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Martedì 24 gennaio 2017, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Leonidas Kavakos
violino
Enrico Pace
pianoforte
Janáček - Sonata per violino e pianoforte
Schubert - Fantasia in do maggiore D 934
Messiaen - Thème et variations
Beethoven - Sonata n. 10 in sol maggiore op. 96
10
Di turno
Franca Cella
Lodovico Barassi
Direttore artistico
Paolo Arcà
5 minuti prima di ascoltare: Gaia Varon
Con il contributo e il patrocinio di
Leoš Janáček
(Hukvaldy 1854 - Ostrava 1928)
Sonata per violino e pianoforte (ca. 19’)
I. Con moto II. Ballada III. Allegretto IV. Adagio
l Anno di composizione: 1914/15 (rev. 1916/22)
l Prima esecuzione: Brno, 24 aprile 1922
Tra gli appunti della Sonata per violino, si trova la data dell’1 agosto segnata
in rilievo da Janáček. La data si riferisce alla dichiarazione di guerra della Germania alla Russia, che segnava allo stesso tempo l’inizio delle ostilità tra Russia
e Impero austro-ungarico. Janáček era convinto che la soluzione ai problemi
della nazione ceca e morava passasse per la distruzione dell’odiato oppressore
austro-tedesco, quindi sperava ardentemente in una rapida vittoria delle forze russe, corse in soccorso dei fratelli slavi attaccati. Non tutti però erano di
questo avviso, nemmeno tra i nazionalisti cechi, che speravano piuttosto in una
sorta di autonomia all’interno dell’Impero sull’esempio di quella ottenuta dagli
ungheresi con la riforma costituzionale del 1867. In questo clima eccitato dalle
notizie provenienti dal fronte, ma tutto sommato non molto diverso dagli anni
precedenti la Guerra, Janáček lavorava alla sua terza Sonata per violino, l’unica in effetti a raggiungere lo stadio definitivo di lavoro ufficiale e pubblicato.
Nel 1922, all’epoca della prima esecuzione della Sonata, finalmente rivista e ritoccata in maniera definitiva, Janáček ricordava come avesse scritto il lavoro
“mentre aspettavamo i russi in Moravia”. Il focoso maestro, che aveva appena
compiuto 60 anni, non doveva tuttavia essere ritenuto un pericoloso nemico interno dalle autorità, che non presero alcun provvedimento nei suoi confronti
per tutta la durata del conflitto. La curatrice dell’Edizione critica della Sonata,
Alena Nemcova, suggerisce l’ipotesi che il lavoro sia stato scritto in realtà prima
della Guerra, non solo perché l’unico riferimento al conflitto è la data aggiunta
sugli abbozzi, ma anche perché almeno un movimento, “Ballada”, era stato scritto alcuni mesi prima come pezzo indipendente e pubblicato a parte nel 1915. Nel
corso delle varie revisioni, “Ballada” venne aggiunto, quasi senza ritocchi, prima
in terza e infine in seconda posizione all’interno della Sonata. Le correzioni e i
ripensamenti continuarono tuttavia fino al 1922, quando la posizione di Janáček
nella musica ceca e internazionale era totalmente cambiata. All’epoca della prima versione, Janáček era ancora uno stimato maestro di provincia e niente più,
noto soprattutto per il suo lavoro sul folklore moravo. Dopo la Guerra invece,
soprattutto grazie al clamoroso successo del suo teatro dopo la riscoperta dell’opera Jenufa, la musica di Janáček aveva varcato i confini della Cecoslovacchia
e conquistato l’attenzione della critica internazionale. Questa svolta risulta evi-
dente anche nella Sonata per violino, che nella versione definitiva mette in luce i
debiti con lo stile operistico e la vicinanza con la sua ultima opera Kat’a Kabanova. Il tema principale del primo movimento, “Con moto”, e il tema d’apertura del
terzo, “Allegretto”, riecheggiano in maniera marcata alcuni motivi dell’opera.
