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Venerdì 27 Gennaio 2017
ESTERO - LE NOTIZIE MAI LETTE IN ITALIA
«Vegan kochen ohne mich», cucina vegana senza di me, tiene duro un cuoco della Foresta Nera
I vegani tedeschi all’assalto
Vorrebbero imporre i loro piatti in tutti i ristoranti
da Berlino
ROBERTO GIARDINA
È
una tradizione che risale al Medioevo. In ogni
municipio, dalle grandi
città ai paesi, si trova
un ristorante. Un tempo luogo sicuro per viandanti e pellegrini. Sono di diverso livello, e
non sempre dipende dalla cittadina o dalla metropoli dove
si trovano. Ad Amburgo, è un
locale pieno di fascino, dalla
buona cucina, o almeno lo era,
non ci vado da parecchi anni,
e dai prezzi non proprio popolari. A Berlino, ogni quartiere
ha un suo municipio, come gli
arrondissements parigini. Nel
ristorante della mia Rathaus,
a Charlottenburg, ci sono andato un paio di volte per curiosità. Piatti abbondanti e prezzi
abbordabili, per accontentare
una clientela dalle pretese non
eccessive.
Contro i luoghi comuni,
non sempre i tedeschi sono
nazionalisti e tradizionalisti.
Il ristorante della Rathaus di
Horn, 10 mila abitanti, nella
(che sono 250 mila almeno),
e ora scoperto dagli stranieri
che comprano casa nella capitale, con gli italiani in testa.
Sul menu si promette «un
buon pranzo, gustoso e a buon
prezzo», e si aggiunge: «Da noi
cucina il capo in persona, e da
più di trent’anni». Cioè da prima della caduta del Muro. Una
garanzia.
altro luogo dove si mangia
bene senza seguire le mode
della nouvelle cuisine, è ai
fornelli dal 2 gennaio del
1987. Ma adesso medita di
arrendersi: «È un lavoro
stressante, senza vacanze,
con un orario che comincia
poco dopo l’alba con gli acquisti al mercato, e finisce
quando esce l’ultimo cliente». Ha resistito finché non
è arrivato l’ultimo colpo: la
pretesa che, in nome del
politically correct e della
democrazia, debba offrire
anche piatti vegani. Gli
elettori del quartiere sono
in media giovani, e seguono le tendenze. Il veganismo
è quasi una religione, e il consiglio comunale è sensibile
alle richieste degli abitanti.
Il sindaco di Kreuzberg è la
verde Monika Hermann, e
il suo partito nel 2013 mise in
programma «un giorno vegetariano obbligatorio» in tutte
le mense della Germania. E
perse le elezioni.
Jürgen Palla, 63 anni,
viene dalla Foresta Nera,
«Nel mio menu offro
piatti vegetariani, si difen-
Teutoburger Wald, la foresta dove Varo perse le
sue legioni 2007 anni fa,
è gestito da turchi, e il gestore ha senso dell’umorismo, chiamandolo «Al
Goldenen Horn», il corno
d’oro della sua patria sul
Bosforo, e l’Horn paesano.
Ci andai per intervistare
colui che era stato il boia
di Fossoli, scoperto quando aveva 90 anni, anche
se aveva sempre abitato
nel suo paese natale.
Ma l’ideologia culinaria è a volte più fondamentalista di quella
politica. La Kantine, la mensa,
del municipio di Kreuzberg a
Berlino, era un indirizzo per
buongustai, scrive Die Welt,
ancora non scoperto dai turisti. Al decimo piano del palazzo offre anche un bel panorama, ed è frequentato dalla
gente del quartiere oltre che
dagli impiegati comunali. Un
locale tradizionale, immune
dalla tendenza multiculturale del quartiere, una volta riservato agli immigrati turchi
Jürgen Palla
de Palla, come è normale, ma
quelli vegani sono un’altra
cosa». La sua specialità sono i
carrywurst con patate fritte, o
wienerschnitzel, o involtini di
manzo, tutto a un prezzo fra
i tre e i 5,50 euro. Una specialità vegana richiede più lavoro, e dunque maggior costo,
inoltre le pietanze non devono
entrare in contatto con piatti
e pentole in cui sia stato cucinato o offerto un piatto per
carnivori.
La battaglia di Palla è
più importante di quel che
sembra. Se sarà obbligatorio
offrire piatti vegani anche
nella cinquantina di scuole di
Kreuzberg come si pretende, il
costo per il municipio aumenterà di quasi 298 mila euro. Il
movimento vegano sta raccogliendo firme per una mozione
popolare da presentare entro
marzo. Intanto i sostenitori di
Palla cercano di convincerlo a
resistere: «Vegan kochen ohne
mich», cucina vegana senza di
me, tiene duro il cuoco della
Foresta Nera.
© Riproduzione riservata
Sono 731 milioni. E sono cresciuti di 43 mln in un anno Sul quale aveva investito grandi risorse
I cinesi che usano il web Toshiba in crisi
sono più dei cittadini Ue nel nucleare
DI
ANGELICA RATTI
I
nternet non smette di battere record in
Cina. Il numero degli internauti cinesi, che
è già il più numeroso del pianeta, ha raggiunto quota 731 milioni di persone a fine
2016, cioè poco più dell’insieme della popolazione
del continente europeo (all’incirca 700 milioni).
