GLI ASPETTI PSICOLINGUISTICI E FONETICI DELLA BALBUZIE

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Acta Phoniatrica Latina, 30, 2008, 132-163
GLI ASPETTI PSICOLINGUISTICI E FONETICI DELLA BALBUZIE:
INDICI ACUSTICI E CINEMATICI, CON PARTICOLARE
RIGUARDO ALL’ ETÀ PRESCOLARE
*Claudio Zmarich e °Debora Stocco
*Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR, Padova
Centro Medico di Foniatria, Padova
----RIASSUNTO: Vengono qui presentati in sintesi gli stadi e i processi di elaborazione previsti dal
modello psicolinguistico di Levelt (W.J.M. Levelt, “Speaking: from intention to articulation”,
Cambridge, Mit Press, 1989), dall’intenzione comunicativa alla parola articolata, insieme con i
risultati della ricerca sui meccanismi eziologici della balbuzie che li riguardano. La tesi qui
sostenuta è che i fattori di natura socioculturale, psicologica, fisiologica e genetica che
frequentemente vengono invocati come cause della balbuzie devono comunque necessariamente
impattare il controllo motorio della produzione del parlato, ed essere descritti a questo livello. La
Psicolinguistica e la Fonetica possono anche indicare se alla base della balbuzie infantile ci sia uno
sviluppo disomogeneo tra conoscenze e abilità, di tipo linguistico e articolatorio. Inoltre, lo studio
dei bambini all’inizio della loro balbuzie potrebbe permettere di individuare le caratteristiche del
disordine prive di comportamenti reattivi.
PAROLE CHIAVE: balbuzie, disfunzioni psicolinguistiche, disfunzioni fonetiche, sviluppo
linguistico, sviluppo articolatorio, indici cinematici.
SUMMARY: The various processing stages extending from the intention to communicate to the
overt articulation are shortly presented following the psycholinguistic model of Levelt (W.J.M.
Levelt, “Speaking: from intention to articulation”, Cambridge, Mit Press, 1989), and the research
findings in stutterers` behavior and possible theoretical explanations at that level are presented.
Although stuttering is a multidimensional phenomenon made by sociocultural, psychological,
physiological and genetic factors, one can say that in order to accomplish a causal function in
stuttering, each of them must at the end act on the motor control processes of the speech apparatus.
Psycholinguistics and Phonetics could give also some indications whether some developmental
unbalancement among anatomo-physiological structures and functions, and among linguistic,
cognitive and motor abilities is at the core of stuttering. Further, since the differences found
between stutterer and nonstutterer adults could not be the direct manifestations of stuttering but the
reactions of the subjects to stuttering, we must look for differences in the affected subjects before
they develop facing reactions, that is, during the preschool years.
KEY WORDS: stuttering, psycholinguistic dysfunctions, phonetic dysfunctions, language
aquisition, speech development, kinematic indices
La definizione di balbuzie che incontra oggi il maggior consenso è quella data dall’OMS (WHO,
1977: 202): “la balbuzie è un disordine nel ritmo della parola, nel quale il paziente sa con
precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti,
ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà”. Gli arresti, i
prolungamenti e le ripetizioni sono considerati sintomi primari e fanno parte delle cosiddette
disfluenze. Questa definizione giustifica una diagnosi di balbuzie basata sulla rilevazione uditiva
delle disfluenze e sulla loro successiva valutazione di anomalia per caratteristiche quali la
frequenza, il tipo, la durata (“ta-ta-tavolo” invece di “ta-tavolo”) e la collocazione (più spesso
all’inizio dell’enunciato). Il difetto principale di una tale impostazione risiede nell’attenzione
esclusiva prestata alle disfluenze, che rendono il parlato “discontinuo”. Ma la “fluenza” è
multidimensionale: il parlato fluente non è solo privo di discontinuità, ma è prodotto anche con una
prosodia regolare (per metrica e intonazione), a velocità relativamente rapida (per l’esigenza di
trasmettere il maggior numero di informazioni nella minor unità di tempo) e senza eccessivo sforzo
fisico e mentale (Starkweather, 1987). La controprova è che ci sono balbuzienti che sostengono di
essere tali anche se parlano senza disfluenze: sono affetti da “balbuzie nascosta” (cfr. covert
stuttering) e nel parlare percepiscono livelli di sforzo fisico e tensione cognitiva che facilmente
passano inosservati anche all’orecchio e all’occhio del clinico allenato. Ma c’è di più e di peggio: le
spiegazioni tradizionali basate sull’analisi delle disfluenze sono limitate dall’opacità introdotta dalla
distanza relativamente grande tra le supposte cause più o meno centrali della patologia e la periferia
distale in cui gli eventi acustici e percettivi sono misurati (il medium aereo e il sistema uditivopercettivo dell’ascoltatore), e dalla inadeguatezza delle teorie fonetico-fonologiche basate su target
percettivi o acustici a spiegare eventi motori di natura intrinsecamente dinamica.
Un altro aspetto citato nella definizione è quello dell’incontrollabilità: il balbuziente sa cosa vuole
dire, ma non riesce a dirlo perché non ha il controllo sui suoi articolatori. Come suggeriscono
Perkins, Kent & Curlee (1991), l’incontrollabilità può essere correlata al diverso grado di
consapevolezza che il parlante ha sulla causa della disfluenza, che è alta se la disfluenza origina nel
sistema linguistico (come accade nei normoparlanti) ed è viceversa molto bassa se la disfluenza
origina nel sistema motorio (come accadrebbe nei balbuzienti). L’impostazione di tipo tradizionale
della ricerca di tipo psicolinguistico sulla balbuzie (per es. Wingate, 1988) identifica i luoghi
dell’enunciato balbettato che sono associati con l’occorrenza delle disfluenze e spiega questi pattern
distribuzionali invocando le stesse disfunzioni dei processi e/o delle rappresentazioni mentali che
generano i lapsus e le disfluenze nei parlanti normali.
Come studiosi di fonetica, dobbiamo provare a rispondere a due questioni preliminari. La prima è:
“Perché la Fonetica è così importante nello studio della balbuzie?”. Una possibile risposta sarebbe
che la Fonetica è una scienza di confine, sia nel senso che presenta un carattere
contemporaneamente teorico e applicativo, sia nel senso che si trova all’incrocio di diversi saperi e
professioni, come la Linguistica, la Psicologia, la Fisica, la Biologia, la Medicina…Come scienza di
confine tenta di unificare e semplificare il processo causale della balbuzie, sostenendo che gli
asseriti fattori di natura socioculturale, psicologica, fisiologica e genetica devono comunque
necessariamente impattare il controllo motorio della produzione del parlato. La Fonetica si trova in
una posizione vantaggiosa rispetto alle altre discipline linguistiche nella descrizione di questi
processi, perché, citando Lindblom (1995: 466), “(…) può invocare un tipo di conoscenza che è
rilevante per il linguaggio, ma che è acquisita indipendentemente da esso, come l’informazione
relativa ai meccanismi dell’udito e del controllo motorio” (trad. a c. di scrive). Dal punto di vista
dell’acquisizione, lo stesso autore afferma inoltre che il bambino impara meglio l’articolazione che
trova più pronunciabile (restrizioni neuromotorie sulla produzione del parlato) e il percetto più
saliente e distintivo (restrizioni uditive e percettive), ed è concepibile che restrizioni di tipo anomalo
che colpiscono il bambino più o meno predisposto possano innescare un processo patologico che
porta alla balbuzie (Yairi & Ambrose, 2005).
La seconda questione è: “Perché un fonetista dovrebbe interessarsi di balbuzie?” Si potrebbe
rispondere che il fonetista può sentire una grande attrazione verso una patologia del linguaggio che
colpisce in modo selettivo la fluenza, cioè il modo in cui viene pronunciato un enunciato, lasciando
essenzialmente intatte le strutture semantiche, sintattiche e grammaticali, in individui che sono
giudicati come sani e normalmente dotati per quanto riguarda gli aspetti cognitivi e affettivi
(Bloodstein & Bernstein Ratner, 2008). Allo stesso tempo, gli aspetti della balbuzie che si trovano
nel mirino della ricerca sono al cuore di numerose teorie della produzione del parlato (Weismer et
al., 1995). La validità di questi modelli deve infatti essere testata anche sulla loro capacità di
spiegare anomalie articolatorie di natura temporale e spaziale che caratterizzano i disordini motori
della produzione del parlato, come la balbuzie (Caruso, Max, MacClowry, 1999; Kent, 1997): da
una parte il dimensionamento anomalo e l’estrema variabilità spaziale dei gesti articolatori,
dall’altra l’incoordinazione temporale, di tipo sia intra-gestuale (che riguarda più articolatori per
uno stesso gesto fonetico, per es. labbra e mandibola per la chiusura bilabiale) che inter-gestuale
(che riguarda la sovrapposizione temporale tra gesti fonetici successivi, per es. labbra e dorso della
lingua per il gesto rispettivamente consonantico e vocalico per sillaba [pa] e glottide per il tipo di
sonorità, cfr. Kent, 1997, van Lieshout & Goldstein, 2008). Le anomalie spaziali e temporali
insieme contribuiscono ad una estrema instabilità cinematica che può essere qualificata e
quantificata con indici cinematici e dinamici non triviali (per es. attraverso la produzione ripetuta,
in modo percettivamente fluente, della stessa unità linguistica, cfr. Smith, 1997).
