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PRIMO PIANO
Giovedì 12 Gennaio 2017
Su voucher e appalti, i due quesiti superstiti del referendum, possibile un’intesa con Fi
Lavoro, ora si torna alla Biagi
In tal senso la proposta pd che ha raccolto oltre 100 firme
DI
ALESSANDRA RICCIARDI
E
ora si torna alla legge
Biagi. Sulla responsabilità solidale negli appalti e soprattutto sui
voucher, i due quesiti superstiti del referendum della Cgil
contro il Jobs act, il governo ha
aperto alle modifiche, lasciando,
almeno in questa fase, la parola
al parlamento. I correttivi del
Pd sono pronti
e in entrambi i
casi si tratta di
cancellare le innovazioni introdotte dall’ultimo
governo Berlusconi e dal
governo Monti
e di ripristinare la disciplina
della legge 30
del 2003. È la
riforma del
mercato del lavoro che costò
la vita al giuslavorista Marco
Biagi, portata
avanti dall’allora ministro del lavoro, il leghista Roberto Maroni. Era il
governo Berlusconi II. Una
riforma su cui si potrebbe realizzare la convergenza anche
di Forza Italia, che ha presentato in commissione lavoro
alla camera proprio ieri, prima
firmataria Renata Polverini,
una proposta contro l’abuso di
lavoro accessorio che ricalca per
molti versi quella targata partito democratico. Su cui in pochi
giorni sono state raccolte un
centinaio di firme, c’è quella di
Roberto Speranza, uno degli
esponenti di peso della sinistra
interna al partito che sui voucher è arrivato a minacciare la
sfiducia al ministro del lavoro,
Vignetta di Claudio Cadei
Giuliano Poletti, ma anche di
Walter Verini, veltroniano, e
Alessia Rotta, vicina a Matteo Renzi.
Insomma, dal Pd a Forza
Italia, la controriforma del Jobs
act è quasi servita. «Non mi stupirei se si arrivasse a un testo
unificato e a scelte condivise, la
legge Biagi è una legge del centrodestra», spiega a ItaliaOggi
Cesare Damiano, presidente
della commissione lavoro e primo firmatario della proposta
dem. «Come ministro del lavoro del governo Prodi sono stato
il primo ad applicare la legge
Biagi», ragiona Damiano, «ma
dalla Fornero in poi i campi
sono stati allargati. Ora si deve
tornare alle
origini, cioè
all’uso per il
piccolo lavoro domestico,
l’assistenza
a bambini,
anziani, persone con difficoltà. L’errore è stato
l’allargamento a tutte le
categorie: se
serve a pagare anche
il barista, il
commesso,
il cameriere
diventa la
sostituzione di un normale lavoro a tempo determinato. Ed è
un errore». Quella che propone
Damiano «è una modifica molto
radicale che potrebbe far scomparire il quesito referendario».
Stessa sorte potrebbe toccare
alla responsabilità sugli ap-
GIANNI MACHEDA’S TURNAROUND
Obama finalmente stacca dopo 8 anni. «Yes, weekend!»
***
Lo stato dei partiti in Italia è così deprimente che
ieri, per tirarmi su, mi sono sparato su YouTube un
Tribuna politica del 1975.
***
Cyberspionaggio a Roma, ingegnere e sorella spiavano
Draghi, Monti e Saccomanni. Arrestati mentre dormivano davanti al pc.
***
Padova, minore tolto alla madre perché troppo effeminato. Immediato ricorso della donna per riavere almeno
l’eye-liner.
palti: tornando alla legge 30,
si prevede che il committente
risponda per le retribuzioni e
i contributi dei dipendenti. La
proposta di legge è stata depositata ieri.
Modifiche che ora sembrano
a portata di mano, e che pure
senza il pungolo del referendum della Cgil probabilmente sarebbero rimaste in un
cassetto. Come accaduto alla
proposta sui contestati buoni
lavoro, datata febbraio 2016 e
divenuta di moda solo in questi
giorni.
Dopo che ieri la Corte
costituzionale ha dichiarato
l’inammissibilità del quesito
più spinoso, quello sull’articolo
18 e i licenziamenti disciplinari, il referendum ha perso probabilmente molto dell’appeal
che aveva. E proprio per questo
adesso trovare un’intesa sugli
altri due punti, molto più tecnici e meno di bandiera, potrebbe
riuscire al punto da far annullare il voto referendario. «Va rivisto tutto il Jobs act, anche la
disciplina dei licenziamenti»,
diceva ieri Pierluigi Bersani.
