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Enti non profit
Enti associativi privilegiati
Enti associativi agevolati:
questione di forma
e di sostanza
di Paolo Alessandro Pesticcio
L’approfondimento
Con la sentenza n. 22187/2016, la quinta Sezione
civile della Corte di cassazione ha portato nuovamente all’attenzione la complessa e sempre attuale
questione delle agevolazioni fiscali concesse agli enti
associativi che rispondano alle richieste degli artt.
148 del T.U.I.R. e 4 del D.P.R. n. 633/1972.
Ancora una volta i giudici si sono soffermati sull’importanza della forma e della sostanza, confermando
una linea interpretativa ormai ben consolidata.
La sentenza ha, inoltre, ribadito due importanti ed
ulteriori aspetti inerenti all’onere della prova ed alla
somministrazione di alimenti e bevande da parte di
tali enti.
Riferimenti
Cass. 3 novembre 2016, n. 22187
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 148
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4
In via preliminare, diviene essenziale inquadrare gli
enti associativi nel contesto delle disposizioni agevolative previste dagli artt. 148 del D.P.R. n. 917/
1986 e 4 del D.P.R. n. 633/1972 al fine di comprendere, da un lato, il perché della rigida posizione
tenuta dai giudici e, dall’altro, di stimolare gli enti
associativi ad abbandonare la disinvoltura con la
quale i requisiti di forma e di sostanza sono da loro
spesso interpretati.
Come è noto, il D.Lgs. n. 460/1997, è intervenuto,
tra le altre cose, a riordinare anche la disciplina tributaria degli enti non commerciali.
Con riferimento al regime agevolativo recato dall’art.
148 (ex 111) del T.U.I.R., proprio degli enti associativi, si precisa che le modifiche apportate dall’art. 5
del citato Decreto legislativo non hanno però interessato i commi 1 e 2 dello stesso.
Il comma 1, dispone sull’esclusione dall’ambito della
commercialità dell’attività svolta da associazioni,
consorzi ed altri enti associativi nei confronti degli
associati o partecipanti, sempre che la stessa sia esercitata in conformità alle finalità istituzionali e in
assenza di una specifica corrispettività, con la conseguente intassabilità delle somme versate dagli associati
o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi.
Il comma 2 conferma la natura commerciale delle
cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese agli
associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, ancorché in conformità alle finalità
istituzionali, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o
diverse prestazioni alle quali danno diritto, giacché
le quote differenziate costituiscono, di fatto, il corrispettivo dovuto in base ad un rapporto sinallagmatico
instaurato tra soci ed ente.
I corrispettivi specifici resi per le cessioni di beni e le
prestazioni di servizi ad associati o partecipanti sono
da considerarsi componenti del reddito d’impresa o
redditi diversi, secondo che le relative operazioni
abbiano carattere di abitualità o occasionalità.
Le novità introdotte dal D.Lgs. n. 460/1997 nel
rinumerato art. 148 del T.U.I.R. riguardano, invece,
Paolo Alessandro Pesticcio - Giurista, esperto in legislazione
degli enti non profit
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Enti associativi privilegiati
Enti non profit
la disciplina agevolativa dettata per singole tipologie
di associazioni, c.d. “privilegiate” in relazione al
carattere specifico dell’attività esercitata ed al rispetto
di specifiche clausole.
La modifica introdotta dal richiamato art. 5 ha
inciso solo parzialmente sul comma 3 dell’art. 148
introducendo invece, ex novo, ulteriori commi in
funzione di completamento della disciplina
agevolativa.
Le nuove disposizioni hanno seguito i criteri direttivi
contenuti nella Legge delega (cfr. art. 3, comma 187,
lett. c), della Legge n. 662/1996) la quale, fra i criteri e
i principi direttivi, disponeva per gli enti di tipo
associativo - da individuarsi con riferimento ad elementi di natura obiettiva connessi all’attività effettivamente esercitata e sulla base di criteri statutari diretti
a prevenire fattispecie elusive - l’esclusione dall’ambito dell’imposizione di talune cessioni di beni e
prestazioni di servizi rese agli associati nel contesto
della vita associativa.