La balbuzie inoltre presenta alcune sue caratteristiche peculiari, come l’incapacità a cominciare nei
tempi e modi dovuti il piano motorio relativo alla produzione del parlato (Brown et al., 2005), che
la differenziano da altri disordini linguistici a base motoria. Infatti, se il balbuziente viene esposto
all’effetto di condizioni che promuovono la fluenza, come leggere all’unisono con altre persone,
parlare rapportando la produzione al battito di un metronomo ecc. (cfr. Fluency Enhancing
Conditions), migliora immediatamente, e riesce a cominciare l’enunciato senza disfluenze
(ancoraggio a un ritmo “esterno”). Da qui si ricava che la balbuzie non è un difetto della
programmazione motoria, come la disprassia orale, mentre dall’assenza di debolezza muscolare,
tremore, spasticità e lentezza nel movimento si ricava che non è neanche un problema
dell’implementazione periferica dell’esecuzione, come la disartria.
In questi ultimi vent’anni si è fatta strada inoltre la consapevolezza che la balbuzie ha delle basi
neurofisiologiche che colpiscono in particolare il sistema motorio. Questo è stato ribadito da
numerosi studi di brain imaging sui soggetti balbuzienti, dalle cinque conferenze internazionali
organizzate dall'Università di Nijmegen (Olanda) a partire dal 1985 con cadenza quinquennale
(Peters & Hulstijn 1987, Peters, Hulstijn & Starkweather, 1991; Hulstijn, Peters & van Lieshout,
1997; Maassen, Hulstijn, Kent, Peters, van Lieshout, 2004) e dalle conferenze triennali organizzate
dall’International Fluency Association (IFA), che a partire dal 1994 hanno presentato molti
contributi sul Brain Imaging.
Questo non è il luogo dedicato a presentare le tante novità di queste ricerche, perché saranno
oggetto di un altro contributo della presente relazione ufficiale, ma può essere ugualmente
importante sottolineare gli stretti rapporti di metodo e di merito con la psicolinguistica e la fonetica.
Di metodo, perché ogni studio di brain imaging dedicato alla produzione del parlato presuppone il
riferimento a un modello psicolinguistico che fornisca a monte ipotesi di stadi e processi da testare,
di merito, per il coinvolgimento, negli studi di imaging sul comportamento verbale dei balbuzienti,
dei circuiti cerebrali deputati al controllo motorio del parlato, tradizionalmente oggetto di studio
della fonetica. De Nil (2004) aveva riassunto i numerosi studi di brain imaging condotti fino a quel
momento dicendo che le ricerche basate sulla visualizzazione dell’attività cerebrale rivelano
differenze tra i non balbuzienti e i balbuzienti (adulti) che sono di tipo strutturale (anatomico):
• diversa dimensione e morfologia del planum temporale (Foundas, Bollich, Corey, Hurley, &
Heilman, 2001) e riduzione dell’asimmetria emisferica (Foundas et al. 2004);
• riduzione nella densità della materia bianca nel sulcus subcentrale sottostante la corteccia
sensomotoria laringale e linguale e nel fascicolo arcuato che lega le aree temporale e
frontale deputate al linguaggio (Sommer, Koch, Paulus, Weiller, & Büchel, 2002);
e di tipo funzionale (fisiologico):
• alcune aree cerebrali evidenziano iperattivazione nei balbuzienti (corteccia motoria
primaria, corteccia motoria supplementare, area motoria cingolata, verme cerebellare),
• altre evidenziano ipoattivazione (circuito fronto-temporale per la fluenza),
• In generale, ci sono anomalie nell’attivazione di regioni cerebrali come la corteccia
prefrontale e frontale, i gangli basali e il cervelletto, e differenze tra i balbuzienti e i
controlli per la lateralizzazione cerebrale, anche nel parlato inarticolato (silente). Infatti nei
balbuzienti l’emisfero destro è più attivo rispetto ai non balbuzienti, ma non si sa se le
anomalie riscontrate nel balbuziente siano innate o siano dovute a processi reattivi e
compensativi.
A queste informazioni si possono integrare quelle derivanti dal primo, e a nostra conoscenza finora
unico, studio di meta-analisi sul brain imaging della produzione fluente e disfluente dei balbuzienti
(Brown et al, 2005): gli autori riscontrarono un’extra-attivazione dell’emisfero destro
nell’operculum frontale, operculum rolandico, e l’insula anteriore, unitamente a una soppressione
dell’attivazione uditiva relativa all’ascolto della propria voce. Più avanti riprenderemo questi
risultati in una prospettiva di controllo motorio.
D’altra parte, poiché le differenze trovate tra balbuzienti e non balbuzienti potrebbero non essere la
diretta manifestazione delle cause patogene della balbuzie, ma le reazioni o le compensazioni dei
balbuzienti a queste, diventa veramente importante studiare i soggetti affetti da balbuzie prima che
essi incomincino a sviluppare questi comportamenti reattivi, o comunque nel momento più vicino
possibile all’insorgenza. Queste considerazioni spingono allo studio della balbuzie nei bambini,
oggi facilitato anche dall’ammirevole libro di Yairi & Ambrose (2005) che contiene la summa di 20
anni di ricerche condotte nell’ambito dell’Illinois Stuttering Project: 167 bambini balbuzienti
reclutati nel momento dell’insorgenza e seguiti per 4 anni ( 4 valutazioni, nei primi due anni, poi
una valutazione all’anno per il 3° e il 4° , e un’ultima valutazione da 5 a 8 anni dopo l’insorgenza)
59 controlli.
La balbuzie può essere a pieno titolo definita un disordine dell’infanzia, poiché nel 95% dei casi
insorge tra i 18 e i 48 mesi di età (Yairi & Ambrose, 2005), in un periodo altamente critico poiché il
bambino è interessato da un rapido e grandioso processo di crescita, maturazione e integrazione di
strutture anatomiche e funzioni fisiologiche, con una continua e complessa riorganizzazione dei
processi cognitivi, linguistici e motori (Moore, 2004; Smith, 2006). La balbuzie affligge l’1% della
popolazione mondiale (tasso di prevalenza), percentuale che sale al 5% (tasso di incidenza) se si
considerano i casi in cui il disturbo scompare spontaneamente o tramite terapia. Tale remissione
spontanea può avvenire fino a 3 anni dopo l’insorgenza, che Yairi & Ambrose (2005) situano a
un’età media di 33 mesi. Il maggior tasso di guarigione spontanea tra le bambine porta il rapporto
M/F dal 2/1 iniziale al 4/1 finale. Le ricerche di tipo genetico fanno ritenere che ci sia una
trasmissione poligenetica e multifattoriale della predisposizione a balbettare (Shugart et al., 2005;
Riaz et al. 2005, Suresh et al, 2006). Secondo Felsenfeld (1997) e Felsenfeld et al. (2002), circa il
70% della suscettibilità alla balbuzie sarebbe da attribuire a un effetto di tipo genetico, il 30% ad
effetti ambientali del tipo più eterogeneo.
Considerare la balbuzie dal punto di vista evolutivo consente inoltre di formulare correttamente il
processo eziologico. Se la fonetica e la psicolinguistica ci possono informare sulla genesi del
singolo episodio di balbuzie (descrivendo per così dire la sua “meccanica” o causa prossimale), la
descrizione dei fattori che portano un bambino a diventare balbuziente cronico ci fornisce una
regola condizionale (o causa distale) del tipo: “ogni volta che il bambino incontrerà X, allora
avverrà Y”. Asserzioni sulla causa prossimale e sulla causa distale dovrebbero essere
contemporaneamente presenti in ogni teoria eziologica della balbuzie (cfr. anche “moment
theories” e “disorder theories” rispettivamente, Bloodstein e Bernstein-Ratner, 2008), ma non
sempre succede.
Malgrado le comprensibili difficoltà metodologiche, recenti ricerche con MRI su bambini di 9-12
anni hanno evidenziato (Chang et al., 2008) i seguenti risultati:
• i balbuzienti persistenti e quelli guariti spontaneamente esibiscono un volume ridotto di
materia grigia rispetto ai normali nelle regioni cerebrali coinvolte nel linguaggio: il giro
frontale inferiore sinistro e le regioni temporali bilaterali;
• solo nei balbuzienti persistenti si ha una riduzione nella materia bianca nelle regioni motorie
relative alla faccia e alla laringe;
• diversamente dagli adulti balbuzienti, non c’è attività nelle regioni dell’emisfero destro
omologhe a quelle linguistiche, nè diversità nelle asimmetrie destra-sinistra. In particolare
quest’ultimo risultato porterebbe a valutare come dovuti a compensazione e adattamento
tutta una serie di risultati di Brain Imaging che avevano messo in luce l’anomala iperattività
dell’emisfero destro in compiti relativi alla produzione del parlato negli adulti (vedi sopra).
Il bambino che per ragioni genetiche sarebbe predisposto alla balbuzie cronica deve essere curato il
prima possibile, se si desidera che la guarigione sia completa e duratura, caratteristiche
difficilmente ottenibili in età adulta. Dato che in letteratura esistono prove di tipo fonetico (analisi
percettiva delle disfluenze, analisi acustica della coarticolazione intrasillabica Consonante-Vocale,
cfr. Yairi & Ambrose, 2005) che consentirebbero di individuare precocemente su base
probabilistica dopo 6 mesi dall’insorgenza i bambini a rischio di balbuzie cronica, si dimostra una
volta di più l’importanza dell’analisi fonetica nello studio della balbuzie.
Gli esperimenti di Brain Imaging presuppongono l’esistenza di modelli dettagliati della produzione
del parlato per poter formulare le ipotesi teoriche e interpretare i risultati (Indefrey, 2008). Questi
modelli sono costruiti da neuropsicologi, psicolinguisti e studiosi di fonetica su evidenze di tipo
comportamentale (offline: i lapsus e le esitazioni dei parlanti normali e degli afasici; online: i tempi
di reazione temporale in vari stadi di produzione del parlato; le dinamiche del comportamento
articolatorio), ed elettrofisiologico (potenziali evocati).