Aldilà delle somiglianze tematiche, la scrittura frammentaria e psicoanalitica
dei due strumenti, sottoposti a repentini scarti d’umore e impressionistiche accelerazioni emotive, sembra pescare direttamente nello stile teatrale, malgrado Janáček si sforzi, in maniera eccezionale nella sua produzione strumentale,
di conferire alla forma una struttura tradizionale, con i due movimenti laterali
composti in forma sonata e l’“Allegretto” in stile di scherzo con trio. Guerra o
no, la Sonata per violino non è un lavoro eroico, ma nasconde dietro la sua appassionata vitalità un fondo di tragedia e di disperazione, che trova forse la sua
espressione migliore nelle scarne battute in tempo “Adagio” alla fine dell’ultimo
movimento, con la dolce melodia intonata dal pianoforte che muore poco a poco
tra i rintocchi funebri di un sol diesis minore.
Franz Schubert
(Vienna 1797 - 1828)
Fantasia in do maggiore D 934 (ca. 27’)
Andante molto - Allegretto - Andantino - Allegro - Allegretto - Presto
l Anno di composizione: 1827
l Anno di pubblicazione: Vienna, 1850
L’ultimo lavoro scritto da Schubert per il duo violino e pianoforte, che compare
in maniera sporadica nella sua produzione, è una forma ibrida come la Fantasia.
La scarsa presenza di sonate a due nel catalogo di Schubert forse non è da attribuire a una mancanza d’interesse verso questa forma, ma a un declino generale di questo genere nella musica viennese, che già si manifesta in Beethoven
alla fine del primo decennio dell’Ottocento. La nuova generazione di virtuosi
richiede ai compositori lavori meno elaborati dal punto di vista formale e più
ricchi di passaggi spettacolari, che mettano in luce la bravura dell’esecutore,
sulla falsariga delle stelle del belcanto italiano che si esibiscono in teatri traboccanti di spettatori. Proprio per due giovani virtuosi cechi, il pianista Karl Maria
von Bocklet e il violinista Josef Slavik, subito accostato a Paganini dalla critica
al suo arrivo a Vienna, Schubert scrive nel dicembre del 1827 la Fantasia in do
maggiore, eseguita in pubblico nel gennaio dell’anno successivo senza grande
successo. Il lavoro deve aspettare fino alla metà dell’Ottocento per essere pubblicato postumo, continuando tuttavia a non destare particolare attenzione. La
Fantasia infatti presenta la scrittura brillante e virtuosistica richiesta dall’occasione, ma conserva allo stesso tempo gran parte delle qualità artistiche dell’ultimo Schubert. Per molti versi si potrebbe considerare la Fantasia una sorta di
compendio del suo ultimo stile, anche se in una forma rapsodica e non organica.
La prima caratteristica che balza in primo piano è lo stile orchestrale della scrittura, con il tremolo dell’accompagnamento pianistico che sale come un suono
nebbioso per preparare l’ingresso del violino. Questo tipo di tecnica, introdotta
nella musica da camera da Schubert a partire dall’Ottetto, trova pochi mesi dopo
la sua espressione più alta nel Quintetto per archi in do maggiore, con il quale
la Fantasia ha delle marcate affinità, a partire dal tema principale del violino, con la sua ambigua oscillazione iniziale tra minore e maggiore. Il la minore
dell’“Allegretto” successivo, collegato senza interruzioni al precedente episodio
come tutti gli altri segmenti, mette in luce quella noncuranza apparentemente
svagata già presente nella coppia di Trii con pianoforte dell’estate precedente, scritta anch’essa per l’amico Bocklet. In maniera analoga, sotto la scrittura
brillante dei due strumenti cova un irrequieto malessere, che spinge il tema a
divorare sempre nuove armonie, infilandosi come in un cul de sac in cromatismi
ingarbugliati senza sbocco. Sull’ultima sospensione si schiude invece un paesaggio del tutto nuovo e diverso con l’“Andantino” in la bemolle maggiore, che
rappresenta il cuore espressivo della Fantasia. Schubert si rivolge di nuovo alla
forma favorita della sua musica da camera, il tema con variazioni, prendendo
spunto da un Lied intitolato Sei mir gegrüßt, ricevi il mio saluto. Per essere
esatti, la seconda frase del tema cita il Lied, laddove il testo recita esattamente
le parole del titolo. La frase, apparentemente affettuosa, nasconde però una
piccola ferita, con l’irregolare sottolineatura dell’accordo di do maggiore, che in
questo contesto armonico risuona come una specie di dissonanza dolorosa. Nel
mondo riservato e chiuso di Schubert, questa citazione sembra un messaggio in
codice, decifrabile solo da chi è in grado di riconoscere il senso e il destinatario.