Un regime agevolato, tuttavia, soggetto a specifici e
tassativi vincoli contenuti in clausole obbligatorie di
natura formale, dunque da inserirsi negli statuti, e con
valenza ed effetti di tipo sostanziale, dunque da tradurre in comportamenti concreti.
La recente sentenza dei giudici del Palazzaccio pone
nuovamente l’attenzione, se ancora ve ne fosse bisogno, proprio sulla necessità di rispettare formalmente i
vincoli statutari e, ancor più, renderli effettivi nell'agire
quotidiano, per quegli enti associativi che vogliano
godere delle agevolazioni loro concesse (cfr. artt. 148
del D.P.R. n. 917/1986 e 4 del D.P.R. n. 633/1972).
Non è questa la sede per approfondire l’articolato
tema della definizione di ente non commerciale e,
tuttavia, non ci si può esimere dal tracciarne brevemente il perimetro.
L’ente non commerciale si caratterizza, da un lato, per
la struttura organizzativa e, dall’altro, per la natura
peculiare dell’attività esercitata.
Da un punto di vista costitutivo l’ente può assumere la
forma della fondazione, dell’associazione, del comitato o di altro soggetto di diritto privato (es. il trust),
con esclusione dei soggetti ascrivibili al Libro V del
Codice civile. In relazione, invece, all’attività l’ente è
considerato non commerciale solo se essa non appartenga a quelle tipicamente costituenti oggetto d’impresa e previste dall’art. 2195 c.c.2 oppure, pur
non appartenendo ad esse, qualora detta attività
sia priva dei connotati dell’organizzazione, della
professionalità ed attualità.
La verifica della non commercialità, dunque,
avviene attraverso un elemento formale, riferito
all’oggetto ed alle attività come risultanti dall’atto
costitutivo/statuto e, ad un elemento sostanziale,
riferito all’attività concretamente svolta, la quale
ove fosse valutata come commerciale forzerebbe
la natura, formalmente dichiarata, di ente non
commerciale.
Ciò premesso, vi sono enti associativi destinatari di un
regime tributario speciale di favore sia ai fini delle
imposte sui redditi, sia ai fini dell’imposta sul valore
aggiunto.
Questi enti costituiscono una species rispetto al più
ampio genus degli enti non commerciali.
Il genus ente non commerciale e la species
dell’“ente associativo privilegiato”
È noto come il presupposto di carattere generale
per l’applicazione delle disposizioni dell’art. 148 del
T.U.I.R. (in ambito di imposte dirette), e di quelle
dell’art. 4, commi 4 e 6, del D.P.R. n. 633/1972
(in ambito IVA), sia la qualificazione dell’ente
associativo come ente “non commerciale”1, qualifica non del tutto scontata anche ove l’ente abbia
una forma giuridica appartenente al Libro I del
Codice civile.
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n. 1/2017
Note:
1 Ciò vuol dire che l’ente non deve avere per oggetto esclusivo o
principale l’esercizio di attività commerciali ai sensi dell’art. 73 del
TUIR e, dunque, che l’attività essenziale per realizzare direttamente i fini istituzionali sia attività non commerciale. Cfr. anche
circolare n. 12/E/2009.
2 Da un punto di vista fiscale sono considerate non commerciali le
attività che, pur non rientrando tra quelle tipicamente d’impresa,
sono in ogni caso prive dei requisiti dell’abitualità e della
professionalità.
Enti non profit
Enti associativi privilegiati
Gli enti di tipo associativo, perfiscali
dell’Amministrazione
IL PROBLEMA
tanto, si qualificano come enti
finanziaria.
non commerciali alla luce del
Diviene, pertanto, essenziale
L’art. 148, comma 8, del T.U.I.R. è
combinato disposto dalle disposvolgere una disamina di tali
apparentemente semplice, richiedendo
sizioni di cui agli artt. 73 e 148
requisiti che sono specularmente
di fatto, l’inserimento di clausole
specifiche negli statuti/atti costitutivi. Ma
T.U.I.R. e dell’art. 4 del D.P.R.
richiesti sia dal comma 8, art.
