Anief: Eliminare dal bilancio Inps tutto lo Stato Sociale

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Anief: Eliminare dal bilancio Inps tutto lo Stato Sociale
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Anief: Eliminare dal bilancio Inps tutto lo Stato
Sociale
Di Elena Gallo - gennaio 12, 2017
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avere assegni molto bassi una volta lasciato il lavoro dopo molti anni di contributi
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1.000 euro considerato che nel biennio incriminato l’inflazione certificata è salita del
4,2%. Vai al precedente comunicato con la tabella allegata. Le ultime pronunce
riprendono quella precedente della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna, e quelle dei
tribunali del lavoro di Palermo, Brescia, Milano e Genova.
D’altronde, secondo il rapporto annuale di ricerca “Essere Anziani oggi”, nel 2050 gli over
65 raggiungeranno il 35% degli abitanti, di cui 7-8 milioni con oltre 80 anni, 2 milioni
con più di 90 anni e 180mila ultracentenari. Già oggi, il Belpaese risulta tra i Paesi UE,
subito dopo la Germania, come quello con il più alto numero di anziani, pari al 20,7% dei
residenti. Ci sono, poi, le proiezioni di Eurostat sul previsto calo di persone in età
lavorativa (-6,8% entro il 2030); ne consegue che due lavoratori diventano indispensabili
per sostenere una persona in pensione con una inevitabile ulteriore “stretta” sui bilanci
pubblici, così come sull‘assistenza sociale, sui sistemi sanitari e sul sostegno per gli
anziani, ma, soprattutto, sui sistemi pensionistici; proprio quelli su cui si è agito in
prevalenza negli ultimi anni. Se si vuole fronteggiare il fenomeno demografico
dell’invecchiamento, non si può pensare di creare una popolazione di anziani stressati e
ammalati per via d’una permanenza sul lavoro protratta all’inverosimile. Nella scuola,
nell’ultimo anno, abbiamo assistito ad una riduzione del 30% dei pensionamenti: per
quella anticipata servono quasi 43 anni di contributi, per quella di vecchiaia 67 anni
mentre l’Ape è stata concessa solo ai maestri della scuola dell’infanzia, anche se tutti i
docenti sono ad altissimo rischio burnout.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): bisogna avviare un patto generazionale che salvi i nostri
cittadini lavoratori più giovani dalla beffa previdenziale cui sono destinati dopo
tantissimi anni di contributi versati nelle casse dello Stato: il nuovo sistema di calcolo,
abbinato agli innalzamenti della soglia di età pensionabile, ha determinato un
trattamento, sotto forma di assegno di quiescenza, davvero inammissibile. Il fatto che
l’Inps sia in difficoltà, non può giustificare un gap così alto rispetto al passato. Lo Stato,
inoltre, non può pagare ai suoi dipendenti soltanto contributi figurativi, obbigandoli a
trattenere una quota per dar loro pensioni da fame.
Nella scuola, ad esempio, nell’ultimo anno abbiamo assistito a una riduzione rispetto al
passato del 30% di pensionamenti. E quest’anno non sarà da meno. Ricordiamo che, a
seguito dell’innalzamento dei requisiti previsti dalla legge di riforma Monti-Fornero, per
lasciare il lavoro il prossimo 1° settembre con la pensione anticipata occorreranno 41
anni e 10 mesi di contributi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini; per la
pensione di vecchiaia serviranno invece, per entrambi i sessi, 66 anni e 7 mesi di età
anagrafica. I requisiti, inoltre, sono destinati a crescere negli anni: nel 2031, la soglia
imposta dalla riforma diventerà di 44 anni e 6 mesi per gli uomini e 43 anni e 6 mesi per
le donne. Anche il “tetto” per la vecchiaia si alzerà, fino a 68 anni e 3 mesi di età, anche
ulteriormente innalzabili, in caso di probabili incrementi della speranza di vita.
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Codice abbonamento:
Ad aggravare il tutto c’è il blocco della perequazione per il biennio 2012-2013 per gli
assegni Inps superiori a tre volte il minimo, che è stato ribadito dalla legge 65/2015 che
sarà, però, scrutinata dal giudice delle leggi. Le ultime due ordinanze in ordine di tempo
(emesse dalle Corti dei Conti di Abruzzo e Piemonte) sono state ottenute nel dicembre
2016 grazie all’azione legale promossa dalla Confedir, dichiara il segretario organizzativo
Marcello Pacifico. Invia la diffida per interrompere i termini di prescrizione in attesa della
pronuncia della Consulta che ha già dichiarato illegittimo il precedente blocco previsto
dall’art. 24, c. 25 del DL 201/2011 come convertito dalla legge 214/2011 con la sentenza n.
70/2015 e aderisci al ricorso in convenzione con Radamante. L’accoglimento del ricorso
contro il blocco della perequazione prevede rimborsi di 3mila euro di arretrati per un
assegno di 1700euro mensili e un aumento annuo di ulteriori 1.000 euro considerato che
nel biennio incriminato l’inflazione certificata è salita del 4,2%. Vai al precedente
comunicato con la tabella allegata. Le ultime pronunce riprendono quella precedente
della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna, e quelle dei tribunali del lavoro di Palermo,
Brescia, Milano e Genova.
