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Stefano Massaron 19/01/2017

Da quando esiste la televisione — quindi, più o meno, da quando esistiamo noi, anagraficamente parlando — le trasmissioni sportive sono state da sempre le più seguite, e le dirette degli avvenimenti sportivi hanno fatto la storia recente del nostro paese. Basti pensare ai commenti dei duelli Coppi-Bartali (come spesso testimonia il nostro esperto di pedivelle mulinate, Alberto Bossi, per esempio qui ) di cui, ricordo, mio padre parlava ancora negli anni Settanta — la “borraccia passata”, la rivoluzione comunista fallita con tanto di ringraziamenti istituzionali a Bartali — o alla voce rotta e commossa di Nando Martellini che ripete Campioni del mondo… campioni del mondo… ad libitum al fischio finale del Mondiale dell’82.

Basta pensarci, e subito ci rendiamo conto che alcune esperienze sonore ci sono rimaste nella mente quanto — se non più — delle immagini.

È un po’ che ci penso — anche quando scrivo o insegno scrittura, sottolineo sempre l’importanza della musicalità della frase stampata — e mi piacerebbe, con questo articolo, rendere un omaggio (tutt’altro che esaustivo) ad alcune figure che hanno accompagnato le emozioni sportive dei nostri ultimi decenni.

Procedo in ordine sparso, e perdonatemi se tralascio qualcuno: come ho detto, questo non vuole essere un articolo accurato o esaustivo, ma soltanto un omaggio.

L’irripetibile: Gianni Brera

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Gianni Brera

Come non cominciare da lui? Ne abbiamo già parlato calcistico?

in questo articolo , quindi inutile farne una biografia qui, troppo importante e fondamentale il personaggio. Ma sapevate che dobbiamo proprio a Gianni Brera numerose espressioni entrate di diritto nel nostro esprimerci quotidiano, anche extra Sono sue, infatti, “contropiede” (tanto usata, ormai, da non necessitare più di alcuna spiegazione); “centrocampista” (non la sapevate, questa, ammettetelo… ebbene sì, fu il Gioann a inventare la parola con cui ora si definiscono tutti i calciatori che si muovono a ridosso della linea mediana del campo). E ancora “goleador” (mutuata da toreador), e “incornata” per descrivere il colpo di testa, e ancora “pretattica”, “melina”, “rifinitura” (il moderno assist), e persino “libero”, a indicare il difensore scevro da compiti di marcatura (ora figura in via d’estinzione, se non già estinta). Tutta farina del sacco di Brera.

Aldo Giordani

Stefano Massaron 19/01/2017

Aldo Giordani Per anni l’unica voce — irripetibile — pionieristica del basket in televisione, il buon vecchio Aldo è “responsabile” di tanta terminologia che ora è entrata nel discorso comune. Le sue insistenze — reiterate, quasi noiose — nel voler insegnare a tutti che quello era basket e non palla al cesto, come veniva chiamato il basket prima di lui (difficile da credere, ma è così). E solo con (malcelato) dispiacere accettava pallacanestro. Dalle colonne di SuperBasket, rivista da lui fondata e diretta e punto di riferimento assoluto di noi appassionati, si dilettava a storpiare i nomi degli “sport rivali” (così li riteneva lui) che contendevano al basket quello che Giordani riteneva essere suo di diritto, ovvero il primato televisivo: guantonaggio per la boxe, pedivelle mulinate per il ciclismo, arte pedatoria per il calcio, e via così.

Ma, soprattutto, la frase per cui lo si ricorda è il suo marchio di fabbrica: “E vedete com’è il basket!” — frase che ripeteva ogni volta che il risultato cambiava, o si decideva all’ultimo istante, a rimarcare l’imprevedibilità di quello che per lui era lo sport più bello del mondo.

Sulla sua onda sono arrivati Sergio Tavcar, da Koper Capodistria, e poi Tullio Lauro (da non confondere con l’azzimato e insignificante quasi omonimo che ora dirige RaiSport) e Flavio Tranquillo. Quest’ultimo, specialmente, ha portato nella TV italiana il modo di commentare

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“recitato” e tecnicamente ineccepibile tipico della scuola americana, trovando — a mio parere — un compagno ideale in Federico Buffa: quando il giornalismo si unisce alla scrittura in un matrimonio pressoché perfetto.

Rino Tommasi & Gianni Clerici

Impossibile scinderli, almeno per ogni appassionato di tennis (Tommasi è stato anche il miglior commentatore italiano della storia della boxe, tra l’altro): il duo Tommasi-Clerici (spesso “rimpolpato” da Ubaldo Scanagatta) non solo ha accompagnato le telecronache di ogni match di tennis importante degli anni Ottanta e Novanta (e della prima metà dei Duemila), ma è anche stato responsabile di molti “neologismi” che ora sono entrati nel gergo comune. Ne nomino solo alcuni — dei moltissimi — e, ne sono certo, alcuni di voi rimarranno stupiti nel constatare che, prima di loro, queste espressioni, semplicemente, non esistevano.

Clerici, Scanagatta e Tommasi “Sul mio personalissimo cartellino”, frase che Tommasi usava a ogni colpo particolare — mutuata dalla boxe. “Veronica”, espressione usata ora in tutti gli sport, a indicare la volée alta di rovescio di cui era maestro Adriano Panatta (sembra mutuata addirittura dalla corrida). “Periodico”, per definire un punteggio tennistico ripetuto — per esempio “6-2 periodico” a indicare un 6-2 6-2 6-2. “Benedizione”, geniale richiamo all’immagine del prete, quando il tennista aveva una palla facile da mandare dall’altra parte della rete. E come non concludere con “minibreak”, ora diventato di uso comune a indicare il break ottenuto durante un tie-break?