Proprio la frase del saluto viene elaborata per fare da ponte verso il finale e il
ritorno della tonalità di do maggiore, che ricompare nella forma originale del
tema, come un ricordo dell’inizio. In questo sembra di riconoscere una sorta di
omaggio a Beethoven, scomparso da pochi mesi. L’idea ciclica della forma era
affiorata già nelle sue ultime opere, ma il ricordo di Beethoven sembra annidarsi soprattutto nello stile affermativo e kantiano dell’“Allegro vivace” finale,
così poco affine alla sensibilità di Schubert. Infatti l’autore declina a modo suo
questo finale, non solo offuscando il nitore diatonico del tema con modulazioni
ambigue, ma soprattutto aprendo uno squarcio lirico nell’eroismo schilleriano
dell’“Allegro” con la citazione completa del Lied nella tonalità di la bemolle maggiore, prima di terminare la Fantasia nel segno di una coralità d’intenti positiva
che sembra più che altro un ottimismo della volontà.
Olivier Messiaen
(Avignone 1908 - Clichy 1992)
Thème et variations (ca. 11’)
Thème. Modéré - Var. I. Modéré - Var. II Un peu moins Modére Var. III Modéré, avec éclat - Var. IV Vif et passionné - Var. V Tres modéré
l Anno di composizione: 1932
l Prima esecuzione: Parigi, 22 novembre 1932
Il 22 giugno 1932 Messiaen sposava la violinista Claire Delbos. Rimasta orfana
in tenera età del padre, il filosofo e professore della Sorbona Victor Delbos,
Claire, soprannominata Mi, fu una figura molto importante per Messiaen, che
scrisse per lei vari lavori tra i quali lo splendido ciclo vocale Poèmes pour Mi.
La loro unione fu minata dopo la guerra dall’insorgere della malattia mentale,
che costrinse Claire a vivere gli ultimi anni in una clinica psichiatrica. L’estate
del 1932 tuttavia fu un periodo molto felice e ricco di grandi speranze. Messiaen
aveva ottenuto il posto di organista alla Chiesa della Trinité, che raggiungeva
ogni giorno con una bella traversata di Parigi a piedi dalla nuova casa della
coppia in rue des Plantes, oltre il Cimitero di Montparnasse. Il regalo di nozze
per la moglie, come aveva fatto anche Schumann con Clara, era di scrivere un
nuovo lavoro, un tema con variazioni per violino e pianoforte che i due sposini
novelli eseguirono in pubblico il giorno di Santa Cecilia, 22 novembre, nella Salle
Debussy del Cercle Musical de Paris, di fronte a un pubblico plaudente di amici
e simpatizzanti. Sull’onda dell’entusiasmo, Messiaen scrisse l’anno successivo
anche una Fantaisie per i due strumenti, ma era evidente che quel genere di
musica da camera non era la strada che il giovane autore desiderava imboccare.
La precocità dello stile di Messiaen ha pochi confronti nella musica del Novecento, forse con l’eccezione di Britten e Šostakovič, e tutte le caratteristiche
del suo linguaggio già visibili nei primi lavori, come Les offrandes oubliées, Le
Tombeau resplendissant, L’Ascension, cozzano con una forma e una sonorità a
lui estranee come quelle di Thème et Variations. Per paradosso, sono proprio
le incongruenze a testimoniare la grandezza del compositore, che riesce a trasformare il proprio disagio artistico in uno stimolo per cercare soluzioni nuove.
La prima contraddizione riguarda la visione armonica di Messiaen, che era profondamente influenzata all’inizio dalla riscoperta degli antichi modi gregoriani.
