l’intenzione di
convocare il concilio. Ricordando quel
giorno storico, mercoledì 25 alle 11, a
Bergamo, presso la sede della Fondazione
Papa Giovanni XXIII, verrà presentato il
progetto di digitalizzazione dell’archivio,
grazie al quale sarà possibile consultare
online i documenti manoscritti e
dattiloscritti di Angelo Giuseppe Roncalli. Il
progetto è sostenuto dalla Banca Popolare di
Bergamo. Per l’occasione, in via eccezionale
e per la prima volta, saranno mostrati ai
giornalisti presenti i fogli originali dei
quaderni Ad omnia e del Giornale dell’anima.
Premio ¡Bravo!
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 25 gennaio 2017
pagina 5
Un momento della celebrazione nella chiesa romana
di San Gregorio al Celio (5 ottobre 2016)
Il dialogo tra cattolici, anglicani e metodisti
Sulla stessa strada
di ANTHONY CURRER*
Incontrando in Vaticano l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, nel
giugno del 2014, Papa Francesco ha
pronunciato queste parole: «Dobbiamo camminare insieme». L’immagine del cammino è un tema caro al
Pontefice, come dimostrano molti
dei suoi discorsi, e fa parte della visione che egli ha della Chiesa. Parlando al clero e ai laici riuniti ad Assisi, il 4 ottobre 2013, Papa Francesco ha affermato: «Penso che questa
sia veramente l’esperienza più bella
che viviamo: far parte di un popolo
in cammino, in cammino nella storia, insieme con il suo Signore, che
cammina in mezzo a noi! Non siamo
isolati, non camminiamo da soli, ma
siamo parte dell’unico gregge di Cristo che cammina insieme». Questa
idea di Chiesa è molto utile per le
nostre relazioni ecumeniche. Tale
immagine è stata ripresa con entusiasmo in svariati contesti anche da
altri leader cristiani. Ma a conferirle
un senso ancora più pieno sono stati
in particolare due momenti che hanno avuto luogo nel 2016 nel quadro
delle relazioni tra anglicani e cattolici, aiutandoci a discernere con maggiore chiarezza cosa significa camminare insieme ai nostri partner ecumenici.
Questi due momenti hanno coinciso con l’inizio e con la fine della
celebrazione dei vespri co-presieduta
da Papa Francesco e dall’arcivescovo
Welby nella chiesa di San Gregorio
al Celio il 5 ottobre 2016, in occasione del cinquantesimo anni-
mondo e nel servire coloro che sono
più vulnerabili ed emarginati». Tutti
i vescovi sono membri della Commissione internazionale anglicanacattolica per l’unità e la missione
(Iarccum), che si sforza di promuovere la recezione dei risultati del dialogo teologico traducendo le dichiarazioni teologiche comuni in azioni
concrete di testimonianza e di missione nel mondo. I due eventi possono fornirci le lenti attraverso le
quali guardare a un anno particolarmente intenso nelle relazioni ecumeniche, per capire come anglicani e
cattolici possono camminare ancora
più vicini.
Innanzitutto va detto che il cammino comune prende sul serio le differenze teologiche: non si basa su un
«falso irenismo» (Unitatis redintegratio, 11). Papa Francesco e l’arcivescovo Welby hanno osservato che,
seppure i loro predecessori cinquant’anni fa avevano riconosciuto
«seri ostacoli» alla ricomposizione
dell’unità piena nella fede e nella vita sacramentale, non erano stati dissuasi dall’avviare «un serio dialogo
teologico fondato sui Vangeli e sulle
antiche tradizioni comuni». Oggi
questi ostacoli s’incentrano su temi
relativi all’ordinazione delle donne e
su aspetti morali legati alla sessualità
umana; dietro a tali problematiche,
vi è la questione di come e di dove
l’autorità è esercitata all’interno della
comunità cristiana. Camminare insieme implica il
fatto che, nonostante non riusciamo ancora
a vedere una
Jean Marie Pirot (Arcabas), «Lungo la strada» (1993-94)
versario dello storico incontro tra il
beato Papa Paolo VI e l’arcivescovo
Michael Ramsey. Allora, per la prima volta nella storia, fu firmata una
Dichiarazione comune tra un Papa e
un arcivescovo di Canterbury; tale
evento testimoniava il desiderio di
entrambe le comunità di incamminarsi verso l’«unità nella verità». In
maniera simile, Papa Francesco e
l’arcivescovo Welby hanno firmato
una Dichiarazione comune nel momento in cui sono entrati in San
Gregorio, prima di indossare i paramenti liturgici. Questa è la settima
delle Dichiarazioni firmate fino a
oggi; tali documenti sono diventati
un utile strumento per definire e
orientare le relazioni ecumeniche tra
cattolici e anglicani. A conclusione
della liturgia, un gesto senza precedenti ha rafforzato ulteriormente la
nostra speranza di proseguire il cammino intrapreso congiuntamente. Papa Francesco e l’arcivescovo Welby
hanno conferito insieme un particolare mandato a coppie di vescovi,
ciascuna composta da un anglicano
e un cattolico appartenenti alla stessa regione, provenienti da diciannove paesi. Questi vescovi hanno ricevuto il compito di «rimanere uniti
nella predicazione del vangelo nel
soluzione a questi ostacoli, siamo
consapevoli che condividiamo ciò
che è essenziale nella fede cristiana e
che siamo pellegrini in cammino sulla stessa strada. Come afferma la Dichiarazione comune: «Le divergenze
menzionate non possono impedirci
di riconoscerci reciprocamente fratelli e sorelle in Cristo in ragione del
nostro comune battesimo. Nemmeno
dovrebbero mai trattenerci dallo scoprire e dal rallegrarci nella profonda
fede cristiana e nella santità che rinveniamo nelle tradizioni altrui».
Per questi motivi, e poiché, in
quanto pellegrini, riconosciamo gli
uni negli altri il desiderio di rispondere fedelmente alla chiamata del Signore, siamo fiduciosi che, camminando insieme, ci dirigiamo verso un
nuovo tempo e un nuovo luogo dove sarà possibile la piena unità voluta dal Signore. Papa Francesco e
l’arcivescovo Welby hanno dunque
riconfermato l’impegno nel portare
avanti il dialogo teologico, insistendo sul fatto che gli ostacoli, per
quanto grandi, non dovranno indurci a «diminuire i nostri sforzi ecumenici». Il riconoscerci quali fratelli e
sorelle in Cristo, come pure la fede e
la santità che vediamo gli uni negli
altri, devono esprimersi necessaria-
mente nella preghiera: «non solo
possiamo pregare insieme», insiste la
Dichiarazione del 2016, «ma dobbiamo pregare insieme, dando voce alla
fede e alla gioia che condividiamo
nel Vangelo di Cristo». La celebrazione dei Vespri co-presieduta dal
Papa e dall’arcivescovo di Canterbury, con inni e salmi cantati in latino
e in inglese dai cori della cappella
Sistina e dell’abbazia di Westminster, è stata una testimonianza eloquente di questo ecumenismo spirituale. Per i pellegrini, il cammino
stesso è una preghiera; camminare
insieme implica dunque, necessariamente, pregare insieme e questo non
solo durante occasioni speciali ed
eventi commemorativi, ma a tutti i
livelli della vita della Chiesa, di modo che la preghiera comune diventi
una consuetudine del vivere.