Qui di seguito esporremo quindi una rassegna critica delle ipotesi eziologiche sulla balbuzie situate
lungo il continuum ideale che va dall’intenzione comunicativa all’esecuzione articolatoria.
Ovviamente per una piena comprensione delle anomalie bisognerà fare riferimento al modo di
funzionamento normale, cioè a un modello psicolinguistico della produzione del parlato, che sia
giustificato anche dal punto di vista evolutivo (ontogenetico). I modelli psicolinguistici della
produzione del parlato nei normoparlanti sono stati elaborati in gran parte proprio grazie all'analisi
delle malfunzioni linguistiche a breve termine o lapsus/speech errors (Fromkin, 1973; 1980; per
l'italiano cfr. Magno Caldognetto & Tonelli, 1993), delle disfluenze (Mahl, 1956; Maclay &
Osgood, 1959; Goldman-Eisler, 1968), e dei cosiddetti self-repairs (cioè le correzioni eseguite dallo
stesso parlante sui propri errori di natura semantica, sintattica o fonetica; cfr. Levelt, 1989; Postma,
Kolk & Povel, 1990; Blakmer & Mitton, 1991, Berg, 1992; per un recente volume collettivo
sull’argomento cfr. Hartsuiker, Bastiaanse, Postma & Wijnen, 2005). La differenza tra queste tre
categorie consiste nel fatto che le malfunzioni linguistiche a breve termine sono deviazioni non
volute e non abituali dal bersaglio linguistico pianificato; le disfluenze rappresentano le interruzioni
e i ritardi nell'esecuzione della pianificazione linguistica e i self-repairs si riferiscono più in
generale alle strategie correttive che il parlante applica allorchè rileva l'occorrenza di una
deviazione dal bersaglio linguistico pianificato, e più in particolare alle correzioni collegate al
bersaglio.
Purtroppo attualmente non esistono modelli psicolinguistici che descrivono esplicitamente il
processo di produzione verbale a livello di controllo motorio, né relativamente all’infanzia (tra i più
conosciuti, cfr. Menn et al., 1993; Stackouse & Wells, 1997) né relativamente all’età adulta (tra i
più conosciuti, cfr. Dell, 1986; Levelt 1989; Levelt et al., 1999), e d’altra parte un modello del
controllo motorio come quello di Barlow & Farley (1989) non concede nulla alla psicolinguistica,
basandosi su dati anatomofisiologici. L’incomunicabilità tra teorie linguistiche e teorie del controllo
motorio è determinata dalla natura stessa della produzione verbale. Non c’è corrispondenza
biunivoca tra le unità linguistiche (fonemi, sillabe, parole, enunciati) e le misure dei comportamenti
esecutivi, perché gli eventi fisiologici sottostanti la produzione verbale variano in funzione della
prosodia, dei foni circostanti (coarticolazione), dei confini di parola e ancora di altri fattori (velocità
e stile di elocuzione, atteggiamento emotivo, stato di salute, presenza di eventuali interferenze
cognitive ecc., cfr. Smith & Goffman, 2004; Smith, 2006). L’interconnessione tra fattori linguistici
e fattori motori è se possibile ancor più complessa e meno chiara nello sviluppo fonetico, in cui i
cambiamenti continui delle strutture anatomofisiologiche (per morfologia, dimensione e
innervazione muscolare), del substrato neurale e della cognizione richiedono relazioni flessibili tra
questi fattori e funzionali ad un processo di riorganizzazione continua (Callan, Kent, Guenther &
Vorperian, 2000). Infatti le ricerche sulla produzione del parlato dei bambini non sono così
numerose e aggiornate come per gli adulti (per una rassegna vedi Rispoli, 2003).
Per la balbuzie è molto applicato il modello di produzione del parlato da parte di normoparlanti
adulti di Levelt (1989), integrato da Levelt (1993, 1994), Levelt, Roelofs & Meyers (1999), Cholin,
Schiller & Levelt (2004).
Alcune tra le caratteristiche principali del modello di Levelt sono le seguenti:
• individua le unità di elaborazione, esplicita la rappresentazione mentale dell'informazione
linguistica e mette in rilievo i processi di elaborazione di tali informazioni (selezione,
richiamo, controllo e correzione ecc.).
• L’alta velocità di esecuzione (10-15 fonemi articolati ogni secondo) richiede che i vari
processi operino serialmente ma in modo quasi simultaneo (produzione incrementale): un
processo di livello inferiore comincia non appena il processo di livello superiore gli ha
consegnato una parte anche minima del suo prodotto.
• Modo di operare automatico e modulare. L’automaticità garantisce l’allocazione
dell’attenzione del parlante prevalentemente al contenuto e la modularità garantisce
l’assenza di pericolose interferenze tra livelli diversi.
Fig. 1 Schema del modello di produzione del parlato con i circuiti di feedback previsti da Levelt
(1989; adattato da Postma & Kolk, 1993).
Il percorso che va dall’intenzione comunicativa alla produzione articolatoria dell’enunciato
comincia quando il parlante seleziona e ordina nel concettualizzatore l’informazione la cui
espressione può realizzare la sua intenzione comunicativa. A questo messaggio ancora preverbale
viene assegnata una struttura proposizionale che termina nei concetti lessicali. Il messaggio è
l’input del Formulatore, che associa a ciascun concetto lessicale il lemma corrispondente (dotato
di informazioni semantico – sintattiche), prelevandolo dal lessico mentale. Il Formulatore è il
componente centrale della produzione linguistica, e comprende due livelli di elaborazione
dell’enunciato: la codifica grammaticale e la codifica fonologica.
LA CODIFICA GRAMMATICALE. La codifica grammaticale consiste di due processi principali:
la pianificazione funzionale e la pianificazione posizionale. Al livello funzionale, le informazioni
semantico- sintattiche dei lemmi determinano una struttura del tipo predicato/argomenti, all'interno
della quale ai lemmi vengono assegnati determinati ruoli tematici (predicato, agente, oggetto,
beneficiario ecc.). Al livello posizionale vengono inseriti in una rappresentazione a costituenti
dell’enunciato che specifica l'ordine seriale dei lemmi, degli affissi, delle parole funzione e delle
gerarchie accentuali.
Per quanto riguarda disfunzioni o deficit della codifica grammaticale nei balbuzienti adulti, esistono
alcuni risultati sperimentali sulla relazione tra la frequenza e i loci di occorrenza degli episodi di
balbuzie nell’enunciato con il tipo di compiti linguistici e la loro complessità sintattica ( cfr. le
rassegne di Wingate, 1988; Zmarich, 1991; Bernstein-Ratner, 1997), ma questi come vedremo
possono essere spiegati anche dal punto di vista motorio. Un’altra linea di evidenza mira a valutare
le abilità psicolinguistiche sottoponendoli a vari test più o meno standardizzati, e sosterrebbe
l’esistenza di un sottogruppo di balbuzienti adulti scarsamente dotati dal punto di vista delle
competenze e delle abilità linguistiche (Watson et al., 1991; Watson et al., 1994; Wingate 1988).
Dal punto di vista teorico, almeno cinque teorie (Wingate, 1988; Perkins, Kent & Curlee, 1991;
Postma & Kolk, 1993; Karniol, 1995; Bosshardt, 2006) invocano anomalie nella codifica
grammaticale nell’adulto balbuziente, ma queste anomalie non sono ben precisate e il loro ruolo
chiave in realtà sta nel creare le condizioni perché avvenga una disfunzione della codifica
fonologica, che è il livello dove verranno presentate. In definitiva i risultati più convincenti
provengono da esperimenti di interferenza cognitiva, in cui la produzione verbale di balbuzienti e
non balbuzienti viene ostacolata dalla contemporanea esecuzione di compiti secondari che
richiedono l’accesso e la manipolazione delle informazioni semantiche del lemma (decidere se la
parola interferente appartiene alla stessa categoria semantica della parola target), e i balbuzienti
subiscono un peggioramento significativamente diverso nelle prestazioni in termini di aumento
delle disfluenze e/o rallentamento dell’eloquio e/o successo nel compito secondario (Bosshardt
2006; Weber-Fox, Spencer, Spruill III, Smith, 2004). Come vedremo, questi risultati possono essere
conciliati con una teoria multifattoriale, in cui un sistema fonetico-fonologico intrinsecamente
“fragile” possa essere messo perturbato da interferenze a livelli molteplici, dal cognitivo al motorio
(Smith, 1997).