Per lui, così come per altri compositori del primo Novecento, queste antiche
forme di melodia e di armonia permettevano di trovare strade diverse per sottrarsi alla spinta impressa da Wagner alla musica moderna, con la drammatica
contrapposizione tra tonalità e atonalità. L’armonia modale consentiva a Messiaen di ottenere dei rapporti melodici e armonici molto più liberi, rispetto alla
natura cogente dell’armonia tonale. La forma del tema con variazioni viceversa
si nutre proprio del forte profilo melodico e armonico, che consente di sviluppare le caratteristiche dei singoli elementi. La scarsa propensione di Messiaen
allo sviluppo tematico nasce per l’appunto dall’originalità del suo linguaggio armonico, che per il momento non si è ancora combinato con una visione seriale
del ritmo, come avverrà per esempio nell’unico altro lavoro cameristico di Messiaen, il Quatuor pour la fin du temps. Qui le aspettative suscitate dal mistico
ed espressivo tema intonato dal violino si riflettono in un accumulo di tensione
temporale e armonica, attraverso le quattro variazioni sempre più rapide e in
crescendo, fino a sfociare nella ripresa del tema nell’ottava superiore e con una
dinamica di ben quattro ffff, una sorta di mandorla mistica di luce radiosa che
lascia i due esecutori stremati, scendendo poco a poco verso la penombra dell’accordo di si maggiore conclusivo.
Ludwig van Beethoven
(Bonn 1770 - Vienna 1827)
Sonata n. 10 in sol maggiore op. 96 (ca. 23’)
I. Allegro moderato II. Adagio espressivo III. Scherzo. Allegro - Trio
IV. Poco Allegretto
l Anno di composizione: 1812
l Prima esecuzione: Vienna 29 dicembre 1812
Beethoven aveva una cognizione tecnica del violino, che aveva studiato da ragazzo nella cappella di corte a Bonn. L’interesse per lo strumento sembra tuttavia
limitato alla prima fase della sua produzione, con due importanti eccezioni. La
prima è la Sonata à Kreutzer op. 47, che getta un ponte verso le grandi forme sinfoniche del periodo eroico. La seconda invece, la Sonata in sol maggiore
op. 96, segna l’inizio di una crisi musicale, che sfocerà alla fine in un profondo
rinnovamento dello stile e del linguaggio. La Sonata, un lavoro isolato con una
dedica all’augusto allievo l’arciduca Rodolfo, risale al 1812, ma venne pubblicata
soltanto nel 1816. Mentre le precedenti nove Sonate sono concentrate in una
manciata d’anni, dal 1796 al 1803, nella parte più importante della sua carriera
Beethoven scrisse quest’unico lavoro per violino e pianoforte. La Sonata in sol
maggiore mette in luce uno stile analogo a quello della Sinfonia Pastorale, altro
lavoro dalle caratteristiche estremamente peculiari. Beethoven infatti ricorre a
certi espedienti tipici della pittura musicale di stampo settecentesco, come per
esempio il trillo, classico riferimento al canto degli uccelli. Il tema principale
dell’“Allegro moderato” è formato da un frammento sonoro che imita il verso di
un uccello, immergendo l’ascoltatore in una raffigurazione metaforica del mondo dei boschi e dei ruscelli. Il trillo inoltre assume un valore strutturale nella
forma, articolando il percorso poetico del movimento. Il passaggio dallo sviluppo alla ripresa dell’esposizione, per esempio, avviene con un gioco di trilli tra
violino e pianoforte, come in un richiamo di voci del bosco. Il mondo pastorale
esprime in genere un sentimento di nostalgia e di lontananza, dissimulato attraverso la scenografia di un ambiente idilliaco e armonioso. L’“Adagio espressivo”
seguente, in mi bemolle maggiore, rappresenta la forma complementare dell’idillio pastorale, l’elegia. “Semplice”, indica Beethoven alla ripresa del tema sulla
parte di violino. Il carattere di questa canzone, sussurrata a mezza voce, è forse
il sogno del buon selvaggio, al quale la Natura ha conferito l’istinto ad amare il
prossimo e le creature che lo circondano. Per un breve momento, con un passaggio in fa minore, una nuvola oscura la tonalità di mi bemolle maggiore, che
però ritrova subito la luminosa serenità dell’inizio. Lo “Scherzo”, in particolare
il Trio, incarna in maniera ambigua e un po’ satirica i valori del mondo rustico,
con la sua allegria a volte rozza e gli slanci più energici che incanalati verso un
obiettivo. Ma spetta al movimento finale, “Poco Allegretto”, distruggere lo scenario di cartapesta allestito da Beethoven in questa sonata, quasi una parodia
della Sinfonia Pastorale. All’inizio sembra di assistere a una festa di paese, con
i contadini che ballano al suono della ghironda, in un’atmosfera dolce e gentile.