Come due comunità pellegrinanti,
attraversiamo una società che ha bisogno della buona novella di Gesù
Cristo e della guarigione e della speranza offerteci dalla sua vittoria sul
peccato e sulla morte. La Dichiarazione comune descrive questa missione come un compito da portare
avanti sia con parole che con azioni.
Il nostro camminare insieme nella
missione deve prestare attenzione alla «distruzione ambientale, che offende il Creatore» e deve affrontare
anche il peccato individuale e sociale che mina la dignità della persona.
Il Papa e l’arcivescovo hanno puntato il dito su una cultura dell’indifferenza che ci isola dalle lotte e dalle
sofferenze dei nostri fratelli e delle
nostre sorelle, una cultura dello
spreco che marginalizza e scarta la
vita dei più vulnerabili, una cultura
dell’odio che alimenta la violenza
della guerra e del terrorismo. Contro
tutto ciò, i cristiani, lavorando insieme, possono testimoniare l’inestimabile valore di ogni vita umana attraverso programmi che offrono istruzione, cure sanitarie, cibo, acqua
pulita e che tentano di favorire
la pace. La Dichiarazione
si conclude definendo i
vescovi della Iarccum e
il loro mandato come
uno strumento per promuovere questa missione
comune fino ai «confini
della terra», ovvero, secondo l’interpretazione
precedentemente
menzionata nel testo, fino a
«coloro che sono ai margini e alle periferie delle
nostre società».
Nel 2000, i vescovi anglicani e cattolici si erano
riuniti a Mississauga, vicino a Toronto, in Canada.
Fu sulla base di questo incontro che il Pontificio consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani e l’Anglican Communion Office decisero di istituire Iarccum come commissione permanente.
Il cinquantesimo anniversario
dell’incontro tra Paolo VI e l’arcivescovo Ramsey ha fornito una
buona occasione per riunire nuovamente i vescovi della Iarccum. Come
la Commissione teologica di dialogo
cattolica-anglicana (Arcic), anche
Iarccum ha due co-presidenti, il
vescovo David Hamid (anglicano) e
l’arcivescovo Donald Bolen (cattolico), e due co-segretari, il reverendo
John Gibaut dell’Anglican Communion Office e chi scrive, in rappresentanza del Pontificio consiglio per
la promozione dell’unità dei cristiani. Il gruppo direttivo tiene una
video-conferenza una volta al mese e
i segretari mantengono regolarmente
un contatto con i vescovi della
Iarccum.
I vescovi che hanno ricevuto il loro mandato durante i vespri del 5 ottobre si erano precedentemente incontrati a Canterbury, dal 30 settembre al 4 ottobre, e poi a Roma, dal 4
al 7 ottobre. Essi rappresentano paesi e regioni di tutto il mondo: Australia, Belgio, Brasile, Canada, Malawi, Inghilterra, Francia, Ghana,
Hong Kong, India, Irlanda, Medio
oriente, Melanesia, Nuova Zelanda,
Pakistan, Papua Nuova Guinea, Sud
Africa, Stati Uniti d’America. Il tema del loro incontro è stato: «Nuovi
passi sulla via di un antico pellegrinaggio: insieme da Canterbury a
Roma». In questo pellegrinaggio comune, i vescovi hanno pregato insieme davanti alla tomba di san Tommaso Becket e di sant’Agostino a
Canterbury, e di san Pietro e di san
Paolo a Roma. Oltre a celebrare in-
sieme i vespri a San Gregorio, i vescovi si sono uniti alla comunità della cattedrale di Canterbury per la
preghiera serale e hanno preso parte
alle rispettive celebrazioni eucaristiche sia a Canterbury che a Roma.
Un’occasione di raccoglimento particolarmente significativa è stata la
preghiera
mattutina
presieduta
dall’arcivescovo Welby all’altare della tomba di san Pietro nella basilica
vaticana.
La mattina del 5 ottobre, presso la
Pontificia Università Gregoriana, i
vescovi della Iarccum hanno inoltre
preso parte a un convegno, durante
il quale Anna Rowlands e il reverendo Nicholas Sagovky hanno parlato
della dottrina sociale di entrambe le
tradizioni, cattolica e anglicana, Paul
Murray e Paula Gooder hanno illustrato il lavoro di Arcic e il reverendo Etienne Veto ha esposto le prospettive future dell’impegno ecumenico. I vescovi hanno ricevuto anche
una copia di Looking towards a
Church fully Reconciled, un volume
pubblicato prima dell’incontro e
contenente le dichiarazioni comuni
di Arcic II (1983-2005), insieme a
materiale introduttivo e ad altri sussidi forniti dai membri dell’attuale
commissione. A ciascuna coppia di
vescovi è stata chiesta una breve presentazione comune del loro contesto
e delle sfide pastorali che si trovano
ad affrontare. Questo li ha spinti a
ricercare ulteriori possibilità di approfondimento del loro impegno
ecumenico per rispondere alle esigenze delle loro rispettive regioni.
Questo processo ha aiutato i vescovi
della Iarccum a formulare una dichiarazione che è stata resa pubblica
alla fine dell’incontro e che s’intitola
«Camminare insieme: il servizio comune al mondo e la testimonianza
del vangelo».
Nella loro dichiarazione, i vescovi
hanno affermato che «pregando e
studiando insieme abbiamo notato la
complementarità della nostra dottrina sociale e dei nostri sforzi pastorali aventi come scopo quello di vivere
il vangelo della misericordia e
dell’amore» e si sono impegnati nella ricerca di modalità concrete, affinché gli accordi teologici di Arcic
«possano trasformare ulteriormente
la nostra vita ecclesiale». Essi hanno
individuato un «ecumenismo della
croce» che li unisce e che li spinge a
schierarsi dalla parte dei poveri e a
«rivelare la presenza di Cristo tra
coloro che vivono ai margini del
mondo». Nel corso delle loro conversazioni, i vescovi hanno parlato
molto francamente dell’esperienza
del fallimento all’interno delle loro
comunità cristiane, a cui si sono riferiti
col
termine
«ecumenismo
dell’umiliazione». Si legge nella loro
dichiarazione: «Ci doliamo dei nostri fallimenti e condividiamo la lacerazione delle nostre comunità ecclesiali. Non siamo riusciti a proteggere coloro che sono vulnerabili: i
bambini dagli abusi sessuali, le donne dalla violenza, gli indigenti dallo
sfruttamento. In questa comunione
di vergogna, riconosciamo che la debolezza della testimonianza da noi
resa alla chiamata di Dio che ci esorta alla vita in comunità ha contribuito all’isolamento di individui e di famiglie e perfino a quella secolarizzazione che estromette Dio dallo spazio pubblico». I vescovi hanno attinto forza da questa ammissione comune e hanno tratto speranza dalla
constatazione che i membri della
commissione stanno già collaborando in modo creativo ed efficace
nell’esercizio del loro ministero. Come i vescovi della Iarccum sono stati
fonte d’ispirazione gli uni per gli altri, così sperano di poterlo essere per
i loro confratelli nell’episcopato, per
il clero e per i fedeli delle loro rispettive regioni. La preghiera finale
con la quale Papa Francesco e l’arcivescovo Welby hanno conferito ai
vescovi la loro missione comprendeva le seguenti parole: «Che lo spirito
ecumenico in cui testimoniate il vangelo possa essere un segno capace di
trasformare le nostre comunità. E da
questo possano essere ispirati cattolici e anglicani ovunque per rendere
una testimonianza comune davanti
al mondo».