Le teorie che fanno appello a un deficit o disfunzione della codifica grammaticale hanno avuto
maggior successo in chiave evolutiva, e questo è comprensibile quando si pensa che l’acquisizione
della capacità sintattica è una tappa significativa dello sviluppo linguistico, che interessa i bambini
proprio nelle età più colpite dalla balbuzie (tra i 2 e i 4 anni, cfr. Vihman, 1996). Secondo
MacWhinney & Osser (1977) a partire dai 4-5 anni i bambini pianificano e producono gli enunciati
in modo essenzialmente adulto. In corrispondenza dello sviluppo della capacità di produzione
dell’enunciato vari ricercatori hanno documentato un aumento di lapsus, disfluenze e self-repairs
Per quanto riguarda i bambini normoparlanti tra 3 e 5 anni, la complessità della frase da produrre
influenza la frequenza delle disfluenze (Pearl & Bernthal, 1980) e vi è un aumento delle normali
disfluenze quando essi tentano di pronunciare delle strutture grammaticali appena imparate
(Colburn & Mysak, 1982). Wijnen (1990) sostiene che i bambini attorno ai 2 anni manifestano
tramite le disfluenze l’esistenza di una discontinuità nello sviluppo del Formulatore, che passa da
un funzionamento su base semantica a uno su base sintattica. Per Rispoli (2003) i cambiamenti
evolutivi nel modo di pianificare e produrre l’enunciato sono collegati allo sviluppo della capacità
grammaticale-sintattica, e possono essere colti attraverso i cambiamenti nel tipo di disfluenze degli
enunciati infantili. L’autore distingue tra due tipi di disfluenza, stalls (blocchi) e revisions
(revisioni). Gli stall sono errori che non aggiungono nuove informazioni linguistiche, le revisioni
aggiungono nuove informazioni nel senso che costituiscono cambiamenti nel corso della
produzione di un enunciato. Rispoli (2003) riesce a dimostrare come, in parallelo allo sviluppo della
capacità grammaticale-sintattica, si assiste a una diminuzione degli stall e ad un aumento delle
revisioni. Questo perché gli stall segnalano una dissincronia nella produzione incrementale e in
parallelo dei vari stadi di elaborazione linguistica, che non viene risolta a causa dell’incapacità del
bambino e che dunque affiora nell’articolazione superficiale, mentre le revisioni manifestano la
capacità del bambino di comparare la sua intenzione comunicativa con il prodotto non ancora
completato e di correggere la produzione se non c’è corrispondenza tra i due livelli.
Per quanto riguarda la relazione tra caratteristiche linguistiche di tipo non fonetico-fonologico e
balbuzie, una rassegna recente (Hubbard Seery, Watkins, Mangelsdorf & Shigeto, 2007) sottolinea
l’eterogeneità e la contradditorietà dei risultati emersi dai molti studi svolti sull’argomento, anche
se un filo comune si può riscontrare nel fatto che i bambini balbuzienti non sono inferiori per le loro
conoscenze (a livello di strutture) linguistiche (dimensione del vocabolario, conoscenza delle
strutture grammaticali e sintattiche) e non si differenziano in media dai coetanei non balbuzienti per
le loro abilità (psico)linguistiche (a livello di processi), ma i bambini che possiedono abilità
(psico)linguistiche relativamente basse o relativamente alte sono molto più rappresentati tra i
bambini balbuzienti che tra quelli non balbuzienti (cfr. anche Yaruss et al. 1998). Gli autori
concludono ipotizzando uno sbilanciamento tra un’alta capacità linguistica e una bassa abilità
motoria che può contribuire al rischio della balbuzie cronica per questi bambini, e anche Anderson,
Pellowski & Conture (2005) trovano frequenti dissociazioni tra diversi domini linguistici e motorii
nei bambini balbuzienti. In un’altra rassegna, Conture, Zackheim, Anderson & Pellowski (2004)
affermano che i bambini balbuzienti possono esibire spesso lentezze e inefficienze di tipo
subclinico, non rilevabili ai test clinici ma rilevabili con esperimenti cronometrici in laboratorio,
nell’accesso lessicale (al lemma) e nella costruzione morfosintattica della struttura superficiale
dell’enunciato. Un interessante distinzione tra bambini balbuzienti cronici e balbuzienti che poi
guariscono spontaneamente è fornita da R.V. Watkins (cap. 7 in Yairi & Ambrose, 2005), che
sottolinea come la produzione linguistica espressiva dei primi sia in genere più avanzata che nei
secondi e anche rispetto a quella dei coetanei non balbuzienti.
La relazione tra abilità grammaticale-sintattica e balbuzie nel bambino ha interessato diverse teorie.
Per es., l’ipotesi di Bloodstein & Gantwerk (1967) che l’insorgere della balbuzie sia connesso alle
prime difficoltà nella pianificazione e produzione dell’enunciato si appoggia a fatti come
l’occorrenza dei primi episodi di balbuzie all’inizio delle strutture sintattiche, la coincidenza tra il
periodo di insorgenza e il periodo di acquisizione della capacità grammaticale, la remissione
spontanea che occorre alla fine di tale periodo per la maggioranza dei bambini che avevano
cominciato a balbettare, l’aumento dei primi episodi di balbuzie in relazione alla complessità e
lunghezza dell’enunciato, la forte incidenza di disordini fonologici nei bambini che incominciano a
balbettare. Il bambino balbuziente esita soprattutto all’inizio della produzione dell’enunciato poichè
incerto della sua costruzione sintattica, e queste esitazioni prendono la forma di ripetizioni e
prolungamenti iniziali.
Concettualmente simile, anche se più aggiornato con il riferimento al modello di Levelt (1989), è il
modello EXPLAN di balbuzie infantile proposta da Howell (2004). E’ un dato di fatto che, se gli
adulti balbuzienti sono più disfluenti sulle parole contenuto, i bambini balbuzienti lo sono sulle
parole funzione (Bloodstein & Gantwerk, 1967). Le parole funzione stanno all’inizio dell’enunciato
ed essendo prive di accento proprio (clitici), per essere articolate devono unirsi con la sillaba della
parola contenuto seguente. Se il bambino balbuziente ha problemi con la costruzione sintattica (per
es. con la parola contenuto successiva), le ripeterà a guisa di strategia dilatoria. Il pattern di
distribuzione della balbuzie cambia dalle parole funzione alle parole contenuto intorno all’età di 10
anni e negli adulti la maggior percentuale di balbuzie che è associata alle parole contenuto sarebbe
provocata dalla loro maggior complessità fonetico-fonologica. Tale cambiamento avviene a causa
della pressione temporale che spinge il ragazzino all’esecuzione di un piano articolatorio per la
parola contenuto anche se questo è ancora incompleto. Riprenderemo il modello di Howell nella
prossima sezione perché nell’adulto diventa un modello a due stadi, combinando le ipotesi su un
difetto centrale di pianificazione fonetico-fonologica lessicale con una dissincronia tra
pianificazione ed esecuzione dei componenti dell’enunciato.
LA CODIFICA FONOLOGICA. La codifica fonologica è la costruzione di un piano fonetico a
partire dalla struttura superficiale prodotta dalla pianificazione posizionale.
Si possono distinguere 5 processi diversi: il recupero del lessema, la specificazione segmentale, la
specificazione metrica, la formazione della casella metrica e l’associazione del segmento alla
sua casella (vedi fig. 2)
Fig. 2 Modello di produzione delle parole (modificato da Levelt, 1994)
Il recupero del lessema a partire da dato lemma avviene con un meccanismo di tipo
connessionistico a cui contribuisce l’effetto frequenza di parola.
La specificazione di un lessema consiste almeno nell’informazione segmentale (composizione in
fonemi) e in quella metrica (almeno il numero di sillabe e la struttura accentuale).
Formazione della casella metrica è data dall’unione dello schema metrico di un nome con lo
schema metrico del suo clitico : es. “con amore”, sillabata come “sillaba-sillaba-sillaba accentatasillaba”.
L’associazione del segmento alla sua casella consiste nel riempimento da sin. a dx. della casella
metrica precedentemente specificata con i segmenti precedentemente specificati (creazione della
parola fonologica): es. “/ko.na.’mo.re/”.
Il prodotto finale dello stadio di codifica fonologica è una sequenza di sillabe, che nel parlato
fluente rapido possono essere create anche ogni 100 ms.
Le più convincenti spiegazioni della generazione delle disfluenze nei balbuzienti al livello della
codifica fonologica sono: (1) Wingate (1988), (2) Postma e Kolk (1993), (3) Perkins, Kent &
Curlee (1991) (4) Karniol (1995), (5) Howell (2004), Howell, Au-Yeung & Sackin (1999), (6)
Bosshardt (2006). Per una rassegna vedi anche Magno e Zmarich (1995).
Poiché le disfluenze della balbuzie, sulla cui analisi questi modelli sono basati, possono essere
interpretate come un sintomo di danno, cioè una manifestazione diretta di un deficit o una
malfunzione del sistema di produzione dell'enunciato, oppure un sintomo di adattamento, cioè
l'uso che viene fatto di questo sistema per compensare il deficit o la malfunzione, divideremo le
teorie in base a questa distinzione.
La teoria della fault-line di Wingate (1988) si basa sull’ipotesi del danno. Una dissincronia del
processo di codifica fonologica provoca il fallimento del processo di associazione del segmento
alla sillaba e consegna alla fase dell'esecuzione articolatoria solo il fonema iniziale del lessema,
che è anche attacco sillabico, mentre vengono ritardati i fonemi non iniziali, cioè il nucleo sillabico
(che molto spesso porta anche l’accento di parola, almeno per l’inglese), più gli eventuali altri
fonemi. L’esecuzione articolatoria della parte restante della parola così ne risente, provocando per
reazione la formazione di ripetizioni e prolungamenti del fonema iniziale. Le disfluenze che si
verificano sulle sillabe interne alla parola sono dovute invece alla presenza dell'accento (quando
non è iniziale). Con la sua ipotesi, Wingate enfatizza particolarmente la difficoltà che i balbuzienti
incontrano nella computazione dei parametri prosodici, come l'accento, che sono trasmessi
principalmente dal nucleo sillabico.
La teoria fonologica più importante sulla balbuzie è la Covert Repair Hypothesis di Postma e Kolk
(1993), che usano il modello di Levelt, e l’ipotesi dell’adattamento.
modello di generazione delle disfluenze a due stadi:
1. la codifica fonologica subisce un rallentamento e vengono generati degli errori fonologici
(danno).
