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Venerdì 13 Gennaio 2017
PRIMO PIANO
Lo ha detto Papa Francesco nel suo lungo discorso davanti ai diplomatici di tutto il mondo
Siamo pacificatori, non pacifisti
Critica il terrorismo ma non lo identifica come islamista
DI
ANTONINO D’ANNA
U
n discorso lungo e sostenuto, ma nessun
accenno alla Cina (con
cui sta trattando un
delicato accordo per chiudere
una diatriba diplomatica durata quasi 70 anni); in compenso
Papa Francesco ha detto ai
diplomatici di tutto il mondo
alcune cose molto chiare, sia
pure col consueto linguaggio
ellittico che conosciamo. Lo
ha fatto il 9 gennaio scorso
Oltretevere in occasione degli
auguri di inizio anno.
Pacifismo? No grazie:
L’anno appena passato è stato pieno di accordi diplomatici,
dalla convenzione fiscale con
l’Italia fino alla: «piena attuazione al Comprehensive Agreement con lo Stato di Palestina, entrato in vigore un anno
fa» e che non aveva reso felici
gli israeliani. Acqua passata: adesso Israele ha bisogno
della moral suasion vaticana
all’Unesco per impedire ulteriori risoluzioni in senso propalestinese sui Luoghi Santi
(cfr. ItaliaOggi del 28 ottobre
2016). Jorge Mario Bergoglio
ricorda come il cattolico non
può essere pacifista, ma pacificatore. La pace non è «la
semplice assenza della guerra», quindi serve l’impegno
di chi: «aspira ardentemente
ad una giustizia sempre più
perfetta».
Terrorismo: Francesco,
dopo aver ricordato il suo
impegno ecumenico con protestanti e ortodossi, alza la
voce contro il terrorismo: «di
matrice fondamentalista, che
ha mietuto (...) numerose vittime in tutto il mondo». Malgrado il Papa rievochi attentati come quelli di Bruxelles,
Nizza o Berlino (o Istanbul),
che sono stati rivendicati
dall’Isis, non dice mai che si
tratti di terrorismo islamista.
Egli si appella: «A tutte le autorità religiose perché siano
unite nel ribadire con forza
che non si può mai uccidere
nel nome di Dio». Quindi la
ricetta: «Il terrorismo fondamentalista è frutto di una
grave miseria spirituale, alla
quale è sovente connessa
anche una notevole povertà
sociale». Isis però commercia
petrolio, che ha poco a che
fare con lo spirito.
Immigrazione: Bergoglio
tratta in particolare dei: «Numerosi profughi e rifugiati in
alcune zone dell’Africa, nel
Sudest asiatico e a quanti
fuggono dalle zone di conflitto in Medio Oriente». Chiede
di: «Garantire la possibilità di
un’integrazione dei migran-
ti nei tessuti sociali in cui si
inseriscono, senza che questi
sentano minacciata la propria
sicurezza, la propria identità
culturale e i propri equilibri
politico-sociali». Ma: «D’altra
parte, gli stessi migranti non
devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le
leggi, la cultura e le tradizioni
dei Paesi in cui sono accolti».
Multiculturali sì, ma questo
resta un Continente dalle radici e cultura cristiane. Una
carezza a Italia, Germania,
Grecia e Svezia per quanto
fanno. Un pensiero anche ai
messicani e i latinos, che emigrano con molti sforzi in Usa
(anche se non viene nominata
l’America né la polemica con
Donald Trump).
Armi: Un pensiero al lavoro dei giovani, ma soprattutto contro le armi nucleari.
Tirata d’orecchi alla Corea
del Nord e i suoi esperimenti, richiesta di debellare: «Il
deprecabile commercio delle
armi» e una condanna della:
«Facilità con cui non di rado
si può accedere al mercato
delle armi».
No ai populismi: Per finire. Secondo Francesco: «Nemica della pace è l’ideologia
che fa leva sui disagi sociali
per fomentare il disprezzo e
l’odio e che vede l’altro come
un nemico da annientare». E
quindi: «Purtroppo nuove forme ideologiche si affacciano
continuamente all’orizzonte
dell’umanità. Mascherandosi
come portatrici di bene per il
popolo, lasciano invece dietro di sé povertà, divisioni,
tensioni sociali, sofferenza
e non di rado anche morte».
Populismi e non solo. Sarà un
lungo 2017.