Il tema scivola in maniera impercettibile nella prima variazione, rivelando una
forma diversa dal classico rondo. Le prime quattro variazioni offrono diverse
versioni di questa danza immaginaria e spirituale, che allude a una sorta di giardino delle delizie. Questa prima parte tuttavia sfocia in un “Adagio espressivo”,
che interrompe il regolare scorrere delle variazioni rimettendo in discussione
il carattere della Sonata. L’elegia infatti distrugge l’idillio, che non riesce più a
ritrovare lo spirito dell’inizio. Dopo i turbamenti della variazione lenta il tema
tenta di riprendere la strada, ma nella tonalità sbagliata di mi bemolle, quella
dell’“Adagio espressivo”. Da lì in poi il movimento non è più in grado di ristabilire la pace del mondo pastorale, ma si aggroviglia in una serie di episodi frammentari e capricciosi, per concludere in maniera brusca la Sonata, come forzato
da uno scarto d’umore.
Oreste Bossini
Leonidas Kavakos violino
Leonidas Kavakos, nato ad Atene, nel 1985 ha vinto il Concorso Sibelius e nel
1988 il Premio Paganini. Da allora si è esibito in concerto con direttori e
orchestre di primissimo piano e collabora con i maggiori festival internazionali,
sia in recital che in formazioni cameristiche.
Tra gli impegni recenti una tournée con la London Symphony Orchestra in
Spagna, con la Bayerischer Rundfunk negli Stati Uniti e concerti ai festival
di Verbier, Notti Bianche di San Pietroburgo, Edimburgo, Tanglewood e
Annecy. Ai Musikfestspiele di Dresda ha eseguito il ciclo integrale delle
Sonate di Beethoven.
Attivo anche come direttore d’orchestra, dal 2007 al 2009 è stato direttore
artistico della Camerata Salzburg, di cui era già direttore ospite principale
dal 2002. Nella stagione 2015-16 è tornato a dirigere i Wiener Symphoniker,
Chamber Orchestra of Europe, Orchestre Philharmonique de Radio France e
ha debuttato con i Bamberger Symphoniker, Danish National Symphony,
Orchestra Sinfonica della Radio Olandese, Filarmonica di Rotterdam e
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Leonidas Kavakos ha sempre mantenuto uno stretto rapporto con il suo paese
natale: per quindici anni ha curato la serie di musica da camera del Megaron
di Atene e da un paio di anni organizza, sempre ad Atene, una master class
annuale di violino e musica da camera, coinvolgendo violinisti ed ensemble
da tutto il mondo.
Ha al suo attivo una lunga serie di registrazioni. Attualmente registra in
esclusiva per Decca. L’album di debutto con l’etichetta discografica britannica,
l’integrale delle Sonate per violino di Beethoven eseguite con Enrico Pace, gli
è valso nel 2013 il premio “Instrumentalist of the Year” agli Echo Klassik
Awards. Ha poi inciso il Concerto per violino di Brahms con la Gewandhaus
Orchestra e Riccardo Chailly e, nel 2014, le Sonate per violino e pianoforte di
Brahms con Yuja Wang. Nel 2014 Kavakos è stato premiato come “Gramophone
Artist of the Year”. Recentissima è la pubblicazione del CD “Virtuoso” con
brani di Dvořák, e de Falla, Paganini, Sarasate, Strauss e Stravinskij.
Il 12 gennaio scorso è stato premiato con il Léonie Sonning Music Award
assegnato in passato a violinisti di grande prestigio quali Yehudi Menuhin
(1972), Isaac Stern (1982), Gidon Kremer (1989) e Anne-Sophie Mutter (2001).
Leonidas Kavakos suona il violino Stradivari “Abergavenny” del 1724.
È stato ospite della nostra Società nel 2009 con la Camerata Salzburg nel
doppio ruolo di direttore e solista, con 3 concerti nella stagione 2011/12 per
l’integrale delle Sonate per violino e pianoforte di Beethoven per la quale ha
vinto con Enrico Pace la categoria solista della 32a edizione del Premio della
Critica Musicale Italiana “Franco Abbiati”, e nel 2014.