Il mandato conferito ai vescovi ricordava la descrizione fatta da san
Beda della missione di sant’Agostino, sbarcato in Inghilterra sotto il
vessillo della croce e sotto l’immagine del Salvatore. Camminare insieme significa che, a ogni livello della
Chiesa, i cattolici devono essere visti
camminare insieme ai loro partner
ecumenici. Il fatto che annunciamo
il vangelo e prestiamo servizio agli
emarginati e ai più vulnerabili insieme è parte vitale della nostra testimonianza al mondo. Camminare insieme richiede ai cristiani di mostrare visibilmente, in tutti i modi possibili, che sono uniti.
I vescovi hanno inoltre riflettuto,
nella loro dichiarazione, su cosa significhi essere veri compagni di pellegrinaggio. Al riguardo, hanno fatto
riferimento alle parole dell’arcivescovo di Canterbury, che ha affermato:
«Diventiamo guaritori gli uni degli
altri camminando gli uni accanto
agli altri e guarendo le ferite del
mondo». Questo è forse l’ultimo elemento di un ecumenismo del cammino comune. Concepirci come
compagni di pellegrinaggio significa
comprendere che stiamo facendo lo
stesso viaggio, che stiamo attraversando lo stesso mondo e che dobbiamo affrontare gli stessi problemi
e le stesse sfide. Dalle conversazioni
tra i vescovi è emerso che cattolici e
anglicani sperimentano entrambi la
sfida di essere comunioni mondiali
in un mondo caratterizzato da grandi differenze culturali e politiche.
Nel corso del viaggio, sarà inevitabile a volte fallire e farsi male. Tuttavia, i «veri compagni di pellegrinaggio» si prendono cura delle reciproche ferite.
Questo tema è anche al centro del
lavoro di Arcic. Durante la plenaria
tenutasi dall’11 al 19 maggio 2016 a
Toronto, presso il monastero di
Saint John, e ospitata dall’ordine anglicano delle Sorelle di Saint John
the Divine, la Commissione ha lavorato alla bozza di un documento intitolato «Camminare insieme sulla
via della comunione: ciò che anglicani e cattolici imparano sulla Chiesa,
a livello locale, regionale e universale». Il lavoro segue la metodologia
dell’“ecumenismo ricettivo”: nel documento, ciascuna parte riconosce le
difficoltà e le tensioni presenti negli
strumenti di comunione che operano
a vari livelli nella Chiesa e tenta di
individuare ciò che può essere imparato dagli altri partner ecumenici.
L’arcivescovo Welby ha parlato eloquentemente di questa metodologia
durante la preghiera serale tenuta
nell’abbazia di Westminster per ricordare il lavoro dell’Anglican Centre, che nel 2016 ha celebrato i cinquant’anni della sua istituzione, come frutto diretto dell’incontro avvenuto tra l’arcivescovo Ramsey e Paolo VI. L’arcivescovo Welby ha osservato: «Le abitudini assunte nei secoli ci fanno sentire a nostro agio con
la disunione. Prego affinché Arcic
interrompa la nostra disunione».
Questo concetto del camminare
insieme e dell’imparare gli uni dagli
altri può essere applicato anche alle
relazioni tra la Chiesa cattolica e il
Consiglio
metodista
mondiale
(Cmm). Il 7 aprile 2016, una delegazione del Cmm ha incontrato Papa
Francesco, il quale, rivolgendosi al
gruppo, ha notato: «Cattolici e metodisti hanno molto da imparare gli
uni dagli altri su come intendere la
santità e su come cercare di viverla».
Il Santo Padre ha poi citato una frase celebre della Lettera a un cattolico
romano di John Wesley: «Se ancora
non possiamo pensare nello stesso
modo in tutte le cose, possiamo almeno amare nello stesso modo».
Nel dire ciò, il Papa si è riferito alla
dichiarazione comune della Commissione internazionale metodistacattolica, intitolata «La chiamata alla
santità», che è stata ultimata quest’anno e presentata alla Conferenza
metodista mondiale tenutasi a Houston dal 30 agosto al 3 settembre. Il
documento affronta il tema della
santità dal punto di vista dell’antropologia, della grazia, della pratica
devozionale e dell’escatologia cristiana. Ogni capitolo si conclude con
un esempio di santità proveniente
dalla tradizione cattolica e dalla tradizione metodista; un’appendice offre preghiere di entrambe le tradizio-
ni. L’ultimo capitolo della dichiarazione è intitolato: «Crescere insieme
nella santità: aprirsi alla testimonianza comune, alla devozione e al servizio». La Commissione, usando l’immagine dei due discepoli sulla strada
di Emmaus, scrive: «Siamo in cammino sulla stessa strada, cercando di
seguire fedelmente lo stesso Signore,
nel desiderio di essere guidati dallo
stesso Spirito e anelando a trovare la
stessa identità come figli dello stesso
Padre». Il documento menziona
l’ampia portata del consenso raggiunto in quasi cinquant’anni di dialogo tra cattolici e metodisti, ma costata anche che «il consenso e la
convergenza testimoniati da questi
testi non hanno ancora prodotto la
trasformazione che ci auguravamo
nelle nostre relazioni». Nell’ultimo
capitolo, la Commissione delinea
dunque gli accordi conseguiti con il
documento in questione e suggerisce, sulla base di tali accordi, vie
percorribili da cattolici e metodisti
per testimoniare insieme la loro fede.
Il testo è in linea con quanto espresso dal reverendo Robert Gribben,
presidente della commissione del
Cmm per le relazioni ecumeniche, a
seguito della visita effettuata dal
Consiglio a Papa Francesco. Riferendosi al dialogo teologico, Gribben
ha affermato che esso ha fatto «un
lavoro eccezionale, sgomberando la
strada che potremo percorrere
insieme».
Sin dall’inizio del suo pontificato,
Papa Francesco ha dimostrato il suo
“impaziente” desiderio di cambiare
le cose e di camminare verso l’unità.
Nella Dichiarazione comune, egli
scrive, insieme all’arcivescovo Welby:
«Siamo impazienti di progredire».
Per questo, non dobbiamo aspettare
che sia realizzata la piena unità
prima di iniziare a condividere la
nostra vita ecclesiale con i nostri
partner ecumenici. I vescovi della
Iarccum hanno affermato: «Siamo
tenuti a esprimere la nostra comunione reale ma insufficiente in questa fase del nostro pellegrinaggio nel
servizio comune al mondo e nella testimonianza del vangelo». Se, da un
lato, prendiamo sul serio le nostre
differenze, dall’altro dobbiamo prendere altrettanto sul serio la fede cristiana che ci accomuna e che è stata
espressa nelle promesse battesimali.
