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Giovedì 26 Gennaio 2017
13
Trump intende trasferire a Gerusalemme l’ambasciata Usa in Israele che oggi è a Tel Aviv
L’ambasciata delle discordia
I palestinesi minacciano sfracelli contro il riconoscimento
DI
ZEFFIRA ZANFAGNA
A
pochi giorni dall’insediamento di Donald
Trump come 45esimo presidente degli
Stati Uniti, si comincia già
a intravedere un possibile
cambiamento nelle relazioni
tra Usa e Israele.«Abbiamo
appena iniziato a discutere
dello spostamento dell’ambasciata americana in Israele
da Tel Aviv a Gerusalemme»,
ha affermato domenica Sean
Spicer, nuovo portavoce della
Casa Bianca. Le parole di Spicer arrivano dopo che per settimane l’allora segretario di
Stato uscente, il democratico
John Kerry, aveva ribadito
che il ricollocamento dell’ambasciata potrebbe provocare
«un’esplosione assoluta» in
Israele, nella West Bank e
in tutto il Medio Oriente, si
legge su Haaretz.
La telefonata Trump-Netanyahu. Domenica scorsa,
poco dopo la dichiarazione di
Spicer, Trump e Netanyahu
hanno avuto una conversazione telefonica, in cui il primo si
è impegnato «ad affrontare la
minaccia costituita dall’Iran,
fornire supporto alla sicurezza di Israele e facilitare il
processo di pace con i palestinesi», scrive.
La conversazione ha dato
modo di credere a molti, in
Israele, che, con la presidenza Trump, stia per iniziare
una nuova fase delle relazioni
con gli Stati Uniti. Secondo i
portavoce del primo ministro
israeliano, la conversazione
con Trump è stata «molto
familiare», riporta Time of
Israel.
La reazione di Israele.
In Israele la dichiarazione
rilasciata da Spicer è stata
accolta come una conferma definitiva allo spostamento della
sede dell’ambasciata. «L’ambasciata americana è sulla
strada per Gerusalemme», è
apparso in sovraimpressione
durante il principale notiziario mandato in onda, in prima serata, sul canale 2 della
tv israeliana. Immediate sono
state le reazioni di alcuni funzionari del governo israeliano.
«Trump dimostra di essere un
vero amico dello Stato di Israele, in grado di mantenere le
sue promesse», ha affermato il
maggiore Nir Barkat.
Ze’ev Elkin, ministro per
gli affari di Gerusalemme, Lo
spostamento «manderà un
chiaro messaggio al mondo:
«Gerusalemme è capitale indi- palestinese. All’incirca due
visibile dello Stato di Israele», settimane prima dell’inseha proseguito Elkin. I membri diamento di Donald Trump,
del governo israeliano fanno la Palestina aveva lanciato
da tempo pressione affinché una campagna mediatica e
l’ambasciata venga spostata diplomatica per mobilitare
a Gerusalemme, poiché una l’opinione pubblica contro lo
simile decisione
costituirebbe la
prova tangibile
del riconoscimento della città
come capitale di
Israele da parte
di Washington.
L’esercito, la
polizia e lo Shin
Bet (l’agenzia di
intelligence per
gli affari interni dello stato di
Israele) hanno
accolto la notizia con meno
euforia, consci
Donald Trump e Benjamin Netanyahu
dell’ondata di
violenza che una
simile decisione scatenerebbe, spostamento dell’ambasciata
come riporta Haaretz. Secondo americana da Tel-Aviv a Gealcuni funzionari del governo rusalemme.
Il presidente Mahmoud
israeliano, Netanyahu avrebbe ordinato alla difesa di pre- Abbas, poi, ha inviato una
parare un piano per fronteg- lettera al presidente Trump,
giare l’eventuale emergenza, all’omonimo russo Vladimir
si legge sul quotidiano israe- Putin, al primo ministro
liano.
britannico Theresa May e
La reazione del fronte ad altri leader, mettendoli in
guardia circa le «disastrose»
conseguenze e «la distruzione
del processo di pace» che una
tale decisione provocherebbe,
si legge sul Jerusalem Post.
Abbas ha anche affermato
che, in caso di spostamento
dell’ambasciata, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina
– l’Olp – rinnegherebbe
il riconoscimento dello
Stato di Israele.
La mossa di Re
Abdullah II di Giordania. La posizione
di Mohmoud Abbas,
anche conosciuto come
Abu Mazen, ha incontrato il supporto di
numerosi stati arabi,
primo tra tutti la Giordania, dal momento che
i siti sacri di Gerusalemme si trovano sotto
la giurisdizione del
governo di Amman. Il
ministro giordano dei media,
Mohammed al-Momani,
ha dichiarato che muovere
l’ambasciata americana a
Gerusalemme significherebbe raggiungere un punto di
non ritorno, generando «conseguenze catastrofiche», si
legge su Haaretz.