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Se si vuole fronteggiare il fenomeno demografico dell’invecchiamento della popolazione,
tuttavia, non si può pensare di creare una popolazione di anziani stressati, se non
ammalati, per via di una permanenza sul lavoro protratta all’inverosimile. Una
popolazione anziana, tra l’altro, destinata ad impoverirsi progressivamente. Già oggi in
Italia per più di quattro pensionati su dieci l’assegno non arriva neppure a mille euro al
mese, con lo stesso Istat che di recente ha calcolato che il reddito pensionistico lordo
annuo di chi percepisce la pensione in Italia è di soli 17.323 euro.
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In futuro, inoltre, andrà molto peggio: l’ufficio studi Anief ha stimato che mediamente gli
insegnanti immessi in ruolo nel corso del 2015 attraverso la Buona Scuola, rispetto a chi
lascia il servizio oggi, andranno a prendere un assegno mensile fortemente decurtato: se
un docente che oggi lascia il servizio attorno ai 65 anni percepisce una pensione media di
1.500 euro, chi è stato immesso in ruolo oggi andrà in pensione solo a 70 anni con
assegni inferiori ai 900 euro. Per assicurarsi una pensione decente, sopra i 1.000 euro,
dovranno così valutare se rimanere in servizio ancora, fino alla soglia dei 75 anni.
Per venire incontro ai lavoratori entrati nella terza età, ma con prospettive pensionistiche
pessime, la soluzione non può essere, di certo, quella prodotta nell’ultimo periodo dal
Governo Renzi con l’anticipo pensionistico Ape fino a 3 anni e mezzo rispetto alla soglia
dei 67 anni e 7 mesi: l’adesione volontaria, infatti, rimane impraticabile perchè prevede la
riduzione dell’assegno di quiescenza per vent’anni pari a circa 400 euro mensili. Mentre
l’Ape ‘social’, che prevede solo qualche decina di euro di restituzione al mese (poiché si
supera la soglia di reddito di 1.500 euro lordi), è stata illogicamente concessa solo ai
maestri della scuola dell’infanzia, dal momento che tutta la professione è ad altissimo
rischio burnout.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal occorre
“attivare un patto generazionale che salvi i nostri cittadini lavoratori più giovani dalla
beffa previdenziale cui sono destinati dopo 43 anni di contributi versati nelle casse dello
Stato: il nuovo sistema di calcolo, abbinato agli innalzamenti della soglia di età
pensionabile, ha determinato un trattamento, sotto forma di assegno di quiescenza,
davvero inammissibile. Se fino ad oggi si è andati a lavorare anche per garantirsi una
pensione dignitosa, con questo modello normativo si lavorerà una vita per assicurarsi
quello che lo Stato assegna ad un disoccupato, ledendo, in questo modo, il principio
della parità retributiva, perché la pensione, è bene ricordarlo, non è altro che una
retribuzione differita che non può essere pari a quella di chi non ha mai prodotto assegni
previdenziali”.
Anief ricorda al Governo che nell’ultimo quinquennio le riforme pensionistiche, per via
dell’aspettativa di vita, hanno allungato di dieci anni l’età pensionabile. Mentre in
Germania un insegnante continua ad andare in pensione dopo 27 anni di contributi e
senza penalizzazioni. Il fatto che l’Inps sia in difficoltà, non può giustificare un gap così
alto rispetto al passato. Certamente, se proprio si deve andare a tagliare, allora si inizi
dagli assegni pensionistici di quei politici che a fronte di pochi anni, a volte giorni, di
mandato parlamentare percepiscono vitalizi altisonanti. Non è più accettabile che la
nostra classe politica si dimostri celere nel tagliare gli assegni dei cittadini lavoratori,
mentre continui a rimanere restia a ridurre i propri, derivanti da leggi anacronistiche che
non ha più alcun senso mantenere in vita”.
Per il sindacato, la questione della previdenza va rivista in modo sistematico: “lo Stato –
continua Pacifico – non paghi ai suoi dipendenti soltanto contributi figurativi, come
avviene oggi, obbligandoli nel contempo a trattenere una quota nelle buste paga per
corrispondergli pensioni da fame. In parallelo, occorre eliminare dal bilancio Inps tutto lo
stato sociale, che pesa tantissimo, per oltre due terzi dalle uscite dell’ente nazionale di
previdenza. Non è possibile, ad esempio, che i fondi Inps vengano assorbiti in larga parte
dalla cassa integrazione in deroga, destinata peraltro in netta prevalenza a lavoratori
privati. Con i dipendenti pubblici, il cui contratto è fermo da sei anni e sotto l’inflazione
di 20 punti percentuali”, conclude il presidente Anief.
10 gennaio 2017
Articolo di Pensioninovita che ripubblichiamo per gentile concessione
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Fonte: OrizzonteScuola, Il Sussidiario
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