tale
semplicità
formale
richiede
uno
n. 633/1972, sono assoggettati,
148 del D.P.R. n. 917/1986
sforzo pratico ben più importante che
sia in materia di imposte sui
(T.U.I.R.) che dal comma 7,
spesso,
inconsapevolmente
ed
a
volte,
redditi che in materia d’imposta
art. 4 del D.P.R. n. 633/1972.
consapevolmente, gli enti non affrontano.
sul valore aggiunto, alla disciSarà, dunque, sufficiente prenNe
deriva,
che
a
fronte
della
presenza
plina propria degli enti non
dere in esame quanto previsto
negli statuti/atti costitutivi delle clausole
commerciali, e, relativamente
nel comma 8 dell’art. 148 citato
formali richieste, non sempre segue il
alle attività rese all’interno
(essendo gli obblighi i medesimi
rispetto in concreto di talune di esse.
della vita associativa fruiscono
anche nel comma 7 dell’art. 4),
Sono proprio queste carenze - formali,
di un trattamento particolaroperandone una valutazione sia
sostanziali ed a volte entrambe - a portare
mente agevolato in presenza di
rispetto agli obblighi formali
al completo disconoscimento delle
condizioni espressamente indiche sostanziali.
agevolazioni concesse, determinando
cate dalla legge.
Per comodità di analisi si
per l’ente delle conseguenze accertative
anche
gravi.
L’art. 148, infatti, è inserito nel
riporta, di seguito, il citato art.
Titolo II, Capo III, del T.U.I.
148, comma 8, del T.U.I.R.
R. concernente gli enti non commerciali, così come
l’art. 4, commi 4 e 6, del D.P.R. n. 633/1972 disci“Le disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si appliplina, agli effetti IVA, gli stessi enti non commerciali.
cano a condizione che le associazioni interessate si
Le agevolazioni per l’ente associativo
L’odierna disamina non si sofferma sul dettaglio specifico delle agevolazioni concesse agli enti associativi
di cui agli artt. 148 del T.U.I.R. e 4 del D.P.R.
n. 633/1972 in quanto dette agevolazioni, che si
riverberano sulle imposte dirette e sull’IVA, possono
facilmente essere individuate scorrendo gli articoli
richiamati.
Ciò che preme evidenziare, invece, sono i vincoli
statutari e la corretta interpretazione, in concreto, di
quei vincoli. Sono queste, infatti, le questioni che
continuano a ricorrere nelle sentenze dei giudici,
sfociando negli ultimi anni, e con sempre maggior
frequenza, in un completo tracollo delle posizioni
sostenute dagli enti.
Le agevolazioni concesse dalle disposizioni citate,
infatti, richiedono (sia per imposte dirette che in
ambito IVA) il rispetto di taluni specifici requisiti
sulla cui violazione, formale e/o sostanziale, si
concentrano la maggior parte degli accertamenti
conformino alle seguenti clausole, da inserire nei
relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma
dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata
o registrata:
a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili
o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale
durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla
legge;
b) obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in
caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad
altra associazione con finalità analoghe o ai fini di
pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di
cui all’art. 3, comma 190, della Legge 23 dicembre
1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta
dalla legge;
c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle
modalità associative volte a garantire l’effettività del
rapporto medesimo, escludendo espressamente la
temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti
maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e
le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per
la nomina degli organi direttivi dell’associazione;
d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un
rendiconto economico e finanziario secondo le
disposizioni statutarie;
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Enti associativi privilegiati
Enti non profit
e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’art. 2532, comma 2,
del Codice civile, sovranità dell’assemblea dei soci,
associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione
ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità
delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto
per corrispondenza per le associazioni il cui atto
costitutivo, anteriore al 1° gennaio 1997, preveda
tale modalità di voto ai sensi dell’art. 2532, ultimo
comma, del Codice civile e sempreché le stesse
abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive
di organizzazione a livello locale;
f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e
non rivalutabilità della stessa.
La disposizione è apparentemente semplice, richiedendo di fatto, l’inserimento di clausole specifiche
negli statuti/atti costitutivi. Tale semplicità formale,
tuttavia, richiede uno sforzo pratico ben più rilevante
che, spesso inconsapevolmente, ed a volte, consapevolmente, gli enti non affrontano.