Ma per questo governo e questa
legislatura, anche se il giudizio
della Consulta di ieri potrebbe
averne allungato la vita, pare
missione impossibile.
© Riproduzione riservata
IPER-SEMPLIFICANDO NEL REFERENDUM (SÌ-NO) DEI QUESITI CHE SONO MOLTO PIÙ COMPLESSI
La Cgil preferisce giocare alla roulette russa
La Consulta, con la decisione, gli ha tolto il colpo in canna dell’art. 18
DI
I
GIULIANO CAZZOLA
n attesa di conoscere le motivazioni consideriamo ineccepibili i verdetti della Consulta sui quesiti referendari
promossi dalla Cgil. Soprattutto
per quanto riguardava la questione più delicata (il quesito in materia di licenziamenti individuali)
i giudici delle leggi, dichiarandone
l’inammissibilità, si sono attenuti ad una giurisprudenza consolidata, senza avventurarsi nella
ricerca di «precedenti» (in realtà
caratterizzati da profili giuridici
differenti) sui quali fondare il via
libera ad referendum dagli effetti
devastanti.
Una decisione in senso contrario sarebbe stato un atto di irresponsabilità, perché non avrebbe avuto senso arrampicarsi sugli
specchi del diritto, incamminarsi
nella terra di nessuno dell’arbitrio,
quando si trattava di prendere posizione su di un atto di criminalità economica, come era appunto
il tentativo di introdurre, anche
nelle microimprese, la reintegra
giudiziale (al posto del risarcimento monetario) a sanzione del licenziamento ritenuto illegittimo.
Per quanto riguarda invece
gli altri due quesiti (riguar-
danti l’abolizione dei voucher e la
normativa sugli appalti) la Corte
non poteva decidere altrimenti, essendo anch’essi atti di criminalità
economica, ma compilati in modo
conforme alle leggi.
Non è un processo alle
intenzioni, infatti, ritenere che la domanda
sul licenziamento sia
stata, invece, scritta in
modo pedestre proprio
per farsela bocciare. Con
il responso della Consulta viene meno anche
un motivo per anticipare il voto entro la prima
metà dell’anno (anche se
gli improvvisi problemi
di salute del conte Gentiloni aprono scenari
nuovi). E, soprattutto,
il Parlamento può avere
la possibilità e il tempo
di introdurre modifiche
delle normative vigenti,
ridando così la parola ai
giudici per verificarne
l’adeguatezza rispetto al contenuto dei quesiti.
C’è poi un’altra riflessione da
fare. L’allarme suscitato dai «colpi
di teatro» della Cgil è stato un po’
figlio della psicosi determinata dal
voto del 4 dicembre. Perché non
era un’ipotesi irrealistica immaginare che gli italiani disertassero
in maggioranza le urne. Era già
accaduto in passato in occasione
di un referendum (ammesso dalla Consulta) rivolto ad estendere
Susanna Camusso
l’articolo 18 dello Statuto a tutti i
lavoratori e ai datori di lavoro.
Può essere che vi sia lo stesso esito astensionista quando si
andrà a votare sui voucher e sugli
appalti. Mentre sul secondo aspetto sarà difficile spiegare i termini
effettivi del problema (il quesito si
propone di lasciare solo il committente a rispondere in solido senza dargli la possibilità di agire, a
sua tutela, contro le irregolarità
commesse dall’appaltatore e dai
subappaltatori), sulla questione di buoni
lavoro dovremo sorbirci mesi di mistica
del precariato, con i
talk show schierati
per il sì.
Fu così anche
nel caso del referendum No Triv,
ma gli italiani non ci
cascarono. Staremo a
vedere. Ciò che è provata, comunque, è la
irresponsabilità di
una grande organizzazione come la Cgil
che non ha esitato a
servirsi, cinicamente
e con leggerezza, della roulette russa dei
referendum su materie estremamente delicate soltanto
perché la questione faceva parte
del patto di potere intervenuto tra
Susanna Camusso e Maurizio
Landini. Con in palio la segreteria generale della Cgil.
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