2. questi errori vengono intercettati e corretti dal monitor che controlla il parlato interno, in
modo tale da generare blocchi, ripetizioni e prolungamenti (adattamento).
All’origine c’è un rallentamento della codifica fonologica: in questo intervallo molti fonemi sono in
competizione tra loro (immaturità del sistema di codifica fonologica).
Il balbuziente non può\vuole adeguare la sua velocità di articolazione, poichè le convenzioni sociali
e conversazionali lo inducono a non parlare troppo lentamente. Aumenta quindi il rischio di
selezionare l'unità scorretta e di articolare errori fonologici. Quando il monitor rileva l’errore nel
parlato interno, arresta immediatamente l'esecuzione articolatoria (Main Interruption Rule, Levelt,
1989: 478). La correzione degli errori può essere eseguita alternativamente con:
• ripresa della produzione del target, che genera le ripetizioni;
• attesa della produzione del target, che genera i blocchi silenti e i prolungamenti.
La teoria SPA (Suprasegmental Sentence Plan Alignement) di Karniol (1995), ha molti punti di
contatto con la teoria di Postma e Kolk. Le disfluenze dei b/i sono manifestazioni di una reazione di
adattamento del sistema linguistico ad un danno temporalmente precedente, che viene rilevato dal
monitor e riparato on line. La SPA si differenzia dalla teoria precedente nella collocazione del
livello del danno: si tratterebbe di un errore di pianificazione sintattica/pragmatica che obbliga il
sistema di produzione del parlato a ripianificare l’enunciato e, più crucialmente, la sua prosodia,
costituita da proprietà di tipo ritmico (velocità di elocuzione, successione degli accenti, pause) e
melodico (andamento di F0). L’occorrenza di una disfluenza viene modellata come la ripetizione di
parola o la parte iniziale di parola dal punto dell’interruzione dell’enunciato originale, che è
necessaria per dare tempo al sistema di raccordare l’implementazione della pianificazione
soprasegmentale revisionata a quella originale.
La teoria della funzione neuropsicolinguistica della balbuzie di Perkins, Kent & Curlee (1991), è
vicina a Karniol per l’importanza della componente paralinguistica, che trasmette per via prosodica
le informazioni emotive e attitudinali. La produzione verbale coinvolge componenti linguistiche e
paralinguistiche, elaborate da sistemi neurali diversi che però convergono verso un output comune.
Lo stadio finale della componente linguistica produce segmenti fonetici, mentre la componente
paralinguistica produce caselle sillabiche dotate di informazioni soprasegmentali specificate in
termini di durata, intensità, andamento intonativo, registro di voce (tone of voice).
La dissincronia tra i due componenti produce una disfluenza o un episodio di balbuzie. I due tipi si
differenziano per la consapevolezza che il parlante ha della loro causa: alta se la disfluenza origina
nel sistema linguistico e molto bassa se la disfluenza origina nel sistema paralinguistico.
Gli episodi di balbuzie nascono da un conflitto tra le opposte necessità di comunicare dominanza o
sottomissione. Questo conflitto è trasferito all’ interno del sistema paralinguistico, attraverso la
regolazione automatica e non cosciente del tono della voce (tone of voice) che assorbe le risorse
neurali per l'elaborazione paralinguistica, e causa il ritardo con cui l'informazione relativa alla
struttura della sillaba viene fornita al sistema integratore, che già dispone dell' informazione
segmentale. Un episodio di balbuzie (=disfluenza involontaria) si verifica quando il parlante è
relativamente inconsapevole della causa della dissincronia ed è sotto "pressione temporale”.
La teoria EXPLAN di Howell (2004; Howell & Dworzynski, 2005; vedi paragrafo precedente)
combina le ipotesi su un difetto centrale di pianificazione fonetico-fonologica o lessicale con una
dissincronia tra pianificazione ed esecuzione dei componenti dell’enunciato: l’articolazione delle
parole precedenti invece di sovrapporsi normalmente con la pianificazione delle parole successive
dell’enunciato (cfr. il concetto di produzione incrementale quasi in parallelo di Levelt, 1989) ripete
o prolunga l’ultimo elemento, perchè la pianificazione ha rallentato la preparazione del piano
motorio esecutivo del segmento successivo.
Per Bosshardt (2006), dal punto di vista comunicativo, il parlato articolato è il risultato finale
osservabile di processi cognitivi che operano a diversi livelli. Gli scopi comunicativi attivano questi
processi cognitivi, li mantengono attivi e inibiscono processi concorrenti non collegati a questi
scopi. Quando il balbuziente è sottoposto a un dual task di natura verbale, cioè per es. la produzione
di frasi è accoppiata alla presentazione di altre parole, su cui bisogna decidere se rimano o non
rimano, il balbuziente, diversamente dal non balbuziente, riduce se può il numero delle unità
semantiche per frase (compito primario), o produce risposte scorrette sul compito secondario. Il
balbuziente così si rivela più sensibile all’interferenza di attività che richiedono attenzione,
particolarmente quando vengono coinvolti processi di tipo fonologico, dimostrando una riduzione
nella modularità e automaticità degli stadi di elaborazione neurale. Questa interpretazione prevede
che gli episodi di balbuzie siano accresciuti da processi cognitivi concorrenti allorchè le necessità
comunicative non consentono di ridurre il carico cognitivo totale per il parlato articolato. Una
maggior fragilità del processo di elaborazione fonologica rispetto all’interferenza creata da compiti
secondari di natura fonologica è stata anche riscontrata in un esperimento (Weber-Fox, Spencer,
Spruill III, Smith, 2004), che ha fatto uso dei potenziali evocati (Event-related brain potentials). I
due gruppi di balbuzienti e non balbuzienti hanno esibito lo stesso tipo di elaborazione fonologica
per quanto riguarda le misure elettrofisiologiche e l’accuratezza nelle risposte mentre gli intervalli
di reazione temporale erano significativamente più lunghi per i balbuzienti, che dimostravano anche
un coinvolgimento anomalo dell’emisfero destro.
Lo sviluppo fonologico di un bambino può essere valutato in tre modi (E. P. Paden, cap. 6 in Yairi
e Ambrose, 2005). Il primo conta le volte che il bambino sbaglia nel produrre un certo fonema
(frequenza degli errori fonemici), il secondo conta i processi fonologici che il bambino usa, cioè i
modi, adeguati all’età o anomali, di semplificare le parole adulte, e il terzo conta la frequenza degli
errori fonologici, cioè l’errore nel produrre determinate classi fonologiche e di determinate strutture
fonotattiche. Lo studio degli speech errors nei bambini suggerisce che il processo di codifica
fonologica sia in generale comparativamente più lento nei bambini rispetto agli adulti, e che questa
lentezza sia funzionale alle loro limitate capacità/abilità. Ciò è dimostrato anche dal maggior
numero di sostituzioni perseverative nei bambini rispetto al maggior numero di sostituzioni
anticipatorie degli adulti, e dai loro più alti tassi di errore.
Per quanto riguarda i bambini balbuzienti, stime conservative fissano la percentuale di bambini
balbuzienti che esibiscono anche disordini fonologici o articolatori al 30-40% di fronte al 2-6%
della popolazione non balbuziente (Wolk, Edwards & Conture, 1993; cfr. per una rassegna Melnick
Conture & Ohde, 2005). Però Yaruss e Conture (1996) trovarono che, mentre gli speech errors non
sistematici (lapsus) prodotti dai bambini balbuzienti erano correlati alle loro disfluenze, gli errori
sistematici (processi fonologici) non lo erano. In un’altra ricerca, Gregg & Yairi, (2007) non hanno
trovato correlazione tra gravità della balbuzie e gravità del ritardo/disordine fonologico.
In un esperimento di Pellowski, Conture, Anderson & Ohde (2001), i bambini balbuzienti cronici
risultarono inferiori ai test standardizzati per la valutazione delle capacità articolatorie e
linguistiche, e Melnick, Conture & Ohde (2003), trovarono che i bambini balbuzienti cronici che
per precisione articolatoria sono equivalenti ai non-balbuzienti, erano più lenti (maggiori ritardi in
compiti di reazione temporale).
Così E. P. Paden conclude il suo capitolo in Yairi e Ambrose, dedicato ai risultati nell’area della
capacità fonologica dei bambini dell’Illinois Stuttering Project (pp. 229-230):
• “poco dopo l’insorgenza, i bambini balbuzienti tendono a restare indietro nello sviluppo
fonologico rispetto ai bambini non balbuzienti;
• i bambini che resteranno cronici sono tendenzialmente più lenti nello sviluppo fonologico
rispetto a quelli che guariscono spontaneamente;
• il ritardo fonologico non basta a predire il decorso futuro della balbuzie;
• il ritardo fonologico viene recuperato entro due anni;
• lo sviluppo fonologico dei bambini balbuzienti è simile per strategie e ordine di
progressione a quello dei bambini non balbuzienti”.
Laddove i bambini non balbuzienti sembrano sviluppare le abilità fonologiche ad una velocità
adeguata alle loro crescenti necessità comunicative, forse i bambini balbuzienti le sviluppano in
ritardo o non sviluppano a sufficienza o in tempo il sistema percettivo di controllo (vedi il monitor
del modello di Levelt, 1989) per intercettare e correggere gli errori di produzione. E’ anche
possibile che un bambino con un ritardo fonologico tenti di correggersi, sia apertamente che nel
“linguaggio interno”. La conseguenza è un aumento nel numero di disfluenze (che possono essere
considerate come modifiche temporali della catena parlata), che rendono alla fine il monitor
esageratamente sensibile alle variazioni temporali del parlato, che invece accadono normalmente
per esigenze di prosodia e di stile. Il monitor interpreta queste variazioni temporali come possibili
disfluenze e interviene con le due strategie dilatorie che conosce: prolungamento o ripetizione (cfr.
