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Orlando Basile

In viaggio dento me stesso

P arte seconda

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Copyright © MMXVII Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale via Sotto le mura, 54 00020 Canterano (RM) (06) 45551463 isbn 978-88-548-9885-1

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’editore.

I edizione: gennaio 2017

Questo secondo volume dei miei ricordi lo dedico a mia moglie Carmela, ringraziandola per avermi con tenacia sostenuto nei miei momenti difficili nel vivere nella grande metropoli milanese.

P rologo P erché continuo a scrivere Il presente scritto costituisce una sorta di continua zione di quel “viaggio dentro me stesso” che ho in trapreso con il primo libro che ho scritto dove vieni”. * .

Il lettore che si accinge a leggere questo secondo volume senza conoscere il primo, rischia di trovarsi smarrito. Come, infatti, recita un verso del Talmud, “Se vuoi sapere dove stai andando, scopri prima da A questo lettore dirò allora, in breve, io da dove vengo (era appunto questo l’argomento del primo volume): vengo da un paese della Campania, che all’epoca della mia nascita era retrogrado, pove ro, con un tasso di analfabetismo intorno al 99%. Oggi il paese è relativamente progredito, ma con il triste vanto di rientrare nella cosiddetta “Terra dei fuochi”. La mia infanzia – l’età più vulnerabile nella storia di ognuno di noi – è trascorsa durante la guerra 1940-45. Vivere in ambienti iperprotet tivi o, come nel mio caso, ipoprotettivi lascia segni * Mi riferisco al volume

Una vita, tante storie (in viaggio dentro me stesso). Parte prima

, da me pubblicato nel 2014.

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indelebili: e infatti l’eco della guerra rimbomba an cora nel mio “io”, e il suo riecheggio mi sprofonda nella tristezza. Il mio percorso scolastico, soprattut to nei primi anni, è stato frammentario e lacunoso a causa di inidonee strutture scolastiche. Come tan ti altri, sono sopravvissuto alla guerra, riportando però disagi quasi simili a quelli che avvertono oggi gli extracomunitari appena giunti in Italia.

Nel primo volume emergono, quali tratti della mia personalità, destrezza, furbizia e ignoranza. Per scrollarmi di dosso queste note negative sono state provvidenziali la formazione e l’esperienza che ho potuto successivamente acquisire in Lombardia. Il secondo volume, al pari del primo, è anch’esso bio grafico, ma più “razionale”, essendo stata tale la mia “seconda” vita vissuta a Milano.

g iovinezza smarrita Come è triste ricordare gli anni belli della giovinezza, e non averli vissuti. Ricordo giornate trascorse in ozio, notti passate in bianco, si parlava e si sparlava con degli amici del nulla, di cose futili, al solo scopo di ammazzare il tempo. Adesso quel tempo non c’è più. Più vai avanti negli anni e più ti senti angosciato. Il tempo corre veloce e la tua vita sembra che sia stata un sogno, un attimo fuggente.

Quanta tristezza si genera nel mio “io” per non aver fatto tesoro dell’insegnamento che il tempo è prezioso e che ogni attimo va vissuto con grande intensità. Tra i ricordi dell’età giovanile ci sono, inevitabil mente, i primi amori.

“Amore” è la parola più bella che sia stata scrit ta nel dizionario della lingua italiana. Essa ha un suono fonetico dolce e gradevole; il solo sentirla pronunciare rinfranca l’anima e fa gioire i cuori. È una parola capace di racchiudere in sé tutto l’u niverso, come intuì Dante quando, come ultimo

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verso della sua Divina Commedia, scrisse: L’amor che move il sole e l’altre stelle.

Di amore parla anche il primo e il più grande co mandamento della fede cristiana: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

L’Amore può essere casto, puro, platonico, ap passionato, travolgente, sensuale, accompagnato al sesso… Mi limito a quest’ultimo aspetto.

Da giovane la parola sesso era per me un tabù: proibito parlarne in famiglia; peccato per la Chie sa. Non avevo ancora diciotto anni quando un gior no, gironzolando per la città di Napoli, vidi affisso a un portone una figura di donna seminuda con la dicitura “casa di tolleranza”. Incuriositi, io e un amico, entrammo nel palazzo, al primo piano. La tenutaria, appena accortasi della nostra presenza, capì, dai libri che tenevamo sotto al braccio, che eravamo studenti, e senza esitazione ci cacciò fuori. Facemmo appena in tempo a notare che la cassiera sponsorizzava le prostitute chiamandole Nanninella a’ Spagnola, Giorgia a’ Friulana, ecc. Era la prima volta che vedevo, in carne e ossa, una donna seminuda.