Poiché, attraverso il battesimo, siamo diventati fratelli e sorelle in Cristo, dobbiamo sforzarci di superare
le nostre divergenze, dobbiamo pregare insieme, annunciare insieme
l’amore salvifico di Dio in Gesù Cristo e lavorare insieme per il bene di
coloro che soffrono in questo mondo. Il fatto che lo Spirito è presente
e operante nei nostri fratelli e nelle
nostre sorelle cristiani significa che
proprio da loro potrebbe essere amministrata la grazia con la quale il
Signore ci risana. Questo ci può sorprendere forse, così come la storia
raccontata da Gesù sul samaritano
che versò olio e vino sulle ferite
dell’uomo aggredito dai briganti sorprese la folla in Galilea. L’immagine
del cammino comune usata da Papa
Francesco — l’abbiamo visto — si applica bene alle nostre relazioni con
gli anglicani e con i metodisti. Ciò
significa: vivere fin da adesso, in tutti i modi possibili, la comunione che
già ci unisce. Come ha evidenziato
Papa Francesco nell’omelia pronunciata l’anno scorso durante la celebrazione dei vespri a San Paolo fuori le Mura: «Mentre siamo in cammino verso la piena comunione tra
noi, possiamo già sviluppare molteplici forme di collaborazione, andare
insieme e collaborare per favorire la
diffusione del Vangelo. E camminando e lavorando insieme, ci rendiamo conto che siamo già uniti nel
nome del Signore. L’unità si fa in
cammino».
*Assistente per la Sezione occidentale
del Pontificio consiglio
per la promozione dell’unità
dei cristiani
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 25 gennaio 2017
Messa a Santa Marta
Anelli di una lunga catena di «eccomi»
che parte da Abramo e arriva a oggi, passando per quello decisivo di Gesù al Padre: questo, secondo Papa Francesco, sono
i cristiani, chiamati ogni giorno a «fare la
volontà del Signore» inserendosi nel disegno provvidenziale della storia della salvezza. Una realtà approfondita grazie alla
meditazione sulle letture della messa cele-
Uno dopo l’altro
brata a Santa Marta martedì 24 gennaio.
La liturgia, in continuità con quella del
giorno precedente, ha spinto il Pontefice a
riflettere «sul sacerdozio di Gesù, il sacerdozio definitivo, unico». Punto di partenza, ancora una volta, è stata la prima lettura tratta dalla lettera agli Ebrei (10, 1-10)
nella quale è affrontato il tema del sacrificio.
«I sacerdoti — ha spiegato Francesco —
a quei tempi, offrivano sacrifici ma dovevano offrirli continuamente, anno dopo
anno, perché non erano definitivi, non
erano una volta per sempre». Il cambiamento decisivo c’è stato con «il sacerdozio
di Gesù, che fa l’unico sacrificio di una
volta per sempre». Una differenza sostanziale: «In quei sacrifici si rinnova di anno
in anno il ricordo dei peccati, si chiede
perdono di anno in anno»; invece Cristo
dice: «Tu non hai voluto né sacrifici né offerta; un corpo, invece, mi hai preparato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo, per fare
— o Dio — la tua volontà”».
È stato proprio questo, ha suggerito il
Papa, «il primo passo», di Gesù nel mondo: «Io vengo per fare la tua volontà». E
la volontà del Padre era che «con questo
sacrificio si abolissero tutti i sacrifici e
questo fosse l’unico». Perciò si legge nella
Scrittura: «Tu non hai voluto, non hai
gradito né sacrifici né offerte, né olocausti
né sacrifici per il peccato. Ecco, io vengo
a fare la tua volontà».
Proprio questa parola di Gesù, ha detto
il Pontefice, chiude una storia «di “eccomi” concatenati — la storia della salvezza è
questo: una storia di “eccomi” concatena-
Dante Gabriel Rossetti
«Ecce Ancilla Domini» (1850)
ti». Tutto cominciò con Adamo, che «si
nascose perché aveva paura del Signore»:
da allora il Signore cominciò «a chiamare
e a sentire la risposta di quegli uomini e
donne che dicono: “Eccomi. Sono disposto. Sono disposta”». Fino ad arrivare
«all’ultimo “eccomi”, quello di Gesù: “Per
fare la tua volontà”». Il Papa ha ripercorso brevemente questa storia, richiamando
Abramo, Mosè, i profeti Isaia e Geremia.
E ancora: il piccolo Samuele, che sente la
voce del Signore e risponde: «Eccomi, Signore». Fino a giungere «all’ultimo “eccomi”, grande, di Maria: “Si faccia la volontà di Dio. Io sono la serva. Eccomi”».
Si tratta di «una storia di “eccomi”»,
ma, ha sottolineato Francesco, di “eccomi”
«non automatici». In ognuno dei racconti
biblici evocati si nota infatti che «il Signore dialoga con quelli che invita».
Abramo ha «anche negoziato» con lui per
«non distruggere quelle due città». Allo
stesso modo Isaia che obiettava: «Ma, sono peccatori, non posso...», o Geremia:
«Ma sono un bambino, non so parlare...»
e il Signore lo tranquillizza: «Io ti farò
parlare!». Per Elia che lamentava: «Io ho
paura, voglio morire, no, no, ho paura,
non voglio», la risposta fu: «Alzati: mangia, bevi e vai avanti!».
«Il Signore — ha detto il Papa raccogliendo in un’unica considerazione tutte
queste citazioni — dialoga sempre con
quelli che invita a fare questa strada e a
dire l’“eccomi”. Ha tanta pazienza, tanta
pazienza». E ha aggiunto un ulteriore
esempio ricordando «i ragionamenti di
Giobbe, che non capisce», e le risposte
del Signore che «lo corregge» finché arriva il suo “eccomi”: «Signore, tu hai ragione: io soltanto ti conoscevo per sentito dire; adesso i miei occhi ti hanno visto». Ed
è qui che il Pontefice ha innestato un insegnamento valido per ogni uomo: «La
vita cristiana è questo: un “eccomi”, un
“eccomi” continuo».
«Uno dietro l’altro» si ritrovano nella
Bibbia tutti gli «eccomi» pronunciati. Ed
«è bello», ha detto il Papa, «leggere la
Scrittura» andando proprio a cercare «le
risposte delle persone al Signore», tutte le
volte che qualcuno ha detto: «Eccomi, io
sono per fare la tua volontà». Bello e
coinvolgente, perché, ha spiegato Francesco, «questa liturgia della parola di oggi ci
invita a riflettere: “Ma come va il mio “eccomi” al Signore? E l’“eccomi” della mia
vita, come va?». Proprio ripercorrendo le
Scritture ci si rende conto che la risposta
non è per nulla scontata: «Vado a nascondermi, come Adamo, per non rispondere?
O, quando il Signore mi chiama, invece di
dire “eccomi” o “cosa vuoi da me?”, fuggo, come Giona che non voleva fare quello che il Signore gli chiedeva?». O ancora:
«Faccio finta di fare la volontà del Signore, ma soltanto esternamente, come i dottori della legge che Gesù condanna duramente» perché «facevano finta» e dicevano: «Tutto bene..., niente domande: io
faccio questo e niente di più»? Tra le risposte possibili ci potrebbe essere anche
quella di chi guarda «da un’altra parte come hanno fatto il levita e il sacerdote davanti a quel pover’uomo ferito, picchiato
dai briganti, lasciato mezzo morto».