Vasic & Vjinen, 2005).
Per finire, Weber-Fox, Spruill III, Spencer & Smith (2008), che già avevano indagato gli adulti
balbuzienti (vedi sopra), hanno studiato i potenziali evocati (ERPs) nei bambini balbuzienti tra 9 e
14 anni di età. Questi si sono rivelati significativamente meno accurati rispetto ai coetanei non
balbuzienti quando dovevano decidere se due parole presentate visivamente rimavano o meno. Gli
autori spiegano questa inferiorità, molto più marcata che negli adulti, con un difetto della memoria
fonologica nel formare e trattenere una rappresentazione fonologica stabile a livello neurale della
parola stimolo e di quella target da comparare, evidenziando anche come nei bambini balbuzienti ci
sia un coinvolgimento anomalo dell’emisfero destro.
LA CODIFICA FONETICA. La codifica fonetica riguarda gli stadi e i processi di produzione del
parlato a partire dall’ultimo sottostadio della codifica fonologica fino all’articolazione (Hulstijn &
van Lieshout, 1997). Non appena le parole fonologiche vengono formate, una dopo l’altra, ad esse
vengono associate le rappresentazioni fonetico-articolatorie delle sillabe corrispondenti, recuperate
dal sillabario mentale (vedi fig. 3). L’esistenza di un sillabario mentale è argomentata da Levelt et
al. (1999) con la convenienza di assemblare gli schemi motori partendo da un numero contenuto di
unità già in se coarticolate, come le sillabe più frequenti, che per ogni data lingua sono poche
centinaia. Gli schemi motori delle sillabe meno frequenti sono invece costruite on line a partire dai
foni che le compongono e dalle loro transizioni.
Fig. 3. Diagramma di flusso degli stadi di produzione del parlato a partire dall’ultimo sottostadio
della codifica fonologica attraverso la codifica fonetica fino all’articolazione (modificato da
Hulstijn & van Lieshout, 1997)
Una sillaba articolatoria è una specificazione del compito articolatorio per realizzarla, cioè un
punteggio gestuale (la terminologia proviene dalla fonologia articolatoria di Browman &
Goldstein, 1986, 1997, che però la usano in riferimento ad una unità articolatoria, il gesto, più
piccola della sillaba). E’ una rappresentazione dei compiti da eseguire (realizzazioni di occlusioni o
costrizioni etc, tramite traiettorie) da parte delle strutture articolatorie anatomicamente indipendenti
(variabili del tratto vocale): glottale, velare e delle tre orali (labbra, punta della lingua, dorso della
lingua). Questo modello di organizzazione motoria si oppone all'impostazione più classica, in cui
gli articolatori sono controllati in modo individuale e indipendente. Ogni singolo organo effettore
(ad es. il labbro inferiore) partecipa a una struttura coordinativa volta per volta diversa, cioè una
cooperazione funzionale tra un gruppo specifico di effettori (ad es., labbro sup., labbro inf.,
mandibola). I gesti che fanno uso di effettori diversi sono distinti in modo intrinseco dal punto di
visto categorico (cioè fonologico). Altre opposizioni distintive sono all'interno di una stessa
struttura coordinativa: distinzioni tra diversi luoghi di costrizione (velare, palatale, alveolare ecc.) e
tra diversi gradi di costrizione (occlusione, frizione, apertura ecc.).
Il punteggio gestuale specifica quali sono i gesti per l’enunciato, e come si sincronizzano tra loro,
ma questa rappresentazione non viene completamente specificata (i gesti sono ancora astratti, ad es.
nella chiusura labiale non sono specificati singoli contributi del labbro superiore e di quello
inferiore). Il prodotto della codifica fonetica è una sequenza di punteggi gestuali relativi alla
successione delle sillabe nelle parole fonologiche, il cosiddetto piano fonetico/articolatorio.
Di solito il processo di codifica fonetica è normalmente in uno stato più avanzato rispetto ai
processi più lenti dell’ articolazione. La parte già disponibile del piano fonetico /articolatorio viene
depositata in un buffer articolatorio che funziona come una camera di compensazione (deposito a
breve termine degli schemi motori). Le dimensioni del buffer articolatorio comprendono per
Levelt (1989, 1993) almeno una parola fonologica. Il buffer è accessibile alla coscienza del parlante
(corrisponde al cosiddetto linguaggio interno) e può essere ispezionato dal monitor del sistema di
produzione del parlato.
Prima di descrivere gli studi relativi alla codifica fonetica nella balbuzie, è meglio premettere che ci
sono moltissimi studi che hanno trovato differenze tra i balbuzienti e i normoparlanti su misure
cinematiche o acustiche del parlato, ma che queste misure non sono attribuibili in modo diretto e
univoco a un determinato stadio di produzione del modello di Levelt.
Di questo tipo sono gli studi acustici che hanno trovato il parlato dei balbuzienti più lento (durate
segmentali, e sub-segmentali, come il VOT, più lunghe), e gli studi cinematici che hanno
evidenziato come i gesti articolatori dei balbuzienti siano caratterizzati da una maggior durata,
minore ampiezza e velocità massima inferiore rispetto ai normoparlanti (Zmarich, Magno
Caldognetto & Vagges, 1994, 1995; per altri riferimenti bibliografici, cfr. van Lieshout, Hulstijn &
Peters, 2004; Max 2004).
Per quanto riguarda lo stadio di assemblaggio del piano motorio, probabilmente una delle
variabili che influenzano maggiormente questo stadio è costituita dal numero delle unità da
processare (che comunque rappresenta un problema anche per lo stadio precedente della codifica
fonologica). Infatti per le sequenze lunghe ci possono essere maggiori problemi a generare
l’organizzazione articolatoria richiesta, di tipo sia intra-gestuale (sincronizzazione delle attività di
più articolatori funzionalmente cooperanti allo stesso bersaglio, cfr. coordination, Fowler &
Saltzman, 1993; Saltzman & Munhall, 1989) sia inter-gestuale (messa in sequenza delle
configurazioni articolatorie di strutture coordinative diverse, cfr. coproduction, Fowler & Saltzman,
1993; Saltzman & Munhall, 1989), anche perchè generalmente le sequenze più lunghe hanno una
struttura prosodica di tipo più complesso. A questo proposito Packman, Onslow, Richard & van
Doorn (1996) e Janke, Bauer & Kalveram (1997), Zmarich, Avesani e Bernardini (2001) e
Marchiori, Zmarich, Avesani, Bernardini (2005) riprendendo gli studi di Bergmann (1986) e
Klouda & Cooper (1987), affermano che l’accento costituisce una fonte dinamica e impredicibile,
sempre presente, di variabilità nel parlato, che richiede adattamenti fisiologici continui.
Per Peters, Hulstijn & Starkweather (1989), i balbuzienti sono più lenti dei normoparlanti nell’
iniziare una parola, e che questa differenza aumenta per le parole più lunghe.
E’ possibile riferire a questo stadio anche le differenze relative agli esperimenti sulla velocità di
lettura silente, in cui i balbuzienti risultavano costantemente inferiori ai normoparlanti. Infatti ci
sono teorie sulla lettura silente che la spiegano come un’ attivazione di un programma motorio
specificato che si arresta prima dell’esecuzione muscolare (cfr. bibliografia in van Lieshout,
Hulstijn & Peters, 2004).
Per molti autori (fra i più recenti: Kent, 1997; Kalveram & Natke, 1997; Ludlow, Siren & Zikria
1997, McClean, 1997) la balbuzie risulta da un difetto di apprendimento dei corretti punteggi
gestuali, anche chiamati da alcuni autori “schemi motori”. Max (2004) afferma che, dal punto di
vista della teoria dell’apprendimento motorio (Schmidt, 1988), la continua pratica motoria delle
disfluenze autoalimenta e consolida il ricorso a punteggi gestuali scorretti.
Secondo Venkatagiri (2005), la codifica motoria che normalmente si basa sul sillabario mentale per
concatenare in modo più rapido ed efficiente (rispetto ad una codifica fonema per fonema) le sillabe
più frequenti, nei balbuzienti è deficitaria. Invece di recuperare dal sillabario mentale sillabe già
corredate di “spartiti” gestuali che organizzano temporalmente l’integrazione tra i cinque
sottosistemi articolatori indipendenti (glottide, velo, corpo della lingua, apice della lingua e labbra),
i balbuzienti recuperano parti isolate e asincrone dello spartito gestuale. Come dimostrano i
trattamenti terapeutici di maggior successo, per ritornare a parlare fluentemente i balbuzienti
devono così impegnarsi nella codifica fonema per fonema, che alla lunga diventa nuovamente
automatica e permette di ricostruire il sillabario mentale.
Bisogna qui tenere presente che il buffer articolatorio è la sede dell’attività di ispezione del monitor
e degli interventi di correzione da parte del sistema di produzione del parlato il cui esito è la
generazione degli episodi di balbuzie, come ipotizzato dalle teorie di Postma e Kolk (1993) e di
Karniol (1995), già esposte trattando della codifica fonologica, e dell’ipotesi teoriche di Vasic &
Vijnen (2005). Costoro, nel loro modello di balbuzie come “Circolo Vizioso”, ipotizzano che il
monitor interno negli adulti balbuzienti è iperfunzionale e ispeziona attentamente le variazioni
temporali del parlato continuo, che sono normali perché dovute ad esigenze prosodiche e di stile
espositivo (per es., gli allungamenti richiesti ai confini prosodici, o nelle sillabe accentate). Queste
variazioni temporali vengono dal monitor erroneamente interpretate come disfluenze incipienti e
bloccate, in attesa di essere riparate, dando luogo paradossalmente proprio ai blocchi e
prolungamenti caratteristici della balbuzie.