©Riproduzione riservata
PER PAUL SAMUELSON, IN PRESENZA DI DISOCCUPAZIONE, IL LIBERO SCAMBIO PROVOCA SOLO GUAI
Non c’è proprio alcuna evidenza nella strombazzata relazione
libero scambio/sviluppo anzichè protezionismo selettivo/crisi
DI
L
GIULIO SAPELLI
trent’anni. E la stessa considerazione si impone rispetto al commercio
mondiale, anch’esso un tema sollevato potentemente dal più famoso rappresentante del popolo degli abissi,
ossia il neo eletto Presidente Usa
Donald Trump, il quale, in assenza
della sinistra politica che oggi è diventata eurocratica, oggi rappresenta
a vittoria di Donald Trump
ha sdoganato un possibile
dibattito sul protezionismo
selettivo come politica economica benefica e sull’ampliamento
della domanda interna come politica
economica benevolente rispetto alla crescita economica e alla coesione sociale
Il ritorno a un protezionismo selettivo è nei
da riconquistare. Ebbene:
fatti: la Commissione europea registra con
nello spazio pubblico, di
continuità nuove misure protezionistiche
tali temi non vi è traccia.
e Cina, India, Brasile, Russia e Stati Uniti
Il deserto neoliberista è in
hanno da tempo introdotto restrizioni poprimo luogo un deserto di
tenti al commercio mondiale. Solo l’Unione
conoscenza. Pensiamo al
rallentamento della crescieuropea, nel suo complesso, resiste ostita della produttività: essa
natamente all’introduzione di controlli
promana sicuramente da
sui movimenti di capitali e di merci e queuna contrazione della dosto perché la Germania è la sola a trarre
manda. Se peggiorano le
dal libero scambio grandi vantaggi
aspettative delle imprese
sulla domanda aggregata,
esse non incentivano la ricerca e l’adozione di nuove tecnologie, le classi povere e umiliate del pianeperché non prevedono un aumento ta, secondo quell’inversione della
della solvibilità della domanda e rappresentanza da me già studiata
quindi la produttività rallenta. Un nel libro dedicato all’italico prototipo
tempo, professori non liberisti ci in- dell’inversione suddetta, ossia Mario
segnavano che esisteva la cosiddet- Monti.
Il ritorno a un protezionismo seta legge di Verdoorn (del 1944), che
asseriva che vi è una relazione tra lettivo è nei fatti: la Commissione
la crescita dell’output e la produt- europea registra con continuità nuotività del lavoro. Nel 1966 Nicholas ve misure protezionistiche e Cina,
Kaldor dimostrò che l’aumento del- India, Brasile, Russia e Stati Uniti
la domanda determina un aumento hanno da tempo introdotto restrizioni
della produttività del lavoro grazie potenti al commercio mondiale. Solo
alle economie di scala, al saper fare l’Unione europea, nel suo complesso,
dei lavoratori, alla specializzazione resiste ostinatamente all’introduproduttiva e al progresso tecnico en- zione di controlli sui movimenti di
dogeno. Paolo Sylos Labini diede un capitali e di merci e questo perché la
contributo essenziale allo sviluppo Germania è la sola a trarre dal libero
scambio grandi vantaggi.
di questa teoria.
I gruppi d’interesse che sviluppaTutto il contrario di quanto le politiche economiche neoliberiste ed no il più potente potere situazionale
eurocratiche hanno imposto all’Eu- di fatto in Germania sono paradosropa e al mondo in questi ultimi salmente quelli che più temono che
Oggi accade ciò che accadde negli anni precedenti la Prima guerra
mondiale: fu in presenza del libero
scambio mondiale dispiegato che
scoppiarono le crisi economiche più
gravi e sorsero i movimenti di destra
più violenti. La stessa cosa che accadde con crisi post bellica e la grande
crisi del 1929. Non vi è nessuna inferenza scientifica deterministica tra
libero scambio e crescita, così come
non vi è tra protezionismo e crisi.
Tutte le situazioni storiche vanno
studiate empiricamente e non è
possibile dettare
una legge universale astratta come
accade nei modelli
neoclassici oggi in
voga. La politica
ha sempre l’ultima parola.
La Germania
impone nella zona
euro depressione,
disoccupazione e
crisi, con la conseguente trasformazione delle
nazioni del Sud
Europa in deserti produttivi che
forniscono forza
lavoro con bassi
salari alle nazioni
Vignetta di Claudio Cadei
dell’Europa teutonica. Le politiche
la lezione di grandi economisti come di libero scambio sono destinate
Paul Samuelson che insegnavano a terminare, ma diverso sarà il
che, in presenza di disoccupazione, il modello con cui ciò avverrà: o atlibero scambio crea solo problemi: ne- traverso una trasformazione delgli anni Cinquanta e Sessanta i con- le politiche economiche europee
trolli sui capitali e sulle merci erano concordate, come sta accadendo
assai forti in presenza dello sviluppo, con la Brexit, oppure attraverso un
dell’occupazione e di una distribuzio- dolorosissimo processo di crisi sociale
ne del reddito che fu potentissima a ed economica endemica che è già alle
favore delle classi di reddito meno porte e che tutti travolgerà.
abbienti.
IlSussidiario.net
con la moneta unica salti anche il
mercato unico europeo, sul quale si
fonda la loro egemonia, e che si creino
limiti alla libera circolazione di capitali e di merci in Europa. Del resto,
l’Europa unita ha insegnato al mondo
a tagliare per via amministrativa le
capacità produttive, lasciando invariate le quote di mercato, pianificando i volumi di produzione mentre
nel contempo si alimenta la piena
libertà di trasferimento dei capitali.
E tutto questo accade dimenticando