E allora, giacché il Signore chiama
«ognuno di noi» e «tutti i giorni», c’è da
chiedersi: «Come è la mia risposta al Signore?». È la risposta dell’“eccomi”, ha
incalzato il Pontefice, «o mi nascondo? O
fuggo? O faccio finta? O guardo da un’altra parte?».
Qualcuno potrebbe anche avere un
dubbio: «Si può discutere» con il Signore? «Sì — ha risposto Francesco — a lui
piace. A lui piace discutere con noi». Per
questo, ha raccontato, quando «qualcuno
mi dice: “Ma, padre, io tante volte quando vado a pregare, mi arrabbio con il Signore...”», la risposta è: «Anche questo è
preghiera! A lui piace, quando tu ti arrabbi e gli dici in faccia quello che senti, perché è padre! Ma questo è anche un “eccomi”».
Calendario
delle celebrazioni
presiedute
dal Pontefice
Febbraio
2 GIOVEDÌ
PRESENTAZIONE
SIGNORE
XXI GIORNATA MONDIALE
DELLA VITA CONSACRATA
FESTA
DEL
Basilica Vaticana, ore 17.30, Santa Messa con i membri degli Istituti di Vita
Consacrata e delle Società di Vita Apostolica
Marzo
1 MERCOLEDÌ
Dal 22 al 27 gennaio 2019 la giornata mondiale della gioventù a Panamá
Missione
ad Aleppo
Nel segno di Maria
Per incarico di Papa Francesco, dal 18 al 23 gennaio, il segretario delegato del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, monsignor
Giampietro Dal Toso, ha svolto una visita ad Aleppo, insieme al cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, e al consigliere della nunziatura,
monsignor Thomas Habib. Si è trattato della prima
visita ufficiale da parte di rappresentanti della Santa Sede dopo la fine delle ostilità ad Aleppo.
La delegazione ha potuto incontrare le comunità
cristiane e i loro pastori, che hanno espresso gratitudine al Pontefice per la sua costante sollecitudine
verso l’amata Siria. Inoltre ha fatto visita a istituzioni di carità cattoliche e ad alcuni campi di rifugiati. In particolare si è dato avvio a un centro di
assistenza umanitaria gestito da Caritas Aleppo nel
quartiere di Hanano. Nel corso della missione si è
partecipato a un momento di preghiera ecumenico
organizzato in occasione della settimana per l’unità
dei cristiani e si sono verificate le condizioni di alcune strutture ospedaliere cattoliche, alla luce di un
futuro progetto di ricostruzione e rimessa in opera
delle stesse. Inoltre vi sono stati incontri con rappresentanti dell’islam, durante i quali si è sottolineata la responsabilità delle religioni nell’educare
alla pace e alla riconciliazione. Nel corso della visita le autorità civili e religiose hanno reso omaggio
alla delegazione, manifestando particolare gratitudine per il gesto del Papa di elevare alla dignità
cardinalizia il rappresentante pontificio nel paese e
riconoscendo in esso la speciale vicinanza di Francesco alla martoriata popolazione siriana.
Negli incontri con gli organismi di carità cattolici, infine, è emersa l’importanza dell’assistenza da
questi fornita a beneficio di tutta la popolazione siriana. Con il sostegno della Chiesa universale e
grazie al generoso contributo della comunità internazionale, tale aiuto potrà intensificarsi in futuro
per far fronte alle crescenti necessità delle persone.
Tra le immediate urgenze, vanno specialmente segnalate quelle relative ai bisogni alimentari, al vestiario, all’educazione, all’assistenza sanitaria e agli
alloggi.
Sarà nel segno di Maria la
prossima giornata mondiale
della gioventù, in programma
a Panamá dal 22 al 27 gennaio
2019. Lo spiega il cardinale
Kevin Farrell, prefetto del dicastero per i laici, la famiglia e
la vita, commentando per il
nostro giornale la scelta delle date dell’appuntamento,
annunciate nei giorni scorsi
durante una conferenza stampa nella capitale dello stato centroamericano.
«Per la prima volta
— spiega il porporato
— il percorso triennale
delle giornate mondiali della gioventù, che
culminerà nella celebrazione internazionale dell’evento, ha un
tema mariano, per sottolineare la presenza
della madre di Dio
nella vita dei giovani e
soprattutto nella fede
e nella devozione dei
popoli
dell’America
centrale».
E qui risalta un’altra
delle caratteristiche del
prossimo raduno internazionale delle nuove
generazioni, tra quelle individuate dal cardinale Farrell,
che dal 5 all’8 dicembre scorsi
è stato a Panamá per alcune
riunioni preparatorie: «Bisogna pensare che la candidatura di Panamá, quale sede della
gmg 2019, era stata sostenuta
dalle Conferenze episcopali
dell’America centrale, quindi il
cammino
di
preparazione
coinvolge anche le forze eccle-
Possessi cardinalizi
Domenica 29 gennaio, i cardinali Joseph William Tobin, C.SS.R., e Kevin
Joseph Farrell prenderanno rispettivamente possesso del titolo di Santa
Maria delle Grazie a Via Trionfale e della diaconia di San Giuliano Martire. Lo rende noto l’ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, specificando che l’arcivescovo di Newark si recherà nella chiesa romana di piazza Santa Maria delle Grazie 5 alle 10.15, mentre il prefetto
del dicastero per i laici, la famiglia e la vita, sarà in quella di via Cassia
1036 alle 10.30.
siali di quella parte del mondo».
C’è poi un ulteriore aspetto
da considerare, secondo il prefetto del nuovo dicastero: «Panamá è particolarmente importante perché da qui ha
avuto inizio la penetrazione
del Vangelo nel continente
americano». Infatti la diocesi
panamense di La Antigua,
creata nel 1513, è stata la prima
sulla terraferma dell’America.
Eppure la gmg 2019 non sarà solo un’occasione per fare
memoria, ma anche per guardare all’attualità, attraverso
l’ottica privilegiata di un luogo che è al centro delle rotte
migratorie da sud a nord. «In
questi giorni in cui si parla
tanto di migranti e di immigrati — afferma Farrell — l’appuntamento di Panamá si propone come momento di riflessione su uno dei fenomeni con
i risvolti sociali più significativi per le donne e gli uomini
del nostro tempo».
Infine il porporato riferisce
di aver accolto positivamente
anche l’idea di invitare giovani
di altre confessioni per un ulteriore allargamento del significato e del messaggio della
gmg. «È una cosa che si è
sempre fatta, visto che alle
gmg sono invitati tutti i giovani cristiani, ma in una realtà
come l’America centrale ciò
assume un significato ancora
maggiore, perché può essere
una risposta della Chiesa cattolica alle sfide poste in particolare dal proselitismo delle
sétte».
