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Giovedì 19 Gennaio 2017
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Il sistema finanziario è così interconnesso che le soluzioni nazionali non stanno in piedi
Banche, soluzioni solo globali
Le autorità preposte continuano a navigare a vista
DI MARIO LETTIERI *
E PAOLO RAIMONDI **
D
i fronte alle crisi
bancarie che investono di volta in
volta differenti Paesi della zona euro, la cosa
peggiore, e suicida, che
l’Unione europea possa fare
sarebbe di trattarle come
mere questioni nazionali.
Oggi sembra toccare all’Italia, domani chissà. Ne è
prova il fatto che le autorità
preposte, a cominciare dalla
Banca centrale europea, dalle banche centrali nazionali
e dalla Commissione europea, navigano a vista, senza
una chiara politica. Non si
tratta, infatti, di tamponare gli effetti finanziari ed
economici della grande crisi
globale, ma di approntare
misure che neutralizzino in
modo definitivo la finanza
della speculazione senza regole e che rimettano in moto
lo sviluppo produttivo.
Gli attuali grandi problemi del sistema bancario italiano hanno due nomi:
crediti inesigibili per oltre
200 miliardi di euro e gravissime responsabilità degli
amministratori delle banche
e degli organi di controllo
della Banca d’Italia.
Il primo problema, ovviamente, è in gran parte
dovuto agli effetti della crisi globale, che ha portato ad
una drastica diminuzione
nelle produzioni, nei commerci e nei consumi. Ciò ha
messo molti imprenditori
in ginocchio, rendendoli impossibilitati a mantenere la
regolarità dei pagamenti e
dei rimborsi per i prestiti
precedentemente chiesti e
ottenuti.
Per il secondo problema
si dovrebbe invece mettere sotto i riflettori le banche e
soprattutto la
Centrale Rischi
della Banca
d’Italia. Come
è noto, le banche e le società
finanziarie devono comunicare mensilmente alla Banca
d’Italia il totale
dei crediti verso
i propri clienti, sia i crediti
superiori a 30
mila euro che
i crediti in sofferenza di qualunque importo. Il compito
primario della
Centrale Rischi è quello di
valutare i crediti concessi per rafforzare la
stabilità del sistema bancario. Si sottolinea inoltre che,
dal 2010, essa scambia queste informazioni con le altre
banche centrali europee e
con la Bce.
Come è possibile, dunque, che, sia a livello nazionale che a livello europeo, siano stati permessi
e tollerati prestiti e altre
operazioni fi nanziarie che,
stranamente solo oggi, scopriamo essere ad altissimo
rischio?
Comunque nel sistema
europeo vi sono molte altre
anomalie che meritano attenzione ed interventi correttivi. L’Autorità bancaria
Vignetta di Claudio Cadei
europea, per esempio, oggi
giustamente analizza criticamente i crediti concessi
dalle banche ma, nel contempo, permette un leverage altissimo per le banche.
Permette cioè che siano sufficienti tre (3) euro di capitale per creare fi nanza per
100. Permette anche che certe attività finanziarie, come
i cosiddetti asset di terza
categoria, che sono in gran
parte derivati asset backed
security, trattati e tenuti
fuori mercato e quindi con
un valore altamente incerto, vengano contabilizzati
dalle banche secondo criteri
interni molto convenienti
alle stesse.
Dopo il 2008
dovrebbe essere
ovvio tener conto
del fatto che l’intero sistema bancario
internazionale è
profondamente interconnesso e perciò pericolosamente
esposto al contagio
e a crisi sistemiche.
Eppure Bruxelles,
Francoforte, e spesso anche Berlino e
Parigi, preferiscono, sbagliando, l’approccio nazionale a
quello europeo. In
questo modo si rischia di giocare al
massacro. Ce lo ricorda anche l’Office
of Financial Research (Ofr), l’agenzia del ministero
del Tesoro americano, creata nel 2010 dalla
legge di riforma finanziaria,
la Dodd-Frank, con il compito di studiare i lati oscuri del
sistema finanziario allo scopo
di ridurne i rischi.
Nell’ultimo rapporto
dello scorso dicembre l’Ofr
ammonisce che le banche
americane di importanza sistemica si sono esposte per
oltre 2 trilioni di dollari nei
confronti dell’Europa, di cui
circa la metà in derivati otc
tenuti fuori bilancio.
Quando Wall Street e le
banche americane vendono
derivati, lo fanno per proteggersi da eventuali fallimenti;
quando invece li acquistano
esse offrono una copertura a
eventuali crisi di altre banche. In questo caso di quelle
europee.
Consapevoli delle difficoltà bancarie in Europa,
gli Usa hanno lanciato questo
allarme. L’Ofr ne lancia anche
un altro tutto interno al sistema di Wall Street. Avvisa che
già alla fine del 2015 anche le
assicurazioni americane sulla
vita hanno abbondantemente
superato i 2 trilioni di dollari
in derivati finanziari. Il 60%
di tale «montagna» sarebbe stato sottoscritto soltanto dalle 9 maggiori banche
americane ed europee, quelle too big to fail: Goldman
Sachs, Deutsche Bank, Bank
of America, Citigroup, Credit Suisse, Morgan Stanley,
Barclays, JPMorgan Chase e
Wells Fargo.