Enrico Pace pianoforte
Nato a Rimini, Enrico Pace ha studiato pianoforte al Conservatorio di Pesaro
con Franco Scala e all’Accademia Pianistica “Incontri con il Maestro” di
Imola. In seguito suo prezioso mentore è stato il didatta belga Jacques de
Tiège. Parallelamente si è dedicato anche agli studi di composizione e
direzione d’orchestra. Nel 1987 ha vinto il primo premio al concorso
internazionale “Yamaha” di Stresa e nel 1989 ha meritato il primo premio al
concorso internazionale “Franz Liszt” di Utrecht.
Da allora si è esibito in recital e in concerto nelle maggiori città europee
(Monaco di Baviera, Amsterdam, Utrecht, Dublino, Firenze, Milano, Roma).
Ospite regolare di numerosi festival quali Lucerna, Salisburgo, Edimburgo,
La Roque d’Anthéron, Rheingau e il Festival pianistico di Brescia e Bergamo,
è molto apprezzato come solista. Collabora con orchestre quali Royal Orchestra
del Concertgebouw, Filarmonica di Monaco, BBC Philharmonic Orchestra,
Orchestra Nazionale di Santa Cecilia di Roma, MDR-Sinfonieorchester di
Lipsia, Camerata Salzburg, Orchestra Filarmonica di Varsavia al fianco di
direttori quali Roberto Benzi, Gianandrea Noseda, Zoltan Kocsis, Kazimirz
Kord, Mark Elder, Lawrence Foster, Janos Fürst, David Robertson, Vassily
Sinaisky, Stanislav Skrowaczewski, Bruno Weil, Walter Weller e Antoni Wit.
Agli impegni solistici affianca un’intensa attività cameristica; collabora con
il Quartetto Šostakovič, il Quartetto Keller, la cornista Marie Luise Neunecker
la violinista Liza Fertschman, la clarinettista Sharom Kam, il violoncellista
Daniel Müller Schott e il baritono Matthias Goerne, ospite dei festival
cameristici di Delft, Risør, Kuhmo, Stresa e Moritzburg.
Forma stabilmente un duo pianistico con Igor Roma. Dal 1997 suona in duo
con Frank Peter Zimmermann con concerti in Europa, Stati Uniti, Estremo
Oriente e Sud America. Per Sony Classical hanno inciso la Sonata n. 2 di
Busoni (2006), le Sei Sonate per violino e pianoforte BWV 1014-1019 di Bach
(2007) e nel 2013 un CD dedicato a Hindemith.
Dal 2006 collabora stabilmente con Leonidas Kavakos con concerti nelle
principali città d’Europa e degli Stati Uniti. Il loro progetto di esecuzione
integrale delle Sonate di Beethoven, registrato per Decca, ha meritato il
Premio “Franco Abbiati” della Critica Musicale Italiana (2013, 32a edizione).
È stato ospite della nostra Società nel 1989, 1992, 1998, con 3 concerti nella
stagione 2011/2012 dedicati all’integrale delle Sonate per violino e pianoforte
di Beethoven, e nel 2014.
Prossimo concerto:
Martedì 31 gennaio 2017, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Quartetto Takács
Nel 1987, il primo concerto del Quartetto Takács per la nostra Società presentava
un lavoro di Haydn, uno di Beethoven e uno di Béla Bartók. A distanza di trent’anni la formazione ungherese festeggia l’anniversario con un programma sostanzialmente analogo, con l’unica differenza che il Novecento non è adesso rappresentato dall’autore più emblematico del proprio Paese, ma da Ravel. Il Takács in sostanza incarna la tradizione classica del quartetto ungherese, una delle più antiche e
nobili scuole interpretative per questo genere di letteratura musicale. Il complesso
e utopistico Quartetto in do diesis minore op. 131 di Beethoven rappresenta il
cuore del concerto, che si apre con l’ineffabile sorriso di uno degli ultimi lavori di
Haydn, l’op. 77 n. 2, e con l’apollinea razionalità del Quartetto in fa di Ravel.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24
20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - [email protected]