Formiche.net
CON LA SUA GUIDA PRATICA, ANTONIO PALMIERI SPIEGA COME TRARNE IL MASSIMO VANTAGGIO POLITICO
Internet è uno strumento che non può essere preso
sottogamba se si vogliono ottenere dei buoni risultati
DI
DANIELE CAPEZZONE
A
ntonio Palmieri è un parlamentare che, da sempre, è anche il responsabile internet e
della comunicazione elettorale di Forza Italia. Coltiva da vent’anni
una competenza specifica in quel settore. Da molto tempo, Palmieri si sforza
di alfabetizzare il suo partito rispetto a
quanto accade online, cercando una misura e una mediazione tra quanto sarebbe teoricamente necessario e quanto
è invece materialmente possibile, visti
gli interlocutori, a partire da un Berlusconi che è da sempre proiettato verso
i media tradizionali, e inevitabilmente,
con l’andare del tempo, verso i fruitori
meno giovani (e forse meno dinamici)
della tv generalista. Palmieri ha scritto
per le edizioni Franco Angeli un libro
che ha un triplice valore: di manuale
operativo per singole persone pubbliche, di riflessione strategica per i leader, e anche di analisi sul campo del
fenomeno internet. Non siamo dinanzi
a un saggio polveroso, teorico, astratto,
distante: ma a una testimonianza diretta di chi è nell’arena, e offre suggerimenti concreti per starci senza essere
incornati dal toro.
Alle singole personalità pubbliche (parlamentari, figure apicali nel
loro settore professionale, ecc), Palmieri
offre consigli di assoluto buon senso e,
quel che più conta, realizzabili. Cito in
ordine sparso.
1. La comunicazione in sé non
basta: occorre avere qualcosa da co- ne: in particolare, l’uso dell’email e
municare, cioè aver lavorato sodo, po- la creazione di un database sono uno
ter rendere conto al pubblico di ciò che strumento imprescindibile per rivolsi è fatto davvero: altrimenti l’autogol gersi a numeri significativi. I sta per
informazione diretta: trasformare la
è certo.
propria presenza su inter2. Non raccontare balle, non conet non in una vetrina castruire una maschera inesisuale, ma in un lavoro di
stente, falsa, alteaggiornamento costante,
rata. Prima o poi
per divenire una vera e
(più prima che poi),
propria fonte di informasi paga un prezzo.
zione. C sta per «conver3. Essere più
genza»: cioè intrecciare
specialisti che tute valorizzare in modo
tologi, e quindi coltiincrociato internet e
vare una o più comi media tradizionali,
petenze, per essere
ovvero le proprie preun riferimento.
senze radiotelevisive.
4. Lavorare sul
I sta per interattività:
cosiddetto tridente
per i leader, rispondecostituito da un sito inre in modo immediaternet (come base), da
to e diretto a tutti
una newsletter e da un
è materialmente
lavoro sui social network
impossibile, ma al(conoscendo l’abissale
icazione
n
u
m
co
e
meno un’attività a
differenza tra Facebook
Internet Antonio Palmieri
i
campione andrebe Twitter, i loro diversi
politica d
be svolta.
utenti e linguaggi).
5. Monitorare anche l a d a r k
In generale, l’autore offre riside dalla rete, e gestire insulti e attac- flessioni davvero utili sul fenomeno
chi in modo intelligente.
internet. Ne seleziono arbitrariamente
6. Sapere che le immagini (ahi- quattro. La prima: dice Palmieri che innoi) valgono più dei testi e delle pa- ternet è come un «bambino che ha semrole.
pre fame». Insomma, richiede un’attiviAi leader, Palmieri raccomanda tà e una cura continua, non un impegno
l’acronimo AMICI. A sta per Ascolto: sporadico e casuale. È bene tenerlo
stare sui social network significa non presente. La seconda: la comunicaziosolo trasmettere, ma anche capire ne (e quindi anche quella online) è un
l’aria che tira. M sta per mobilitazio- abito su misura: ognuno deve trovare la
propria dimensione, evitando omologazioni e omogeneizzazioni innaturali. La
terza (decisiva): non si può pensare che
una buona presenza su internet abbia
effetti taumaturgici, perché la realtà
è più forte di qualunque narrazione e
storytelling, e nessuna favola (nemmeno ben raccontata) saprà capovolgere
la sensazione di disagio che le persone
vivono nella loro vita reale. La quarta: non ha senso fare i furbi, acquisire
amici o follower farlocchi, al solo scopo
di gonfiare la propria presenza in rete.
Magari, all’inizio, farai un pochino di
rumore in più, ma prendere voti o acquisire qualunque forma di consenso
duraturo per quella via è a dir poco
improbabile.
Resta un interrogativo, che personalmente mi angoscia, ma immagino appartenga un po’ a tutti. Con questi
meccanismi, un po’ tutti tendiamo molto a stare in una nostra «bolla» (di amici, di persone che, bene o male, la pensano come te), mentre accanto crescono
altre «bolle» (con relative occasioni di
scontro tra «bolle» e «mondi» diversi).
Siamo dunque destinati a stare in curva e a guardare in cagnesco la curva opposta? Abbiamo perso la speranza, e la
sfida intellettuale, di dialogare davvero
(non per finta, e non per insultarsi) con
chi ha idee valide ma di segno diverso
dalle nostre?
Antonio Palmieri, Internet e
comunicazione politica – Strategie, tattiche, esperienze e
prospettive (ed. Franco Angeli)