La Cina ha guadagnato 43 milioni di utilizzatori
del web in un anno (+6,2%) quasi come tutta la
Spagna intera, secondo i dati delle autorità
locali riportati da Le Figaro. All’incirca il
53% del miliardo di cinesi (1,37 miliardi di
cinesi per la precisione) è collegato grazie
alla diffusione molto rapida dei cellullari
connessi. Un tasso comunque inferiore
a quello dell’Europa occidentale (oltre il
70%) dal momento che l’uso di internet è
meno diffuso nelle zone rurali povere.
La crescita rapida degli internauti
costituisce una sfida politica importante per il regime comunista che cerca di
controllare i messaggi diffusi sulla rete per
evitare la crescita di contestazioni. L’accesso a numerosi siti stranieri è vietato sia
che si tratti di Google che di Facebook, Twitter, o
di giornali online. Solo chi possiede un computer
speciale può superare questa muraglia informatica cinese. Ma Pechino ha lanciato una campagna di depistaggio contro i provider insistendo
sul fatto che c’è il divieto di ricorrere a virtual
private network senza autorizzazione anticipata.
Un giro di vite per permettere di imbrigliare l’informazione in vista del 19° congresso del partito
comunista, strategico, nel secondo semestre del
2017. E cosa importa se il presidente Xi Jinping
ha promesso al Forum di Davos di lasciare aperta la porta della Cina.
I social network cinesi sono continuamente sorvegliati da un esercito di censori
governativi: certi contenuti negativi per il governo possono scomparire così rapidamente come
sono apparsi. Questo, comunque, non impedisce
al governo di incoraggiare lo sviluppo del web
e delle nuove tecnologie. Pechino conta sullo
sviluppo di giganti innovatori come Alibaba o
Tencent e sull’impennata rapida del commercio
elettronico per rilanciare i consumi e i servizi di
Cinesi connessi in metrò
una crescita i cui motori si sono un po’ inceppati.
Il numero dei cinesi che fanno acquisti
online dal proprio smartphone è cresciuto
di oltre un terzo l’anno scorso (469 milioni di
internauti) grazie anche al fatto che la Cina ha
attivato sistemi di pagamento come WeChat Pay
o Alipay molto pratici nell’utilizzo che permettono di pagare in un batter d’occhio, via smartphone, il conto del supermercato, del ristorante, di
acquistare un biglietto del cinema, pagare una
bolletta e il taxi.
© Riproduzione riservata
DI
GIOVANNI GALLI
D
agli scandali contabili alle scivolate commerciali, il gruppo
nipponico Toshiba
non ha finito di inciampare nelle difficoltà, al punto di essere
costretto a separare le proprie
attività storiche, le più redditizie per cercare di riportare a
galla la propria divisione nucleare. La società ha ammesso
che sta studiando la cessione
della sua attività più prestigiosa, quella delle memorie flash,
(memorie riscrivibili) utilizzate
nei terminali elettronici di tutto il mondo. Soltanto questa attività vale 13 miliardi di dollari
(12,1 miliardi di euro) secondo
l’agenzia Bloomberg. Cioè il valore totale di Toshiba. Diversamente il resto, e specialmente
la posizione di campione mondiale del nucleare non vale più
granché.
Il gotha dell’elettronica giapponese si è messa in moto per
accaparrarsi la pepita.
Toshiba ha impegnato il
proprio futuro nel 2006 acquistando l’americana Westinghouse, l’inventrice del reattore
a acqua pressurizzata i cui brevetti sono alla base del parco
nucleare francese. Pagata 5,4
miliardi di dollari (5 mld di
euro), questa operazione, molto costosa, era stata applaudita in un momento in cui la
diversificazione nell’energia
atomica era diventata la tendenza. Toshiba raggiungeva
General Electric e Areva sul
podio mondiale dei grandi
esportatori di questa tecnologia. Il calvario poteva cominciare. La prima stazione sarà
la svalutazione del prezzo di
acquisto di Westinghouse,
sopravvalutata; la seconda,
l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima (due reattori erano stati costruiti da
Toshiba) che ha gelato il suo
sogno di un grande avvenire
nel nucleare. I clienti si sono
rarefatti, ma Toshiba non si è
fermata e ha moltiplicato le
acquisizioni e le sconfitte, soprattutto negli Usa con cantieri in ritardo. Inoltre, il 2015
è stato segnato da un enorme
scandalo contabile finito con il
sovrastimare di oltre, 1,3 mld
di dollari (1,2 mld di euro) i profitti dell’impresa ed è costato il
posto al presidente.
Piegato dagli impegni di
lungo termine, e le esigenze
governative, il gruppo non
è più potuto uscire dalla trappola del nucleare e ha dovuto
vendere i gioielli di famiglia.
© Riproduzione riservata