Quanto alla data
della celebrazioni nel
mese di gennaio, il
cardinale si dice consapevole «delle difficoltà che possono incontrare i giovani europei impegnati con le
scuole, così come gli
stessi studenti statunitensi, soprattutto quelli che frequentano
l’università,
perché
quello è un periodo di
intensa attività accademica». Ma, precisa subito, «è anche vero
che non è la prima
volta che la gmg si fa
a gennaio. È già successo nel 1995 a Manila — fa notare — e la
decima gmg è rimasta
nella storia come quella col maggior numero
di partecipanti». In
questo caso, conclude,
«sono state prese in considerazione soprattutto motivazioni
legate al clima, visto che gennaio è il mese con meno pioggia».
Sulla stessa lunghezza d’onda l’arcivescovo di Panamá.
«Sappiamo bene che in alcuni
paesi questo non è periodo di
vacanze, ma siamo convinti
che ciò non sarà un ostacolo
per tante migliaia di giovani»
ha detto alla stampa monsignor José Domingo Ulloa
Mendieta. Voi, ha aggiunto rivolgendosi direttamente a questi ultimi «siete i veri protago-
DELLE
CENERI
Chiesa di Sant’Anselmo, ore 16.30, Statio e processione penitenziale; Basilica
di Santa Sabina, ore 17, Santa Messa,
benedizione e imposizione delle Ceneri
5
Per incarico di Papa Francesco
DELLA
I
D OMENICA
DI
QUARESIMA
Ariccia, Inizio degli esercizi spirituali
per la Curia Romana
10 VENERDÌ
Conclusione degli esercizi spirituali per
la Curia Romana
nisti di queste giornate. Panamá — ha concluso il presule
agostiniano — vi attende con il
cuore e le braccia aperte per
condividere la fede, per sentirsi Chiesa!». (gianluca biccini)
Città del Vaticano, 24 gennaio 2017
Monsignor Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche
Pontificie
I funerali di Renato Buzzonetti
Ciò che più conta
«È vissuto con una profonda fede
in Gesù» e da questa «si è lasciato
condurre nel suo cammino umano
come cristiano e come professionista». Medico che ha seguito quattro
Papi, da Paolo VI a Benedetto XVI,
Renato Buzzonetti è stato ricordato
così durante la celebrazione delle
esequie. A presiederle lunedì pomeriggio, 23 gennaio, nella chiesa romana del Sacro Cuore del Suffragio
in Prati, è stato l’arcivescovo Georg
Gänswein, prefetto della Casa pontificia.
All’omelia il presule ha ricordato
come verso l’archiatra pontificio
emerito, il Vaticano e la Curia romana abbiano «un grande debito
di riconoscenza per quanto egli ha
fatto» fino al 2009, quando è andato in pensione. «L’esistenza cristiana — ha spiegato il celebrante — è
fatta di lavoro e fatica, di amore e
lotta, di progetti, speranze e delusioni. Ma è, nello stesso tempo, esistenza in Cristo, fatta di Vangelo e
di Eucaristia, di fedeltà e di amore
fraterno». Perciò, ha proseguito,
«se uno è davvero credente, il criterio supremo delle sue scelte non è il
successo, ma la conformità alla parola di Dio. Nella misura in cui
l’esistenza cristiana viene da Dio e
non si spiega con il desiderio di ottenere ricchezza, nella medesima
misura la morte non riesce ad appropriarsene». Del resto, «quello
che c’è in noi di obbedienza al
Vangelo ha il sapore dell’eternità».
In tale ottica, ha sottolineato l’arcivescovo, l’elenco delle cose che
Renato Buzzonetti ha fatto «è impressionante, ma non è ciò che più
conta». Contano invece «il cuore di
credente che ha avuto, il suo amore
senza riserva verso il Signore e verso la Chiesa, la sua devozione al
Papa, soprattutto la sua fedeltà ai
gesti semplici della vita cristiana:
preghiera, messa, comunione». An-
che perché, ha chiarito monsignor
Gänswein, «la vita cristiana è fatta
dei banchi di chiesa dove il ricco e
il povero pregano gomito a gomito;
del confessionale dove piccoli e
grandi si inginocchiano per ricevere
il perdono; è fatta del segno di pace sincero che si scambia con il vicino. Qui il cristiano impara l’umiltà e il rispetto per tutti».
Tra i tanti che hanno voluto partecipare al rito, i cardinali Dziwisz,
giunto da Cracovia, Tomko, Ryłko,
Harvey, Sandri e Baldisseri, gli arcivescovi Krajewski, Boccardo, Marini, Girotti e Maury Buendía, il vescovo Corbellini, le suore polacche
e collaboratori laici di Giovanni
Paolo II, medici e infermieri della
direzione di Sanità e Igiene dello
Stato della Città del Vaticano. Alla
fine della messa il cardinale
Dziwisz ha ricordato il legame tra
Buzzonetti e Papa Wojtyła.
†
Sua Eccellenza Monsignor Piero Marini, Presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali e gli Officiali annunciano con
dolore la morte del
Reverendo Padre
FERDINAND
PRATZNER, S.S.S.
già Segretario
ricordano con gratitudine la sua lunga
e generosa collaborazione e assicurano
il ricordo nella preghiera perché il Signore Risorto lo accolga nella gioia
del Paradiso.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 25 gennaio 2017
pagina 7
David Datuna
«Punti di vista»
Nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali il Papa invita a uno sguardo nuovo sulla realtà
Con gli occhiali giusti
«La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco»: tutto dipende «dallo sguardo
con cui viene colta», dagli «occhiali» con cui si sceglie di guardarla.
È quanto ricorda Papa Francesco nel messaggio per la cinquantunesima giornata
mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra il prossimo 28 maggio,
solennità dell’Ascensione del Signore.
«Non temere, perché io sono con te»
(Is 43, 5).
Comunicare speranza e fiducia
nel nostro tempo
L’accesso ai mezzi di comunicazione, grazie allo sviluppo tecnologico, è tale che
moltissimi soggetti hanno la possibilità di
condividere istantaneamente le notizie e
diffonderle in modo capillare. Queste notizie possono essere belle o brutte, vere o
false. Già i nostri antichi padri nella fede
parlavano della mente umana come di una
macina da mulino che, mossa dall’acqua,
non può essere fermata. Chi è incaricato
del mulino, però, ha la possibilità di decidere se macinarvi grano o zizzania. La
mente dell’uomo è sempre in azione e non
può cessare di “macinare” ciò che riceve,
ma sta a noi decidere quale materiale fornire (cfr. Cassiano il Romano, Lettera a
Leonzio Igumeno).
Vorrei che questo messaggio potesse
raggiungere e incoraggiare tutti coloro
che, sia nell’ambito professionale sia nelle
relazioni personali, ogni giorno “macinano” tante informazioni per offrire un pane
fragrante e buono a coloro che si alimentano dei frutti della loro comunicazione.
Vorrei esortare tutti ad una comunicazione
costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi
verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare
a guardare la realtà con consapevole fiducia.