Anche il sottostadio terminale dell’assemblaggio del piano motorio, cioè la coordinazione relativa
all'organizzazione dell'attività di differenti sottosistemi quali quello respiratorio, glottico e orale, è
stato indicato come il responsabile della balbuzie.
Watson & Alfonso (1987)riscontrarono che i balbuzienti esibivano ritardi nell’inizio dell’attività
degli eventi respiratori e fonatori, e Peter & Boves (1988) trovarono un numero maggiore di pattern
devianti di aumento della pressione sottoglottica, evidenziante una sfasatura nella sincronizzazione
dei gesti respiratori e fonatori (cfr. anche Pèsak & Urbanek, 1993; per altri riferimenti bibliografici
relativi a tutto il paragrafo, cfr. van Lieshout, Hulstijn & Peters, 2004; Max 2004).
Ci sono poi i risultati degli studi acustici relativi al VOT (voice onset time, cioè l'intervallo
temporale tra il rilascio di un'occlusiva e l'inizio della vibrazione delle corde vocali) che hanno
riportato molte volte intervalli più lunghi nei balbuzienti rispetto ai normoparlanti (cfr. van
Lieshout, Hulstijn & Peters, 2004; Max 2004).
Altri studiosi hanno investigato la coordinazione temporale tra vari sottosistemi (in genere quello
laringale e articolatorio), e tra gesti diversi dello stesso sottosistema, misurata in questo caso ad es.
come differenze tra i gesti di chiusura e apertura delle labbra o della laringe, e hanno in vari gradi
messo in luce delle alterazioni dell'organizzazione articolatoria normale (cfr. per una rassegna,
Caruso, Max, MacClowry, 1999; Max 2004).
Le indagini però più significative nell’ambito della balbuzie e nello studio del fenomeno
coarticolatorio sono state quelle relative alle transizioni della seconda formante (F2), il cui valore è
legato al luogo di costrizione principale all’interno del cavo orale. E’ stato infatti riportato che gli
adulti balbuzienti mostrano notevoli aberrazioni in tali transizioni formantiche (Harrington, 1987;
Howell & Vause, 1986).
Tra le ricerche più recenti, Robb e Blomgren (1997), analizzando le sequenze CV percepite come
fluenti in soggetti adulti balbuzienti e normoparlanti, hanno trovato differenze significative tra i due
gruppi, relative alla coarticolazione anticipatoria della vocale sulla consonante. In particolare nelle
transizioni di F2 hanno rilevato pendenze maggiori per i soggetti balbuzienti che stanno ad indicare
più ampie o più rapide modificazioni nella dimensione del tratto vocale.
Infine risultati particolarmente significativi sono stati ottenuti da Subramanian, Yairi e Amir (2003).
In tale indagine sono state esaminate le transizioni di F2 nel parlato percettivamente fluente di
bambini prescolari registrati subito dopo l’inizio della balbuzie. I soggetti sono stati seguiti per
diversi anni ed è stato quindi possibile verificare l’evoluzione del loro disturbo (soggetti che hanno
continuato a balbettare e bambini che hanno invece smesso). I dati ottenuti sono stati quindi
confrontati con quelli di un gruppo di controllo. I risultati hanno dimostrato che i movimenti
articolatori, riflessi nelle transizioni di F2, siano più ristretti per i bambini che poi persistono nella
balbuzie. Forse questi soggetti mostrano alcuni problemi nella coordinazione fine richiesta per il
controllo della normale produzione linguistica. Il fatto che questo studio sia stato condotto a partire
dalle fasi iniziali d’insorgenza della balbuzie suggerisce la presenza di eventuali deficit già allo
stadio formativo del disturbo.
Altri studiosi hanno poi cercato risposte nella coordinazione tra i diversi sottosistemi motori
deputati alla produzione del parlato di fronte a compiti di natura non linguistica, o tra vari sistemi
motori non deputati alla produzione del parlato (cfr. per delle rassegna, Caruso, Max, MacClowry,
1999; van Lieshout, Hulstijn & Peters, 2004; Max 2004).
I risultati di tutti questi esperimenti sulla coordinazione dei vari sistemi motori, che si riflettono nei
tempi di esecuzione, sono stati commentati da van Lieshout (1995: 32) con l’affermazione che
esistono certamente prove che i soggetti balbuzienti si differenziano dai normoparlanti, ma che
queste alterazioni possono essere ricondotte ad almeno due cause diverse:
• una specificazione gestuale non appropriata che si riferisce allo stadio di assemblaggio
motorio;
•
un problema nell'implementazione non appropriata di un piano motorio astratto nello stadio
di preparazione/esecuzione dei comandi muscolari (vedi il successivo stadio articolatorio)
Nei normoparlanti, lo stadio dell’esecuzione articolatoria (il primo stadio) è la preparazione dei
comandi muscolari, e consiste nell’implementazione dei punteggi gestuali, che avviene in due
sottostadi necessari a convertire il piano fonetico/articolatorio in precisi comandi ai singoli
articolatori.
Il primo sottostadio (isolamento dei singoli comandi) riguarda il recupero degli schemi motori
(corrispondenti al piano fonetico/articolatorio) dal deposito a breve termine e la loro successiva
decomposizione in comandi individuali (unpacking substage, cfr. Sternberg et al., 1980).
Il secondo sottostadio è costituito dalla regolazione della forza muscolare, e riguarda la
parametrizzazione dei singoli comandi muscolari.
L’ultimo stadio consiste nell’esecuzione dei punteggi gestuali.
Nello stadio di preparazione dei comandi muscolari, per ogni muscolo viene creata
un’implementazione delle proprietà della struttura coordinativa in cui esso è inserito: ad es. il
labbro superiore fa parte, insieme con il labbro inferiore e la mandibola, di una struttura
coordinativa creata allo scopo di realizzare un’occlusione bilabiale (Saltzman & Munhall, 1989).
Un indice temporale dell’organizzazione interna della struttura coordinativa è offerto
dall'organizzazione temporale della sequenza delle attività motorie (relative ad uno stesso
gesto).
Un esempio di questo indice sono le misure della sequenza temporale dei picchi di velocità degli
articolatori nel gesto di chiusura per /p/ nei balbuzienti (v.figura), dove si vede che, mentre i
normoparlanti evidenziano una successione temporale fissa in cui il labbro superiore precede
nell'ordine il labbro inferiore e la mandibola, i soggetti balbuzienti evidenziano una maggiore
variabilità, sia intra- che interindividuale (Caruso et al. 1988; McClean, Kroll & Loftus, 1990; De
Nil, 1995; Ward, 1997). Inoltre nei balbuzienti anche gli inizi dei movimenti sono più variabili
(Van Lieshout, Alfonso, Hulstijn & Peters, 1993) e le variazioni delle successioni articolatorie
relative agli inizi e ai picchi di velocità al cambiare delle frequenze di articolazione, contesto
fonetico e tipo di gesto, sono meno sistematiche e predicibili nei balbuzienti rispetto ai
normoparlanti (Zmarich, Magno Caldognetto & Vagges, 1994).
Ci sono inoltre prove di differenze significative tra balbuzienti e normoparlanti nel controllo della
forza muscolare. I dati su alcune caratteristiche dell’attività elettromiografica, quali l’intensità, la
durata e la presenza d’irregolarità dell’impulso hanno portato ad indicare la causa della balbuzie
nell’incapacità di modulare correttamente la forza muscolare (Starkweather, 1995).
E’ stato inoltre stabilito che, anche nei compiti non linguistici, i balbuzienti non riescono a dosare
accuratamente la forza da impiegare nelle strutture orali (Grosjean et al. 1997; Howell, Au-Yeung e
Rustin 1997)
Esaminiamo ora le prove di differenze tra i gruppi di balbuzienti e normoparlanti attribuibili a
problemi nell’inizio del movimento. Esse consistono in un nutrito numero di studi sui tempi di
reazione temporale semplice, in cui i balbuzienti, con alcune eccezioni, furono trovati più lenti dei
normoparlanti per l’inizio della fonazione o dell’articolazione (per una rassegna, cfr. van Lieshout,
Hulstijn & Peters, 2004).
Oltre a questi indici di tipo globale, altri studi, alcuni dei quali già trattati in merito
all’assemblaggio del piano motorio, hanno rilevato dei specifici ritardi attribuibili ad uno solo dei
sistemi respiratorio, fonatorio e articolatorio. Alcuni autori hanno suggerito che tali ritardi sono
dovuti alle difficoltà incontrate dai balbuzienti a superare l’inerzia opposta dal sistema effettore
(McClean, 1997).
Nel modello di Levelt (1989) i processi di controllo sono impostati su tre feedback (vedi fig. 1): il
primo consente di valutare l'appropriatezza delle informazioni semantiche in relazione al messaggio
preverbale, il secondo permette l'ispezione delle sillabe della parola fonologica e il terzo è il
feedback uditivo di tipo esterno.
I normoparlanti modificano in modo continuo l’esecuzione dei complessi movimenti per la
produzione del parlato in risposta a cambiamenti delle condizioni organiche o ambientali, e ciò
suggerisce l’esistenza di un’abilità finemente modulata per rilevare variazioni delle condizioni del
tratto vocale, e incorporare quei cambiamenti nella pianificazione ed esecuzione dei processi di
produzione del parlato.