Ne deriva, che a fronte della presenza negli statuti/atti
costitutivi delle clausole formali richieste (fatto non
sempre scontato), non sempre ne segue il rispetto in
concreto di talune di esse.
Sono proprio queste carenze - formali o sostanziali ed
a volte entrambe - a portare al completo disconoscimento delle agevolazioni concesse, determinando
per l’ente delle conseguenze accertative anche gravi.
La vicenda e le valutazioni dei giudici
In tale contesto si inserisce anche la recente sentenza
n. 22187/2016 della Suprema Corte di cassazione3,
che conferma una sua posizione ormai ben
consolidata.
La sentenza in esame scaturisce dall’impugnazione,
da parte dell’Agenzia delle entrate, della sentenza
n. 12/1/2009 della Commissione tributaria regionale Molise la quale, in riforma della sentenza di
primo grado, aveva accolto l’appello dell’associazione. La Commissione tributaria regionale aveva,
infatti, valutato che l’associazione, svolgendo
attività ricreativa, culturale, sportiva ed assistenziale, rientrasse nel campo di applicazione dell’art.
4, commi 4 e 5 del D.P.R. n. 633/1972, con
esclusione dell’IVA per la prestazione di beni e
servizi inerenti all’attività istituzionale, compresa la
mescita di bevande ai propri associati nella gestione
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del bar-caffè all’interno dell’associazione, ritenuta
per contro dall’Agenzia, sulla base del PVC della
Guardia di finanza, l’unica attività - non accessoria
- della stessa.
L’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della
Commissione tributaria regionale, motivando il disconoscimento con la violazione dei requisiti di forma e
sostanza da parte dell’associazione “non avendo l’associazione redatto il proprio atto costitutivo con atto
pubblico o scrittura privata registrata o autenticata né
approvato un rendiconto economico e finanziario”.
La sentenza della Suprema Corte non fa che prendere
atto di tali violazioni evidenziando che, in continuità
con le proprie precedenti sentenze (cfr. Cass. n.
4872/2015, n. 8623/2012, n. 11456/2010), agli
enti associativi è concesso godere delle agevolazioni
previste negli artt. 148, D.P.R. n. 917/1986 (in
materia di IRPEG) e 4, D.P.R. n. 633/1972 (in
materia di IVA) a condizione non solo dell’inserimento, nei loro atti costitutivi/statuti, delle clausole
obbligatorie ivi previste, “ma anche dell’accertamento - effettuato dal giudice di merito con congrua
motivazione - che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute
nelle clausole stesse”.
Nel caso in esame, tuttavia, si evidenzia come l’associazione non abbia un atto costitutivo né delle scritture contabili, essendo pertanto carente di taluni dei
requisiti di forma e di sostanza richiesti dalle disposizioni agevolative.
La sentenza affronta, inoltre, un ulteriore aspetto di
interesse legato all’onere della prova evidenziando
come sia “appena il caso di aggiungere che, sul piano
probatorio, l’onere di dimostrare la sussistenza dei
presupposti di fatto che giustificano l’agevolazione
sull’IRPEG, nonché quella sull’IVA (art. 4 D.P.R.
n. 633/1972), è a carico del soggetto collettivo che la
invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art.
2697 c.c.” In effetti, la Corte ha avuto modo di
evidenziare più volte come l’onere di provare la
sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano
l’esenzione sia sempre a carico del soggetto che la
invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art.
Nota:
3 Cfr. in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
Enti non profit
2697 c.c. (Cass. n. 16726/2015, n. 28005/2008,
n. 22598/06 e n. 16032/05). In tale contesto, le
ripercussioni sulla mancata capacità di dimostrare di
aver diritto alle agevolazioni fiscali invocate sono
pratiche e decisive. L’art. 2697 del c.c. dispone che
colui che voglia far valere un diritto in giudizio “deve
provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” e
chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti, cioè che il diritto
si sia modificato o estinto “deve provare i fatti su cui
l’eccezione si fonda”.
Ci si trova in presenza di un precetto che il giudice
deve utilizzare al fine di formare il proprio convincimento sulla questione in esame.