Credo ci sia bisogno di spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle “cattive notizie”
(guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di
fallimento nelle vicende umane). Certo,
non si tratta di promuovere una disinformazione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un
ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male. Vorrei, al contrario, che tutti cercassimo di oltrepassare
quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci
nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite. Del resto, in un sistema comunicativo
dove vale la logica che una buona notizia
non fa presa e dunque non è una notizia,
e dove il dramma del dolore e il mistero
del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare
Per incontrarsi
Quando Papa Francesco invita a dare «buone
notizie» non si riferisce ai contenuti che si comunicano ma allo «sguardo, agli occhi di chi
racconta»; certo il Papa «non vuole che i media raccontino il mondo di Heidi». Lo ha detto monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto
della Segreteria per la comunicazione, durante
la presentazione del messaggio per la cinquantunesima giornata mondiale delle comunicazioni sociali, avvenuta nella Sala stampa della
Santa Sede, martedì mattina, 24 gennaio.
Dopo un riferimento alla tragedia della valanga abbattutasi sull’albergo di Rigopiano e
alle operazioni di salvataggio dei sopravvissuti,
il prefetto ha detto che esiste un modo di dare
notizie fatto di «prossimità, un modo di comunicare che permetta alle istituzioni di muoversi, che racconti la capacità di un popolo, in
questo caso quello italiano, di esprimere solidarietà». Questo porta a comunicare la vicinanza, cioè a «muoversi per dare un sostegno», e dimostra la capacità del popolo di
esprimere una grande generosità in occasioni
anche tragiche.
«Tutto questo — ha commentato — è il contrario esatto dell’ideologia». Infatti, la visione
ideologica è quella modalità «con la quale uno
non sta accanto a ciò che avviene ma pensa di
sapere cosa avviene senza bisogno di vederlo».
In particolare, il prefetto ha sottolineato come
«avvelenare i pozzi» significa avvelenare la società. E, ha aggiunto, «noi sappiamo che solo
il demonio e i figli del male producono le divisioni».
Monsignor Viganò ha ricordato l’incontro
tra il presidente israeliano Shimon Peres e
quello palestinese Abu Mazen, avvenuto in
Vaticano l’8 giugno 2014. In quell’occasione i due uomini politici pregarono
insieme e piantarono un ulivo. Certamente, con quell’incontro non tutti i
problemi sono stati risolti, ma è stato
compiuto un gesto di una forte portata
simbolica: si tratta del «metodo del sederci accanto all’altro».
Infine, riguardo al fenomeno delle
notizie false che vengono fatte circolare,
il prelato ha fatto notare come «le critiche false hanno la forza della falsità:
fanno molto scalpore ma durano poco
nel tempo». Oltretutto, ha rimarcato,
«non mi pare che il Papa sia particolarmente preoccupato dalle false notizie».
Peraltro il Pontefice apprezza le critiche
che gli vengono mosse con sincerità e
purezza di intenti. In particolare, monsignor Viganò ha osservato come nel discorso alla Curia romana del dicembre
scorso si capisce molto bene l’atteggiamento del Papa verso le critiche: entro
certi limiti aiutano, anche perché essere
leader di un gruppo di adulatori non
aiuta il leader a fare il leader.
Successivamente, nella cappella del
palazzo Pio, monsignor Viganò ha presieduto la concelebrazione eucaristica
nella memoria liturgica di Francesco di Sales,
patrono dei giornalisti. All’omelia ha sottolineato come il vescovo, in un momento di forte
dialettica tra riforma e Chiesa cattolica, abbia
saputo comunicare con saggezza, senza fare
polemica, scegliendo il metodo della missione.
Lo ha fatto attraverso una comunicazione semplice e ordinaria, con dei foglietti chiari ed efficaci. Papa Francesco, ha aggiunto monsignor
Viganò, fa da eco a questo metodo del santo
savoiardo, come appare evidente nel messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali dello scorso anno.
Commentando poi il salmo della liturgia del
giorno, il prefetto ha detto che «siamo chiamati a servire la Chiesa e il Papa attraverso dinamiche comunicative nella consapevolezza
che il messaggio che trasmettiamo non è nostro». Questo impegno non trascurabile porta
gioia e fatica, però c’è la certezza che il Papa
ci aiuta in questa teoria della prassi. Facendo
quindi riferimento al vangelo di Marco, il prelato ha spiegato che le regole della relazione e
della comunicazione le detta Gesù: davanti alle richieste che spingono Gesù a rientrare
all’interno del suo spazio, egli mostra che il
movimento deve essere contrario per cambiare
le dinamiche relazionali e comunicative.
Insieme con monsignor Viganò hanno concelebrato monsignor Lucio Adrián Ruiz, segretario della Segreteria per la comunicazione, e i
gesuiti Andrzej Majewski, Davide Djudjai, e
Ivan Herceg. Il coro di radio Vaticana diretto
da suor Beatrice Manaparampi ha animato la
liturgia. Tra i presenti, il direttore dell’O sservatore Romano.
la coscienza o di scivolare nella disperazione.
Vorrei dunque offrire un contributo alla
ricerca di uno stile comunicativo aperto e
creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista,
ma cerchi di mettere in luce le possibili
soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si
comunica la notizia. Vorrei invitare tutti a
offrire agli uomini e alle donne del nostro
tempo narrazioni contrassegnate dalla logica della “buona notizia”.
La buona notizia
La vita dell’uomo non è solo una cronaca asettica di avvenimenti, ma è storia,
una storia che attende di essere raccontata
attraverso la scelta di una chiave interpretativa in grado di selezionare e raccogliere
i dati più importanti. La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto
dipende dallo sguardo con cui viene colta,
dagli “occhiali” con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà
appare diversa. Da dove dunque possiamo
partire per leggere la realtà con “occhiali”
giusti?
Per noi cristiani, l’occhiale adeguato per
decifrare la realtà non può che essere
quello della buona notizia, a partire da la
Buona Notizia per eccellenza: il «Vangelo
di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1, 1).
Con queste parole l’evangelista Marco inizia il suo racconto, con l’annuncio della
“buona notizia” che ha a che fare con Gesù, ma più che essere un’informazione su
Gesù, è piuttosto la buona notizia che è Gesù stesso. Leggendo le pagine del Vangelo
si scopre, infatti, che il titolo dell’opera
corrisponde al suo contenuto e, soprattutto, che questo contenuto è la persona stessa di Gesù.
Questa buona notizia che è Gesù stesso
non è buona perché priva di sofferenza,
ma perché anche la sofferenza è vissuta in
un quadro più ampio, parte integrante del
suo amore per il Padre e per l’umanità. In
Cristo, Dio si è reso solidale con ogni situazione umana, rivelandoci che non siamo soli perché abbiamo un Padre che mai
può dimenticare i suoi figli. «Non temere,
perché io sono con te» (Is 43, 5): è la parola consolante di un Dio che da sempre
si coinvolge nella storia del suo popolo.
Nel suo Figlio amato, questa promessa di
Dio — “sono con te” — arriva ad assumere
tutta la nostra debolezza fino a morire
della nostra morte. In Lui anche le tenebre e la morte diventano luogo di comunione con la Luce e la Vita. Nasce così
una speranza, accessibile a chiunque, proprio nel luogo in cui la vita conosce
l’amarezza del fallimento. Si tratta di una
speranza che non delude, perché l’amore
di Dio è stato riversato nei nostri cuori
(cfr. Rm 5, 5) e fa germogliare la vita nuova come la pianta cresce dal seme caduto.