Esperimenti più recenti sul ruolo del feedback propriocettivo hanno scoperto che in caso di
immobilizzazione di un articolatore gli altri articolatori della stessa struttura coordinativa (ad es. le
labbra) compensano in meno di 50 ms l’apporto mancante, contribuendo con successo al
raggiungimento del target acustico. L’interazione delle informazioni sensomotorie con i patterns
neuromotori generati a livello centrale riduce il carico computazionale causato dalle variazioni
dovute al contesto.La cinestesia è importante durante l’esecuzione di movimenti esperti,
multiarticolati e precisi, poichè fornisce al SNC la flessibilità necessaria per controllare tali
sequenze. I segnali cinestetici costituiscono una parte importante dell’apprendimento motorio e
contribuiscono all’aggiornamento continuo delle strutture del controllo motorio, così da regolare
felicemente sia i movimenti in corso di effettuazione che quelli successivi (Schmidt, 1988).
Una delle ipotesi teoriche più interessanti tra quelle che interpretano la balbuzie come un disordine
del controllo e dell’organizzazione dei movimenti proviene da Max (2004). Secondo questo autore,
l’insorgenza della balbuzie in età infantile può essere collegata all’uso di modelli interni della
dinamica del sistema effettore, normalmente usati dal SNC per valutare gli effetti dei comandi
motori generati prima della loro effettiva esecuzione (copie efferenti). Nei bambini balbuzienti
questi modelli interni potrebbero essere scorretti o non aggiornati, in modo da produrre
un’incongruenza tra le conseguenze sensoriali previste e quelle effettive che porterebbe il sistema a
ripetere i tentativi di completare i movimenti pianificati, oppure a un suo completo re-setting. Una
meta-analisi delle ricerche di brain imaging funzionale ha recentemente invocato il concetto di
copia efferente come spiegazione unificante di fatti significativi quali l’iperattivazione delle aree
motorie e la soppressione dell’attivazione delle aree uditive, durante il parlato sia fluente che
disfluente dei balbuzienti (Brown et al. 2005).
L’afferenza sensoriale, che è necessaria per la selezione dei parametri, è anche necessaria come
feedback durante o dopo il movimento. Generalmente il tipo di feedback che è stato considerato
come più rilevante in relazione alla balbuzie è quello propriocettivo o cinestetico, ma purtroppo non
ci sono molti studi in proposito. Si è anche sostenuto che la balbuzie implica un problema nel
feedback uditivo (oltre alla bibliografia citata in van Lieshout, 1995, cfr. anche Leith & Chmiel,
1980; Kalinowsky, Armson, Stuart, Roland-Mieszkowski & Gracco, 1992; van Lieshout, Hulstijn
& Peters, 2004). De Nil & Abbs (1991) e De Nil (1995) riscontrarono che i balbuzienti sono meno
sensibili dei normoparlati nel rilevare l’informazione sensoriale relativa alle strutture orali. Il loro
livello di soglia per reagire a cambiamenti minimi nella propriocezione era troppo alto e di fronte
alla richiesta di eseguire il più ridotto movimento possibile i balbuzienti lo eseguivano più esteso
dei normoparlanti. Zmarich e Magno Caldognetto (1997) riscontrarono che le curve di velocità dei
gesti fonetici di chiusura e apertura bilabiale impiegati per la produzione reiterata della sillaba [ba]
(percettivamente fluente) erano anormalmente caratterizzati da più di un picco. Gli autori riferirono
questo dato alla presenza di sub movimenti di carattere regolativo basati sul feedback sensomotorio all’interno del movimento principale. Questa serie di risultati suggeriscono che i
balbuzienti possono avere problemi nella loro valutazione (a livello inconscio) dell’informazione
senso-motoria.
CONSIDERAZIONI FINALI
Secondo van Lieshout, Hulstijn & Peters (2004), i balbuzienti si posizionano all’estremità più bassa
del continuum non patologico che caratterizza l’abilità motoria a fini linguistici: sono meno veloci
nell’apprendere nuovi compiti, meno stabili nella ritenzione, più variabili e meno coordinati
nell’esecuzione. Attualmente è accettata l’idea che i movimenti a fini linguistici non siano innati,
ma richiedano un certo numero di anni per diventare accurati e stabili (Moore, 2004; Smith, 2004).
Se la pratica necessaria all’apprendimento motorio è un fattore importante nel processo di
acquisizione delle abilità motorie a fini linguistici, allora i balbuzienti possono in effetti essere
limitati in queste abilità, come evidenziato dagli scarsi effetti della pratica motoria (cambiamenti a
breve termine) e dell’apprendimento (cambiamenti generalizzati a lungo termine) sulle variabili più
legate alla stabilità e alla forza della coordinazione motoria, che caratterizzano il comportamento
verbale dei non balbuzienti (Namasivajam & van Lieshout, 2008).
Starkweather (1987) fu tra i primi studiosi che cercarono di spiegare in chiave motoria fatti
tradizionalmente attribuiti al livello di produzione linguistica, e le sue argomentazioni sono state
riprese anche recentemente (cfr. per es. van Lieshout, Hulstijn & Peters 2004):
• i loci linguistici dell'enunciato dove gli episodi di balbuzie sono più frequenti sono anche i
punti dove avvengono cambiamenti nella velocità di elocuzione verbale. Ad esempio, la
tendenza ad un incremento di balbuzie all'inizio dell' enunciato interessa una posizione dove
il movimento articolatorio è, al contempo, più preciso ed accurato (Hunnicut, 1985) e più
veloce (Umeda, 1975) rispetto alla fine dell'enunciato.
• Considerazioni simili possono essere fatte anche per fattori come la frequenza di parola, la
lunghezza di parola, e la classe grammaticale di appartenenza (più balbuzie sulle parole
meno frequenti e più lunghe, che sono più spesso parole-contenuto).
Recenti studi hanno stabilito che le caratteristiche linguistiche che incrementano la balbuzie sono
associate ad un aumento dello sforzo muscolare (van Lieshout et al. 2004), aumenti nella velocità di
eloquio (Howell et al. 1999) e riduzione della stabilità motoria (stanchezza o stato di malattia,
interferenze cognitive, sollecitazioni emotive: Kleinow & Smith, 2000). Le spiegazioni più recenti
degli effetti linguistici sul controllo motorio puntano a un aumento delle richieste motorie (più
impegnativo dal punto di vista linguistico è anche più impegnativo dal punto di vista motorio) o a
una competizione tra le richieste motorie e linguistiche per accedere a risorse centralizzate, conflitto
che può rendere il sistema motorio più vulnerabile a interferenze esterne.
Oltre agli studi di cinematici tradizionali, dove nell’interpretazione dei dati è importante tener conto
dell’alta variabilità inter- e intra-individuale esistente tra i parlanti, altri risultati sono derivati da
indagini che non si basano direttamente sulla durata, estensione e velocità dei gesti, ma piuttosto su
parametri dinamici che sono più stabili lungo le diverse ripetizioni di uno stesso enunciato
(Alfonso, 1991). Un sistema dinamico, quale appunto il gesto articolatorio, è stabile se permette di
raggiungere un obiettivo (per es. un grado di costrizione X nel punto Y) attraverso un numero
limitato di possibilità la cui scelta sarà legata ai diversi costi energetici. L’indice più recente e più
utilizzato per l’analisi della stabilità articolatoria è lo Spatiotemporal Stability Index (STI). Si è
visto che applicando una normalizzazione spazio-temporale ai tracciati cinematici relativi a una
serie di ripetizioni dello stesso enunciato si genera un unico segnale in quanto i tracciati tendono a
sovrapporsi e a coincidere (Smith et al, 1995; Smith, 1997; Zmarich, Danelon e Lonardi, 2005).
L’STI misura appunto il grado di variabilità di una serie di traiettorie che descrivono il movimento
degli articolatori impegnati nella produzione di una stessa sequenza linguistica ripetuta più volte e
fornisce quindi una misura del controllo motorio. Quando la produzione articolatoria dei soggetti
balbuzienti è sata misurata con questo indice, ha fornito valori significativamente più elevati che
stanno quindi ad indicare una maggiore instabilità del controllo motorio. In conclusione possiamo
dunque affermare che il sistema di produzione motoria del balbuziente, sia adulto che bambino, è
meno stabile e meno flessibile rispetto a quello dei coetanei non balbuzienti.
Come dimostrano i casi di insorgenza di balbuzie in bambini troppo stimolati dal punto di vista
linguistico dai loro genitori o dal terapista, ci sono situazioni dove alti livelli di stimolazione
indiretta (per es., genitori che parlano in modo molto elaborato e/o a grande velocità) o diretta (per
es. richieste esplicite) verso l’eccellenza linguistica; possono portare un bambino alla balbuzie. Ad
es. il bambino tenderà a ricorrere ad enunciati sempre più lunghi e complessi, che richiedono non
solo una maggior capacità di pianificazione sintattica e semantica, ma anche una programmazione
motoria più gravosa, ed un’esecuzione articolatoria più complessa. Per Starkweather (1991) nel
corso dello sviluppo, può crearsi uno sbilanciamento qualitativo tra competenza linguistica
(ricchezza di vocabolario), abilità psicolinguistiche (accesso al lessico, assemblaggio di slots &
fillers, per es. caselle sillabiche e foni) ed esecuzione motoria.
Se un bambino soffre già, come abbiamo visto, di un sistema di pianificazione ed esecuzione dello
speech lento e vulnerabile, uno sfasamento temporale nello sviluppo dei domini linguistici ed
articolatori potrebbe rappresentare un fattore decisivo per precipitarlo verso la balbuzie.
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NB: pubblicato su Acta Phoniatrica Latina, Vol. 30, fasc. 2-3, 132-169, 2008