Nella città di Napoli vi erano case di tolleranza in numero paragonabile agli attuali supermercati. Nel 1958, con la legge Merlin, legge così chiamata perché sua prima firmataria era stata la senatrice socialista Lina Merlin, il Parlamento decise l’abo lizione in Italia della prostituzione regolamentata.

Le “case di tolleranza”, così dette perché tollerate dallo Stato, erano controllate dai medici per con tenere le malattie veneree. Oggi, invece, troviamo donne in mano alle multinazionali della prostitu zione a ogni angolo di strada, a destare grande e indecoroso scandalo: lo scandalo di uno Stato che tollera la condizione di schiavitù e miseria cui mol te di queste donne sono costrette! In un successivo capitolo parlerò più diffusamente della mercifica zione della donna, in particolare delle immigrate provenienti dall’Est Europa, dall’Africa e dall’Asia. Qui vorrei solo ricordare l’invito di Gesù – Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei! – rivolto alla folla inferocita che stava per lapidare la prostituta, la donna adultera.

Negli anni della mia giovinezza, il sesso ci veni va insegnato più dagli animali con i loro accoppia menti, che dagli uomini.

La nostra cavalla ogni anno partoriva un pule dro. Mio padre, con mio fratello maggiore, Giaco mo, assisteva al parto. Io, ragazzo curioso, volevo osservare, ma mi era vietato avvicinarmi alla stalla. Mia madre mi intratteneva in casa e solo quando il puledro riusciva ad alzarsi in piedi, traballando, mi lasciava osservarlo, accarezzarlo.

Non solo il sesso, ma anche il prodotto naturale del sesso, il concepimento e la nascita, doveva essere tabù.

Mi sovvengono alla mente i giorni in cui sellavo il mio asino e, cavalcandolo, mi recavo nei campi

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a Calitto. Durante il tragitto attraverso mulattiere e sentieri, l’asino, appena scorgeva la presenza di un’asina, cominciava a ragliare, a innervosirsi, a galoppare in modo irrefrenabile: sentiva il richia mo del sesso. Qualche coetaneo mi confessava di aver tentato rapporti sessuali con animali domestici: oggi provo vergogna e tristezza all’idea che la natura umana possa così “snaturarsi”, per negligenza, per igno ranza. Per negligenza e per ignoranza, oltre che per un malinteso senso del pudore, se ci si amma lava di malattie veneree, della temibilissima sifilide, non le si denunciava.

Gli innamorati, fino al matrimonio, dovevano essere casti, puri. La dote principale della sposa era la sua verginità. Guai alla giovane che veniva pro fanata nella sua illibatezza! Un giorno fui testimone oculare di una scena che, ai tempi d’oggi, verrebbe considerata un bel lissimo omaggio all’amore di coppia. Una giovane e casta fanciulla, mentre usciva unitamente a una folla di fedeli dalla Chiesa di Santa Croce in Casa pesenna, fu avvicinata da un giovane coetaneo che la baciò. Si gridò allo scandalo. Alcune pie donne, ancora con il velo avvolto in testa, volevano quasi linciare il giovane pazzo d’amore, considerato il diavolo, lo stupratore. Quel gesto, quel bacio, compiuto allo scopo di mostrare il suo amore a quei genitori che

contrastavano il loro fidanzamento, fu, invece, un sigillo, uno stigma che restò addosso alla giovane per tutta la vita, che da quel dì non venne più chia mata col suo nome di battesimo, bensì col sopran nome di “la baciata”.

Il fidanzamento, di norma, avveniva tramite una intermediaria. Ricordo che un giorno una di que ste mezzane riferì alla maggiore delle mie sorelle che un tizio del paese, persona facoltosa e bene stante, che possedeva diverse centinaia di pecore e montoni, voleva fidanzarsi con lei; ma mia sorella rispose che non poteva accettare il fidanzamento perché la nostra casa era piccola. Di rimando co stui rispose che non intendeva certo entrare in casa con il suo gregge! Così, per ignoranza e negligenza, sfumò una proposta interessante.

Sovente erano i genitori che imponevano ai figli e alle figlie con chi sposarsi. Per la donna la dote e la verginità erano requisiti indispensabili. L’uo mo, invece, doveva svolgere un mestiere e possede re un’abitazione. Dovere dei genitori era valutare scrupolosamente la consistenza economico-patri moniale di ogni proposta di fidanzamento. Ho conosciuto uomini che, alla vigilia del ma trimonio, anziché sposare la promessa sposa, sono fuggiti con la sorella o con un’amica della sposa. Ciò avveniva perché fra i fidanzati non era nato alcun vero amore, ma solo un rapporto di convenienze e interessi.

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