In questa luce ogni nuovo dramma che
accade nella storia del mondo diventa anche scenario di una possibile buona notizia, dal momento che l’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a
suscitare cuori capaci di commuoversi,
volti capaci di non abbattersi, mani pronte
a costruire.
La fiducia
nel seme del regno
Per iniziare i suoi discepoli e le folle a
questa mentalità evangelica e consegnare
loro i giusti “occhiali” con cui accostarsi
alla logica dell’amore che muore e risorge,
Gesù faceva ricorso alle
parabole, nelle quali il
Regno di Dio è spesso
paragonato al seme, che
sprigiona la sua forza
vitale proprio quando
muore nella terra (cfr.
Mc 4, 1-34). Ricorrere a
immagini e metafore
per comunicare la potenza umile del Regno
non è un modo per ridurne l’importanza e
l’urgenza, ma la forma
misericordiosa che lascia all’ascoltatore lo
“spazio” di libertà per
accoglierla e riferirla
anche a sé stesso. Inoltre, è la via privilegiata
per esprimere l’immensa dignità del mistero
pasquale, lasciando che
siano le immagini — più
che i concetti — a comunicare la paradossale
bellezza della vita nuova in Cristo, dove le
ostilità e la croce non
vanificano ma realizzano la salvezza di
Dio, dove la debolezza è più forte di ogni
potenza umana, dove il fallimento può essere il preludio del più grande compimento di ogni cosa nell’amore. Proprio così,
infatti, matura e si approfondisce la speranza del Regno di Dio: «Come un uomo
che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia
e cresce» (Mc 4, 26-27).
Il Regno di Dio è già in mezzo a noi,
come un seme nascosto allo sguardo superficiale e la cui crescita avviene nel silenzio. Chi ha occhi resi limpidi dallo
Spirito Santo riesce a vederlo germogliare
e non si lascia rubare la gioia del Regno a
causa della zizzania sempre presente.
Gli orizzonti dello Spirito
La speranza fondata sulla buona notizia
che è Gesù ci fa alzare lo sguardo e ci
spinge a contemplarlo nella cornice liturgica della festa dell’Ascensione. Mentre
sembra che il Signore si allontani da noi,
in realtà si allargano gli orizzonti della
speranza. Infatti, ogni uomo e ogni donna, in Cristo, che eleva la nostra umanità
fino al Cielo, può avere piena libertà di
«entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli
ha inaugurato per noi attraverso il velo,
cioè la sua carne» (Eb 10, 19-20). Attraverso «la forza dello Spirito Santo» possiamo
essere «testimoni» e comunicatori di
un’umanità nuova, redenta, «fino ai confini della terra» (cfr. At 1, 7-8).
La fiducia nel seme del Regno di Dio e
nella logica della Pasqua non può che plasmare anche il nostro modo di comunicare. Tale fiducia che ci rende capaci di operare — nelle molteplici forme in cui la comunicazione oggi avviene — con la persuasione che è possibile scorgere e illuminare la buona notizia presente nella realtà
di ogni storia e nel volto di ogni persona.
Chi, con fede, si lascia guidare dallo
Spirito Santo diventa capace di discernere
in ogni avvenimento ciò che accade tra
Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli
stesso, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di
una storia di salvezza. Il filo con cui si
tesse questa storia sacra è la speranza e il
suo tessitore non è altri che lo Spirito
Consolatore. La speranza è la più umile
delle virtù, perché rimane nascosta nelle
pieghe della vita, ma è simile al lievito che
fa fermentare tutta la pasta. Noi la alimentiamo leggendo sempre di nuovo la
Buona Notizia, quel Vangelo che è stato
“ristampato” in tantissime edizioni nelle
vite dei santi, uomini e donne diventati
icone dell’amore di Dio. Anche oggi è lo
Spirito a seminare in noi il desiderio del
Regno, attraverso tanti “canali” viventi, attraverso le persone che si lasciano condurre dalla Buona Notizia in mezzo al dramma della storia, e sono come dei fari nel
buio di questo mondo, che illuminano la
rotta e aprono sentieri nuovi di fiducia e
speranza.
Dal Vaticano, 24 gennaio 2017
Nomina episcopale
in Camerun
La nomina di oggi riguarda la
Chiesa in Camerun.
Michael Miabesue Bibi
ausiliare di Bamenda
Nato il 28 luglio 1971 a Bamessing (Nsei), arcidiocesi di Bamenda, ha studiato filosofia e teologia
nel seminario maggiore Saint
Thomas Aquinas di Bambui, in
Bamenda. Ordinato sacerdote il
26 aprile 2000, nell’arcidiocesi di
Bamenda è stato vicario parrocchiale di Saint Jude a Fundog
(2000-2001), di Saint Matthias a
Widikum (2001-2003) e di Saint
Joseph a Mankon (2003-2004).
Dopo gli studi per il master in
teologia con specializzazione in
catechetica presso il Maryvale Institute di Birmingham, in Inghilterra (2004-2006), è tornato in
patria per svolgere il ministero
nelle parrocchie di Saint Joseph a
Bafut e di All Saints (2006-2008);
quindi è stato cappellano del Sacred Heart College di Mankon
(2006-2007) e del Saint Paul College di Nkwen (2007-2008). Poi
ha ricoperto gli incarichi di assistant archdiocesan financial secretary e cancelliere dell’arcidiocesi
(2009-2011), segretario particolare
dell’arcivescovo (2012-2015) e, dal
2015, segretario cancelliere dell’arcidiocesi di Bamenda.
Fernando Ocáriz
prelato dell’Opus Dei
Fernando Ocáriz è il nuovo prelato della prelatura personale della Santa Croce e
Opus Dei. Il Papa ha confermato la sua elezione, avvenuta la sera del 23 gennaio, da
parte del congresso generale elettorale della prelatura, convocato da sabato 21. Succede a Javier Echevarría Rodríguez, morto il 12 dicembre 2016.
Nato a Parigi il 27 ottobre 1944, in una famiglia spagnola esiliata in Francia per la
guerra civile, è il più giovane di otto figli. Laureato in fisica all’università di Barcellona nel 1966, ha conseguito la licenza in teologia alla Pontificia università Lateranense nel 1969 e durante gli studi romani ha vissuto con il fondatore Josemaría
Escrivá. Quindi ha ottenuto il dottorato all’università di Navarra nel 1971, anno in
cui è stato ordinato sacerdote e inizialmente si è dedicato alla pastorale dei giovani e
degli universitari.
Consultore delle Congregazioni per la dottrina della fede (dal 1986) e per il clero
(dal 2003) e del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione
(dal 2011), è membro della Pontificia accademia teologica dal 1989. Tra i primi docenti della Pontificia università della Santa Croce, vi ha insegnato teologia fondamentale. Oltre a studi filosofici e teologici, ha scritto nel 2013, con il giornalista Rafael Serrano, il libro intervista Sobre Dios, la Iglesia y el mundo.
Nominato vicario generale della prelatura dell’Opus Dei il 23 aprile 1994 e vicario
ausiliare nel dicembre 2014, per ventidue anni ha accompagnato il predecessore
Echevarría nelle visite pastorali in oltre settanta paesi.