In compagnia dell’ironia di un altro scrittore straordinario (che sia una ricetta vincente?) come Gianni Clerici, Rino Tommasi ha scavato una traccia indelebile, contrapponendosi alle cronache RAI monocordi di Galeazzi (che si limitava a dare il punteggio, e a volte nemmeno quello) con verve, inventiva e intelligenza. Dalle loro telecronache derivano tutte le cronache tennistiche attuali: non c’è nessuno, dei commentatori attuali, che non riconosca il suo debito nei confronti del duo Tommasi-Clerici.

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La “banda” di Novantesimo Minuto

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Sono nomi indimenticabili, davvero, a partire dagli ideatori e conduttori Paolo Valenti e Maurizio Barendson (in collaborazione con Remo Pascucci), ma soprattutto per gli “inviati”, ognuno dei quali fortemente localizzato, che con le loro locuzioni hanno fatto la storia degli anni Settanta e Ottanta: Marcello Giannini da Firenze, Tonino Carino da Ascoli, Giorgio Bubba da Genova, Piero Pasini da Bologna (che morì durante una radiocronaca di Tutto il calcio minuto per minuto nel 1981), Ferruccio Gard da Verona, e ancora Gianni Vasino, Luigi Necco, Beppe Viola, Ennio Vitanza… c h e n o n r i c o r d a q u e s t i n o m i ? E , s o p r a t t u t t o , l e l o r o f r a s i c e l e b r i ? S i v a d a l “quiToninoCarinodaAscoli” tutto attaccato, pronunciato come una raffica di mitra, alla letterarietà di Beppe Viola (che ha sceneggiato, tra gli altri, il bellissimo film Romanzo Popolare di Mario Monicelli e ha scritto testi di cabaret per Teo Teocoli, Massimo Boldi e la compagnia del “derby” di Milano) — suo il “In una giornata…” con cui spesso apriva le sue cronache da San Siro (soleggiata, nebbiosa, piovosa, invernale, primaverile). Ognuno di loro ci ha lasciato qualcosa, e non è da dimenticare, in questo contesto — anche se non prettamente relato a 90° minuto — il “clamoroso al Cibali!” con cui Sandro Ciotti segnalò un gol del Catania contro l’Inter, e di seguito entrato nell’espressione comune.

Eccoli… quasi al completo

Le “honorable mentions”

Eugenio Danese: fu lui, nel 1931, a coniare l’espressione “Zona Cesarini” a indicare un gol avvenuto in extremis, nel tempo di recupero, locuzione che poi è entrata a pieno diritto nella lingua italiana, travalicando i confini del calcio.

Franco Rossi: nonostante l’espressione sia da attribuire a Gianni Brera (ancora lui!) è Franco Rossi che porta all’attenzione di tutti gli appassionati “la dea Eupalla”, volubile divinità del calcio che

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determina i risultati con percentuale variabile d’incertezza (corollario mitologico a “la palla è rotonda”).

Sandro Piccinini: per quanto a me — e a molti altri — non piaccia, non si può non riconoscere alla voce di Sport Mediaset (conosciuto anche come La Voce del Padrone dai più cattivi, tra cui mi annovero) alcune espressioni che sono entrate stabilmente nel gergo: tra le altre, “sciabolata tesa” e l’ormai immarcescibile “nel mucchio!” a indicare un pallone scagliato in mezzo all’area, quest’ultima talmente abusata da Piccinini da essere diventata un tormentone stile “dov’è Tatiana”.

Franco Bragagna: a mio parere il miglior giornalista sportivo italiano in assoluto, per competenza e professionalità, dobbiamo a Franco Bragagna l’attenzione maniacale alla pronuncia dei cognomi e dei luoghi, attitudine che, purtroppo, continua a trovare ben pochi proseliti in Italia. Come dimenticare il suo “Iotebori” al posto di Goteborg ai mondiali di atletica, in seguito trasformato — quasi per ripicca sua personale dopo le critiche piovutegli addosso proprio per l’accuratezza nella pronuncia — nel fascisteggiante “Gotenburgo”?

Tonino Carino da Ascoli

Quelli che ci provano…

… ma poverini non ci riescono.

E sono tanti, tantissimi. A partire da Maurizio Compagnoni, che ha tentato invano di far passare nel mito il suo “rrrrrete! rrrrrete! rrrrrete!” a ogni gol segnato da chicchessia, per terminare con il telecronista più pieno di sé che la storia ricordi, ovvero Fabio Caressa.

A Fabio Caressa vanno ascritti i patetici tentativi di costruirsi un “marchio di fabbrica” che avesse altrettanta risonanza di quelli dei suoi illustri predecessori. A partire dal “manda tutti a prendere un the caldo” all’intervallo delle partite, per proseguire con l’antipaticissima recita al gol che suona come “Noooooome! Co-gnò-mè!” (esempio classico il suo osceno Daaaaaavid! Tre-se-ghé!) e per finire — ma l’elenco sarebbe assai più lungo — con il bruttissimo “pallone sanguinoso”, a indicare una palla persa che potrebbe costare cara alla squadra che la perde e che purtroppo vedo usare

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sempre più spesso anche sui giornali, i tentativi dello scarsissimo Caressa di entrare nel mito dei suoi antesignani ormai non si contano più.

Per quanti sforzi tu possa fare…

Ricordiamoci di loro

Perché erano bravi, perché ricordarsene è bello, e perché a volte, dallo sport, anche una lingua meravigliosa come l’italiano ha saputo trarre — e donare — vantaggio.

Mi aspetto, nei commenti, che mi facciate giustamente ricordare tutti quelli che, per motivi di spazio o per semplice svista, ho dimenticato di menzionare.

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