L’allarme non è da sottovalutare, si ricordi che soltanto l’Aig, il gigante delle
assicurazioni, a suo tempo
dovette essere salvato con
182 miliardi di soldi pubblici! Anche in questo caso si
evince la urgenza di rispondere alla globalizzazione
dei mercati finanziari e del
sistema bancario con regole
globali e condivise.
*già sottosegretario
all’Economia
**economista
IL SUO BAZOOKA DA 80 MLD AL MESE PER ACQUISTI DI TITOLI (QE) NON HA PRODOTTO ALCUNA CRESCITA
Il fiato tedesco preme sempre più su Mario Draghi
Intanto in Germania ed in Francia l’inflazione ha alzato la cresta
DI
O
GIOVANNI PASSALI
ra Draghi inizia davvero a
essere sotto pressione, come
non mai finora nella sua carriera di Governatore della
Banca centrale europea (Bce). Forse
un solo altro momento è stato così difficile, quando nel luglio 2012 lo spread
saliva senza sosta, tornando ai livelli di
un anno prima (quando per quel motivo fecero cadere il governo Berlusconi
affinché fosse sostituito al più obbediente Monti), e Draghi spese tutta la sua
credibilità (o quel poco che ne rimaneva
già allora) per affermare il suo celebre
«whatever it takes», cioè «costi quel che
costi» («noi faremo di tutto per salvare
l’euro, costi quello che costi, e credetemi,
sarà abbastanza»).
Ma allora aveva della credibilità
da spendere. In fondo, i poteri forti
finanziari e politici lo avevano voluto
lì, proprio per questo, un nome e una
autorità spendibile e presentabile. Ma
ora il tempo è passato, la crisi è progredita, Draghi stesso si è impegnato, si è
esposto, si è speso a predicare il verbo
di una visione economica che non ha
portato i risultati attesi. Ora con quale credibilità si potrà ancora esporre?
Con l’economia ancora in crisi? Con
l’euro che continua a collezionare nuovi traguardi al ribasso? Con le banche
italiane che sono sempre più sull’orlo
del baratro? Ora che ha tirato fuori il
famoso «bazooka di Draghi» (il Qe da 80
miliardi di euro al mese) e la montagna
ha partorito il topolino (il pil modestissimo)? Ora che si fa? Una conferenza
stampa con la faccia da duro e il tono
sferzante non basteranno più. Ci vorrà
ben altro.
Ora il progredire della crisi ha
portato non solo a una depressione di
fatto: perché occorre ricordare che la
crisi non è uguale per tutti e se si dice
che il pil è cresciuto di uno 0,6%, allora
occorre ricordare che per alcune grosse
imprese la crescita è stata importante,
ma per tantissimi piccoli imprenditori
la crisi è stata durissima, fino al fallimento. E questo , alla lunga, ha portato
alla crescita dei prestiti non performanti, alla crisi delle banche, alla crisi di
Monte dei Paschi di Siena.
E proprio Monte dei Paschi di
Siena è il caso recente più emblematico. Questo è il caso che rischia di diventare un paradigma per tutto il sistema,
ma è pure il caso sul quale l’Europa sta
rischiando la spaccatura definitiva,
anche perché, questo, è proprio il caso
nel quale si vede come l’Europa, lungi
dall’essere solidale e dal difendere gli
interessi dei propri vicini, si preoccupa
solo delle regole e di difendere la libertà
di speculare, anche se questo aggrava
i problemi.
Come spiegare del resto il fatto
che proprio la Bce abbia negato a Mps
una proroga sui tempi per la ricapitalizzazione? E come spiegare una pronta revisione dei bilanci per rivedere al
rialzo il capitale necessario alla ricapitalizzazione (da 5 a 8,8 miliardi, due
differenti giudizi nel giro di un mese)?
Draghi vuol forse mostrarsi duro, per
avere una posizione personale difendibile con la Germania? Ma anche questo
sembra un vicolo cieco. Ora gli ultimi
dati riportano la crescita dell’inflazione
per Germania e Francia. E l’inflazione
all’estero viene vista come un modo na-
scosto, un trucco sporco per far pagare
ai ricchi i debiti dei poveri, per far pagare ai paesi del Nord Europa i debiti
del sud Europa (dove l’inflazione non
c’è o è minore).
Questo vuol dire che le pressioni
su Draghi per cancellare del tutto il Qe
saranno fortissime. Ma se dovesse farlo,
Draghi sa bene che a saltare saranno
proprio le banche del sud Europa. E non
sarebbe un bello spettacolo, perché, oltre a rendere evidente l’inutilità della
Bce e dell’euro (e la dannosità perché, se
non ha portato a comportamenti virtuosi rispetto a prima, in ogni caso, prima,
nessuna banca italiana è mai fallita),
tali fallimenti porteranno ben presto
alla crisi e al fallimento del resto delle
banche europee. Il sistema bancario infatti è così strettamente interconnesso
da scatenare un effetto domino che nessuno potrà fermare. Il dilemma di Draghi è quindi tra l’apocalisse finanziaria
o la spaccatura dell’euro, perché stavolta saranno i paesi del Nord Europa a
minacciare di lasciare l’euro. Immagino
sceglierà l’apocalisse finanziaria.
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