Pertanto, poiché alla fine del processo il giudice ha il
dovere di esprimere sempre una risposta nel senso
dell’accoglimento o del rigetto della pretesa, la legge
gli fornisce un criterio chiaro, disponendo che l’onere
della prova dei fatti costitutivi del diritto affermato sia
a carico di colui che compie l’affermazione e, dunque, quest’ultimo perderà la causa se quei fatti non
sono provati. Quanto appena evidenziato ci permette
di comprendere che seppur, in genere, è l’attore ad
affermare la titolarità di un diritto, per cui normalmente l’onere della prova descritto è a suo carico, è
altrettanto vero che questo non accade sempre.
Proprio per questo motivo l’art. 2697 c.c. addossa
l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto non
all’attore, bensì a colui che fa valere il diritto, lasciando
aperta la possibilità che le due figure non si identifichino nel caso concreto come ad esempio è avvenuto
nella sentenza in commento, ove chi vanta di aver
diritto all’agevolazione è l’ente associativo.
Nota bene
Nel giudizio di merito, l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’agevolazione sull’IRPEG, nonché quella sull’IVA (art. 4
D.P.R. n. 633/1972), è a carico del soggetto collettivo
che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti
dall’art. 2697 c.c.
Infine, la sentenza si sofferma su un’ulteriore questione
di rilievo nel campo degli enti associativi agevolati,
legata alla gestione di un bar, attività che, in genere,
non rientra tra le finalità istituzionali dell’ente associativo ed è da ritenersi attività commerciale i cui proventi
sono soggetti ad imposizione fiscale ed il cui
Enti associativi privilegiati
svolgimento diviene una vera è propria anomalia
ove si tratti dell’unica attività svolta, in assenza dunque
di una qualsivoglia attività istituzionale.
La questione in tale contesto è assai complessa anche
per la presenza di due posizioni differenti da parte
della stessa giurisprudenza.
Secondo una tesi giurisprudenziale non prevalente,
più favorevole al contribuente, si potrebbe affermare
che i proventi derivanti dalla gestione di un bar siano
configurabili come esclusi, quando sono contestualmente soddisfatte determinate condizioni (quelle
contenute nel comma 5 dell’art. 148 T.U.I.R.).
Secondo la tesi giurisprudenziale prevalente (e in
linea con quanto sostenuta dall’Amministrazione
finanziaria), la gestione di un esercizio di bar non
rientrerebbe, in linea generale, tra le finalità di un ente
associativo ma sarebbe, di regola, un’attività commerciale e, dunque, non riconducibile nelle finalità
proprie delle associazioni. Il comma 5 dell’art. 148 del
T.U.I.R. ed il comma 6 dell’art. 4 del D.P.R. IVA
concederebbero una specifica agevolazione in relazione alla somministrazione di alimenti e bevande
solo se posta in essere da associazioni di promozione
sociale ricomprese tra gli enti di cui all’art. 3, comma
6, lett. e), della Legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui
finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero
dell’Interno, ed a patto che:
• l’attività di somministrazione effettuata da bar ed
esercizi similari sia svolta presso le sedi in cui viene
svolta l’attività istituzionale;
• l’attività sia rivolta agli iscritti, associati o partecipanti anche di altre associazioni che svolgono la
medesima attività e che per legge, regolamento,
atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica
organizzazione locale o nazionale e dei tesserati
dalle rispettive organizzazioni nazionali;
• l’attività sia strettamente complementare a quelle
svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali.
In relazione al requisito soggettivo dell’essere associazioni di promozione sociale, deve evidenziarsi che
tale tipologia di ente è stata oggetto di specifica
riforma che ne ha, di fatto, codificato la qualifica.
La Legge n. 383/2000 ha, infatti, individuato le
caratteristiche proprie di tali soggetti istituendo
appositi registri, nazionali (con apposito riconoscimento che viene attribuito dal Ministero del Lavoro
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Enti associativi privilegiati
Enti non profit
e delle Politiche sociali) e
Al contempo, però, si è evidenIN SINTESI
regionali/territoriali (con ricoziato come la corretta redazione
noscimento attribuito da
formale di uno statuto sia eleNella sentenza n. 22187/2016 la
Regioni/ex-Province).
mento necessario ma non suffiCassazione ha affermato che gli enti di
Le agevolazioni più volte richiaciente per assicurare all’ente la
tipo associativo possono godere del
trattamento fiscale agevolato a
mate spettano, tuttavia, alle
fruizione delle agevolazioni.
condizione
non
solo
dell’inserimento,
nei
associazioni di promozione
Secondo i giudici tributari,
loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le
sociale le cui finalità assistenziali
infatti, è compito dei verificaclausole
previste
dalla
legge,
ma
anche
siano riconosciute dal Ministero
tori, da un lato, e degli stessi
dell’accertamento - effettuato dal giudice
dell’Interno.
giudici, dall’altro, ricercare il
di
merito
con
congrua
motivazione
che
Il tenore della norma, in assenza
riscontro nella vita associativa
la loro attività si svolga, in concreto, nel
di specifici chiarimenti legisladell’ente di quelle dichiarazioni
pieno rispetto delle prescrizioni
tivi, non permette pertanto di
formulate nello statuto.
contenute nelle clausole stesse. Nel caso
estendere l’agevolazione agli
L’intento delle disposizioni agein cui l’associazione non si sia dotata di un
enti che siano solamente iscritti
volative è quello di consentire,
atto costitutivo, né abbia tenuto le
nei registri delle associazioni di
in ogni fase di controllo e giudiscritture contabili, non ricorrono i requisiti
promozione sociale, ai sensi
zio, una valutazione dell’ente
necessari per fruire delle agevolazioni.
della Legge n. 383/2000, ma
con il fine di evitare che sia
Sul piano probatorio, peraltro, l’onere di
dimostrare
la
sussistenza
dei
presupposti
solo a quelli che abbiano ottefatto un uso distorto delle stesse
di fatto che giustificano l’agevolazione è a
nuto dal Ministero dell’Interno
agevolazioni “suscettibili, tra le
carico
del
soggetto
collettivo
che
la
il riconoscimento delle proprie
altre cose, di inquinare il libero
invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti
finalità assistenziali anzidette4.
mercato concorrenziale”.
dall’art.
2697
c.c.
In tale contesto è bene prestare
In fondo, come ha fatto notare
attenzione al fatto che il registro
una recente sentenza della
5
nazionale delle associazioni di promozione sociale
Commissione tributaria regionale lombarda nella
contiene poco meno di duecento enti ma, come “bilancia della giustizia, la pesantezza del piatto delle
evidenziato, l’iscrizione in tale registro non integra il formalità delle leggi fiscali da applicare da parte degli
requisito richiesto dalla disposizione agevolativa enti stessi è controbilanciata dal piatto delle agevola(finalità assistenziali riconosciute dal Ministero zioni, che sono sostanziose e rilevanti, da godere”.
dell’Interno), seppur deve ammettersi che la maggior Alla forma deve, dunque, seguire la sostanza che, da
parte degli enti in esso iscritti hanno anche il decreto di un lato, impone un impegno in termini di coinvolriconoscimento di tali finalità.
gimento della base sociale nella vita associativa e,
dall’altro, una spendita di tempo nel mantenere la
Osservazioni conclusive
La sentenza n. 22187/2016 ci ha permesso di svolgere corretta tenuta amministrativa di tutto ciò che
una disamina in relazione a talune delle questioni più riguarda l’ente senza declassare tale attività ad un
dibattute in materia di enti associativi agevolati legate elemento opzionale.
alla presenza e alla corretta interpretazione dei requisiti Ma la sostanza è anche prevalenza del fine associativo
statutari necessari per la fruizione delle agevolazioni sul mezzo, dove l’agevolazione deve essere una
ricompensa per il corretto fine perseguito e non il
loro concesse.
In tale contesto è opportuno ribadire quanto sia fine da raggiungere ad ogni costo, anche dichiarando
rilevante prestare attenzione alla forma e, dunque, ciò che poi non avviene nel concreto.
alla corretta stesura di uno statuto sia in relazione agli
articoli definitori della mission dell’ente (scopo ed
attività) sia in relazione alla presenza formale delle
clausole obbligatorie previste dalla legge.
12
n. 1/2017
Note:
4 E, a caduta, ai circoli ed agli enti affiliati.
5 http://www.lavoro.gov.it/.